Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10
Nel processo amministrativo non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iurisanaloga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire.
La Pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adito ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento.
È ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale.
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53, d.lg. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in totola materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 16 di A.P. del 2019, proposto da Diddi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Pietro Adami, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso d’Italia, n. 97;
contro
Azienda U.S.L. Toscana Centro, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Giovanni Pasquale Mosca e dall’Avvocato Maria Foglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Pasquale Mosca in Roma, corso d’Italia, n. 102;
nei confronti
C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gennaro Rocco Notarnicola, dall’Avvocato Aristide Police e dall’Avvocato Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Comune di Chiaramonte Gulfi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Agatino Cariola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato, piazza Capo di Ferro, n. 13;
per la riforma
della sentenza n. 577 del 17 aprile 2019 del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. III, resa tra le parti, concernente l’accesso agli atti dell’esecuzione del contratto di appalto.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda U.S.L: Toscana Centro e del controinteressato C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2020 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante, Diddi s.r.l., l’Avvocato Pietro Adami, per l’appellata Azienda l’Avvocato Raffaella Chiummiento su delega dell’Avvocato Giovanni Pasquale Mosca, per la controinteressata C.N.S. l’Avvocato Gennaro Rocco Notarnicola, l’Avvocato Aristide Police e l’Avvocato Fabio Cintioli, e per l’interventore ad opponendum, il Comune di Chiaramonte Gulfi, l’Avvocato Agatino Cariola.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierna appellante, Diddi s.r.l., ha proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana avverso la nota dall’Azienda USL Toscana Centro del 2 gennaio 2019 (di qui in avanti, per brevità, l’Azienda), che reca il diniego dell’istanza di accesso agli atti, presentata il 6 dicembre 2018, avente ad oggetto i documenti relativi all’esecuzione del «Servizio Integrato Energia per le Pubbliche Amministrazioni», svolto dal r.t.i. composto dal CNS – Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa (di seguito, per brevità, CNS) e dalle società Prima Vera – Exitone – Termotecnia Sebina – SOF.
1.1. A supporto di tale richiesta, l’appellante ha esposto di essere titolare di uno specifico interesse, qualificato e differenziato, avendo partecipato alla gara per l’affidamento del servizio in oggetto, nella qualità di mandante del r.t.i. costituito con altre società, classificatosi al secondo posto della graduatoria, relativa al lotto n. 5, concernente la Regione Toscana.
1.2. La dichiarata finalità dell’accesso era quella di verificare se l’esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell’offerta migliorativa presentata dall’aggiudicataria, poiché l’accertamento di eventuali inadempienze dell’appaltatore avrebbe determinato l’obbligo della pubblica amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto e al conseguente affidamento del servizio alla stessa appellante, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria di cui all’art. 140 del d. lgs. n. 163 del 2006, applicabile ratione temporis alla vicenda in esame.
1.3. L’istanza non si è richiamata espressamente ed esclusivamente alla disciplina dell’accesso documentale, prevista dalla l. n. 241 del 1990, o a quello dell’accesso civico generalizzato, introdotto dal d. lgs. n. 97 del 2016.
1.4. L’atto di diniego di accesso, opposto dalla pubblica amministrazione, è incentrato sulla motivazione per la quale «la documentazione richiesta concerne una serie di dati inerenti ad aspetti relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito dalla gara in oggetto, e perciò ricompresi nel concetto più generali di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», con la conseguente applicazione dei limiti, stabiliti dalla l. n. 241 del 1990, tra i quali connessi alla necessaria titolarità, in capo al richiedente l’accesso, di un interesse qualificato.
1.5. Secondo l’Azienda, Diddi s.r.l. non avrebbe dimostrato la concreta esistenza di una posizione qualificata, idonea a giustificare l’istanza di accesso.
1.6. In ogni caso, a parere dell’Azienda, l’istanza di accesso non può essere accolta nemmeno in base alla disciplina dell’accesso civico generalizzato, poiché tale normativa non trova applicazione nel settore dei contratti pubblici.
2. L’odierna appellante, come si è premesso (par. 1), ha impugnato ai sensi dell’art. 116 c.p.a. avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana il diniego di accesso, articolando due motivi, e ne ha chiesto l’annullamento.
2.1. Diddi s.r.l. ha dedotto in prime cure, con un primo motivo, l’illegittimità del diniego perché, a suo dire, essa aveva un interesse qualificato e concreto, ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, a conoscere eventuali inadempienze verificatesi nell’esecuzione dell’appalto.
2.2. Con un secondo motivo, poi, la ricorrente ha lamentato comunque l’erroneità del diniego opposto dall’Azienda anche con riferimento all’art. 5 del d. lgs. n. 33 del 2013 perché, secondo la sua tesi, con il nuovo accesso civico generalizzato avrebbe comunque diritto, uti civis, ad accedere ai documenti e ai dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni.
2.3. Nel primo grado del giudizio si sono costituite l’Azienda resistente, che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo essa priva della qualità di stazione appaltante, e comunque nel merito l’infondatezza della domanda di accesso proposta nonché S.N.C., controinteressata, che ha evidenziato come il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 425 del 14 gennaio 2019, avesse già respinto il ricorso avverso il diniego oppostole da Consip s.p.a. per l’accesso agli atti relativi alla fase di realizzazione della gara, ed ha comunque anch’essa concluso per l’infondatezza del ricorso.
2.4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con la sentenza n. 577 del 17 aprile 2019, ha respinto il ricorso.
2.5. Secondo il primo giudice, infatti, l’istanza di Diddi s.r.l., per il modo in cui è formulata, si tradurrebbe in una indagine esplorativa tesa alla ricerca di una qualche condotta inadempiente dell’attuale aggiudicataria, di per sé inammissibile, non risultando da alcuna fonte di provenienza delle amministrazioni interessate né avendo la ricorrente altrimenti fornito alcun elemento o indicato concrete circostanza in tal senso.
2.6. Quanto alla controversa applicabilità dell’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici, poi, il primo giudice, nel dare atto di un contrasto giurisprudenziale sul punto, ha ritenuto che debba trovarsi il necessario punto di equilibrio risultante dall’applicazione dell’art. 53 del d. lgs. 50 del 2016, che rinvia alla disciplina di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 e dell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013.
2.7. Ne deriverebbe, a suo giudizio, una «disciplina complessa», risultante dall’applicazione dei diversi istituti dell’accesso ordinario e di quello civico, che hanno un diverso ambito di operatività e un diverso grado di profondità.
2.8. In particolare, per quanto riguarda gli atti e i documenti della fase pubblicistica del procedimento, oltre all’accesso ordinario è consentito anche l’accesso civico generalizzato, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche nonché per promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, mentre, per quanto attiene agli atti e ai documenti della fase esecutiva del rapporto contrattuale, l’accesso ordinario è consentito, ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, nel rispetto delle condizioni e dei limiti individuati dalla giurisprudenza, che nel caso di specie non sarebbero stati rispettati.
3. Avverso tale sentenza ha proposto Diddi s.r.l. che, nell’articolare due distinti motivi di censura rispettivamente incentrati sulla violazione, da parte del primo giudice, delle disposizioni della l. n. 241 del 1990 e di quelle dettate dal d. lgs. n. 33 del 2013, ha ribadito le tesi esposte nel ricorso di prime cure e ha affermato la propria legittimazione a chiedere sia l’accesso documentale che quello civico generalizzato, e ha chiesto così la riforma della sentenza, con il conseguente accoglimento del ricorso originario e l’ostensione dei documenti richiesti.
3.1. Si sono costituite l’Azienda appellata, che ha riproposto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva e nel merito ha contestato la legittimazione di Diddi s.r.l. a richiedere sia l’accesso procedimentale che quello generalizzato, e il C.N.S., che ha anche contestato la fondatezza del ricorso.
3.2. Con l’ordinanza n. 8501 del 16 dicembre 2019 la III Sezione di questo Consiglio di Stato, nel ravvisare un contrasto giurisprudenziale in ordine alle questioni oggetto del giudizio, ha rimesso a questa Adunanza plenaria tre quesiti:
a) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;
b) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;
c) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013; e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
3.3. Quanto al primo quesito, anzitutto, l’ordinanza di rimessione, nel valorizzare l’orientamento più recente della Corte di Giustizia UE, che ha ripetutamente sottolineato la rilevanza dell’interesse strumentale dell’operatore economico che aspiri all’affidamento di un operatore pubblico, prospetta il dubbio che detto operatore, secondo classificato, non potrebbe essere assimilato al quisque de populo, ai fini dell’attivazione dell’istanza ostensiva, perché la sua posizione funge da presupposto attributivo di un “fascio” di situazioni giuridiche, di carattere oppositivo o sollecitatorio, finalizzate alla salvaguardia di un interesse tutt’altro che emulativo, in quanto radicato sulla valida, anche se non pienamente satisfattiva, partecipazione alla gara.
