Consiglio di Stato, sez. III, 16 aprile 2019, n. 2493
La natura di “consorzio stabile” di un concorrente ad una gara pubblica deve essere accertata sulla scorta di una ricostruzione sostanzialistica dei suoi tratti identificativi, così come delineati dall’art. 45, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, mediante l’attribuzione di un rilievo discriminante all’esistenza di una “autonoma struttura di impresa”, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le prestazioni previste nel contratto. Essendo, al contrario, irrilevante, ai fini della nozione di consorzio stabile, l'assenza nell’atto costitutivo di espresse indicazioni nominalistiche della sua natura così come di formali manifestazioni di volontà delle imprese consorziate dirette alla costituzione di un consorzio stabile.
I giudici del Consiglio di Stato, nel riformare la decisione del T.A.R. Lombardia (Sezione Quarta) n. 262/2019, con la quale veniva stabilito che il consorzio concorrente non potesse avvalersi dei requisiti di partecipazione delle consorziate (criterio del cumulo alla rinfusa), hanno preliminarmente rammentato che la qualificazione di “consorzio stabile” deve essere accertata sulla scorta di una ricostruzione sostanzialistica dei suoi tratti identificativi, così come delineati dall’art. 45, comma 2, lettera c), D.Lgs. n. 50/2016. Ne consegue l’irrilevanza dell’assenza, nell’atto costitutivo del consorzio, di espresse indicazioni nominalistiche della sua natura così come di formali manifestazioni di volontà delle imprese consorziate dirette alla costituzione di un consorzio stabile (cfr. Cons. St., sez. V, n. 5152 del 6 dicembre 2016).
In particolare, per affermare la sussistenza di un consorzio stabile sono necessari i requisiti previsti dal modello organizzativo dello schema normativo di riferimento, tra cui: 1) il requisito numerico (“formati da non meno di tre consorziati”); 2) temporale (“per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni”), essendo stabilita dall’atto costitutivo la durata di 25 anni; 3) teleologico (“abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”); e 4) strutturale (“istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”).
Quanto all’elemento teleologico, esso concerne “l’astratta idoneità del consorzio, esplicitamente consacrata nello statuto consortile, di operare con un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le prestazioni previste nel contratto” (ex plurimis, Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2019, n. 865; Cons. St., sez. V, 23 agosto 2018, n. 5036).
Per quanto concerne l’elemento strutturale, assume rilievo discriminante la presenza di un “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, secondo la nozione civilistica di “azienda”.
Ed invero, da un punto di vista ermeneutico, ciò che rileva in termini di connotazione dell’impresa non è la disponibilità materiale dei mezzi e delle attrezzature necessarie allo svolgimento dell’attività produttiva, quanto piuttosto la disponibilità giuridica degli stessi, recepita come quel complesso di rapporti giuridici, tali da consentire all’imprenditore di poter disporre dei mezzi necessari all’esercizio dell’impresa, nonché la capacità dell’imprenditore medesimo di organizzarli in modo da asservirli ad una nuova funzione produttiva, diversa da quella delle imprese da cui quei mezzi siano eventualmente “prestati”; circostanza quest’ultima non riscontrabile qualora il consorzio operi ricorrendo all’ausilio della struttura imprenditoriale delle imprese consorziate, replicandone la funzione produttiva, ma non nell’ipotesi in cui esso attinga al patrimonio di queste ultime ai fini della costituzione di un nuovo assetto produttivo, di cui esso abbia la diretta responsabilità organizzativa.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1266 del 2019, proposto da
Società Zephyro s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Villata, Andreina Degli Esposti e Maria Alessandra Bazzani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Riccardo Villata in Roma, via G. Caccini n. 1;
contro
Tecnologie Sanitarie s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Valentino Vulpetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Sabotino n. 2/A;
nei confronti
Consorzio Mediterraneo – Co.Med, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Nilo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gian Marco Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;
Azienda Regionale Centrale Acquisti - ARCA s.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 00262/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Tecnologie Sanitarie s.p.a. e di Consorzio Mediterraneo – Co.Med.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2019 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli Avvocati Riccardo Villata, Valentino Vulpetti e Luigi Nilo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza appellata, il T.A.R. Lombardia si è pronunciato sul ricorso proposto, ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a., dalla società Tecnologie Sanitarie s.p.a. avverso la determina ARCA s.p.a. (centrale di committenza della Regione Lombardia) n. 2018.0009312 dell’11 luglio 2018, concernente l’ammissione degli operatori economici partecipanti alla “gara per l’affidamento del servizio di gestione e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali” a favore degli Enti del Servizio Sanitario Regionale della Lombardia, articolata in 9 lotti: ricorso rivolto, in particolare, alla contestazione dell’ammissione alla gara, relativamente ai lotti da 1, 2, 6 e 9, del RTI Consorzio Mediterraneo - Zephyro s.p.a..
