estratto da "Il Decreto Sblocca Cantieri. Commento organico al Decreto Legge n. 32 del 18 aprile 2019, convertito con Legge n. 55 del 14 giugno 2019", in corso di pubblicazione

editoriale

Il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (nuovo Codice dei Contratti Pubblici), ultimo approdo dell’evoluzione della contrattualistica pubblica italiana, con la conversione in legge del (pari data) d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. decreto Sblocca-cantieri) ha ormai scollinato il suo terzo tagliando annuale.

Nei suoi primi tre anni di vita, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici ha dato luogo a molte incertezze applicative, facilmente spiegabili se si pensa che il nuovo Codice aveva (originariamente) sancito (almeno) cinque cambiamenti di prospettiva:

(i) il passaggio da gare formali, in cui si premiava l’offerta confezionata meglio, a gare sostanziali in cui avrebbe dovuto vincere l’offerta migliore;

(ii) il passaggio da criteri meramente economicistici, che privilegiavano i prezzi più bassi (e in qualche caso aggressivi), ad approcci qualitativi sedotti dall’utilità sostanziale e dalla sostenibilità effettiva dell’offerta;

(iii) il passaggio da una platea sterminata di micro-stazioni appaltanti (forse tecnicamente inadeguate) a una platea ristretta di centrali di committenza, capaci di gestire procedure complesse con l'ipotizzato 'faro' della professionalità e della tecnica;

(iv) il passaggio da un’Autorità di vigilanza con poteri assai limitati a all'attuale ANAC che avrebbe assommato, in maniera collaborativa e sinergica, poteri di regolazione, di vigilanza, di sanzione e di consulenza;

(v) il passaggio da gare che proseguivano sotto la scure di contenziosi futuri a gare in cui sarebbe stato necessario proporre immediatamente ricorso avverso le esclusioni e le ammissioni, con conseguente (auspicabile) definizione immediata del coacervo degli operatori economici partecipanti.

Ce n'era abbastanza per parlare di rivoluzione, anche se di carta.

Sennonché, l'allora Presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, ci ha insegnato che le rivoluzioni normative iniziano il giorno dopo l'entrata in vigore della legge, quando la leggerezza delle parole cede il passo all'inesorabile pesantezza dei fatti.

La quotidianità post-rivoluzionaria ha fotografato uno shock degli operatori del settore, causato dalla difficoltà di assimilare e metabolizzare un cambiamento di paradigma così profondo (e così repentino nell'entrata in vigore), che a propria volta ha provocato quella contrazione del mercato delle commesse pubbliche che i mezzi di comunicazione non hanno mancato di amplificare.

Sul punto, per amor di verità, occorre muovere qualche precisazione.

È senz’altro vero che – nell’immediato – l’entrata in vigore della nuova disciplina ha cagionato una contrazione delle procedure di gara bandite e del loro importo complessivo.

Tale fenomeno, tuttavia, può considerarsi fisiologico durante la fase di transizione da una disciplina ad un’altra, con la naturale dose di incertezza normativa che ogni riforma, ai suoi albori, non può non comportare.

 

In ogni caso, il repentino rallentamento del mercato ha ben presto spinto il legislatore a provvedere al primo tagliando della nuova riforma, tramite il ‘correttivo’ rappresentato dal d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56.

In tale occasione il legislatore non si è limitato all’ordinaria manutenzione, ma è intervenuto in modo sostanziale sul testo codicistico originario, modificandone ulteriormente l’impostazione e la struttura senza tuttavia intaccarne le scelte di fondo.

Sebbene molti errori della prima ora siano stati emendati, l’incertezza applicativa è continuata, specialmente in ragione (i) di una disciplina primaria non sempre di agevole lettura e assorbimento; nonché (ii) dei fisiologici ritardi registrati nel completamento del nuovo corpus normativo con la prevista regolamentazione secondaria e di soft law.

