TAR Lombardia - Milano, Sez. I, 18 aprile 2019 n. 897
Illecito professionale – Richiesta di rinvio a giudizio – È elemento che può essere valutato ai fini del rapporto fiduciario - Esclusione – Richiede un’approfondita motivazione
È illegittima, per difetto di motivazione, l’esclusione da una gara d’appalto di un’impresa sul cui conto penda una richiesta di rinvio a giudizio per responsabilità amministrativa dell’Ente, ai sensi e per gli effetti degli artt. 5 e 25 del d.lgs. 8.6.2001 n. 231, ancorché le contestazioni mosse in sede penale riguardino reati gravi (come la corruzione e la turbativa d’asta), commessi dall’amministratore e socio dell’impresa in danno della stessa amministrazione che bandiva la gara.
Richiamata la giurisprudenza che ritiene oramai unanimemente - con indirizzo di recente confermato anche dalla CGUE, con ordinanza 4 giugno 2019 in c. 425/2018, con riferimento all’illecito antitrust - che le fattispecie rientranti nel concetto di illecito professionale non sono tipiche e tassative, trattandosi di norma a carattere aperto, il TAR ha evidenziato che la sussunzione delle singole fattispecie in quella dell’illecito professionale è rimessa al prudente apprezzamento della stazione appaltante, che – certamente in caso di esclusione, ma, dalla prospettiva dei concorrenti, evidentemente anche in caso di ammissione – è chiamata motivare attentamente la propria decisione, trattandosi di scelte che incidono su diritti costituzionalmente garantiti.
Il provvedimento di esclusione per grave illecito professionale nelle ipotesi non contemplate dalla legge o dalle linee guida Anac n. 6 deve dunque contenere tutti gli elementi utili alla ricostruzione dell’iter logico seguito dall’Amministrazione per considerare non affidabile il concorrente, consentendo il controllo ab externo circa il corretto esercizio del potere, anche - ma nono solo - in relazione agli elementi di cui l’amministrazione si sia servita per l’accertamento dei fatti oggetto di contestazione, ove non già assoggettati al vaglio giurisdizionale. E ciò in quanto “una richiesta di rinvio a giudizio, sebbene per gravi reati, in assenza di un autonomo accertamento dei fatti idonei a configurare un grave illecito professionale da parte della stazione appaltante, e di una congrua motivazione sul punto, non può di per sé essere sufficiente a giustificare un provvedimento amministrativo di esclusione, spesso suscettibile di arrecare gravissimi pregiudizi all’operatore economico, e in taluni casi, la cessazione della sua attività”.
È dunque illegittima l’esclusione di un concorrente dalla gara disposta in base al mero richiamo della richiesta di rinvio a giudizio, anche per il potenziale contrasto che un siffatto modo di procedere ha con i principi fondamentali dell’ordinamento (artt. 27 della Costituzione e art. 6 della CEDU, richiamati in sentenza).
Cionondimeno, il TAR meneghino non ha mancato di attestare piena consapevolezza circa la diversità dello statuto probatorio richiesto ai fini dell’accertamento penale rispetto a quanto necessario ala fine di giustificare l’esclusione dalla gara per grave illecito professionale (Corte Giustizia C-124/17). Tuttavia, a fronte della peculiarità della fattispecie, ha ritenuto, con il conforto di alcuni precedenti (TAR Toscana, Sez. I, 1.8.2017 n. 1011; T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 5.10.2018, n. 955), che in casi siffatti sia imprescindibile un serio e indipendente accertamento dei fatti da parte della stazione appaltante, utile a rendere evidenti all’esterno le ragioni della rottura del rapporto fiduciario.
Un siffatto accertamento andava effettuato nell’ambito di un procedimento amministrativo volto all’acquisizione di ogni notizia utile ai fini dell’accertamento dei fatti, non essendo condivisibile l’impostazione difensiva della stazione appaltante, secondo la quale l’amministrazione non avrebbe avuto i necessari poteri investigativi per potersi sostituire all’organo inquirente nella valutazione delle prove raccolte. Non si trattava, infatti, dell’accertamento di eventuali responsabilità penali, quanto piuttosto della verifica circa la sussistenza, o meno, di elementi utili alla rottura del rapporto fiduciario, anche estranei agli atti e alle contestazioni del procedimento penale.
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 18/04/2019
N. 00897/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00169/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 169 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Napoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso Venezia 10;
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Stefania Pagano, Emilio Luigi Pregnolato, Sara Pagliosa, Danilo Parvopasso e Massimo Cali', con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Milano, Via della Guastalla 6;
Autorità Nazionale Anticorruzione; non costituito in giudizio;
nei confronti
Esse A3 S.r.l.; non costituita in giudizio
per l'annullamento
del verbale del 13.12.2018, con il quale -OMISSIS- è stata esclusa dall'accordo quadro con unico operatore n. 28/2018 avente ad oggetto “interventi di rimozione fibre di vetro e bonifica amianto - Lotto 2”, dell’allegato al predetto verbale, di ogni altro atto ad essi preordinato, presupposto, consequenziale e/o comunque connesso, con particolare riferimento alla nota di segnalazione, di data ed estremi sconosciuti, con la quale il Comune di Milano ha dato “comunicazione …del motivo di esclusione all’Autorità Nazionale Anticorruzione per l’inserimento del dato nel Casellario informatico di cui all’articolo 213, c. 10, del Codice dei Contratti”
e per la conseguente condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno in forma specifica o, in subordine, per equivalente economico
atti impugnati con il ricorso introduttivo, nonché
del provvedimento di aggiudicazione definitiva della procedura, reso noto il 19.2.2019, in favore di Esse A3 S.r.l.,
atto impugnato con i motivi aggiunti presentati in data 21.2.2019.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti, ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2019 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con bando di gara del 21.3.2018, il Comune di Milano ha indetto una procedura aperta per l’affidamento, tramite accordo quadro con un unico operatore, dei lavori occorrenti per la realizzazione di “interventi di rimozione fibre di vetro e bonifica amianto - Lotto 2”, per un valore complessivo a base d’asta di € 1.305.330,27, e con il criterio del prezzo più basso.
