Consiglio di Stato, sez. V, 12 novembre 2019, n. 7749.
- Domina infatti il dovere di fedele redazione e presentazione del DGUE (Documento di gara unico europeo) di cui all’art. 85 d.lgs n. 50/2016, perché – in specificazione normativa dell’imminente principio di buona fede nelle trattative contrattuali –è l’amministrazione e non l’interessato a vagliare la sua meritevolezza e affidabilità in base ai precedenti penali. Si richiama l’orientamento consolidato sull’art. 80, comma 5, lett. C) ai fini del giudizio di affidabilità del concorrente per cui nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto, l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali riportate (salvo che sia intervenuta la riabilitazione), pur se attinenti a reati diversi da quelli contemplati dall’art. 38, comma 1, lett. C) d.lgs. n. 50 del 2016, è ragione di possibile esclusione dalla gara, perché rappresenta per la stazione appaltante un serio impedimento per vagliarne la gravità .
- E’ invero contro la ratio di tutela della buona fede e l’equilibrio nella formazione del contratto che l’individuazione e selezione di condotte idonee ad incidere sulla moralità professionale, oggetto di condanna penale, possa essere rimessa all’unilaterale e autonoma valutazione dello stesso dichiarante, di fatto così ostacolando la stazione appaltante nel valutare la concreta incidenza della singola condanna sulla complessiva moralità professionale dell’interessato. Il principio è generale e trova applicazione anche quando la lex specialis di gara non ha espressamente previsto l’obbligo dei concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1759 del 2019, proposto da
Cooperativa Archeologia società cooperativa, in proprio e quale consorziata esecutrice, Consorzio Artigiano Edile Comiso società cooperativa - C.A.E.C. in proprio e quale mandante del costituendo r.t.i. con il Consorzio Integra, nelle persone dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Saverio Sticchi Damiani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero per i beni e le attività culturali nelle persone dei Ministri pro tempore, ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
INVITALIA - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Franco Ferrari ed Ernesto Papponetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, 142;
nei confronti
Consorzio Stabile Sinergica, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Vittorio Nardelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Barnaba Tortolini, 30 presso il dott. Alfredo Placidi;
Gruppo Fallani s.r.l. non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’affidamento di lavori di adeguamento e messa in sicurezza della struttura esistente e opere connesse del Museo nazionale di Locri Epizefiri – risarcimento del danno;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, di Invitalia - Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'Impresa S.p.A., dell’Anac - Autorità Nazionale Anticorruzione e del Consorzio Stabile Sinergica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2019 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati De Luca, in sostituzione dell'avv. Sticchi Damiani, Ferrari, Papponetti, Matassa, su delega dell'avv. Nardelli, e dello Stato Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Consorzio C.A.E.C. e la Cooperativa Archeologia - rispettivamente, mandante dell’a.t.i. guidata dal Consorzio Integra ed impresa incaricata dell’esecuzione dei lavori - partecipavano alla procedura di gara indetta in data 4 marzo 2017 da Invitalia - in qualità di centrale di committenza per conto del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, Segretariato regionale per la Calabria - per l’affidamento dei lavori di “adeguamento e messa in sicurezza della struttura esistente e opere connesse – Museo Nazionale di Locri Epizefiri”, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
All’esito della valutazione delle offerte la suddetta a.t.i. si collocava al primo posto della graduatoria e veniva, conseguentemente, proclamata aggiudicataria con provvedimento prot. n. 0016031 del 19 settembre 2017.
Con determina del 23 luglio 2018 Invitalia disponeva l’annullamento del suddetto provvedimento di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 80 comma 5 lett. c) ed f-bis) d.lgs. n. 50 del 2016, in ragione dell’omessa dichiarazione da parte della Cooperativa Archeologia di una condanna definitiva per omicidio colposo ex art. 589 Cod. pen., pronunciata nei confronti della signora -OMISSIS-, ex legale rappresentante e quindi Presidente del Consiglio di Sorveglianza.