3.4. Quanto secondo quesito, la Sezione rimettente, nell’esporre le ragioni del contrasto tra l’orientamento, fatto proprio dalla stessa Sezione, incline a riconoscere l’applicazione dell’accesso civico generalizzato ai contratti pubblici e quello, seguito invece dalla V Sezione (v., in particolare, le sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2 agosto 2019), contrario a tale applicazione, suggerisce una soluzione che operi una reductio ad unitatem delle due discipline, quella dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico generalizzato, negando comunque che l’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016 abbia inteso dettare una disciplina esaustiva ed esclusiva dell’accesso in questa materia, con la conseguente impossibilità di consentire l’accesso civico generalizzato agli atti di gara per via della preclusione assoluta di cui all’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, e proponendo una lettura fondata sul rapporto di coordinamento-integrazione tra le suddette discipline.
3.5. Quanto al terzo quesito, infine, la Sezione rimettente, pur avendo premesso, correttamente, che l’istanza di accesso, proposta da Diddi s.r.l., non è stata univocamente formulata ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 e che la connoterebbe il solo fine ostensivo perseguito, ha domandato a questa Adunanza plenaria di chiarire se sia consentito al giudice di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’accesso civico qualora il richiedente abbia speso una sua eventuale qualità differenziata e questa, tuttavia, non attinga i requisiti di legittimazione delineati dalla l. n. 241 del 1990, con particolare riguardo all’ipotesi in cui la pubblica amministrazione, nella motivazione dell’atto negativo, si sia espressa in senso sfavorevole per il cittadino, anche in ordine al primo profilo.
3.6. Le parti, in vista dell’udienza pubblica del 19 febbraio 2020 fissata avanti a questa Adunanza, hanno depositato le loro memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a.
3.7. Il 18 febbraio 2020 è intervenuto ad opponendum nella presente fase del giudizio anche il Comune di Chiaramonte Gulfi (RG).
3.8. Nella pubblica udienza del 19 febbraio 2020 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, che hanno esposto le loro tesi, ha trattenuto la causa in decisione.
4. In via preliminare deve essere esaminata l’ammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato nella fase del giudizio avanti a questa Adunanza plenaria da parte del Comune di Chiaramonte Gulfi (RG).
4.1.1. Questo deduce di essere parte in un giudizio, pendente al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, nel quale si controverte dell’accesso documentale richiesto dall’Impresa Ecologica Busso Sebastiano s.r.l. agli atti relativi all’esecuzione dell’appalto del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali e dei servizi di igiene urbana nell’ambito di detto Comune, appalto aggiudicato a MECO GEST s.r.l.
4.1.2. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020, ha rinviato la trattazione della vicenda alla camera di consiglio dell’8 aprile 2020, in attesa della decisione di questa Adunanza plenaria sulla medesima questione di diritto.
4.1.3. Sulla base di questo presupposto il Comune interveniente assume di essere titolare di un interesse a partecipare alla sede giurisdizionale in cui si definisce la regola di diritto da applicare successivamente alla risoluzione della controversia di cui è parte.
4.1.4. Ad avviso del Comune, la funzione nomofilattica esercitata da questa Adunanza giustificherebbe l’intervento, nel giudizio che si celebra davanti ad essa, di tutti i soggetti interessati dalla risoluzione di analoghe controversie sulla medesima questione di diritto, non dissimilmente dall’intervento, ora ammesso dalle Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale adottate l’8 gennaio 2020, da parte di soggetti «titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio» (art. 4, comma 7) o, addirittura, da parte di «formazioni sociali senza scopo di lucro» e di «soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità» (art. 4-ter).
4.2. L’intervento volontario ad opponendum del Comune di Chiaramonte Gulfi, proposto ai sensi dell’art. 28, comma 2, c.p.a., è inammissibile.
4.2.1. Trovano infatti applicazione anche al caso di specie i principî affermati dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio e, in particolare, da questa stessa Adunanza plenaria nella sentenza n. 23 del 4 novembre 2016.
4.2.2. La domanda di intervento non è ascrivibile a nessuna delle figure tipicamente riconducibili all’istituto dell’intervento nel processo amministrativo, per come da ultimo disciplinato dall’articolo 28 c.p.a. nonché – per il grado di appello – dall’art. 97 c.p.a.
4.2.3. In particolare, come ha affermato questa Adunanza plenaria nella pronuncia n. 23 del 2016 sopra richiamata, non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire.
4.2.4. Osta al riconoscimento di una situazione che lo legittimi a intervenire l’obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due processi, sì da non potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem.
4.2.5. Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.
4.3. Non a caso, in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (v. ex plurimis, sul punto, Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853; Cons. St., sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557).
4.4. Si tratta, come è del tutto evidente, di un presupposto che non ricorre nel caso in esame, pacifica essendo in tale ipotesi l’assoluta estraneità fra la posizione del Comune interventore e quella dell’odierna appellante, Diddi s.r.l.
4.5. Ed è appena il caso di ricordare, come ha già chiarito questa Adunanza nella sentenza n. 23 del 4 novembre 2016, che risulterebbe peraltro sistematicamente incongruo ammettere l’intervento volontario in ipotesi, come quella qui esaminata, che si risolvessero nel demandare ad un giudice diverso da quello naturale (art. 25, comma primo, Cost.) il compito di verificare in concreto l’effettività dell’interesse all’intervento (e, con essa, la concreta rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio a quo), in assenza di un adeguato quadro conoscitivo di carattere processuale, ove si pensi, solo a mo’ di esempio, alla necessaria verifica che il giudice ad quem sarebbe chiamato a svolgere, ai fini del richiamato giudizio di rilevanza, circa l’effettiva sussistenza in capo all’interveniente dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del giudizio a quo.
4.6. Non giova al Comune interventore richiamare le recenti Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale, adottate dalla stessa Corte l’8 gennaio 2020, poiché esse ammettono l’intervento di soggetti titolari di un interesse qualificato, che sia appunto inerente in modo diretto e immediato al concreto rapporto dedotto in giudizio e non semplicemente alle stesse o simili, astratte, questioni di diritto, o al più a tutti quei soggetti privati, senza scopo di lucro, portatori di interessi collettivi e diffusi, attinenti alla questione di costituzionalità, che rivestano il ruolo di c.d. amicus curiae.
4.7. In nessuna di tali figure rientra, anche a volere ammettere per ipotesi la totale assimilazione delle regole vigenti per il giudizio incidentale di costituzionalità a quelle previste per il processo amministrativo, quella dell’odierno Comune interventore.
4.8. Ne discende l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato dal Comune di Chiaramonte Gulfi.
5. Venendo all’esame delle questioni poste dall’ordinanza di rimessione, questa Adunanza plenaria ritiene che, per un più chiaro e corretto esame di queste secondo un rigoroso ordine di consecuzione logico-giuridica, sia imprescindibile anzitutto, sul piano processuale, inquadrare i fatti rilevanti ai fini del presente giudizio e quindi, anzitutto, individuarne l’esatto oggetto, delimitato dall’originaria istanza di accesso, presentata il 6 novembre 2018 da Diddi s.r.l., e dal provvedimento di diniego, adottato il 2 gennaio 2019 dall’Azienda.
6. Diddi s.r.l., nel premettere che il suo intento è di «mera collaborazione con le Amministrazioni», si è rivolta all’Azienda con la propria istanza di accesso perché ha inteso verificare se l’esecuzione del servizio integrato di energia per le pubbliche amministrazioni, per il lotto 5, si svolga nel pieno rispetto di quanto richiesto dal capitolato tecnico, e in particolare di quelle concernenti lo standard qualitativo delle prestazioni, nonché di quanto offerto in sede di gara dall’a.t.i. guidata da C.N.S., risultata aggiudicataria del lotto n. 5, e attuale gestrice del servizio.
6.1 «Eventuali inadempienze – si legge nell’istanza, a p. 2 – rispetto ai suddetti obblighi comporterebbero con ogni probabilità la risoluzione del contratto per inadempimento, ed il conseguente affidamento del servizio alla scrivente società, nella sua qualità di mandante dell’ATI seconda in graduatoria», sicché ne conseguirebbe «l’interesse della Diddi S.r.l. a sapere se in concreto il servizio viene attualmente svolto nel rispetto della disciplina di gara e dell’offerta ritenuta migliore» e a tal fine «si rende indispensabile concedere l’accesso alla relativa documentazione […] che attesa (documentalmente) la corretta esecuzione delle prestazioni».
6.2. L’istanza elenca poi, punto per punto, i singoli documenti richiesti per ogni previsione e/o prestazione del capitolato tecnico e si conclude con la richiesta, riassuntiva di accesso alla documentazione relativa al contratto, attestante l’esecuzione delle prestazioni promesse.
6.3. L’Azienda, con la nota prot. n. 340 del 2 gennaio 2019, anche in seguito all’opposizione manifestata da C.N.S, ha ritenuto di non poter accogliere l’istanza formulata in quanto:
a) Diddi s.r.l. non avrebbe alcun interesse diretto, specifico, concreto, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della l. n. 241 del 1990, che giustifichi l’accesso documentale, che non è funzionale ad un controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione;
b) parimenti, anche ove Diddi s.r.l. avesse inteso esercitare con la sua istanza un accesso civico generalizzato, la materia dei contratti pubblici sarebbe sottratta all’applicabilità di tale forma di accesso per l’eccezione assoluta prevista dall’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, il quale esclude tale forma di accesso laddove l’accesso sia subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti, nel caso di specie stabilite dall’art. 13 dell’abrogato d. lgs. n. 163 del 2006 e, ora, dall’art. 53 del vigente d. lgs. n. 50 del 2016.