Con i provvedimenti impugnati nel ricorso principale il Comune di Milano ha disposto l’esclusione della ricorrente dalla predetta procedura, in relazione ad una vicenda penale per la quale, in data 31.7.2018, il Pubblico Ministero ha formulato una richiesta di rinvio a giudizio per l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 25 del D.Lgs. 8.6.2001 n. 231, con riferimento ai delitti previsti dagli artt. 319, 319 bis, 321 e 353 c. 1 c.p. (corruzione e turbata libertà degli incanti), ascritti al suo ex socio ed amministratore -OMISSIS-, per non aver adeguatamente adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione dei fatti, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire la commissione dei reati contestati.
L’Ente Locale resistente si è costituito in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso, in rito e nel merito.
Alla camera di consiglio del 6.2.2019 la ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.
Con i motivi aggiunti l’istante ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione definitiva, deducendone l’invalidità in via derivata, in favore di Esse A3 S.r.l., che non si è tuttavia costituita.
Nelle more del giudizio, il G.I.P. presso il Tribunale di Milano, ha dichiarato estinto, per intervenuta prescrizione, l’illecito amministrativo contestato alla ricorrente, ed ha disposto il rinvio a giudizio del suo ex amministratore, mentre il Comune ha affermato che sono in corso i controlli propedeutici alla stipulazione del contratto con la controinteressata.
All’udienza pubblica del 3.4.2019, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I.1) Le vicende poste a fondamento del presente giudizio traggono origine da un procedimento penale, in cui l’amministratore della società ricorrente è accusato di aver messo a disposizione le proprie maestranze per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un centro estetico di proprietà della figlia di un funzionario comunale, al fine di essere favorito nella procedura per l’affidamento dell’appalto n. 67/2011, aggiudicatole dal Comune di Milano, in data 1.8.2012.
In particolare, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio dell’operatore economico -OMISSIS- formulata dal pubblico ministero, con il provvedimento impugnato, il Comune resistente ha dato applicazione all’art. 80 c. 5 lett. c) del D.Lgs. 18.4.2016 n. 50, secondo cui, le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alle gare i concorrenti che si siano resi colpevoli di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la loro integrità od affidabilità, qualora ciò sia dimostrato con “mezzi adeguati”.
I.2) Sotto un primo aspetto, la ricorrente deduce la violazione di detta norma, sostenendo che la stessa presupporrebbe l’esistenza di un “accertamento definitivo”, non essendo a tal fine sufficiente una richiesta di rinvio a giudizio, come ha invece avuto luogo nel caso di specie.
Sotto altro profilo, l’istante lamenta il difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento impugnato, che si sarebbe limitato ad un “mero richiamo per relationem ai contenuti della richiesta di rinvio a giudizio”, non operando “alcuna ulteriore valutazione o approfondimento istruttorio sulla vicenda”, limitandosi invece “a dare acriticamente per assodato tutto quello che la Procura della Repubblica ha contestato come capo d’imputazione”.
II) Ritiene il Collegio che, in linea generale, anche i fatti oggetto di accertamento in un procedimento penale ancora in corso possano essere considerati “mezzi adeguati” da parte di un’amministrazione aggiudicatrice, per dimostrare che un operatore economico si sia reso responsabile di gravi illeciti professionali.
Come recentemente affermato dalla Corte di Giustizia, nell’ambito delle “ricerche e verifiche” che le stazioni appaltanti possono condurre per accertare l’integrità di un operatore economico, laddove esista “una procedura specifica disciplinata dal diritto dell'Unione o dal diritto nazionale per perseguire determinate violazioni, e in cui particolari organismi sono incaricati di effettuare indagini al riguardo, l'amministrazione aggiudicatrice, nell'ambito della valutazione delle prove fornite, deve basarsi in linea di massima sull'esito di siffatta procedura” (C-124/17 del 24.10.2018, punti 24-25).
Tuttavia, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte di Giustizia non ha affermato l’impossibilità per una stazione appaltante di procedere ad un’autonoma valutazione dei fatti oggetto di accertamento in sede penale, statuendo invece che “occorre tener conto delle funzioni rispettive, da un lato, delle amministrazioni aggiudicatrici e, dall'altro, delle autorità investigative. Mentre queste ultime hanno il compito di stabilire la responsabilità di determinati agenti nel commettere una violazione a una norma di diritto, accertando con imparzialità la realtà di fatti che possono costituire una siffatta violazione, nonché punendo il comportamento illecito pregresso di detti agenti, le amministrazioni aggiudicatrici devono valutare i rischi cui potrebbero essere esposte aggiudicando un appalto a un offerente la cui integrità o affidabilità sia dubbia” (v. punto 26).
Ad analoghe conclusioni è giunta la giurisprudenza amministrativa, ritenendo che, in linea generale, l'art. 80, c. 5, lett. c) cit., rimetta alla stazione appaltante il potere di apprezzamento delle condotte dell'operatore economico che possono integrare un “grave illecito professionale”, tale da metterne in dubbio la sua integrità o affidabilità, anche oltre le ipotesi elencate nel medesimo articolo (C.S., Sez. V, 3.9.2018 n. 5142).
In particolare, non è indispensabile che i gravi illeciti professionali posti a fondamento della sanzione espulsiva del concorrente dalla gara siano accertati con sentenza, anche se non definitiva, essendo infatti sufficiente che gli stessi siano ricavabili da altri gravi indizi (C.S., Sez. V, 27.2.2019 n. 1367, 20.3.2019 n. 1846).