La stazione appaltante evidenziava la condotta omissiva della Cooperativa Archeologia nell’omissione di dichiarazione nel DGUE della sentenza 12 gennaio 2016 della Corte di Cassazione che respingeva il ricorso avverso la condanna per il detto reato, impedendo alla stazione appaltante di valutarne la rilevanza al fine dell’integrazione della causa di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. c) d.lgs n. 50 del 2016.
La Cooperativa Archeologia e il Consorzio C.A.E.C. impugnavano il provvedimento al Tribunale amministrativo della Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, con i seguenti mezzi:
1.Violazione delle regole in tema di successione delle leggi nel tempo, dell’art. 80, comma 5, lett. c), dei principi di tassatività e della certezza del diritto, violazione delle linee guida.
2. Violazione dell’art. 80, commi 3 e 5 lett. c), difetto di istruttoria, carenza di motivazione e violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione.
3. Violazione della lex specialis e del principio del favor partecipationis
4. Violazione delle regole in tema di successione delle leggi nel tempo sotto altro profilo.
5. Violazione dell’art. 211 d.lgs. n. 50 del 2016, degli artt. 3 e 4 del regolamento adottato dall’ANAC il 5 ottobre 2016, dell’art. 80, comma 5, lett. c) d. lgs. n. 50 del 2016, eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione.
6. Violazione degli articoli 7, 10 e 21-nonies l. 241 del 1990.
Si costituivano in giudizio Invitalia ed il Consorzio Stabile Sinergica, nuovo aggiudicatario definitivo, per resistere al gravame e chiederne il rigetto.
Con sentenza 15 novembre 2018, n. 666 il Tribunale amministrativo riteneva la competenza territoriale ai sensi dell’art. 14, comma 3 Cod. proc. amm., e respingeva nel merito, per l’infondatezza del ricorso. Infatti il prevalente orientamento giurisprudenziale prevede il dovere del concorrente di dichiarare tutte le vicende pregresse, concernenti fatti risolutivi, errori o altre negligenze, occorse in precedenti rapporti contrattuali, tale dichiarazione essendo dipendente dei principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale, essenziali ai fini del giudizio discrezionale dell’amministrazione committente , da espletarsi in tempi brevi. Sicché era necessaria una completa dichiarazione della concorrente, sia per le gare bandite sotto vigenza del precedente codice dei contratti pubblici, nel vigore dell’art. 80 d.lgs. n.50 del 2016. Non si condivideva che il concetto di grave illecito professionale fosse un concetto giuridico indeterminato, con onere dichiarativo ad oggetto indeterminabile, soprattutto nel caso di condanna per omicidio colposo riguardante l’espletamento di precedenti rapporti (tra l’altro oggetto di precedente giudizio: anche per il Presidente del Consiglio di sorveglianza, visto l’art. 80, comma 5, lett. c), e l’art. 12.1 del disciplinare di gara). La sentenza escludeva il soccorso istruttorio, dato il contenuto infedele della dichiarazione e riteneva infondate le censure contro le Linee Guida Anac e il parere di precontenzioso Anac richiamato, riferito a distinta gara dove si controverteva del medesimo precedente penale; inoltre il rinvio operato avverso questi ultimi atti non contravveniva l’art.3, comma 3, l.n. 241 del 1990. Ancora: era stimato infondato il motivo di mancata indicazione delle “ragioni di pubblico interesse” sottese, ai sensi dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, all’annullamento dell’aggiudicazione, tali ragioni essendo rinvenibili nell’assenza in capo alla ricorrente di un requisito generale fondamentale, come giustificato ai sensi dell’art. 21-octies l’assenza della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990.