6.4. Questi sono, in essenziale sintesi, i fatti salienti, che delimitano il thema decidendum del presente giudizio, promosso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. da Diddi s.r.l. per ottenere l’accesso alla documentazione richiesta.
6.5. Il provvedimento impugnato, a fronte di una istanza, come subito si vedrà, duplice o, per meglio dire, ancipite, oppone un diniego motivato con riferimento sia all’accesso documentale che a quello civico generalizzato.
7. La corretta delimitazione della questione controversa consente all’Adunanza di muovere all’esame delle questioni poste dall’ordinanza di rimessione, non senza però la preventiva disposizione delle stesse secondo il loro corretto ordine logico-giuridico.
7.1. La terza questione, posta dall’ordinanza, è logicamente antecedente alle altre, in quanto, se, per ipotesi, l’istanza sia stata richiesta e respinta solo per una specifica tipologia di accesso (procedimentale o civico generalizzato), il tema controverso dovrebbe essere limitato all’esistenza dei presupposti del solo accesso richiesto, giacché, come si vedrà, sarebbe precluso al giudice riconoscere o negare in sede giurisdizionale i presupposti dell’altro, se questi non siano stati nemmeno rappresentati in sede procedimentale ab initio dall’istante.
7.2. L’ordine delle questioni deve essere affrontato nel modo seguente:
a) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal d. lgs. n. 33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
b) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;
c) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice.
8. Così impostato l’ordo quaestionum, secondo la loro necessaria consecuzione logica, occorre anzitutto esaminare il terzo quesito, posto dall’ordinanza, divenuto primo.
8.1. L’istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso.
8.2. L’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto all’accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato (comma 2), anche «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».
8.3. La giurisprudenza di questo Consiglio è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al di là della specifica questione qui controversa circa la loro coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: «nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso» (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
8.4. Il solo riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.
8.5. Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.
8.6. Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione.
8.7. La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) – di qui in avanti, per brevità, Linee guida – l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un «evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
9. Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi, secondo quanto si chiarirà.
9.1. Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.
9.2. L’ANAC ha osservato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla l. n. 241 del 1990, se motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso di cui alla l. n. 241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta.
9.3. Con ciò essa ha inteso «dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti».
9.4. Se questo è vero, non può nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato, come è nel caso presente, fermi restando i limiti di cui ai cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis d. lgs. n. 33 del 2013, limiti che, come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità (v., su questo punto, anche Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817).
9.5. Correttamente l’Azienda appellata, come del resto rileva l’ordinanza di rimessione, ha qualificato ed esaminato l’istanza di Diddi s.r.l. anche sotto il profilo dell’aspetto civico generalizzato, per quanto sia poi giunta ad escludere l’applicazione della relativa disciplina al caso di specie sulla base di argomenti non condivisibili.
9.6. A fronte di una istanza, come quella dell’odierna appellante, che non fa riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre o limitare l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ma si muove sull’incerto crinale tra l’uno e l’altro, la pubblica amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza.
9.7. A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del c.d. public interest test.
9.8. In questo senso si è espresso anche il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 6 giugno 2017 sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) – di qui in avanti, per brevità, Circolare FOIA n. 2/2017 – laddove, nel valorizzare il criterio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, ha chiarito al par. 2.2 che «dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato».
10. Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato.
10.1. Ma non è questo il caso in esame ove, a fronte di una istanza formulata in modo indistinto, duplice o, se si preferisce, “ancipite” nella quale Diddi s.r.l. sembra rappresentare ora un proprio interesse specifico, quale seconda classificata, e ora un più generale interesse collaborativo con la pubblica amministrazione nell’interesse pubblico, l’Azienda ha vagliato l’esistenza dei presupposti per consentire sia l’una che l’altra forma di accesso. Né si pongono problemi di garanzia del contraddittorio, in quanto l’Azienda ha interpellato la controinteressata C.N.S., che ha manifestato la sua opposizione all’istanza.
10.2. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione, dunque, non attiene propriamente al caso di specie, come del resto riconosce la stessa ordinanza, perché l’istanza di Diddi s.r.l. si presenta indistinta, ancipite, e una corretta applicazione del principio di tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo nella sua più ampia estensione, oltre che di non aggravamento procedimentale, ha indotto l’Azienda ad esaminare l’istanza sotto il duplice profilo e a dare una risposta “onnicomprensiva” per quanto, lo si è detto, non satisfattiva sul piano sostanziale per Diddi s.r.l.
10.3. La reiezione dell’istanza sotto il duplice profilo dell’accesso documentale e di quello civico generalizzato individua correttamente il thema decidendum del presente giudizio, proposto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., sicché non si pone alcun problema di conversione o di pronuncia ultra petita da parte del giudice nella presente controversia.
11. Il quesito posto dall’ordinanza pone tuttavia una questione di interesse generale, al di là della specifica vicenda, che questa Adunanza plenaria ritiene di esaminare, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a.
11.1. Al riguardo, deve ritenersi che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus.
11.2. Diversamente, infatti, la pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo “in prevenzione”, su una istanza, quella di accesso civico generalizzato, mai proposta, nemmeno in forma, per così dire, implicita e/o congiunta o, comunque, ancipite dall’interessato, che si è limitato a richiedere l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990.
11.3. Ne discende che al giudice amministrativo, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, è precluso di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato, stante l’impossibilità di convertire, in sede di ricorso giurisdizionale, il titolo dell’accesso eventualmente rappresentato all’amministrazione sotto l’uno o l’altro profilo.
11.4. Deve trovare in questo senso conferma l’orientamento, già espresso da questo Consiglio di Stato, secondo cui è preclusa la possibilità di immutare, anche in corso di causa, il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1406; Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817; Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
11.5. In altri termini, electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso del privato – in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.
11.6. Nemmeno ad opera o a favore del privato può realizzarsi, insomma, quell’inversione tra procedimento e processo che si verifica quando nel processo vengono introdotte pretese o ragioni mai prima esposte, come era doveroso, in sede procedimentale.
11.7. Se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante.
11.8. È vero che il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti richiesti» (v., per la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio sul punto anche ante codicem, Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2542 e, più di recente, Cons. St., sez. V, 19 giugno 2018, n. 3956).
11.9. Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo.
12. Il secondo quesito posto a questa Adunanza plenaria consiste nel chiarire se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria.
12.1. Diversamente da quanto ha ritenuto il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana nella sentenza qui impugnata, e nel condividere, invece, le osservazioni esposte dall’ordinanza di rimessione, questa Adunanza plenaria ritiene che gli operatori economici, che abbiano preso parte alla gara, sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, purché abbiano un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti.
12.2. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115) laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio.
12.3. L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato.
12.4. Questa, dopo la riforma della l. n. 15 del 2015 che ha recepito l’orientamento consolidato di questa stessa Adunanza plenaria (v., sul punto, la fondamentale pronuncia di questo Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1999, n. 5, secondo cui «l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica», ma in tal senso v. già Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 42), ha espressamente riconosciuto l’accesso ad atti «concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, comma 1, lett. e) della l. n. 241 del 1990).
12.5. Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2, della l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza»: dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso.
12.6. Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile – applicabili «per quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016) – e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis del d. lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale.
12.7. Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui all’art. 88, comma 4-bis, del d. lgs. n. 159 del 2011.
12.8. Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza.
12.9. La trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53.
13. Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara.
13.1. È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza.
13.2. L’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione.
13.3. Il delineato quadro normativo e di principî rende ben evidente l’esistenza di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115), ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.
13.4. La persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare.
13.5. Vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso (artt. 32, comma 12, e 33, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016).
13.6. Nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (v., sul punto, Cons. St., comm. spec., 28 novembre 2016, n. 2777, par. 5.6.-5.6.1.).
13.7. Ci si riferisce in particolare, tra le ipotesi che consentono il recesso facoltativo –contemplate, rispettivamente per i contratti e le concessioni, dall’art. 108, comma 1, e dall’art. 176, commi 1 e 2, del codice – alle eventuali modifiche sostanziali del contratto, che avrebbero richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’art. 106 (art. 108, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 50 del 2016); al manifestarsi di una delle cause di esclusione dalla gara, previste dall’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, al momento dell’aggiudicazione; alla violazione di gravi obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento di infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE.
13.8. Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016).
13.9. E deve qui ricordarsi, peraltro, che i gravi e persistenti inadempimenti dell’operatore economico nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto o di concessione, che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, costituiscono, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, causa di esclusione dalla gara e tali circostanze assumono particolare rilievo ai fini della partecipazione alla gara.