III.1) Più in generale, il Collegio evidenzia che l’ampiezza della formulazione utilizzata dall’art. 57 c. 4 lett. c) della Direttiva 2014/24, consentendo di escludere i partecipanti che abbiano commesso “gravi illeciti professionali”, riconosce un ampio potere discrezionale alle amministrazioni aggiudicatrici, ciò che ha indotto la giurisprudenza a dubitare della legittimità degli automatismi previsti dall’art. 80 c. 5 lett. c) cit., e più recentemente, lo stesso legislatore, a modificare tale norma.
In particolare, a fronte del quesito posto dal T.A.R. Campania (ordinanza n. 5893 del 13.12.2017), nelle proprie conclusioni rese nella causa C-41/18 in data 7.3.2019, l’Avvocato Generale ha affermato che la normativa italiana, nella parte in cui precludeva la partecipazione ad un operatore economico che non avesse contestato in giudizio la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto, “sottrae all’amministrazione aggiudicatrice la facoltà di valutare pienamente l’affidabilità del candidato” (v. punto 53), restringendone indebitamente il campo di azione (v. punto 55. Un’analoga questione è stata peraltro sollevata da C.S., 3.5.2018 n. 2639).
A sua volta, l’art. 5, c. 1, del D.L. 14.12.2018, n. 135, convertito con L. 11.2.2019 n. 12, ha modificato l’art. 80 c. 5 cit., consentendo alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere il concorrente cha abbia subito una risoluzione per inadempimento, una condanna al risarcimento, o altre sanzioni, anche a fronte dalla loro mancata contestazione, richiedendo tuttavia che, in tali casi, “la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa” (v. nuovo comma c-ter).
III.2) Alla luce di quanto sopra evidenziato, il Collegio dà atto che, ai fini dell’individuazione dei “gravi illeciti professionali”, si assiste ad una tendenziale riduzione delle fattispecie generali e astratte normativamente previste, venendo tale onere direttamente demandato alle amministrazioni aggiudicatrici.
Il punto di equilibrio tra la tutela della concorrenza e le esigenze delle stazioni appaltanti, è conseguentemente spostato in favore di queste ultime, che essendo chiamate ad individuare in concreto le condotte suscettibili ad integrare un “grave illecito professionale”, devono perciò giustificare l’esercizio dei più ampi poteri discrezionali loro attribuiti, mediante congrua motivazione.
III.3) Come espressamente affermato da C.S., Sez. III, 23.11.2017, n. 5467, l’art. 80 c. 5 lett. c) cit. ha infatti esteso il potere discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici di escludere i concorrenti da una gara d’appalto, correlandone l’esercizio ad un “concetto giuridico indeterminato”, e consentendo loro di declinare, caso per caso, la condotta dell’operatore economico “colpevole di gravi illeciti professionali”.
Come noto, la categoria dei concetti giuridici a contenuto indeterminato, attiene ad una particolare tecnica legislativa nella quale, per individuare il fatto produttivo di effetti, la norma non descrive la fattispecie astratta in maniera tassativa ed esaustiva, ma rinvia, per la sussunzione del fatto concreto nell'ipotesi normativa, all'integrazione dell'interprete, mediante l'utilizzo di concetti che vanno completati e specificati con elementi o criteri extragiuridici (C.S. n. 5467/17 cit.).
A fronte di concetti giuridici indeterminati, l’Amministrazione dispone pertanto di un più ampio potere discrezionale, ciò che è potenzialmente suscettibile di pregiudicare il principio di legalità, dovendo pertanto richiedersi l’adempimento di un onere motivazione rafforzato.
Conseguentemente, come ha avuto luogo nel caso di specie, quando la stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla gara un operatore economico perché considerato colpevole di un grave illecito professionale non compreso nell'elenco dell'art. 80, c. 5 lett. c) cit., deve adeguatamente motivare l'esercizio di siffatta discrezionalità, ed in maniera ben più rigorosa ed impegnativa rispetto a quanto avviene a fronte delle particolari ipotesi esemplificate dal testo di legge (C.S., Sez. V, 2.3.2018 n. 1299).
III.4) In conclusione, in linea generale, non può pertanto che riconoscersi alla stazione appaltante la facoltà di escludere un concorrente, a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale, e dunque, anche a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio, ferma restando tuttavia la necessità di accertare che ciò abbia in concreto avuto luogo a fronte di una congrua motivazione.
IV) A questo punto, il Collegio deve pertanto prendere in esame la motivazione del provvedimento impugnato, al fine di vagliarne l’adeguatezza.
Dalla lettura dell’allegato al verbale di esclusione della ricorrente, si desume che la Commissione, dopo aver rinviato in toto ai fatti oggetto del procedimento penale, ha espressamente affermato che “l’elemento determinante che ha indotto l’Amministrazione a valutare l’irrimediabile lesione del rapporto fiduciario, è la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’operatore economico -OMISSIS-”.
In sostanza, il potere amministrativo esercitato per escludere la ricorrente dalla procedura impugnata, ha avuto ad oggetto le sole valutazioni espresse dal pubblico ministero nel procedimento penale, in ordine al rilievo dei fatti in quella sede evidenziati, che il Comune di Milano ha ritenuto di condividere, senza peraltro minimamente indicarne le motivazioni.
L’affermazione secondo cui “la rilevanza di tali fatti per l’Amministrazione è stata autonomamente valutata”, è meramente apodittica, non trovando infatti alcun riscontro nel testo del provvedimento impugnato, che non evidenzia alcuna attività istruttoria a ciò preordinata, né contiene una benché minima motivazione sul punto.
