Cons. Stato, sez. VI, 24 luglio 2019, n.5243

1. La c.d. “clausola sociale” (nella fattispecie sotto forma di clausola di riassorbimento), ammessa dall’art. 50 del D. Lgs. 18/4/2016, n. 50, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost.,

2. La clausola non comporta alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria;

3. Anche nei confronti delle imprese sociali opera il divieto di applicare clausole sociali che sostanzialmente impongano l’integrale riassorbimento di tutto il personale impiegato dal precedente appaltatore.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4249 del 2019, proposto da 
S. Onofrio Cooperativa Sociale ONLUS, in proprio e quale mandataria del costituendo RTI S. Onofrio/Tiresia e Tiresia Consorzio Sociale di Solidarietà Onlus - società cooperativa Sociale ONLUS a r.l., in proprio e quale mandante del costituendo RTI, di cui sopra, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Claudio Giangiacomo, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia; 

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Istituto di Istruzione Superiore via Domizia Lucilla - Roma, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati ex lege

nei confronti

Associazione ANAFI e Cooperativa Eureka I Onlus, in persona di rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituite in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma (Sezione Terza) n. 03479/2019, resa tra le parti, concernente l'affidamento del servizio di assistenza scolastica specialistica degli alunni con disabilità per l’anno scolastico 2018/2019.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e dell’Istituto di Istruzione Superiore via Domizia Lucilla - Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti l’avvocato Claudio Giangiacomo, e l’avvocato dello Stato Roberto Ristori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con nota 1/9/2018, prot. 5680/II.9, l’Istituto di Istruzione Superiore via Domizia Lucilla – Roma ha emanato un avviso esplorativo per l’individuazione di operatori economici da invitare a presentare offerta per l’affidamento del servizio di assistenza scolastica specialistica agli alunni con disabilità nell’anno scolastico 2018/2019.

Il detto avviso prevedeva che la scelta del contraente sarebbe avvenuta col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e che l’appalto sarebbe stato suddiviso in due lotti, di cui uno per il “servizio WOCE” (per un importo di euro 85.536) e l’altro per il “servizio di assistenza specialistica” (per un importo di euro 912.384).

Successivamente l’amministrazione aggiudicatrice ha pubblicato il bando di gara nel quale si prevedeva, tra l’altro, che “per garantire la continuità didattica l’offerta dovrà necessariamente prevedere la conferma e l’utilizzo in servizio per conto dell’affidatario di almeno il 50 % degli operatori già operativi negli istituti della rete nell’anno scolastico da poco conclusosi”.

Per la valutazione delle offerte il medesimo bando fissava, inoltre, i sottoelencati criteri:

a) “Continuità del servizio con l’assunzione del personale già operativo negli istituti della Rete a.s. 2017-2018. Da un minimo obbligatorio 0% (punteggio = 0) fino al 100% (punteggio = 40)” - Punteggio “Max 25 (5 punti per ogni 10% oltre il minimo previsto per l’assunzione), valori intermedi in proporzione”;

b) “Certificazione di qualità UNI EN ISO 9001:2000, massimo 5 punti”;

c) “Curriculum aziendale, massimo 5 punti”;

d) “Progetti aggiuntivi e migliorativi del servizio, massimo 10 punti”;

e) “Contributo per la realizzazione di un laboratorio per le attività artistiche o enogastronomiche, massimo 5 punti”.

Il costituendo RTI tra la S. Onofrio Cooperativa Sociale Onlus (d’ora in poi solo S. Onofrio), e la Tiresia Consorzio Sociale di Solidarietà Onlus - società cooperativa Sociale Onlus a r.l. (di seguito solo Tiresia) ha partecipato alla gara per il lotto n. 2.

All’esito della valutazione delle offerte tutti i concorrenti hanno ottenuto il medesimo punteggio, per cui la stazione appaltante, in ossequio al bando di gara, ha proceduto al sorteggio fra i partecipanti che ha determinato l’aggiudicazione del lotto n. 1 alla Eureka 1 e quella del lotto n. 2 all’Associazione ANAFI.

Ritenendo aggiudicazione e bando di gara illegittimi la S. Onofrio e la Tiresia li hanno impugnati con ricorso al T.A.R. Lazio – Roma, il quale, con sentenza 15/3/2019, n. 3479, lo ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile.

Avverso la sentenza hanno proposto appello la S. Onofrio e la Tiresia.

Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e l’Istituto di Istruzione Superiore via Domizia Lucilla – Roma.

Con successiva memoria la parte appellata ha meglio illustrato le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del giorno 11/7/2019 la causa è passata in decisione.

In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione con cui la parte appellata deduce che, avendo le appellanti espressamente chiesto la declaratoria d’inefficacia del contratto ed essendo quest’ultimo ormai scaduto, sarebbe venuto meno l’interesse alla decisione.

L’eccezione non coglie nel segno.

Difatti la circostanza che nelle more del giudizio il contratto abbia esaurito i propri effetti, non priva, comunque, l’istante dell’interesse ad agire, potendo egli pur sempre aspirare al risarcimento dei danni eventualmente subiti.