13.10. Ancora, più radicalmente, peraltro, la rilevanza della vicenda contrattuale anche nella fase di esecuzione è confermata dalle ipotesi di recesso obbligatorio dal rapporto contrattuale, previste dall’art. 110, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, che in realtà configurano forme di autotutela pubblicistica c.d. doverosa (con la conseguente, pacifica, giurisdizione del giudice amministrativo: Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2212), per l’intervenuta decadenza dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci o per il sopraggiungere di un provvedimento definitivo, che dispone l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dal d. lgs. n. 159 del 2011, con effetto interdittivo antimafia; o per l’intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per uno dei reati di cui all’art. 80 (art. 108, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016); o, ancora, per il recesso di cui all’art. 88, comma 4-ter, del d. lgs. n. 159 del 2011, in seguito a comunicazione o informazione antimafia adottata dal Prefetto (art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016).
13.11. In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d. lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d. lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona «la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1».
14. La circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano immutate – e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare l’intera procedura gara stessa, se queste esigenze siano addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna – non rende tuttavia evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).
14.1. L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara.
14.2. L’interesse legittimo degli operatori economici nel settore dei rapporti contrattuali e concessori pubblici ha assunto ormai una configurazione di ordine anche solo strumentale, certo inedita nella sua estensione, ma di sicuro impatto sistematico.
14.3. Ciò si desume non solo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE – che, come è noto, propugna una (sin troppo ampia) concezione dell’interesse strumentale in materia di gara (sentenza della X sezione, 5 settembre 2019, in C-333/18) – ma dalla stessa giurisprudenza di questa Adunanza plenaria (sentenza n. 6 dell’11 maggio 2018) la quale ha ben chiarito che il legislatore può conferire rilievo a determinati interessi strumentali, che assurgono al rango di situazioni giuridiche soggettive giuridicamente tutelate in via autonoma rispetto al bene della vita finale, ancorché ad esso legati.
14.4. Anche la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019 – respingendo le questioni di costituzionalità sollevate da diversi Tribunali amministrativi regionali sul comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., ora abrogato in seguito all’intervento del d.l. n. 32 del 2019, conv. in l. n. 55 del 2019 – ha chiarito che «se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire rilevanza, in casi particolari, ad interessi strumentali può comportare un ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico rispetto ai ricordati precetti costituzionali, sempre che sussista un solido collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa, anche al costo di alterare l’equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei processi a carattere dispositivo».
14.5. La latitudine di questo intesse legittimo “strumentale” non solo all’aggiudicazione della commessa, quale bene della vita finale, ma anche, per l’eventuale riedizione della gara, quale bene della vita intermedio, secondo quel “polimorfismo” del bene della vita alla quale tende per graduali passaggi l’interesse legittimo, schiude la strada ad una visione della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur sempre il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa materia.
14.6. Applicando le medesime coordinate anche alla fase privatistica del contratto pubblico, il riconoscimento di un interesse strumentale giuridicamente tutelato quantomeno ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (si pensi ad una impresa colpita da informazione antimafia), a conoscere gli atti della fase esecutiva non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse, con conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura pubblicistica o privatistica già verificatesi incidenti sulla prosecuzione del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio, scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido collegamento” con il bene finale.
14.7. L’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione, conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.
15. Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse – per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria – sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post.
15.1. Diversamente, infatti, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990).
15.2. Invero, la situazione dell’operatore economico che abbia partecipato alla gara, collocandosi in graduatoria, non gli conferisce infatti, nemmeno ai fini dell’accesso, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva, laddove egli non possa vantare un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990).
15.3. Se l’accesso documentale soddisfa, come questo Consiglio ha rilevato nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016 della Sezione consultiva per gli atti normativi (v., in particolare, par. 11.2), un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla difesa di una situazione giuridica, che peraltro non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa: v. Cons. St., sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956, già citata), questa situazione giuridica deve necessariamente precedere e, per di più, motivare l’accesso stesso.
15.4. Né giova opporre che l’accesso documentale è proprio finalizzato a fornire la prova di questo riattualizzato interesse, come sembra postulare l’ordinanza di rimessione nel suggerire un’assimilazione tra la posizione di Diddi s.r.l. e quella del concorrente che aspiri a conoscere i documenti dell’offerta dell’aggiudicataria, perché altro è il bisogno di conoscere per tutelare una interesse collegato ad una situazione competitiva già esistente o chiaramente delineatasi, laddove il principio di concorrenza già opera in fase di gara e al fine eventuale di impugnare il provvedimento di aggiudicazione, e altro, evidentemente, il desiderio di conoscere per sapere se questa situazione possa crearsi per l’occasione, del tutto eventuale, di un inadempimento contrattuale.
15.5. E proprio nella distanza che intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta del resto il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (c.d. right to know), in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto.
16. Alla luce delle premesse sin qui svolte, nel caso di specie deve però negarsi che sussista un interesse anche solo strumentale, nel senso sopra descritto, alla conoscenza di tali atti in capo a Diddi s.r.l., che nemmeno ha adombrato nella propria istanza, come pure ha rammentato l’ordinanza di rimessione, l’esistenza di un qualsivoglia inadempimento, essendosi limitata ad allegare, nella stessa istanza, che «eventuali inadempienze rispetto ai suddetti obblighi comporterebbero con ogni probabilità la risoluzione del contratto per inadempimento, ed il conseguente affidamento del servizio alla scrivente società, nella sua qualità di mandante dell’ATI seconda in graduatoria».
16.1. Una volta chiarito che la posizione sostanziale è la causa e il presupposto dell’accesso documentale e non la sua conseguenza e che la sua esistenza non può quindi essere costruita sulle risultanze, eventuali, dell’accesso documentale, va rilevato, per contro, che, nel caso di specie, l’istanza di accesso è tesa all’acquisizione di documenti che non impediscono od ostacolano il soddisfacimento di una situazione sostanziale, già delineatasi chiaramente, ed è volta a invocare circostanze, da verificare tramite l’accesso, che in un modo del tutto eventuale, ipotetico, dubitativo potrebbero condurre al subentro nel contratto, nemmeno delineando una seria prospettiva di risoluzione del rapporto, sempre necessaria per radicare un interesse concreto e attuale (Cons. St., sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398).
16.2. Si rivela, così, nella fattispecie in esame, un’istanza di accesso con finalità meramente esplorativa, finalizzata ad acclarare se un inadempimento vi sia, che presupporrebbe, in capo agli altri operatori economici, un inammissibile ruolo di vigilanza sulla regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull’adempimento delle proprie obbligazioni da parte dell’aggiudicatario.
16.3. Si avrebbe così una sorta di interesse oggettivo, seppure ai fini dell’accesso, che non può essere accolta pur tenendo conto, come si è detto, della lettura che di questo interesse offrono, in quel dialogo incessante che costituisce l’osmosi tra il diritto interno e quello europeo, le Corti nazionali e quelle sovranazionali.
16.4. La configurazione di un interesse strumentale così amplificato e dilatato anche in fase esecutiva conferirebbe alle imprese del settore, partecipanti alla gara, una superlegittimazione che, come meglio si chiarirà, le direttive del 2014 in materia di appalti non consentono loro, pur riconoscendo, invece, la facoltà di segnalare eventuali irregolarità, anche nella fase esecutiva, ad un’apposita autorità nazionale (nel caso di specie, come meglio si chiarirà più avanti, l’ANAC).
16.5. Per contro, questa Adunanza plenaria, proprio con riguardo all’accesso documentale, ha precisato che essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è una condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi «diretto, concreto e attuale», poiché è anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento (Cons. St., Ad. plen., 24 aprile 2012, n. 7).
17. Escluso che, almeno nel caso di specie, sia applicabile l’accesso documentale di cui alla l. n. 241 del 1990, occorre esaminare ora conseguentemente l’ultimo quesito, posto dall’ordinanza di rimessione, e cioè se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso d. lgs. n. 33 del 2013.
18.1. L’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6 del d. lgs. n. 97 del 2016, prevede testualmente che il diritto di accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 33 del 2013, «è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
18.2. L’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, a sua volta, che «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».
18.3. Come ben ha rammentato l’ordinanza di rimessione, che ha offerto un esaustivo quadro del dibattito giurisprudenziale, sulla possibilità di ammettere l’accesso civico generalizzato la giurisprudenza stessa di questo Consiglio di Stato, non meno di quella di primo grado, si è attestata su due posizioni, contrastanti, che fanno capo, rispettivamente, alla sentenza della sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780 e alle sentenze gemelle della sez. V, 2 agosto 2019, n. 5502 e n. 5503.
19. Giova ripercorre in sintesi le posizioni e gli argomenti del contrasto.
20. Secondo l’orientamento espresso dalla sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019 (condiviso, anche nella giurisprudenza di primo grado, da numerose pronunce), il richiamo dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui rinvia agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, non può condurre alla generale esclusione dell’accesso civico generalizzato in relazione ai contratti pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti si riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali o l’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni.
20.1. Ciò non implicherebbe, però, che intere materie siano sottratte all’accesso civico generalizzato, se è vero che l’ambito delle materie sottratte deve essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa, dovendosi distinguere, nell’ambito delle eccezioni assolute previste dall’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, tra materie sottratte interamente e singoli casi sottratte nell’ambito di materie altrimenti aperte all’accesso generalizzato. Mentre il riferimento alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 costituirebbe il mero frutto di un mancato coordinamento del legislatore tra le due normative.