Come detto, il Comune di Milano si è invece limitato a prendere atto della richiesta di rinvio a giudizio a carico della ricorrente formulata dal p.m., ciò che risulta altresì comprovato dal contenuto della comunicazione ex art. 7 L. n. 241/90 inviata alla stessa, che evidenzia infatti la sola pendenza del procedimento penale.
Come sarà dimostrato dal puntuale esame del citato allegato al verbale, il Comune di Milano non ha proceduto ad alcuna autonoma valutazione dei fatti oggetto di detto procedimento, e delle relative fonti di prova, né del resto ne ha preso in esame ulteriori.
In particolare, non v’è traccia di alcuna valutazione dei fatti indicati nel procedimento penale che secondo il Comune avrebbero dato luogo ad un grave illecito professionale, mancando finanche la loro descrizione, così come degli elementi di prova ivi raccolti, non essendovi alcun riferimento alle risultanze delle annotazioni, intercettazioni telefoniche, verbali di interrogatorio, ecc., su cui è fondata la richiesta di rinvio a giudizio.
Parimenti, la stazione appaltante non ha proceduto neppure all’accertamento di fatti estranei al procedimento penale, ad esempio, mediante audizioni, ispezioni, esami documentali, ecc., aventi ad oggetto la procedura di appalto n. 67/2011, sospettata di essere stata illecitamente influenzata dall’amministratore dell’attuale ricorrente.
In conclusione, contrariamente a quanto sostenuto nel citato allegato al verbale di esclusione, il Comune di Milano non ha compiuto alcuna valutazione in sede amministrativa, che possa ritenersi autonoma dal procedimento penale, limitandosi invece a rinviare, tanto per l’individuazione dei fatti, che per la formulazione del giudizio sulla loro illiceità, a quanto ritenuto dal Pubblico Ministero nella richiesta di rinvio a giudizio.
IV.1) Nel dettaglio, secondo quanto evidenziato nell’allegato al verbale di esclusione, la richiesta di rinvio a giudizio della ricorrente ha avuto luogo per l’asserita violazione degli artt. 5 e 25 del D.Lgs. 8.6.2001 n. 231, “per non avere adeguatamente adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire la commissione di reati, consumati dai propri vertici, anche nell’interesse della società, con ciò traendo dalle condotte delittuose un ingiusto profitto”.
In tale procedimento penale, in cui il Comune di Milano si è costituito parte civile, al socio amministratore unico e direttore tecnico della società, sono stati contestati i reati di cui agli artt. 110, 319, 319 bis, 321 e 353 c. 1 c.p.
“Le motivazioni che hanno determinato questa Amministrazione ad avviare il procedimento (…) trovano fondamento nella valutazione dei fatti sottostanti la richiesta di rinvio a giudizio, riguardante la persona giuridica -OMISSIS-, quale soggetto giuridico autonomo, e come operatore economico partecipante a gare d’appalto”, senza tuttavia che gli stessi vengano minimamente indicati, né tantomeno autonomamente valutati, ribadendo semplicemente che “riguardano i comportamenti tenuti, tra gli altri, da -OMISSIS- Giovanni, all’epoca dei fatti socio, amministratore unico e direttore tecnico di -OMISSIS-”.
Anziché indicare quali fatti contestati alla persona giuridica ricorrente, ed al suo amministratore, nell’ambito del citato procedimento penale, avrebbero dato luogo ad un grave illecito professionale, e soprattutto, le relative ragioni, il verbale si limita ad affermare che “tali comportamenti riguardano gravi fattispecie di reato contro la Pubblica Amministrazione”, ciò che non è evidentemente una motivazione, quanto un dato di fatto.
Ulteriormente, il verbale prosegue evidenziando che “dalla richiesta di rinvio a giudizio risulta che i fatti contestati sono comprovati da diversi elementi probatori”, che tuttavia, anche in questo caso, non sono stati né indicati né autonomamente valutati dalla stazione appaltante, neppur sinteticamente.
La Commissione si è invece limitata a ribadire che “siamo in presenza di gravi delitti propri dell’attività imprenditoriale”, e che “i fatti descritti nella richiesta di rinvio a giudizio dimostrano l’esistenza di un sistema organizzato, finalizzato alla sistematica violazione della finalità pubblica che dovrebbe caratterizzare l’attività imprenditoriale”, anche in questo caso, fondando il proprio convincimento unicamente su quanto formulato dal pubblico ministero in sede penale.
Il verbale conclude affermando che non possa seriamente contestarsi “che il rapporto fiduciario tra la stazione appaltante e l’impresa aggiudicataria sia gravemente compromesso dai fatti oggetto della menzionata indagine penale”, tuttavia, ancora una volta, dimostrando che è quest’ultima in quanto tale, e nel suo complesso, ad essere considerata preclusiva alla partecipazione della ricorrente alla procedura di gara.
Nell’unico passaggio in cui la Commissione pare parzialmente esaminare elementi ulteriori rispetto alle risultanze della richiesta di rinvio a giudizio, afferma che “i fatti contestati riguardano vicende che hanno come protagonisti le medesime parti che agiscono” nella procedura impugnata, e che la “tipologia di lavori” nei due casi è pressoché identica, ciò che tuttavia, ad avviso del Collegio, non costituisce “mezzo adeguato” di prova di un illecito professionale, trattandosi piuttosto di un dato di fatto, in particolare, inidoneo a chiarire perché il Comune ritenga che “potrebbe plausibilmente (…) ripetersi quanto accaduto nel 2012”, cioè ben sei anni prima dell’adozione del provvedimento impugnato.
V) Pur comprendendo il disagio di un’Amministrazione che si trovi di fronte ad un aggiudicatario indagato in una vicenda penale che l’ha vista coinvolta, e dando atto che a fondamento dell’operato del Comune di Milano, vi sia l’intenzione di voler tutelare l’interesse pubblico, il Collegio non può tuttavia che annullare il provvedimento impugnato.