 

Nel secondo anno dall’entrata in vigore del Codice, i Tar e il Consiglio di Stato hanno cercato di mettere a regime il nuovo sistema, avviando una fondamentale attività di sedimentazione delle norme attraverso la maturazione di linee interpretative condivise tra le varie corti e una rilevante applicazione del principio dello stare decisis da parte dell’Adunanza Plenaria di Palazzo Spada.

Volendo utilizzare un brocardo latino per descrivere l’apprezzabile linea di tendenza assunta dalla giustizia amministrativa si potrebbe affermare: Quieta non movere et mota quietare.

Del resto, una norma può anche non essere in sé una buona norma, ma qualora sia in grado di divenire una norma stabile - anche grazie alle costanti interpretazioni giurisprudenziali - potrebbe ugualmente riuscire a sedimentare quelle prassi fisiologiche standard (che tanto danno sicurezza agli operatori del settore) e quel conseguente ‘circolo applicativo virtuoso’ che solo un quadro positivo stabile e saldo nel tempo può garantire: in altri termini, a divenire per ciò stesso una norma buona.

La giurisprudenza amministrativa, con apprezzabile lungimiranza, è stata capace di intercettare le esigenze di un sistema che chiedeva solamente stabilità per potersi rimettere in carreggiata e si è così fatta carico del secondo tagliando al d.lgs. n. 50/2016.

L'intervento stabilizzatore del giudice amministrativo ha sortito visibili effetti benefici sul mercato delle commesse pubbliche. Dopo il primo burrascoso periodo post-riforma, hanno iniziato a fare capolino i primi segnali di ripresa.

Già il Primo Rapporto Quadrimestrale 2018 dell’ANAC, relativo al periodo gennaio 2018 – aprile 2018, fotografava una realtà dei fatti non coincidente con le percezioni maggiormente diffuse nel Paese, evidenziando una crescita del 6,9% in relazione ai CIG perfezionati e - soprattutto - una crescita del 41% in relazione all’importo complessivo delle procedure bandite. Il Secondo Rapporto Quadrimestrale 2018 ha confermato il medesimo trend con riferimento al periodo maggio 2018 – agosto 2018, in cui si è registrata un’espansione del mercato interno dei contratti pubblici pari al 23,1%, per un importo di oltre 10 miliardi di euro. Nel terzo e ultimo quadrimestre del 2018, sebbene si sia registrata una improvvisa frenata dal punto di vista dell'importo globale (un -21,4% dovuto soprattutto ai numerosi e corposi appalti di forniture banditi dai soggetti aggregatori e dalle centrali di committenza nel corrispondente periodo dell'anno precedente), è continuata la crescita quantitativa delle procedure bandite (+4,8%).

Malgrado i risultati contraddittori dell’ultimo quadrimestre, il complessivo mercato degli appalti dell'anno 2018 ha comunque fatto registrare un risultato migliore del 2017, con una crescita di oltre 7 miliardi (+5,3%).

Questi numeri testimoniano che la ripresa del mercato, dopo una riforma 'totale' come quella del 2016, non può che essere direttamente proporzionale alla stabilizzazione del panorama normativo.

 

Sennonché, dopo le ultime elezioni politiche, il banco è passato di mano e il nuovo Governo - sin da subito - ha annunciato di voler realizzare un intervento semplificatore della disciplina dei contratti pubblici, finalizzato a coniugare le esigenze di legalità con le istanze di certezza del diritto e di snellimento procedurale.

Allo stato, risulta ancora difficile prendere pienamente coscienza degli errori commessi in vigenza del vecchio Codice del 2006, che ha manifestato – nel tempo - un duplice limite:

(i) per un verso, un’assoluta instabilità della disciplina dovuta a centinaia di interventi di modifica che si sono succeduti nei passati due lustri e nelle precedenti quattro legislature, terremotando continuamente il quadro normativo di riferimento;

(ii) per un altro verso, un’eccessiva regolamentazione - non richiesta dagli standard comunitari - che ha imbrigliato negativamente il sistema degli appalti e, in molti casi, agevolato sacche di illegalità e di inefficienza amministrativa.