20.2. La III sezione di questo Consiglio di Stato ha perciò rifiutato una interpretazione, definita “statica” e non costituzionalmente orientata, che condurrebbe a precludere l’accesso civico generalizzato ogniqualvolta una norma di legge richiami la disciplina dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990; e sostiene che, al contrario, occorre privilegiare una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. e valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico generalizzato, non limitabile da norme preesistenti e non coordinate con il nuovo istituto, ma soltanto dalle prescrizioni speciali, da interpretare restrittivamente, rinvenibili all’interno della disciplina di riferimento.
20.3. Sul piano ordinamentale, richiamando le osservazioni svolte nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016 di questo Consiglio, la III sezione ha sottolineato il fondamentale valore della trasparenza, perseguito dal riconoscimento dell’accesso civico generalizzato anche in questa materia, come strumento fondamentale di prevenzione e contrasto alla corruzione, anche secondo la chiara posizione assunta dalla Commissione europea, la quale ha sottolineato la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza dei processi decisionali in ogni ambito e, particolarmente, nel settore delle pubbliche gare, prima e dopo l’aggiudicazione.
21. Un diverso orientamento, come si è accennato, ha seguito invece la V sezione di questo Consiglio di Stato, insieme con numerose altre pronunce dei giudici di primo grado.
21.1. Anzitutto, sul piano della interpretazione letterale, questo secondo orientamento ritiene che l’eccezione assoluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2016, ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, e che l’eccezione non riguardi quindi soltanto le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto o relativo di pubblicazione o di divulgazione «se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
21.2. Si tratterebbe, insomma, di effettuare un coordinamento volta per volta, verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma portata derogatoria.
21.3. Nella materia dei contratti pubblici, tuttavia, la prevalenza della disciplina speciale sarebbe data dalla sua autosufficienza, anche nel soddisfare le esigenze di trasparenza nel necessario bilanciamento con altri contrapposti interessi, di ordine pubblico e privato, dacché «questa disciplina attua specifiche direttive europee di settore che, tra l’altro, si preoccupano già di assicurare la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principî di rilevanza eurounitaria, in primo luogo il principio di concorrenza, oltre che di economicità, efficacia ed imparzialità», sicché, in tale contesto, la qualificazione del soggetto richiedente l’accesso, al fine di vagliare la meritevolezza della pretesa di accesso individuale, sarebbe ampiamente giustificata.
21.4. Per di più, avuto riguardo allo specifico contesto ordinamentale, il perseguimento delle finalità di trasparenza, proprie dell’accesso civico generalizzato, sarebbe garantito, da un lato, dal ruolo di vigilanza e controllo sui contratti pubblici svolto dall’ANAC e, dall’altro, dall’accesso civico c.d. semplice, previsto dagli artt. 3 e 5, comma 1, del d. lgs. n. 33 del 2013, dato che molto ampia sarebbe la portata dell’obbligo previsto dalla normativa vigente, in capo alle pubbliche amministrazioni, di pubblicare documenti, informazioni o dati riguardanti proprio i contratti pubblici.
21.5. La soluzione seguita dalla V sezione, quanto ai valori e agli interessi in conflitto, conduce alla conseguenza di escludere qualsivoglia rilevanza diretta al limite relativo, di cui all’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013 («gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali» e sottolinea al riguardo che, diversamente ritenendo:
a) l’amministrazione che detiene i documenti per i quali è chiesto l’accesso dovrebbe tenere conto, caso per caso, delle ragioni di opposizione degli operatori economici coinvolti, con prevedibile soccombenza, nella maggioranza dei casi, dello stesso principio di trasparenza, che si intende in astratto tutelare, poiché maggiori sono i limiti che si oppongono all’accesso civico generalizzato;
b) notevole sarebbe l’incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso da parte delle singole pubbliche amministrazioni coinvolte, del quale si è fatto carico l’interprete, ma che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico generalizzato a tutti gli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, necessiterebbe di una apposita disposizione di legge;
c) l’ammissione dell’accesso generalizzato finirebbe per privare di senso il richiamo dell’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 all’art. 22 della l. n. 241 del 1990 e, comunque, farebbe sì che esso si presti alla soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
21.6. L’orientamento appena esaminato perviene così alla conclusione che la legge propenda per l’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico generalizzato in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
21.7. Tale esclusione conseguirebbe «non ad incompatibilità morfologica o funzionale, ma al delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito dell’interprete variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l’incidenza in uno specifico ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del legislatore».
22. Questa Adunanza plenaria ritiene che l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le ragioni che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici.
22.1. Come è stato esattamente osservato, l’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del d. lgs. n. 33 del 2013 dal d. lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7 della l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013).
22.2. L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990).
22.3. Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
22.4. Nel sopra citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016 questo Consiglio di Stato, fornendo indicazioni sulle modifiche normative da introdurre nel d. lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”».
22.5. Anche nel nostro ordinamento l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del FOIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost., 7 maggio 2002, n. 155).
22.6. Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione.
22.7. La stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione (v. anche sentt. n. 69 e n. 177 del 2018 nonché sent. n. 212 del 2017).
22.8. La stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato non solo in sede consultiva, come nel più volte citato parere n. 515 del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost. (Cons. St., sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546)).
23. Il FOIA si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost..
23.1. Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013), al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
23.2. Bene si è osservato che il diritto di accesso civico è precondizione, in questo senso, per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà.
23.3. Come questo Consiglio di Stato ha già rilevato nel più volte citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016, la trasparenza si pone non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, «destinata sempre più ad assumere i contorni di una “casa di vetro”, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri».
23.4. La luce della trasparenza feconda il seme della conoscenza tra i cittadini e concorre, da un lato, al buon funzionamento della pubblica amministrazione ma, dall’altro, anche al soddisfacimento dei diritto fondamentali della persona, se è vero che organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente interrelati, come questo Consiglio di Stato ha già affermato (v., ex plurimis, Cons. St., Ad. plen., 12 aprile 2016, n. 7 nonché Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460), sulla scorta dell’insegnamento secondo cui «non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione» (Corte cost., 27 novembre 1998, n. 383).
23.5. La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come hanno rilevato le citate Linee guida dell’ANAC, nel par. 2.1, e le Circolari FOIA n. 2/2017 (par. 2.1) e n. 1/2019 (par. 3).
23.6. L’art. 10 CEDU sancisce, al comma 1, che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e che tale diritto include «la libertà di ricevere […] informazioni […] senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», mentre il successivo comma 2 stabilisce che l’esercizio delle libertà garantite «può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica» alla tutela di una serie di interessi, pubblici e privati, pressoché corrispondenti alle eccezioni relative previste dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
23.7. La riconducibilità dell’accesso ai documenti pubblici alla tutela della libertà d’espressione garantita dall’art. 10 CEDU, inteso non più come una libertà negativa, ma anche come libertà positiva, ha trovato nella sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 8 novembre 2016, Magyar Helsinki Bizottsàg v. Hungary, in ric. n. 18030/11, uno storico ancorché travagliato riconoscimento, allorché la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni sia indispensabile per assicurare un esercizio effettivo del diritto individuale di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale.
23.8. La disciplina delle eccezioni assolute al diritto di accesso generalizzato è coperta, dunque, da una riserva di legge, desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CEDU, quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost., e la loro interpretazione non può che essere stretta, tassativizzante.
24. Ricostruita così la natura del c.d. accesso civico generalizzato, quale “terza generazione” del diritto all’accesso, dopo quello documentale di cui alla l. n. 241 del 1990 e quello civico c.d. semplice di cui all’originaria formulazione del d. lgs. n. 33 del 2013, occorre interrogarsi sulle c.d. eccezioni assolute, previste dal già richiamato art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, con particolare riferimento alla materia qui controversa.
24.1. Nella disciplina delle c.d. eccezioni relative ed assolute, infatti, il nostro ordinamento ha seguito una soluzione simile a quella adottata dall’ordinamento anglosassone, che distingue tra absolute exemptions e qualified exemptions.
24.2. Questa disposizione dètta, a ben vedere, tre ipotesi di eccezioni assolute: i documenti coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990.
24.3. Le eccezioni assolute sono state previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di Stato, sicché il legislatore ha operato già a monte una valutazione assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di dati e documenti amministrativi.
24.4. In questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione.
24.5. L’interpretazione letterale propugnata dalla V sezione, pur mossa dal comprensibile intento di ritagliare un raggio applicativo autonomo a ciascuna delle tre ipotesi previste dal comma 3, perviene però a spezzare l’indubbio nesso sistematico, già evidente nella formulazione del comma («ivi compresi…. inclusi») che esiste tra le singole ipotesi.
24.6. Questa Adunanza plenaria, pur consapevole della infelice formulazione della disposizione, ne ritiene preferibile una lettura unitaria – a partire dall’endiadi «segreti e altri divieti di divulgazione» – evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante.
24.7. La disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato.
24.8. Verrebbe meno così, radicalmente, il concorso tra le due forme di accesso – documentale e generalizzato – che, per quanto problematico, è fatto salvo dall’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».