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 15 febbraio 2019, il Consorzio C.A.E.C. e la Cooperativa Archeologia impugnavano la sentenza e deducevano:
1.Violazione del principio della successione delle leggi nel tempo, dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs. 50 del 2016 e della legge speciale di gara, dei principi di tassatività delle cause di esclusione, della certezza del diritto, della ragionevolezza, trasparenza, parità di trattamento e proporzionalità dell’azione amministrativa e delle linee guida Anac n. 6/2016.
2.Violazione dell’art. 80, comma 3 e 5 lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016 e dei principi di tassatività delle cause di esclusione, trasparenza, ragionevolezza, proporzionalità ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e carenza di motivazione.
3.Violazione dei principi di favor partecipationis, soccorso istruttorio e del legittimo affidamento, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
4.Violazione del principio della successione delle leggi nel tempo, dell’art. 80 comma 5 lett. f-bis) del d. lgs. 50 del 2016, dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, trasparenza, favor partecipationis e soccorso istruttorio, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento.
5.Violazione degli artt. 80, comma 5, lett. c) e 211 d.lgs. n. 50 del 2016, degli artt. 3 e 4 del regolamento adottato dall’Anac il 5 ottobre 2016, degli artt. 7, 10 e 21-nonies l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso con le conseguenti declaratoria di inefficacia del contratto e condanna al subentro ed in via subordinata per la condanna al risarcimento del danno nella misura del 10% del mancato utile di impresa per la mancata esecuzione dell’appalto e del 5% per il danno curricolare.
Si sono costituiti in giudizio l’Anac, la Stazione appaltante Invitalia e ed il controinteressato aggiudicatario Consorzio Stabile Sinergica, sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 7 novembre 2019 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Con il complesso dei motivi di appello, la sentenza impugnata è censurata per aver giustificato l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione all’a.t.i tra il Consorzio C.A.E.C.. e la Cooperativa Archeologia sulla base della teoria dell’onnicomprensività della dichiarazione ex art. 80, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016: per cui i gravi illeciti professionali evocati dalla disposizione non possono comprendere qualsiasi fatto che possa far immaginare un inadempimento nell’esecuzione di prestazioni; e comunque l’espunzione delle condanne penali rispetto al previgente art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, manifesta l’inesistenza di un obbligo di dichiarare tutte le condanni penali a carico , specie se risalenti, senza recidiva e senza l’aggravamento della violazione in materia di prevenzione degli infortuni. Va piuttosto indicato se da tali condanne sia scaturita una risoluzione contrattuale oppure una condanna al risarcimento del danno.
Inoltre l’appello nega che la condanna del Presidente del Consiglio di sorveglianza rientri tra le ragioni ostative dell’art. 80, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016; confuta la legittimità della mancata attivazione del soccorso istruttorio, l’inapplicabilità ratione temporis dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis). Poi, con il quinto motivo, censura l’acritica adesione al parere di precontenzioso Anac e le violazioni della l. n. 241 del 1990 di cui si era dato conto.
In sintesi, a stare alla prima censura dell’appello, la sentenza avrebbe seguito le linee del codice dei contratti pubblici del 2006, ritenendo l’obbligatorietà della dichiarazione di tutte le condanne penali senza distinzioni circa i fatti da queste sanzionati, senza considerare i fatti concreti avvenuti e senza aver riguardo alla nuova dizione dei «gravi illeciti professionali»: e senza prendere in considerazione se in precedenti rapporti contrattuali vi erano state gravi carenze oppure risoluzioni contrattuali.
Il motivo non è fondato.
L’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, richiamato dagli appellanti, prevede:
«Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora:
[…]
c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità;».
Si tratta di disposizione che rimette non all’operatore economico che compete, ma alla pubblica amministrazione o stazione appaltante di vagliare, secondo la propria valutazione, i precedenti professionali dei concorrenti: e non opera una limitazione a fatti che abbiano necessariamente causato risoluzioni contrattuali o escludano dal vaglio particolari tipologie di condanne penali.