Orbene, non può non ribadirsi che il legittimo desiderio di tendere alla norma perfetta – attraverso continui e ripetuti affinamenti normativi – non deve (o quantomeno non dovrebbe) tramutarsi in un’inarrestabile ricerca del Graal.

Se questo è l’ammonimento che si ricava dalla storiografia normativa degli ultimi due/tre lustri, non può non ribadirsi che una norma è buona se è in grado di divenire stabile: ossia se è in grado di garantire – con l’interpretazione fornitane a livello pretorio - la stabilità della disciplina, la metabolizzazione delle procedure da parte di coloro che devono gestirle e di coloro che devono prendervi parte, nonché la conseguente formazione di quelle fisiologiche prassi standardizzate che ne agevolino l’implementazione.

Sotto diverso quanto connesso profilo, inoltre una normativa stabile nel settore della contrattualistica pubblica rappresenta il primo fronte per un’efficace lotta a quei fenomeni corruttivi che troppe volte hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il settore: dove vi è chiarezza circa le modalità applicative, è difficile per il corrotto e il corruttore trovare gli angoli bui in cui celare un malaffare.

 

In tale contesto, dopo un minimale intervento riformatore abbozzato alla fine dello scorso anno (d.l. 14 dicembre 2018, n. 135), con il citato decreto Sblocca-cantieri è stato portato a termine quello che può essere considerato a tutti gli effetti come il terzo tagliando al Codice 2016.

Il nuovo legislatore ha ritenuto di intervenire in profondità sulla disciplina della contrattualistica pubblica.

Alcuni interventi recano modifiche di mero dettaglio; altri segnano un vero e proprio cambiamento di rotta rispetto alla strada intrapresa dal legislatore del d.lgs. n. 50/2016.

A livello sostanziale, le modifiche più incisive riguardano: (i) la disciplina del subappalto; (ii) le modalità di affidamento dei contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria; (iii) i margini di manovra dei piccoli comuni per l’indizione autonoma di procedure di gara.

Nel primo caso (subappalto), il decreto Sblocca-cantieri non ha sconfessato del tutto, ma ha comunque attenuato l'impostazione rigoristica delineata dalla legislazione previgente, assecondando (invero, solo parzialmente) i rilievi della Commissione europea che auspicavano una maggiore liberalizzazione dell'istituto.

Nel secondo caso (contratti sotto-soglia), il legislatore ha alzato le soglie di importo che consentono gli affidamenti diretti.

Nel terzo caso (centrali di committenza), il decreto Sblocca-cantieri ha sospeso temporaneamente l’obbligo per i comuni non capoluogo di provincia di ricorrere a centrali di committenza e soggetti aggregatori. 

È, dunque, ragionevole paragonare questi interventi a più o meno parziali giri di vite in senso opposto a quello verso cui il legislatore 2016 aveva stretto i confini di questi ambiti della materia. La ratio ispiratrice - appunto quella di allentare qualche vincolo giudicato troppo penalizzante per le imprese (nel caso del subappalto) o per le amministrazioni (nel caso delle modalità di affidamento dei contratti sottosoglia e dei margini di manovra nell’indizione di gare dei piccoli comuni) - è senz'altro condivisibile.

Il bilancio, tuttavia, potrà essere accertato come positivo solamente se le esigenze di semplificazione saranno soddisfatte senza sacrificare eccessivamente quelle di legalità.

Un’ulteriore novella avente natura sostanziale è quella con cui il legislatore ha inteso rivalutare il criterio del minor prezzo, ormai reietto, restituendogli pari dignità rispetto all’offerta economicamente più vantaggiosa, seppur limitatamente ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria. Sul punto, occorre comunque auspicare che il descritto intervento non provochi ricadute negative sulla qualità degli acquisti delle pubbliche amministrazioni.