24.9. L’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 ha insomma inteso rammentare che vi sono appunto casi di eccezioni assolute, come quello del segreto di Stato, o altri, previsti dalle varie leggi settoriali come, ad esempio, il segreto statistico, regolamentato dall’art. 9 del d. lgs. n. 322 del 1989; il segreto militare disciplinato dal R.D. 11 luglio 1941, n. 161; le classifiche di segretezza di atti e documenti di cui all’art. 42 della l. n. 124 del 2007; il segreto bancario previsto dall’art. 7 del d. lgs. n. 385 del 1993; le disposizioni sui contratti secretati previste dall’art. 162 dello stesso d. lgs. n. 50 del 2016; il segreto scientifico e il segreto industriale di cui all’art. 623 del c.p. (per una più ampia e pressoché esaustiva indicazione dei divieti di accesso e divulgazione v le Linee guida ANAC, par. 6.2.).
25. Per tali casi, anche quando dette leggi richiamino i limiti generali dell’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990, il rispetto delle specifiche restrizioni fissate dalla legge all’accesso, per la ratio ad esse sottesa, preclude la conoscibilità generalizzata (ma giammai – va ribadito – per interi ambiti di materie), in quanto l’accessibilità totale di dati e documenti è radicalmente incompatibile o con la tipologia di documento (ad esempio perché coperto da segreto di Stato) o con la particolare sensibilità dell’interesse protetto.
25.1. Ma in linea generale il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, il rapporto tra queste due discipline generali e quelle settoriali – si pensi, tra le più importanti, all’accesso civico di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 267 del 2000 e a quello ambientale di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 195 del 2005 – non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline.
25.2. Occorre, cioè, indagare circa la portata e il senso di tali limiti per verificare, caso per caso (la disposizione, appunto parla di “casi”) e non per interi ambiti di materia, se il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di una libertà fondamentale da parte dei consociati. Anche le eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato.
25.3. La stessa V sezione ha evidenziato la necessità, in linea di principio, che nei rapporti tra discipline generali e discipline settoriali sull’accesso queste ultime non abbiano sempre e comunque portata derogatoria, «quanto piuttosto che […] occorra, volta a volta, verificare la compatibilità dell’accesso generalizzato con le «condizioni, modalità e limiti» fissati dalla disciplina speciale» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
25.4. Un diverso ragionamento interpretativo, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza – frutto anche di un sistema di limiti che si apre ad altri che rinviano ad ulteriori con un potenziale circolo vizioso e un regressus ad infinitum – ove è risucchiato l’accesso generalizzato, con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge.
25.5. Tale interpretazione, peraltro, introdurrebbe un limite – quello di materia – non previsto espressamente dal legislatore e configurerebbe una eccezione assoluta che, per la riserva di legge in materia ai sensi dell’art. 10 CEDU, non può essere rimessa alla discrezionalità della pubblica amministrazione o all’opera dell’esegeta.
26. Né una base normativa a tale eccezione assoluta si può rinvenire, a giudizio di questa Adunanza, nell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, disposizione speciale dettata dal codice dei contratti.
27. L’art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che – fatta salva la disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza (ipotesi straordinarie sicuramente rientranti tra le eccezioni accesso di cui all’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 per il divieto assoluto di divulgazione e accesso) – il diritto di accesso sia semplicemente differito, in relazione al nominativo dei soggetti che nelle procedure aperte hanno presentato offerte o, nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito e che hanno manifestato il loro interesse e in relazione alle offerte stesse, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime offerte; in relazione alle offerte e al procedimento di verifica dell’anomalia, fino all’aggiudicazione.
27.1. Questi atti, fino alla scadenza di termini indicati, «non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti» (art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016) e la trasgressione di tale divieto è presidiata dalla sanzione penale di cui all’art. 326 c.p..
27.2. È questa una esclusione assoluta del diritto di accesso, per quanto temporalmente limitata, incompatibile con il diritto di accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, perché finalizzata a preservare la regolare competizione tra i concorrenti e il buon andamento della procedura di gara da indebite influenze, intromissioni, e turbamenti, e quindi dalla conoscenza di tali atti, prima della gara, da parte di chiunque, uti singulus ed uti civis.
27.3. Viene qui in rilievo una disciplina speciale, il cui nucleo centrale è costituito dalla conoscibilità progressiva della documentazione di gara, regolata da precise scansioni temporali volte a contemperare le ragioni dell’accesso con l’esigenza di assicurare il regolare svolgimento delle procedure selettive.
27.4. L’art. 53, comma 5, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, parimenti, una esclusione assoluta del diritto di accesso in relazione:
a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali;
b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici per la soluzione delle liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;
c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto;
d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale.
27.5. L’unica deroga a queste eccezioni assolute è prevista, nel comma 6 dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, per l’accesso documentale c.d. difensivo del concorrente in ordine alle informazioni contenute nell’offerta o nelle giustificazioni di altro concorrente per la tutela in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto, in linea, del resto, con quanto prevede in generale l’art. 23, comma 6, della l. n. 241 del 1990 per la prevalenza dell’accesso documentale c.d. difensivo.
27.6. L’eccezione di cui alla lett. a) è posta a tutela della riservatezza aziendale, al fine di evitare che gli operatori economici in diretta concorrenza si servano dell’accesso per acquisire informazioni riservate sul know-how del concorrente, costituenti segreti tecnici e commerciali, e ottenere così un indebito vantaggio e ha una natura assoluta perché, nel bilanciamento tra gli opposti interessi, il legislatore ha privilegiato quello, prevalente, della riservatezza, a tutela di un leale gioco concorrenziale, delle caratteristiche essenziali dell’offerta quali beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa (Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64), salva la necessità, per un altro concorrente, di difendersi in giudizio, unica eccezione all’eccezione ammessa (art. 53, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016).
27.7. Analoga ratio di tutela della privativa intellettuale giustifica anche la previsione della lett. d), per le soluzioni tecniche e i programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale.
27.8. Le eccezioni di cui alla lett. b) e alla lett. c) dell’art. 53 mirano ad impedire la divulgazione di atti che, quando riferibili ad un contenzioso attuale o potenziale con l’appaltatore, sono investiti da specifiche esigenze di riservatezza volte a tutelare le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante, la quale deve negare l’accesso per tutelare se stessa di fronte al privato che intenda accedere «ad atti interni che riguardino la sfera delle libere valutazioni dell’amministrazione in ordine alla convenienza delle scelte da adottare» (Ad. plen., 13 settembre 2007, n. 11).
28. La portata limitata anche temporalmente e motivata di questi casi, peraltro di stretta interpretazione, non può comportare ex se l’esclusione dell’intera materia dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, che riacquista la sua naturale vis expansiva una volta venute meno le ragioni che giustificano siffatti limiti, condizioni o modalità di accesso.
28.1. Se dunque i limiti previsti per l’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 e quelli dettati dalle singole discipline settoriali non possono essere superati ricorrendo strumentalmente all’istituto dell’accesso civico generalizzato, deve ritenersi che, una volta venute meno le ragioni di questi limiti, tra cui quelli appena accennati dell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, sul piano sia temporale sia contenutistico, l’accesso civico generalizzato opera di diritto, senza che sia necessaria nel nostro ordinamento una specifica disposizione di legge che ne autorizzi l’operatività anche in specifiche materie, come quella dei contratti pubblici, con la conseguenza che l’accesso civico generalizzato, ferme le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, è ammissibile in ordine agli atti della fase esecutiva.
29. Le conclusioni sin qui raggiunte si rinvengono sostanzialmente anche nella delibera ANAC n. 317 del 29 marzo 2017 nella quale l’Autorità ha chiarito che, se è esatto che tra i limiti all’accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 ci sono le pertinenti disposizioni del codice dei contratti pubblici, deve per converso ritenersi che, una volta venute meno le condizioni che sorreggevano quei limiti, e quindi successivamente all’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere consentito a chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
30. Con specifico riferimento alla materia dei contratti pubblici, le esigenze di accesso civico generalizzato, assumono, a ben vedere, una particolare e più pregnante connotazione, perché costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica, in quanto che ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve anche essere pubblicamente conoscibile, salvi, ovviamente, i limiti di legge e solo di legge, per le ragioni già esposte.
30.1. È vero che la l. n. 190 del 2012 ha previsto, nel comma 32, numerosi obblighi di pubblicazione degli atti di gara e l’art. 37 del d. lgs. n. 33 del 2013, in attuazione di tale delega, stabilisce un generale regime di pubblicità per tali atti. E l’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016, come si è già accennato, ha disciplinato in modo analitico la pubblicazione di tali atti. Ma la sussistenza di obblighi di pubblicazione di numerosi atti in materia di gara non può condurre all’esclusione dell’accesso civico generalizzato sul rilievo che gli obblighi “proattivi” di pubblicazione soddisferebbero già, in questa materia, il bisogno o, comunque, il desiderio di conoscenza che contraddistingue il principio di trasparenza.