Nel caso di specie la stazione appaltante, all’esito dei riscontri istruttori, disponeva l’annullamento dell’aggiudicazione in capo all’a.t.i. appellante perché ritenuta inaffidabile in ragione della mancata dichiarazione di un significativo precedente penale in capo alla mandataria, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) e f-bis) d.lgs. n. 50 del 2016 e delle Linee-guida Anac n. 6 del 2016. L’atto amministrativo qui impugnato precisava che l’omissione dell’interessata nell’ambito della procedura per la quale era stato emesso il parere di precontenzioso con delibera Anac n. 416 del 2 maggio 2018, era la medesima tenuta dalla stessa ditta, quale consorziata esecutrice nell’ambito della procedura in questione, riguardo all’omissione nell’ambito del DGUE della sentenza 12 gennaio 2016 della Corte di Cassazione di Roma, che respingeva il ricorso avverso la condanna per omicidio colposo ex art. 589 Cod. pen., emessa nei confronti della signora -OMISSIS- -OMISSIS-, presidente del Consiglio di sorveglianza della società. Tale fatto andava riportato in sede di autocertificazione del possesso dei requisiti generali dell’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 nella compilazione del DGUE, così da consentire alla stazione appaltante di valutarne autonomamente e pienamente la rilevanza al fine dell’integrazione della causa di esclusione dell’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016.
Il Collegio osserva che non ha fondamento il richiamo alla cattiva applicazione della legge nel tempo.
L’appellante si duole che l’annullamento dell’aggiudicazione sia stato disposto sulla base dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis) d.lgs. n. 50 del 2016, il quale stabilisce: «l'operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere». Questo testo dell’articolo è stato così modificato dal d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, cioè dopo l’indizione della gara in questione. Ne consegue che, per il principio tempus regit actus, non si sarebbe potuto applicare alla gara stessa.
Tale assunto risponde al vero, però è irrilevante.
Domina infatti il dovere di fedele redazione e presentazione del DGUE (Documento di gara unico europeo) di cui all’art. 85 d.lgs. n. 50 del 2016, perché – in specificazione normativa dell’immanente principio di buona fede nelle trattative contrattuali - è l’amministrazione e non l’interessato a vagliare la sua meritevolezza e affidabilità in base ai precedenti penali. Si richiama il l’orientamento consolidato sull’art. 80, comma 5, lett. c) ai fini del giudizio di affidabilità del concorrente (ex multis, Cons. Stato, V, 12 marzo 2019 n. 1644; IV, 29 febbraio 2016, n. 834; V, 29 aprile 2016, n. 1641; V, 27 luglio 2016, n. 3402; III, 28 settembre 2016, n. 4019; V, 2 dicembre 2015, n. 5451) per cui nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto, l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali riportate (salvo che sia intervenuta la riabilitazione), pur se attinenti a reati diversi da quelli contemplati dall’art. 38, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016, è ragione si possibile esclusione dalla gara, perché rappresenta per la stazione appaltante un serio impedimento per vagliarne la gravità.
Segue da questa considerazione di ordine generale che l’inserimento della lett. f-bis) all’art. 80, comma 5 vale essenzialmente quale espressa conferma in via specifica di un principio comunque immanente nell’ordinamento dei contratti pubblici.
È invero contro la ratio di tutela della buona fede e l’equilibrio nella formazione del contratto che l’individuazione e selezione di condotte idonee ad incidere sulla moralità professionale, oggetto di condanna penale, possa essere rimessa all’unilaterale e autonoma valutazione dello stesso dichiarante, di fatto così ostacolando la stazione appaltante nel valutare la concreta incidenza della singola condanna sulla complessiva moralità professionale dell’interessato.
Il principio è generale e trova applicazione anche quando la lex specialis di gara non ha espressamente previsto l’obbligo dei concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate (Cons. Stato, V, 10 agosto 2017, n. 3980).