L’appello va, dunque, esaminato nel merito.

Col secondo motivo l’appellante deduce che il Tribunale avrebbe errato a considerare conforme a legge la clausola sociale introdotta nel bando.

Quest’ultimo imponeva un obbligo di riassunzione pari al 50% del personale utilizzato dal precedente gestore del servizio e stabiliva, inoltre, un criterio di valutazione delle offerte tale da premiare, in termini di punteggio (sino a un massimo di 25 punti sui 50 totali) il concorrente che si fosse impegnato a riassorbire il maggior numero del suddetto personale.

Il combinato operare dell’obbligo di riassunzione e del menzionato criterio di valutazione delle offerte sarebbe tale da violare il divieto di imporre ai concorrenti l’assunzione di tutti i lavoratori impiegati dall’appaltatore uscente.

La doglianza merita accoglimento.

In termini generali occorre premettere che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che la Sezione condivide, la c.d. “clausola sociale” (nella fattispecie sotto forma di clausola di riassorbimento), ammessa dall’art. 50 del D. Lgs. 18/4/2016, n. 50, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost., che sta a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione e dell'autonomia di gestione propria dell'archetipo del contratto di appalto; in sostanza, tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente. Conseguentemente l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell'organigramma dell'appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Cons. Stato, Sez. III, 7/1/2019, n. 142 e 5/5/2017, n. 2078; Sez. V, 17/1/2018, n. 272 e 7/6/2016, n. 2433; Corte di Giustizia dell'Unione Europea 9/12/2004 in C-460/2002 e 14/7/2005 in C-386/2003).

Nel caso che occupa è vero che il bando imponeva di riassumere, a pena di esclusione dalla gara, solo il 50 % dei lavoratori impiegati dal precedente gestore del servizio; tuttavia, il contestuale operare di tale clausola e del criterio di valutazione dell’offerta tecnica volto a premiare la riassunzione del maggior numero dei detti lavoratori, con l’assegnazione di un punteggio addirittura pari alla metà (25 punti) di quello complessivamente attribuibile, al concorrente che si fosse impegnato a riassorbire tutto il restante 50% del personale in parola, produce effetti sostanzialmente analoghi a quelli di una clausola sociale di riassunzione pressochè totalitaria, con la conseguenza di condizionare in maniera significativa e oltremodo rilevante le scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità più appropriate di allocazione dei fattori della produzione in base all’organizzazione d’impresa prescelta, imponendogli, così, un vincolo incompatibile con la libertà d’impresa, poiché idoneo a comprimere i valori di cui all’articolo 41, Cost. in modo eccessivo rispetto a quanto ragionevolmente esigibile nei confronti dell’operatore economico, il quale finirebbe per dover impropriamente assumere obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 28/8/2017, n. 4079).

In definitiva la congiunta applicazione delle due prescrizioni di gara (cinquanta più cinquanta) produce sostanzialmente l’effetto di aggirare il divieto di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente.

Obietta la stazione appaltante che nel caso di specie non potrebbero essere invocati i limiti posti dalla giurisprudenza all’operatività della clausola sociale in quanto gli stessi varrebbero solo nei confronti delle imprese aventi finalità di lucro, mentre le appellanti sarebbero organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).

L’obiezione non coglie nel segno.

Le appellanti sono entrambe cooperative sociali, le quali, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del D. Lgs. 3/7/2017, n. 112, acquisiscono, di diritto, la qualifica di imprese sociali.

A tali imprese, il citato decreto legislativo, riconosce la legittimazione a esercitare in via stabile e principale un'attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d'interesse generale (art. 2), con l’unico divieto, posto dall’art. 3, di provvedere alla distribuzione di utili al di fuori degli specifici casi previsti dal terzo comma del medesimo articolo 3 e dal successivo art. 16.

Anche i soggetti in questione possono, quindi, esercitare, con i limiti di cui sopra, attività d’impresa, con il conseguente diritto di non subire eccessive e ingiustificate interferenze nelle scelte relative all’organizzazione dei fattori della produzione.

Deve, pertanto, ritenersi che pure nei loro confronti operi il divieto di applicare clausole sociali che sostanzialmente impongano l’integrale riassorbimento di tutto il personale impiegato dal precedente appaltatore.

Osserva ancora la parte appellata che nella fattispecie la previsione della clausola sociale sarebbe giustificata dall’esigenza di garantire agli studenti disabili la continuità educativa e didattica.

Il rilievo non merita condivisione atteso che la detta finalità non può essere perseguita a scapito di un libertà costituzionalmente tutelata, quale quella d’iniziativa economica.

L’appello va, pertanto, accolto, sulla base delle su indicate considerazioni.

Conseguentemente, si può prescindere dall’esame dei motivi relativi alle modalità concrete con cui si è in effetti proceduto alla aggiudicazione (tramite sorteggio a dadi) e degli ulteriori motivi (sul valore da attribuire ai progetti liberali o alla logicità dei progetti aggiuntivi).