30.2. Una siffatta lettura, ancora una volta, sconta una logica di separatezza anzi che di integrazione tra le diverse tipologie di accesso che il legislatore ha inteso lasciar coesistere nel nostro ordinamento. Per contro, è proprio questa logica ermeneutica di integrazione che induce a ritenere che la obbligatoria pubblicità di determinati atti (c.d. disclosure proattiva) è solo un aspetto, pur fondamentale, della trasparenza, che tuttavia si manifesta e si completa nell’accessibilità degli atti (c.d. disclosure reattiva) nei termini previsti per l’accesso civico generalizzato.
30.3. Del resto la configurazione di una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare, nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione e infiltrazione mafiosa, con esiti di inefficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali.
30.4. Non è più possibile affermare, in un quadro evolutivo così complesso che impone una visione d’insieme anche alla luce delle coordinate costituzionali, eurounitarie e convenzionali, che l’accesso agli atti di gara costituisca un microcosmo normativo compiuto (v., in questo senso, Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6121) e chiuso.
30.5. La lettura unitaria, armonizzante, integratrice tra le singole discipline, divenuta predominante nella giurisprudenza di questo Consiglio già nel rapporto tra l’accesso agli atti di gara e l’accesso documentale della l. n. 241 del 1990 in termini di complementarietà (v., in particolare, Cons. St., sez. VI, 30 luglio 2010, n. 5062), deve essere estesa a tutte le tipologie di accesso, ivi incluso quello civico, semplice e generalizzato, come suggerisce condivisibilmente l’ordinanza di rimessione, senza peraltro dover fare riferimento alla pur raffinata tecnica del rinvio “mobile” dell’art. 53 alla l. n. 241 del 1990, per le ragioni tutte esplicitate, alle disposizioni della l. n. 241 del 1990 siccome integrate/combinate con il complesso normativo del d. lgs. n. 33 del 2013.
31. L’esigenza di una conoscenza diffusa dei cittadini nell’esecuzione dei contratti pubblici è con forza avvertita nella normativa europea, come ha ben messo in rilievo questo Consiglio di Stato nella sopra richiamata sentenza n. 3780 del 2019.
31.1. Il considerando 126 della Direttiva n. 2014/24/UE ricorda, a tacer d’altro, che la tracciabilità e la trasparenza del processo decisionale nelle procedure di appalto «è essenziale per garantire procedure leali nonché combattere efficacemente la corruzione e le frodi», sicché le pubbliche amministrazioni dovrebbero conservare le copie dei contratti conclusi di valore elevato per garantire alle parti interessate l’accesso a tali documenti, conformemente alle norme applicabili in materia di accesso alla documentazione.
31.2. Ancor più chiaramente e nettamente, poi, il considerando n. 122 della stessa Direttiva osserva che «i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone od organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla Direttiva 98/665/CE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedere di appalto» e «dovrebbero avere la possibilità, con modalità diverse dal sistema di ricorso di cui alla Direttiva 89/665/CE e senza che ciò comporti necessariamente una loro azione dinanzi a corti e tribunali, di segnalare le eventuali violazioni della presente Direttiva all’autorità o alla struttura competente».
31.3. Le sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2 agosto 2019 della V sezione hanno ben richiamato l’essenziale ruolo di vigilanza svolto dall’ANAC in questo settore, ma non va trascurato il ruolo che un controllo generalizzato sull’aggiudicazione e sull’esecuzione del contratto svolge proprio l’accesso civico generalizzato, come ridisegnato dal d. lgs. n. 96 del 2017, con la conseguente possibilità di effettuare segnalazioni documentate da parte di terzi, una volta ottenuta la relativa documentazione con l’accesso, anche all’ANAC, che può esercitare il suo potere di raccomandazione ai sensi dell’art. 213 del d. lgs. n. 50 del 2016 anche nella fase esecutiva.
31.4. Il vigente Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici, adottato dall’ANAC e pubblicato sulla G.U. del 16 ottobre 2018, prevede, all’art. 12, comma 1, lett. b), che il procedimento di vigilanza possa concludersi, infatti, con «l’accertamento di atti illegittimi o irregolari della procedura di gara o dell’esecuzione del contratto, eventualmente accompagnato da raccomandazioni, rivolte alle stazioni appaltanti interessate, a rimuovere le illegittimità o irregolarità riscontrate, ovvero ad adottare atti volti a prevenire, per il futuro, il ripetersi di tali illegittimità e irregolarità». E particolare attenzione a sua volta l’art. 24 del Regolamento, dedica, sempre in relazione alla fase esecutiva, alle varianti in corso d’opera.
31.5. Risulta così confermato che, nel nostro ordinamento, l’esecuzione del contratto non è una terra di nessuno, lasciata all’arbitrio dei contraenti e all’indifferenza dei terzi, ma sottoposta all’attività di vigilanza da parte dell’ANAC, trattandosi di una fase rilevante per l’ordinamento giuridico, come dimostrano le funzioni pubbliche di vigilanza e controllo previste, nella cui cornice trova spazio, in funzione si direbbe complementare e strumentale, anche l’accesso generalizzato dei cittadini.
31.6. Questo, invero, non solo non è escluso dall’attività di vigilanza dell’ANAC, ma anzi può ben porsi rispetto alla stessa in funzione, come si è appena ricordato, strumentale; può consentire, infatti, che, tramite l’accesso civico generalizzato, siano valutate «le segnalazioni di violazione della normativa in materia di contratti pubblici presentate da terzi, compatibilmente con le esigenze organizzative e di funzionamento degli uffici, tenendo conto in via prioritaria della gravità della violazione e della rilevanza degli interessi coinvolti dall’appalto» (art. 4, comma 4, del Regolamento) e che l’apposito modulo della segnalazione, predisposto dall’ANAC, sia «corredato della eventuale documentazione» (art. 5, comma 2, del Regolamento) acquisita in occasione dell’accesso generalizzato, essendo altrimenti di fatto impossibile per il cittadino “contribuente” segnalare eventuali violazioni all’Autorità di settore, come invece auspica il considerando n. 122, in maniera consapevole e documentata.
32. Nel parere n. 2777 del 28 dicembre 2016 la Commissione speciale di questo Consiglio di Stato ha più volte evidenziato questo ruolo di controllo diffuso che ciascun cittadino può esercitare nella materia dei contratti pubblici accanto e, si direbbe, in ausilio al ruolo istituzionale di vigilanza rivestito dall’ANAC, proprio valorizzando le chiare indicazioni provenienti dal considerando n. 122 della Direttiva 2014/24/UE.
32.1. In detto parere, questo Consiglio ha osservato che la possibilità di consentire la segnalazione a qualsivoglia cittadino che ne abbia interesse risponde al principio di vigilanza sulla legittimità degli atti di gara, «quale interesse a carattere generale ed azionabile anche dal cittadino contribuente», e ha rammentato che la via d’elezione per far valere l’interesse alla trasparenza non è la segnalazione, che richiede almeno un fumus di illegittimità di uno o più atti, bensì l’accesso civico di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016.
32.2. L’accesso generalizzato, quale via elettiva della trasparenza, soddisfa dunque ampiamente questo diffuso desiderio conoscitivo finalizzato alla garanzia della legalità nei contratti pubblici, che è per così dire la rinnovata e moderna cifra dell’evidenza pubblica non solo nella tradizionale fase dell’aggiudicazione ma anche nell’esecuzione, dovendo questa, come detto, rispettarne specularmente condizioni, contenuti e limiti.
32.3. Le ragioni sin qui esposte spiegano perché l’accesso civico generalizzato non solo sia consentito, in questa materia, ma sia doveroso perché connaturato, per così dire, all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica e perché esso operi, in funzione della c.d. trasparenza reattiva, soprattutto in relazione a quegli atti, rispetto ai quali non vigono i pur numerosi obblighi di pubblicazione (c.d. trasparenza proattiva) previsti.
33. Argomenti di carattere letterale, teleologico e sistematico come quelli esposti depongono, dunque, nel senso di una accessibilità totale degli atti di gara, seppur sempre nel rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.
34. Occorre tenere conto, tuttavia, delle ulteriori importanti questioni poste dalla V sezione nelle citate sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2019 e sopra ricordate ed esposte nel par. 21.4.
35. Quanto alla prima questione, di cui alla lett. a) del 21.5., concernente il delicato bilanciamento tra il valore, fondamentale, dell’accesso e quello, altrettanto fondamentale, della riservatezza, la circostanza che l’accesso possa prevedibilmente soccombere di fronte alle ragioni normativamente connesse alla riservatezza dei dati dei concorrenti non può condurre a un’aprioristica esclusione dell’accesso.
35.1. Tutte le eccezioni relative all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, par. 2, del reg. (CE) n. 1049/2001: v., per un’applicazione giurisprudenziale, Trib. UE, sez. I, 7 febbraio 2018, in T-851/16), in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto.
35.2. È vero, infatti, che escludere dall’accesso anche generalizzato la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi, costituenti i punti di forza o di debolezza delle offerte nel confronto competitivo, costituisce un obiettivo delle norme in materia di appalti pubblici dell’Unione, e che per conseguire tale obiettivo è necessario che le autorità aggiudicatrici non divulghino informazioni il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, (Trib. I grado UE, sez. II, 29 gennaio 2013, in T-339/10 e in T-532/10 nonché Corte Giust UE, sez. III, 14 febbraio 2008, in C-450/06).