In concreto, poi, i fatti oggetto della condanna penale non potevano essere valutati palesemente inconferenti al giudizio di affidabilità dell’impresa, perché riguardavano la mancata adozione dei necessari requisiti di sicurezza (illuminazione insufficiente, mancanza di protezioni ai parapetti, inadeguata segnalazione del pericolo e mancanza di sistemi compensativi di sicurezza) nella gestione di un evento culturale.
Quanto al secondo motivo di appello, che assume l’esclusione della figura del presidente del Comitato di sorveglianza dal novero dei soggetti per i quali opera la previsione dell’art. 80, comma 5 lett. c), è da richiamare il recente precedente di questa Sezione in relazione alla medesima fattispecie (Cons. Stato, V, 12 marzo 2019 n. 1644). Dove si è affermato che non è corretta la pretesa delle appellanti di distinguere concettualmente l’impresa (entità giuridica) dai soggetti – di cui all’art. 80,comma 3, per il cui tramite, in ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, essa concretamente opera.
A seguire l’assunto dell’appello, si produrrebbe l’effetto aberrante di escludere la rilevanza di qualsiasi sentenza di condanna ai fini della valutazione di affidabilità sottesa al precetto dell’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016, posto che la responsabilità penale riguarda le sole persone fisiche e non le imprese. Sicché il Collegio conferma il generale principio (ex multis, Cons. Stato, V, 22 ottobre 2018, n. 6016) per cui tra le condanne rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 3 ai fini dell'esclusione dalla gara, vanno incluse non solo quelle specificamente elencate ai commi 1 e 2, ma anche quelle comunque incidenti, ai sensi del comma 5, sull’affidabilità dell'impresa.
Queste condanne non potranno che essere riferite agli esponenti dell’impresa per mezzo dei quali la stessa agisce: o che comunque sono tenuti, in ragione dei loro poteri di controllo, ad assicurare che la sua attività si svolga nel rispetto delle norme. Tra questi rientrava la sig.ra -OMISSIS- che – come correttamente rileva il primo giudice – era “soggetto riconducibile alla società che, in qualità di membro di organi con funzioni di controllo, in base al disciplinare di gara, art. 20.1 - pag. 32, avrebbe dovuto rendere la dichiarazione sull’assenza delle cause di esclusione di cui all’art. 80 del codice appalti”.
Va poi considerato che non sussistevano ragioni di attivare il soccorso istruttorio in quanto si trattava di un mero e chiaro comportamento omissivo: la giurisprudenza consolidata afferma che siffatta omissione non è sanabile con soccorso istruttorio, strumento che non si presta a essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni (riguardanti elementi essenziali) radicalmente mancanti, e che ha la sua funzione nel chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara (Cons. Stato, V, 10 agosto 2017 n. 3980; V, 21 giugno 2017 n. 3028; V, 12 ottobre 2016 n. 4219).
Il quarto motivo relativo all’inapplicabilità del punto 5-bis) del comma 5 dell’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 va considerato assorbito da quanto affermato in relazione al primo motivo.
Appare poi altresì irrilevante la censura ex art. 211 d.lgs. 50 del 2016 sul parere Anac, poiché assorbita dalle infondatezze già rilevate, mentre sono infondate le censure sulle violazione della l. n. 241 del 1990.
Anche qui il Collegio non può che ribadire quanto affermato dell’ultimo precedente sulla vicenda (n. 1644/2019).
Circa gli artt. 7 e 10 della l. n. 241 del 1990, va ribadito il principio per cui l’esclusione da una gara, disposta in esito al riscontro negativo circa il possesso di un requisito di partecipazione, non postula la previa comunicazione di avvio del procedimento, perché attiene a un segmento necessario di un procedimento della cui pendenza l’interessato è già necessariamente a conoscenza (ex multis, Cons. Stato, III, 13 aprile 2016, n. 1471; III, 8 giugno 2016, n. 2450; VI, 21 dicembre 2010, n. 9324).