Come evidenziato nel precedente punto II), una richiesta di rinvio a giudizio non è certamente ostativa all’adozione di un provvedimento di esclusione da una gara d’appalto, non essendo infatti a tal fine necessario che il procedimento penale avviato a carico di un concorrente si sia concluso con una sentenza di condanna a suo carico. Tuttavia, una richiesta di rinvio a giudizio, sebbene per gravi reati, in assenza di un autonomo accertamento dei fatti idonei a configurare un grave illecito professionale da parte della stazione appaltante, e di una congrua motivazione sul punto, non può di per sé essere sufficiente a giustificare un provvedimento amministrativo di esclusione, spesso suscettibile di arrecare gravissimi pregiudizi all’operatore economico, e in taluni casi, la cessazione della sua attività.
In assenza di un’autonoma valutazione dei fatti posti a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio, a cui il provvedimento impugnato ha invece sostanzialmente rinviato, lo stesso deve essere annullato, avvallandosi in contrario il principio secondo cui, a fronte di un atto proveniente dal solo p.m., prima ancora che il g.i.p. si sia potuto pronunciare sulla sufficienza ed idoneità degli elementi acquisiti, e prima ancora di potersi difendere nel dibattimento dalle accuse rivoltegli, un operatore economico si vedrebbe preclusa la possibilità di partecipare alle gare d’appalto, ciò che violerebbe i principi fondamentali dell’ordinamento (artt. 27 c. 2 Cost. e 6 c. 2 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).
E’ certamente vero che, come evidenziato dalla difesa comunale e da Corte Giustizia C-124/17 cit., mentre nel processo penale deve essere raggiunta la prova piena degli elementi del reato contestato, un’amministrazione aggiudicatrice che intenda escludere un operatore economico, deve invece solo dimostrare i fatti che ne rendano dubbia l’integrità ed affidabilità. Come tuttavia indicato nel precedente punto III), il giudizio con cui una stazione appaltante accerti la sussistenza di un grave illecito professionale, non può essere incentrato su un automatismo, e pertanto, sulla mera sussistenza di una richiesta di rinvio a giudizio, richiedendo invece un’articolata ed autonoma motivazione.
In conclusione, ritiene il Collegio che il mero richiamo alla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero, posta a fondamento del provvedimento impugnato, in assenza di ulteriori ed autonome valutazioni da parte della stazione appaltante, non costituisca “mezzo adeguato” di prova della sussistenza di un grave illecito professionale di cui all’art. 80 c. 5 lett. c) cit., dovendosi pertanto accogliere il presente ricorso.
VI.1) Quanto sopra pare al Collegio in linea con le prime pronunce giurisprudenziali rese nella materia per cui è causa.
T.A.R. Toscana, Sez. I, 1.8.2017 n. 1011, ha accolto un ricorso avverso un provvedimento di esclusione per difetto di motivazione, essendo quest’ultimo incentrato unicamente sulla mancata contestazione in giudizio di una risoluzione contrattuale da parte della concorrente, che tuttavia negava di essersi resa inadempiente. In particolare, il T.A.R. Toscana ha ritenuto di non poter considerare consolidata la risoluzione contrattuale posta a fondamento del provvedimento impugnato, in difetto “di alcun accertamento giudiziale”.
T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 5.10.2018, n. 955, ha a sua volta accolto un ricorso avverso un’esclusione, a fronte di un difetto di motivazione del provvedimento impugnato, che si era limitato a richiamare un precedente inadempimento contrattuale, evidenziando la mancanza di un “percorso logico che ha condotto all'adozione del provvedimento qui gravato, lungi dallo svolgersi attraverso il compiuto accertamento in ordine alla presenza di elementi effettivamente, quanto concretamente, suscettibili di condurre all'espressione di un giudizio di non affidabilità”.
Nei casi sopra evidenziati, la giurisprudenza non ha pertanto ritenuto sufficiente il mero rinvio della stazione appaltante ad un fatto (precedente inadempimento contrattuale), richiedendone invece espressamente una sua valutazione autonoma.
A maggior ragione, nella fattispecie per cui è causa, in cui i fatti esterni a cui il provvedimento impugnato ha rinviato, sono oggetto di accertamento in un procedimento penale, avrebbero dovuto essere approfonditamente ed autonomamente valutati in sede amministrativa.
VI.2) In una fattispecie pressoché identica a quella per cui è causa, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 4.3.2019 n. 2771, ha infatti accolto un ricorso avverso l’esclusione da una gara d’appalto indetta dal Consiglio Superiore della Magistratura, disposta in considerazione della sussistenza di un procedimento penale per corruzione a carico dell’ex amministratore unico e legale rappresentante della concorrente.
In particolare, oltre a dare atto della pendenza del citato procedimento penale, il provvedimento impugnato si fondava sulla “esigenza del Consiglio di verificare l’affidabilità, complessivamente considerata, dell'operatore economico con cui andrà a contrarre per evitare, a tutela del buon andamento dell'azione amministrativa, che entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale; dato atto che i casi di gravi illeciti professionali sono elencati all'art. 80, c. 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016 e che, secondo la più recente e affermata giurisprudenza, detta elencazione è da ritenersi meramente esemplificativa; ritenuto pertanto che è facoltà dell'Amministrazione disporre l'esclusione in tutti i casi in cui è dubbia l'integrità e affidabilità del concorrente al di là delle tipizzazioni elencate dalla norma in questione”.