A livello processuale, il decreto Sblocca-cantieri ha abrogato il rito c.d. super-accelerato che il d.lgs. n. 50/2016 aveva introdotto per cristallizzare la cerchia degli ammessi alle gare pubbliche in un momento antecedente l’aggiudicazione. Questa scelta del legislatore è stata accolta con manifestazioni di (quasi) 'giubilo' dai molti che sostenevano l’incostituzionalità dell'abrogato rito processuale, peraltro con ragioni non trascurabili; tuttavia, sarebbe stato forse più opportuno attendere che fosse la Corte costituzionale - già adita a questo proposito - a pronunciarsi, così bilanciando la pluralità di argomentazioni e di interessi tra loro confliggenti.

A livello ordinamentale, la novità più rilevante è, infine, rappresentata dal ridimensionamento (e non già dallo smantellamento, come era stato paventato da più parti) del neo-introdotto sistema di regolazione flessibile concepito dal d.lgs. n. 50/2016 per superare la rigidità del vecchio regolamento unico di attuazione di cui al d.P.R. n. 207/2010.

La novella in esame deve essere valutata positivamente in quanto restituisce al sistema certezze, stabilità e unitarietà, ma senza svuotare le competenze regolatorie dell'ANAC e senza accantonare del tutto l'esperienza della soft law, che rispetto alla classica fonte regolamentare presenta ovvi maggiori margini di flessibilità e di adattamento al dinamismo della realtà del mercato delle commesse e delle opere pubbliche.

Tirando le somme, il decreto Sblocca-cantieri ha tracciato un deciso revirement rispetto a quattro dei cinque cambiamenti di prospettiva originariamente sanciti dal d.lgs. n. 50/2016 e sopra elencati.

Dal giro di vite (i) sulle stazioni appaltanti piccole e non qualificate, (ii) sul criterio del minor prezzo, (iii) sulle gare che si svolgevano sotto la scure di contenziosi futuri e (iv) sulla rigidità del vecchio regolamento unico di attuazione, l’inversione di marcia è stata evidente, con (i) la reintrodotta possibilità per i piccoli comuni di bandire gare in autonomia, (ii) la ritrovata pari dignità del prezzo più basso rispetto all’offerta economicamente più vantaggiosa nelle procedure sottosoglia, (iii) l’abrogazione del rito super-accelerato e (iv) il ridimensionamento del sistema di regolazione flessibile.

 

Formulare un giudizio compiuto sulle novelle introdotte sarebbe prematuro: luci e ombre si alternano nell’ennesima rivoluzione (o quasi rivoluzione) della contrattualistica pubblica italiana.

Ad ogni buon conto, occorre anche domandarsi se sia davvero corretto parlare di nuova rivoluzione oppure se sia più appropriato definirla una restaurazione: sotto molti aspetti il legislatore sembra aver riportato le lancette a prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016.

Sennonché, non può tacersi che alcune novelle recano il bollino della temporaneità, essendosi limitate a sospendere fino al 31 dicembre 2020 (anziché ad abrogare) talune disposizioni codicistiche. Forse, quindi, ancora meglio sarebbe parlare di una riforma della riforma, in attesa che il legislatore rompa gli indugi e decida se proseguire (magari con qualche aggiustamento) nel solco tracciato dal d.lgs. n. 50/2016, oppure dirigersi verso nuovi (e forse ancora inesplorati) lidi.

Insomma, nel libro della contrattualistica pubblica italiana il finale deve essere ancora scritto.

Noi studiosi della materia, per professione e per diletto, nelle pieghe delle pagine già (troppo?) dense di inchiostro ci limitiamo a sottolineare qualche postilla: una normativa troppo instabile allontana gli investimenti e rallenta il mercato; una disciplina eccessivamente complessa appesantisce l’attività degli operatori del settore; procedure elefantiache agevolano pratiche corruttive.

Solamente muovendo da questi presupposti il finale che fluirà dalla penna del legislatore potrà davvero essere un lieto fine.