Del resto, “Il contraddittorio previsto nel nuovo codice degli appalti, ai fini dell’accertamento della carenza sostanziale dei requisiti di ammissione alla gara, […] riguarda i soli casi in cui il concorrente si è dimostrato leale e trasparente nei confronti della stazione appaltante, rendendola edotta di tutti i suoi precedenti, anche se negativi, e ha fornito tutte le informazioni necessarie per dimostrare l’attuale insussistenza di rischi sulla sua inaffidabilità o mancata integrità nello svolgimento della sua attività professionale.
[…] Non è certo ammissibile consentire alle concorrenti di nascondere alla stazione appaltante situazioni pregiudizievoli, rendendo false o incomplete dichiarazioni al fine di evitare possibili esclusioni dalla gara, e poi, ove siano state scoperte, pretendere il rispetto del principio del contraddittorio da parte della stazione appaltante” (Cons. Stato, V, 11 aprile 2016, n. 1412; in termini anche Cons. Stato, III, 5 settembre 2017, n. 4192).
Neppure è condivisibile la censura relativa alla mancata indicazione, nel provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione, delle ragioni di interesse pubblico poste a suo fondamento, in violazione della regola di cui all’art. 21-octies l. n. 241 del 1990.
Una volta che la stazione appaltante ha dato atto (sia pure per relationem alle argomentazioni esposte in altro provvedimento amministrativo) delle ragioni per cui l’omessa comunicazione dei precedenti penali integra un grave illecito professionale, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, nessuna ulteriore motivazione restava necessaria a supporto dell’annullamento dell’aggiudicazione: era infatti sussistente in re ipsa, alla luce di tali presupposti, l’interesse pubblico (espressione, del resto, di un principio generale di ordine pubblico economico) a che il contraente dell’amministrazione sia un soggetto affidabile.
In vista delle considerazioni svolte che costituiscono una conferma di quanto più volte ribadito dalla Sezione, l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio per il presente grado sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese per il presente grado di giudizio liquidandole in complessivi €. 4.000,00 in favore di Invitalia s.p.a., mentre le compensa nei confronti delle altre parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
La Sezione Quinta del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7749/2019, è tornata sulla dibattuta questione concernente la legittimità dell’esclusione dell’impresa concorrente che abbia omesso di dichiarare una condanna definitiva pronunciata nei confronti dell’allora legale rappresentante.
La fattispecie involge da un lato la problematica della successione delle leggi nel tempo, dall’altro lato la perimetrazione dell’obbligo dichiarativo sussistente in capo all’impresa concorrente, in ragione della necessità di tutelare la buona fede e l’equilibrio nella formazione del contratto.
Per comprendere le statuizioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato, è necessario ripercorrere brevemente le vicende processuali che hanno condotto alla decisione in commento.
L’ATI ricorrente impugnava il provvedimento adottato dalla Stazione appaltante in autotutela, con il quale la stessa aveva disposto l’annullamento dell’aggiudicazione in favore dell’ATI, a causa dell’omessa dichiarazione da parte della stessa di una condanna per omicidio colposo a carico dell’ex rappresentante legale del Consorzio facente parte dell’ATI.
Il Consorzio e la Cooperativa costituenti l’ATI, impugnavano il provvedimento emesso all’esito del procedimento in autotutela, innanzi al competente Tribunale Amministrativo Regionale, ritenendo, tra l’altro, che fosse stato violato il principio di tassatività delle cause di esclusione, in ragione del fatto che il concetto di grave illecito professionale fosse un concetto giuridico indeterminato, nonché le regole in tema di successione delle leggi penali nel tempo.
I Giudici di prime cure rigettavano il ricorso, in virtù del fatto che il prevalente orientamento giurisprudenziale prevede il dovere del concorrente di dichiarare tutte le vicende occorse in precedenti rapporti contrattuali, afferendo tale dichiarazione ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale, essenziali ai fini del giudizio discrezionale dell’amministrazione committente.