Analogamente al provvedimento impugnato nel presente giudizio, anche quello adottato dal C.S.M. era in sostanza incentrato sulla “gravità dei fatti contestati che, pur in pendenza di giudizio, rende dubbia l'integrità o l'affidabilità dei concorrenti”, ciò che non è stato tuttavia reputato sufficiente dal T.A.R. Lazio, secondo cui, “la motivazione, invero, per come formulata nel provvedimento, che fa generico riferimento alla gravità dei fatti contestati, si risolve nella applicazione di una sanzione automatica, riconnessa alla sola pendenza del giudizio per il reato di corruzione. Un simile automatismo, tuttavia, non è previsto dalla norma primaria e, anzi, si palesa contrario alla stessa ratio dell’art. 80 del Codice, che impone alla stazione appaltante un particolare rigore probatorio qualora intenda escludere un concorrente in presenza di una fattispecie non ricompresa tra quelle menzionate dalla norma di legge o dalle linee guida”.
VI.3) Né in contrario il Collegio ritiene che le pronunce invocate dalla difesa comunale ostino all’accoglimento del ricorso.
Se infatti è pur vero che T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 13.4.2018 n. 562, confermata da C.S., Sez. V, 27.2.2019 n. 1367, ha ritenuto legittimo un provvedimento di esclusione motivato con riferimento ad un rinvio “per relationem, sia ai gravi indizi di colpevolezza”, che “al pericolo di reiterazione del reato”, ciò ha tuttavia avuto luogo a fronte di un’ordinanza applicativa di una misura cautelare disposta dal giudice delle indagini preliminari, e non invece, come nel caso di specie, di una mera richiesta formulata dalla pubblica accusa.
Quanto a T.A.R. Lazio, Sez. II, 13.2.2019 n. 1931, ha affrontato una fattispecie in cui il g.i.p. aveva accolto la richiesta di giudizio immediato formulata dal p.m, ciò che, ai sensi dell’art. 453 c.p.p., presuppone che le prove a carico della persona sottoposta alle indagini siano ritenute “evidenti”, diversamente dal caso di specie, in cui la richiesta di rinvio a giudizio, oltre ad essere avanzata dal solo p.m., presuppone semplicemente la sussistenza di elementi sufficienti a sostenere l'accusa (nel caso sottoposto al T.A.R. Lazio, la gravità delle prove raccolte, aveva inoltre giustificato, pochi giorni prima dell’adozione del provvedimento impugnato, l’applicazione della sanzione interdittiva cautelare del divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione). La lettura di T.A.R. Lazio n. 1931/19 cit., pare in realtà confermare l’illegittimità del provvedimento in questa sede impugnato, atteso che, in quel caso, la stazione appaltante aveva espressamente richiamato specifici contenuti di taluni “verbali degli interrogatori”, ed in particolare, di uno riferito ad un proprio dipendente, indicando i fatti oggetto degli stessi, e ritenuti rilevanti ai fini della dimostrazione di un “grave illecito professionale”, diversamente da quanto avuto luogo nella fattispecie per cui è causa, in cui il Comune di Milano ha invece effettuato un rinvio generico ed omnicomprensivo alla richiesta di rinvio a giudizio.
Anche T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 8.1.2019 n. 21 e C.S., Sez. V, 20.3.2019 n. 1846 non paiono pertinenti, essendo entrambe riferite a fattispecie relative ad appalti secretati, disciplinate dall’art. 162 del D.Lgs. 50/2016, che deroga alla disciplina ordinaria, avendo infatti dette sentenze espressamente riconosciuto alle stazioni appaltanti la possibilità di valutare “ogni circostanza che possa incidere negativamente sulla corretta esecuzione dell’attività”, ciò che “supera necessariamente le cause di esclusione codificate nell’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016, e anche il livello di accertamento previsto da tale norma”.
Quanto infine a C.S., Sez. III, 12.12.2018 n. 7022, osserva il Collegio che, in primo luogo, in quel caso, la gravità degli elementi raccolti nel procedimento penale era stata confermata dal giudice nelle indagini preliminari, che aveva infatti accolto la richiesta di sequestro inoltrata dal p.m., diversamente da quello per cui è causa, come detto, incentrato sulla sola richiesta di rinvio a giudizio. Inoltre, nella fattispecie decisa da C.S., n. 7022/18 cit., “l’Amministrazione, nella motivazione del provvedimento di esclusione, ha dato conto non solo delle specifiche circostanze risultanti dal decreto di sequestro, ma anche dei profili per cui ha ritenuto rilevanti tali elementi”, ciò che non ha invece avuto luogo nel provvedimento oggetto del presente giudizio, che si è invece limitato ad un rinvio per relationem al procedimento penale. In ogni caso, la fattispecie sottoposta a C.S., n. 7022/18 cit. non è equiparabile a quella per cui è causa, essendo il provvedimento di esclusione ivi impugnato in realtà incentrato sulla mancata regolarità contributiva della ricorrente, che come detto, risultava altresì coinvolta in un procedimento penale, sul cui rilievo, il giudice di primo grado non si era peraltro neppure pronunciato, diversamente dal caso di specie, in cui la richiesta di rinvio a giudizio ne ha costituito l’unico presupposto.
VII.1) Nella propria memoria finale, il Comune di Milano evidenzia che, in ragione delle funzioni attribuitegli, lo stesso non disporrebbe di alcun potere di accertamento esercitabile nel caso in esame, trattandosi di appurare la dazione di denaro o altre utilità, dalla ricorrente a funzionari pubblici. In sostanza, a fronte degli “elementi di prova contenuti nel fascicolo del p.m.”, la stazione appaltante non avrebbe potuto procedere altrimenti da come ha concretamente avuto luogo, avendo conseguentemente “compiuto l’unica scelta possibile”.