Infatti, il Collegio ritiene assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati, ritenuti in realtà non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della gravata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e conseguentemente annulla gli atti col medesimo impugnati.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Guida alla lettura

La sentenza in esame assume una particolare rilevanza in quanto la stessa mette in risalto la funzione che deve essere svolta dalla clausola sociale, prevista dall’articolo 50 del decreto legislativo 18 aprile 2016,n.50, ovverosia funzione svolta sempre nel rispetto dei principi della libertà di iniziativa imprenditoriale e della concorrenza.

La pronuncia in esame ha il merito di individuare i principi generali che caratterizzano l’operatività della stessa clausola sociale., nella particolare forma della “clausola di riassorbimento” di personalealle dipendenze dell'appaltatore uscente. 

“In termini generali-precisa,infatti, il Collegio-occorre premettere che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che la Sezione condivide, la c.d. “clausola sociale” (nella fattispecie sotto forma di clausola di riassorbimento), ammessa dall’art. 50 del D. Lgs. 18/4/2016, n. 50, deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost., che sta a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione e dell'autonomia di gestione propria dell'archetipo del contratto di appalto; in sostanza,-continua la Sezione-tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente. Conseguentemente l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell'organigramma dell'appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Cons. Stato, Sez. III, 7/1/2019, n. 142 e 5/5/2017, n. 2078; Sez. V, 17/1/2018, n. 272 e 7/6/2016, n. 2433; Corte di Giustizia dell'Unione Europea 9/12/2004 in C-460/2002 e 14/7/2005 in C-386/2003).

Successivamente la Sezione precisa come il meccanismo introdotto dalla predetta clausola imponeva, nella realtà, la riassunzione totale dei lavoratori interessati, nonostante che lo stesso banda di gara prevedesse meccanismi di riassunzione più mitigati..

“Nel caso che occupa- puntualizza la Sezione-è vero che il bando imponeva di riassumere, a pena di esclusione dalla gara, solo il 50 % dei lavoratori impiegati dal precedente gestore del servizio; tuttavia, il contestuale operare di tale clausola e del criterio di valutazione dell’offerta tecnica volto a premiare la riassunzione del maggior numero dei detti lavoratori, con l’assegnazione di un punteggio addirittura pari alla metà (25 punti) di quello complessivamente attribuibile, al concorrente che si fosse impegnato a riassorbire tutto il restante 50% del personale in parola, produce effetti sostanzialmente analoghi a quelli di una clausola sociale di riassunzione pressochè totalitaria, con la conseguenza di condizionare in maniera significativa e oltremodo rilevante le scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità più appropriate di allocazione dei fattori della produzione in base all’organizzazione d’impresa prescelta, imponendogli, così, un vincolo incompatibile con la libertà d’impresa, poiché idoneo a comprimere i valori di cui all’articolo 41, Cost. in modo eccessivo rispetto a quanto ragionevolmente esigibile nei confronti dell’operatore economico, il quale finirebbe per dover impropriamente assumere obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 28/8/2017, n. 4079)”.

“In definitiva-conclude, di conseguenza, la Sezione -la congiunta applicazione delle due prescrizioni di gara (cinquanta più cinquanta) produce sostanzialmente l’effetto di aggirare il divieto di prevedere clausole sociali che impongano l’integrale riassorbimento del personale utilizzato dall’appaltatore uscente”.

Anche l’ulteriore obiezione sollevata dalla stazione appaltante, secondo la quale nel caso in esame non potrebbero essere invocati i limiti posti dalla giurisprudenza all’operatività della clausola sociale, in quanto gli stessi si applicherebbero solo nei confronti delle imprese con finalità di lucro e non verso le interessate, essendo esse stesse organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), viene drasticamente rigettata dalla stessa Sezione..

 Le appellanti-evidenzia, di conseguenza, il Collegio-sono entrambe cooperative sociali, le quali, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del D. Lgs. 3/7/2017, n. 112, acquisiscono, di diritto, la qualifica di imprese sociali. A tali imprese, il citato decreto legislativo, riconosce la legittimazione a esercitare in via stabile e principale un'attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d'interesse generale (art. 2), con l’unico divieto, posto dall’art. 3, di provvedere alla distribuzione di utili al di fuori degli specifici casi previsti dal terzo comma del medesimo articolo 3 e dal successivo art. 16. Anche i soggetti in questione possono, quindi, esercitare, con i limiti di cui sopra, attività d’impresa, con il conseguente diritto di non subire eccessive e ingiustificate interferenze nelle scelte relative all’organizzazione dei fattori della produzione. Deve, pertanto, ritenersi che pure nei loro confronti operi il divieto di applicare clausole sociali che sostanzialmente impongano l’integrale riassorbimento di tutto il personale impiegato dal precedente appaltatore.

Infine anche l’ulteriore obiezione sollevata in base al fatto che la clausola in argomento sarebbe giustificata con la finalità di garantire agli studenti disabili una continuità educativa e didattica non viene accolta dalla Sezione sulla circostanza che la suddetta finalità “non può essere perseguita a scapito di un libertà costituzionalmente tutelata, quale quella d’iniziativa economica.”