35.3. E tuttavia questo obiettivo può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari.
35.4. Va ribadito – concludendo sul punto – che ciò che distingue le eccezioni relative dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti..
36. Quanto alla seconda questione, di cui alla lett. b) del punto 21.4, sopra ricordata, non persuade nemmeno l’argomento secondo cui notevole sarebbe l’aumento dei costi di gestione del procedimento di accesso, da parte delle singole pubbliche amministrazioni, aumento che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico generalizzato anche ai contratti pubblici, necessiterebbe di apposita disposizione di legge.
36.1. Se il nostro ordinamento ha ormai accolto il c.d. modello FOIA non è l’accesso pubblico generalizzato degli atti a dover essere, ogni volta, ammesso dalla legge, ma sono semmai le sue eccezioni a dovere rinvenire un preciso, tassativo, fondamento nella legge.
36.2. Non deve nemmeno essere drammatizzato l’abuso dell’istituto, che possa condurre a una sorta di eccesso di accesso.
36.3. Innanzi tutto, va rilevato che l’esperienza applicativa del FOIA nei primi tre anni dalla sua introduzione, come emerge dai dati pubblicati dal Dipartimento della funzione pubblica, rivela un uso “normale” delle istanze di accesso civico; infatti, le istanze pervenute ai ministeri sono aumentate da 1146 nel 2017 a 1818 nel 2018, con una media, nel secondo anno, di 11 richieste mensili per ministero, assolutamente in linea con la media europea e con un tasso di risposte evase da parte dei ministeri nel termine di legge (trenta giorni), in aumento, dal 74% nel 2017 all’83% nel 2018.
36.4. In secondo luogo, è ovvio che l’accesso, finalizzato a garantire, con il diritto all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.).
36.5. Il diritto di accesso civico generalizzato, se ha un’impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello diffuso, in modo – come è stato efficacemente detto – da «contribuire a salvare la democrazia dai suoi demoni, fungendo da antidoto alla tendenza […] a manipolare i dati di realtà».
36.6. Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche (v., sul punto, Circolare FOIA n. 2/2017, par. 7, lett. d; Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702), contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi.
37. Quanto alla terza questione, di cui alla lett. c), nemmeno convince l’argomento secondo cui l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato, in questa materia, verrebbe utilizzato per la soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi, ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
37.1. La circostanza che l’interessato non abbia un interesse diretto, attuale e concreto ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso documentale.
37.2. Non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto, certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede.
37.3. Ciò che va tutelato è l’interesse alla conoscenza del dato e questa conoscenza non può essere negata, anche ai sensi del considerando n. 122 della richiamata direttiva, anche e anzitutto all’operatore economico del settore, come è Diddi s.r.l..
38. L’Adunanza plenaria, conclusivamente, enuncia, sulle questioni postele, i seguenti princìpi di diritto, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a.:
a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento;
b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;
c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
39. Riassuntivamente e conclusivamente, l’appello della società è in parte infondato, per quanto attiene alla richiesta di accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990, sia pure per una motivazione diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata.
40. L’ammissibilità dell’istanza di accesso civico, viceversa, dovrà essere esaminata dalla Sezione rimettente, cui l’affare va restituito per ogni definitiva statuizione, che si uniformerà ai princìpi di diritto su enunciati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da Diddi s.r.l.:
a) dichiara inammissibile l’intervento del Comune di Chiaramonte Gulfi;
b) rigetta in parte l’appello e conferma, con diversa motivazione, la sentenza n. 577 del 17 aprile 2019 del Tribunale amministrativo per la Toscana nella parte concernente l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990;
c) restituisce, per la restante parte, gli atti alla Sezione per la definizione della controversia secondo i princìpi di diritto enunciati al par. 38 della parte motiva nonché per la statuizione sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Con ordinanza del 16 dicembre 2019, n. 8501 la III Sezione del Consiglio di Stato deferiva all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni: 1) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria; 2) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice; 3) se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
Con pronuncia dello scorso 2 aprile la Plenaria si è pronunciata sul tema. Prima ancora di analizzare le questioni sottoposte alla Sua attenzione, la Corte ha chiarito che osta al riconoscimento di una situazione che legittimi a intervenire una obiettiva diversità di petitume di causa petendi che distingue due processi, sì da non potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem.
Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuriscontroverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.
Non a caso, si ricorda che in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo l’intervento ad adiuvandumo ad opponendumpuò essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853; Id., sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557).
La Plenaria n. 23/2016 ha inoltre affermato che risulterebbe peraltro sistematicamente incongruo ammettere l’intervento volontario in ipotesi che si risolvessero nel demandare ad un giudice diverso da quello naturale (art. 25, comma 1, Cost.) il compito di verificare in concreto l’effettività dell’interesse all’intervento(e, con essa, la concreta rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio a quo), in assenza di un adeguato quadro conoscitivo di carattere processuale, ove si pensi, solo a mo’ di esempio, alla necessaria verifica che il giudice ad quem sarebbe chiamato a svolgere, ai fini del richiamato giudizio di rilevanza, circa l’effettiva sussistenza in capo all’interveniente dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del giudizio a quo.
Passando ad analizzare le questioni deferite dall’ordinanza rimettente, la Plenaria ha spiegato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al di là della questione qui controversa circa la loro coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: «nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso» (cfr. Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
Ciò posto, i Giudici hanno precisato che la presentazione di un’istanza di accesso ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.
Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.
Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione.
La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché - come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) - l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un “evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti” (in termini Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi.
Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.
A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo del c.d. public interest test.
Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato.
L’Adunanza plenaria ha quindi chiarito che electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso del privato – in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.
Dunque, se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante.
Né ad opposta ricostruzione può orientare la considerazione per cui il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, è sostanzialmente rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo, così configurandosi come un “pieno” giudizio sul rapporto- come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, c.p.a. secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, “ordina l’esibizione dei documenti richiesti”. Il c.d. giudizio sul rapporto, infatti, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo.
Chiarito il rapporto astrattamente ricorrente tra accesso documentale exartt. 22 e ss. l. n. 241/1990 e accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal successivo d.lgs. n. 97/2016 - al di là, dunque, della specifica materia oggetto di attenzione, ovvero quella dei contratti pubblici, ove, tra gli altri, dubbio si pone circa la stessa ammissibilità di un accesso civico generalizzato – la Plenaria ha ricordato chela giurisprudenza del Consiglio di Stato è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva(v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115) laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio.
L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990, “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato.
Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2, l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”: dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso.
Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile(applicabili ex art. 30, comma 8 d.lgs. n. 50/2016, “per quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi”), la qualesi traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bisd.lgs. n. 50 cit.), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale.
Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), d.lgs. n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui all’art. 88, comma 4-bis, d.lgs. n. 159 del 2011.
Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto, invece, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza.
La trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53.
Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara.
È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza.
L’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione.
Il delineato quadro normativo e di principi rende ben evidente l’esistenza di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione (Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115), ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.
La persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare.
Vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso (artt. 32, comma 12, e 33, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016).
Nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990.
Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016).
In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d. lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona “la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1”.
La circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1 cit., abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano immutate – e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare l’intera procedura gara stessa, se queste esigenze siano addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna – non rende tuttavia evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione(ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).
L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara.
La latitudine di questo intesse legittimo “strumentale” non solo all’aggiudicazione della commessa, quale bene della vita finale, ma anche, per l’eventuale riedizione della gara, quale bene della vita intermedio, secondo quel “polimorfismo” del bene della vita alla quale tende per graduali passaggi l’interesse legittimo, schiude la strada ad una visione della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur sempre il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa materia.
Applicando le medesime coordinate anche alla fase privatistica del contratto pubblico, il riconoscimento di un interesse strumentale giuridicamente tutelato quantomeno ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (si pensi ad una impresa colpita da informazione antimafia), a conoscere gli atti della fase esecutiva non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse, con conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura pubblicistica o privatistica già verificatesi incidenti sulla prosecuzione del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio, scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido collegamento” con il bene finale.
L’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione, conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.
Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse – per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, d.lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria – sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post.
In chiusura, la Plenaria ritiene pacificamente ammissibile un accesso civico generalizzato in materia di contratti pubblici.
L’accesso civico generalizzato introdotto nel corpusnormativo del d.lgs. n. 33 del 2013 dal d.lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7, l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e tutelato “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”(art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 cit.).
L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni(art. 24, comma 3, l. n. 241 del 1990).
Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33 del 2013.
La stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principi di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione.
La stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato non solo in sede consultiva (parere n. 515 del 2016), ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost. (cfr. Cons. St., sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546).
Il FOIA, dunque, si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.
Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale”(Corte cost. 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore(v., infatti, art. 1, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013), al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
Se così è, dunque, non paiono porsi dubbi circa la impossibilità di limitare in taluni settori (es. nella materia contrattualistica) l’esercizio del diritto (fondamentale) di accesso civico generalizzato.