Ritiene il Collegio che dette argomentazioni denotino l’erroneità dell’impostazione seguita dall’Amministrazione, dimostrando che l’esclusione impugnata è stata effettivamente disposta in assenza di un autonomo accertamento, avente ad oggetto condotte rilevanti in ambito professionale, ritenute gravemente illecite, quanto invece, sulle sole valutazioni espresse dal p.m., nella richiesta di rinvio a giudizio.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Milano, lo stesso non era infatti chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza delle accuse rivolte alla ricorrente in sede penale, quanto invece, come detto, ad accertare se quest’ultima avesse o meno commesso “gravi illeciti professionali”. A tal fine, la stazione appaltante avrebbe dovuto avviare un procedimento amministrativo, in cui esaminare i fatti oggetto di quello penale, oltreché eventualmente altri ad esso estranei, e le relative fonti di prova, provvedendo alla loro valutazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, eventualmente, anche in difformità da quanto ritenuto dal p.m., purché mediante congrua motivazione.
Ad esempio, l’insolita frequentazione tra funzionari comunali e i rappresentanti di un’impresa, ed i loro assidui contatti telefonici, al di fuori delle sedi istituzionali e degli orari di servizio, documentati nelle intercettazioni e pedinamenti effettuati in un procedimento penale, pur non essendo di per sé sufficienti a comprovare la commissione di alcun reato, potrebbero tuttavia, unitamente ad altri, costituire indici rilevatori di una scarsa integrità dell’operatore economico.
In particolare, anziché fondare il provvedimento impugnato sulla richiesta di rinvio a giudizio del p.m., quale unico “fatto” presupposto, in primo luogo, la stazione appaltante avrebbe dovuto accertare se e quali dei fatti confluiti nel procedimento penale, unitamente agli elementi di prova, fossero suscettibili a rivelare l’esistenza di un grave illecito professionale, specificamente segnalando gli stessi alla società ricorrente, ex art. 7 L. n. 241/90. In esito al procedimento amministrativo così avviato, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, il Comune di Milano avrebbe poi dovuto assumere il provvedimento finale, senza pertanto compiere alcun accertamento finalizzato a valutare la fondatezza delle accuse rivolte alla ricorrente in sede penale.
VII.2) Al contrario, nell’avviso inviato alla ricorrente, ex art. 7 L. n. 241/90, il Comune di Milano si è limitato a richiamare il procedimento penale, e a sua volta, nel provvedimento impugnato, non ha evidenziato alcun fatto diverso dalla richiesta di rinvio a giudizio, indicato quale unico presupposto.
Ulteriormente, né l’avviso di avvio del procedimento, né il provvedimento finale, hanno minimamente indicato le fonti di prova (interrogatori, intercettazioni, ecc.) raccolte in ambito penale, che in base all’autonomo apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, avrebbero potuto costituire “mezzi adeguati”, ai fini della dimostrazione di un grave illecito professionale commesso dalla ricorrente, malgrado il Comune abbia espressamente affermato in giudizio di aver potuto accedere “al fascicolo del P.M.” (V. prima memoria).
VII.3) La dimostrazione della mancanza di un’autonoma valutazione dei fatti asseritamente incidenti sulla moralità professionale, e delle relative fonti di prova, e prima ancora, della loro omessa indicazione, nel provvedimento impugnato, trova un’ulteriore conferma nella memoria finale del Comune in cui, sebbene sommariamente, ne sono invece evidenziati alcuni, affermandosi infatti che sarebbe stato l’amministratore della società ricorrente a contattare il Direttore del Settore Tecnico Scuole del Comune, e non il contrario, e che in virtù di ciò, “solo in un secondo momento”, quest’ultimo avrebbe acquisito il ruolo di R.U.P. nell’appalto oggetto del procedimento penale.
Per giurisprudenza consolidata, la motivazione del provvedimento amministrativo non può tuttavia essere integrata nel corso del giudizio, con la specificazione di elementi di fatto, dovendo precedere e non seguire ogni provvedimento, da cui consegue, a tutela del buon andamento e dell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario, l'illegittimità della motivazione postuma (C.S., Sez. VI, 8.9.2017, n. 4253).
VII.4) Infine, il Collegio dissente anche da un’ulteriore affermazione della resistente, contenuta nella sua memoria finale, secondo cui i fatti sarebbero “rimasti incontestati”, e non smentiti dalla ricorrente.
Per giurisprudenza costante, “è la stazione appaltante ad essere gravata dell’onere di dimostrare l’inaffidabilità del concorrente, e non quest’ultimo a dover dimostrare la propria affidabilità” (T.A.R. Toscana, n. 1011/17 cit.). L’aver posto a fondamento dell’avviso di avvio del procedimento, e del provvedimento finale, una mera richiesta proveniente dalla pubblica accusa, e non specifiche condotte della ricorrente comprovanti la commissione di un grave illecito professionale, non consente perciò di considerare provati i relativi fatti.
Come documentato dalla stessa resistente, alcuni degli imputati nella vicenda penale che ha coinvolto la ricorrente, hanno ammesso le loro responsabilità, e risarcito il Comune di Milano, tra cui non figura tuttavia l’istante, che si ritiene al contrario vittima di concussione, perpetrata in suo danno dai funzionari pubblici, negando di aver ricevuto alcun indebito vantaggio, ciò che tenterà di dimostrare nel corso del dibattimento, e che non può pertanto ritenersi incontestato.
VIII.1) Anche se le vicende che hanno dato luogo al procedimento penale, nella loro oggettività, coincidono con quelle poste a fondamento dell’esclusione impugnata, il richiedere al Comune di pronunciarsi autonomamente sui relativi fatti, malgrado il pubblico ministero li abbia ritenuti idonei a sostenere l’accusa nel processo penale, non è un inutile formalismo, quanto invece, un’ineludibile garanzia a tutela degli interessi legittimi del privato.
Un procedimento amministrativo, non può infatti consistere nello svolgimento di un’attività difensiva rispetto alle accuse ipotizzate in una richiesta di rinvio a giudizio, né il provvedimento finale può avere ad oggetto la conferma di tale atto, ciò che ha invece sostanzialmente avuto luogo nel caso di specie.