Avverso la predetta decisione, il Consorzio e la Cooperativa proponevano gravame affidato a molteplici motivi, ruotanti essenzialmente sulla violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione e sulla mancata attivazione, da parte della stazione appaltante del rimedio del meccanismo del soccorso istruttorio, al fine di integrare le dichiarazioni omesse.
Innanzitutto, il Consorzio e la Cooperativa si dolevano dell’errata applicazione della legge al caso di specie.
Ad avviso della ricorrente, infatti, il Collegio avrebbe applicato dapprima la normativa di cui all’art. 38 del D.lgs 163/2006 e successivamente l’art. 80 comma 5, lett. f – bis del d.lgs n. 50/2016, a seguito della riscrittura operata con dlgs 56/2017, non ancora in vigore al momento dell’indizione della gara.
In particolare, se il Collegio avesse applicato la normativa ratione temporis, ovvero quella di cui al D.lgs n. 50/2016, prima della riscrittura, avrebbe certamente annullato il provvedimento di esclusione adottato in autotutela, posto che la norma applicabile al caso di specie non contemplava l’esclusione nelle ipotesi in cui l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere.
Conseguentemente, ad avviso della ricorrente, in virtù della tassatività delle ipotesi di esclusione dalla gara di cui all’art. 80 del d.lgs 50/2016, la stazione appaltante non avrebbe potuto escluderla dalla gara stessa e comunque il Collegio avrebbe dovuto disporne l’annullamento per violazione di legge.
Il Consiglio di Stato, pur ritenendo corretta la ricostruzione concernente la successione di leggi nel tempo effettuata dalla ricorrente, non ha comunque accolto il ricorso.
In particolare, la Sezione, aderendo all’orientamento maggioritario in materia, ha ritenuto che, al di là della normativa applicabile al caso di specie, in ogni caso l’operatore è tenuto a dichiarare qualsiasi elemento idoneo ad incidere sulla moralità professionale, essendo rimessa all’amministrazione e non all’operatore la valutazione circa il possesso dei requisiti di moralità da parte dell’operatore stesso, in virtù dell’immanenza del principio di buona fede nelle trattative contrattuali.
La Sezione, pertanto, nel prevedere l’obbligatorietà delle dichiarazioni relative a condanne gravi, valorizza da un lato la buona fede nelle trattative e dall’altro il potere discrezionale spettante alla pubblica amministrazione di valutare se la condotta pregressa sia idonea a ledere l’affidabilità dell’operatore.
Si legge, infatti, nella sentenza in rassegna che: “E’ invero contro la ratio di tutela della buona fede e l’equilibrio nella formazione del contratto che l’individuazione e selezione di condotte idonee ad incidere sulla moralità professionale, oggetto di condanna penale, possa essere rimessa all’unilaterale e autonoma valutazione dello stesso dichiarante, di fatto così ostacolando la stazione appaltante nel valutare la concreta incidenza della singola condanna sulla complessiva moralità professionale dell’interessato. Il principio è generale e trova applicazione anche quando la lex specialis di gara non ha espressamente previsto l’obbligo dei concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate.
L’eccezione alla regola enunciata dalla Sezione e consolidata in giurisprudenza, cioè quella della necessaria dichiarazione di tutte le condanne penali gravi, al di là dell’elenco delle ipotesi tassative di esclusione di cui all’art. 80 del D.lgs 50/2016, è rappresentata unicamente dalle ipotesi in cui sia intervenuta la depenalizzazione o l’estinzione del reato per riabilitazione.
In altri termini, l’effetto privativo che consegue all’abolitio criminis opera sul potere della stazione appaltante di apprezzare l’incidenza a fini partecipativi, delle sentenze di condanna cui si riferiscono quei reati.