Come detto, l’allegato al verbale di esclusione, richiamata la valutazione dei fatti ascritti alla ricorrente da parte del pubblico ministero, ne ha desunto l’irrimediabile compromissione del rapporto fiduciario, ritenendo pertanto sostanzialmente superfluo effettuare ulteriori accertamenti.
Le condotte contestate alla ricorrente, ai fini della loro rilevanza nell’ambito di una selezione per l’affidamento di un appalto pubblico, dovevano invece essere valutate in un procedimento amministrativo, disciplinato da regole procedimentali e sostanziali, che ne scandiscono le modalità di svolgimento, in ossequio al principio di legalità (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 6.4.2016, n. 650).
L’aver adottato il provvedimento impugnato sulla base del mero rinvio alle richieste del pubblico ministero, preclude inoltre alla ricorrente la tutela giurisdizionale dei propri interessi legittimi, non potendo infatti il Collegio pronunciarsi sulla legittimità di valutazioni che il Comune non ha effettuato, sostanzialmente rinunciando ad esercitare il suo potere discrezionale, né ovviamente, sindacare quelle formulate nel rinvio a giudizio.
VIII.2) Conseguentemente, oltreché in relazione alla motivazione, il provvedimento impugnato risulta viziato anche sotto l’ulteriore profilo del difetto di istruttoria.
Il Comune di Milano ha infatti comunicato alla ricorrente l’avviso di avvio del procedimento, ex art. 7 L. n. 241/90, richiamando unicamente l’udienza preliminare tenutasi presso il Tribunale di Milano, nell’ambito del procedimento penale, ed evidenziando espressamente che “la circostanza sopradescritta può integrare la previsione di cui all’art. 80 c. 5 lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016”.
Quanto precede, oltre a confermare, ulteriormente e definitivamente, che a fondamento del provvedimento impugnato vi sono solo e soltanto le risultanze del procedimento penale, dimostra inoltre che l’attività istruttoria è stata illegittimamente circoscritta ad un unico oggetto, trattandosi infatti del solo elemento comunicato alla ricorrente, e su cui la stazione appaltante ha richiesto il suo apporto partecipativo.
Al contrario, l’Amministrazione avrebbe dovuto far confluire nel procedimento elementi ulteriori rispetto alla mera richiesta di rinvio a giudizio, come evidenziati nel precedente punto VII.1 e nel successivo, rappresentandoli alla ricorrente, e valutandone i relativi apporti.
IX) Infine, anche in un’ottica conformativa, il Collegio intende dare atto di alcune valutazioni ulteriori, rispetto a quelle aventi strettamente ad oggetto i fatti dedotti in sede penale, che il Comune di Milano avrebbe dovuto effettuare, nel procedimento amministrativo preordinato all’emanazione del provvedimento impugnato.
In particolare, la stazione appaltante avrebbe dovuto ponderare le ragioni che l’hanno indotta, a distanza di sei anni, a “plausibilmente temere il ripetersi di quanto accaduto” nella procedura oggetto dell’inchiesta penale, e ciò che in realtà è emerso in tale sede, in cui detto pericolo non è stato invece ravvisato. Parimenti, il Comune di Milano avrebbe dovuto verificare se talune circostanze sopravvenute, rispetto ai fatti oggetto del procedimento penale, fossero o meno idonee ad incidere sul predetto rischio di recidiva.
Premesso infatti che, anche a fronte di una sentenza passata in giudicato, che abbia accertato la commissione di gravi reati, l’operatore economico può essere escluso dalle gare d’appalto solo per un periodo determinato (ex art. 80 c. 10 D.Lgs. n. 50/2016), e pur avendo il provvedimento impugnato affermato che la ricorrente “non ha fatto nulla per marcare una discontinuità rispetto ai comportamenti avuti all’epoca dei fatti”, lo stesso non ha tuttavia minimamente considerato che il D.Lgs. 231/2001, della cui violazione l’istante era accusata, laddove vi siano “fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede”, prevede l’adozione di misure cautelari, tra cui, “il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione” (art. 45). A tal fine, il pubblico ministero deve presentare al giudice “gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi quelli a favore dell'ente”, ciò che non ha tuttavia avuto luogo nel caso di specie.
Malgrado nel procedimento penale avviato a carico della ricorrente, e posto a fondamento dell’esclusione impugnata, non fosse emerso alcun pericolo attuale di reiterazione degli illeciti, come detto, il provvedimento impugnato lo ha invece ritenuto sussistente, senza tuttavia minimamente considerare che ciò era stato implicitamente escluso dal p.m., che non aveva infatti richiesto al giudice l’adozione delle misure cautelari di cui all’art. 45 cit.
Ulteriormente, dopo aver dato atto che i dipendenti comunali accusati di aver agito in concorso con la società ricorrente sono stati sospesi, il Comune di Milano non ha valutato l’eventuale impatto di tale circostanza sul pericolo di reiterazione di reati analoghi a quelli contestati, ad esempio, considerando l’apporto di tali funzionari alla creazione del “sistema organizzato finalizzato alla sistematica violazione delle finalità pubblica”, citato nel provvedimento impugnato.
In conclusione, il ricorso va pertanto accolto, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Quanto alla domanda risarcitoria, sebbene formalmente proposta, la stessa non è stata tuttavia minimamente articolata, essendo pertanto allo stato inammissibile.
Le spese di lite, attesa la novità delle questioni sottoposte, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati, nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate, salvo il rimborso del contributo unificato in favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la ricorrente ed il suo ex amministratore.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Mauro Gatti, Presidente, Estensore
Fabrizio Fornataro, Consigliere
Rocco Vampa, Referendario