Sulla questione è opportuno menzionare la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 761/2016, seguita dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 3876/2018 e dal Tar Molise n. 259/2019, secondo cui l’obbligo del partecipante di dichiarare le condanne penali per reati gravi non ricomprende le condanne per reati estinti o depenalizzati, non già per il fatto che quei fenomeni estintivi siano ex se sintomatici della non gravità dei reati, quanto piuttosto in ragione dell’effetto privativo che l’abrogatio criminis, ovvero il provvedimento giudiziale dichiarativo della estinzione del reato, opera sul potere della stazione appaltante di apprezzare l’incidenza, ai fini partecipativi, delle sentenze di condanna cui si riferiscono quei fatti di reato.
In virtù dei principi di cui sopra, se sussistesse un obbligo di dichiarazione valutabile dalla pubblica amministrazione, anche in relazione a fattispecie depenalizzate, si verificherebbe un contrasto all’interno dell’ordinamento.
Conseguentemente, in tali ipotesi e solo in tali ipotesi espressamente stabilite oggi anche dal vigente Codice dei contratti, l’operatore può omettere le dichiarazioni relative a fatti depenalizzati o per i quali sia intervenuta la riabilitazione.
Negli altri casi è tenuto a dichiarare tutti i reati precedentemente commessi.
Giova, per completezza espositiva, evidenziare che nelle ipotesi di omessa dichiarazione di condanne per reati gravi, non è ammesso il rimedio del soccorso istruttorio.
Infatti, lo strumento del soccorso istruttorio non si presta ad essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni riguardanti elementi essenziali radicalmente mancanti, posto che la sua funzione è quella di chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara.
Nel caso di specie, le dichiarazioni in ordine alla condanna per omicidio colposo erano state totalmente omesso, con la conseguenza di non poter ricorrere al soccorso istruttorio.
Infine, è opportuno evidenziare che tra le doglianze della ricorrente vi era anche quella concernente il fatto che la condanna penale fosse stata inflitta alla ex legale rappresentante del Cooperativa e che, pertanto, l’omessa dichiarazione non avrebbe potuto comportare l’esclusione della ricorrente stessa.
La Sezione, sul punto, ribadendo il principio di matrice penalistica, in virtù del quale la responsabilità è personale, cioè riferita alle persone fisiche, ha stabilito che non è possibile distinguere concettualmente l’impresa dai soggetti, posto che altrimenti opinando, si arriverebbe all’assurdo di eliminare qualsivoglia obbligo dichiarativo in capo alle imprese, non essendo le stesse, passibili di responsabilità penale.
Statuisce, infatti, la Sezione quanto segue: “ Quanto al secondo motivo di appello, che assume l’esclusione della figura del presidente del Comitato di sorveglianza dal novero dei soggetti per i quali opera la previsione dell’art. 80, comma 5 lett. c), è da richiamare il recente precedente di questa Sezione in relazione alla medesima fattispecie (Cons. Stato, V, 12 marzo 2019 n. 1644). Dove si è affermato che non è corretta la pretesa delle appellanti di distinguere concettualmente l’impresa (entità giuridica) dai soggetti – di cui all’art. 80, comma 3, per il cui tramite, in ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, essa concretamente opera. A seguire l’assunto dell’appello, si produrrebbe l’effetto aberrante di escludere la rilevanza di qualsiasi sentenza di condanna ai fini della valutazione di affidabilità sottesa al precetto dell’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016, posto che la responsabilità penale riguarda le sole persone fisiche e non le imprese. Sicchè il Collegio conferma il generale principio per cui tra le condanne rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 3 ai fini dell’esclusione dalla gara, vanno incluse non solo quelle specificamente elencate ai commi 1 e 2, ma anche quelle comunque incidenti, ai sensi del comma 5, sull’affidabilità dell’impresa.
In conclusione, in ragione delle argomentazioni sopra sintetizzate, il Collegio ha rigettato l’appello, ritenendo causa di esclusione dalla gara l’omessa dichiarazione di un grave illecito penale.