Con la medesima sentenza, il T.A.R. Lombardia si è pronunciato sui motivi aggiunti proposti dalla società ricorrente avverso i verbali n. 5 del 4 ottobre 2018 e n. 6 del 26 ottobre 2018, con i quali la commissione, all’esito del riesame, ha confermato l’ammissione alla gara del RTI controinteressato, nonché sul ricorso incidentale proposto da Zephyro s.p.a. (mandante del medesimo RTI) avverso il provvedimento impugnato principaliter, nella parte in cui ammetteva Tecnologie Sanitarie s.p.a. al prosieguo della procedura.
Il T.A.R. ha preliminarmente dichiarato l’irricevibilità del ricorso incidentale proposto da Zephyro s.p.a., sul presupposto che il dies a quo per la proposizione dello stesso, nell’ambito del rito “super-accelerato” di cui al comma 2 bis dell’articolo 120 c.p.a., doveva farsi coincidere con la pubblicazione del provvedimento di ammissione incidentalmente impugnato.
Quanto invece al ricorso principale, il T.A.R. lo ha dichiarato improcedibile, evidenziando che il provvedimento di ammissione alla gara impugnato aveva costituito oggetto del provvedimento di conferma gravato con il ricorso per motivi aggiunti.
Infine, il T.A.R. ha accolto questi ultimi, ravvisando la fondatezza della censura con la quale veniva dedotta l’inesistenza di una autonoma struttura aziendale in capo al Co.Med., distinta da quella delle imprese consorziate, con la conseguente preclusione alla possibilità per lo stesso di qualificarsi come un consorzio stabile e, quindi, di avvalersi dei requisiti di partecipazione delle consorziate secondo il criterio del cd. cumulo alla rinfusa, e di quella con la quale veniva dedotto che, per effetto dell’atto di cessione del ramo di azienda del 29 luglio 2016 a favore di Biomedicale s.r.l., la società Zephyro s.p.a. aveva dismesso anche i requisiti di qualificazione maturati con lo svolgimento delle pregresse commesse.
2. Con l’appello in esame, la società Zephyro s.p.a. contesta la sentenza suindicata, sia relativamente alla statuizione di irricevibilità del ricorso incidentale da essa proposto in primo grado, sia nella parte in cui ha accolto alcuni dei motivi aggiunti articolati dalla originaria ricorrente Tecnologie Sanitarie s.p.a..
Con memoria del 15 marzo 2019, Tecnologie Sanitarie s.p.a. ha anche riproposto, ex art. 101, comma 2, c.p.a., alcuni dei motivi aggiunti proposti in primo e grado ed assorbiti dal T.A.R..
Si è costituito nel giudizio di appello anche il Co.Med, il quale ha criticato la sentenza appellata, in particolare, nella parte in cui ha ravvisato la carenza in capo allo stesso dei requisiti necessari per essere qualificato come “consorzio stabile”, e replicato ai motivi aggiunti riproposti in grado di appello da Tecnologie Sanitarie s.p.a..
In data 29 marzo 2018 Tecnologie Sanitarie s.p.a. ha prodotto la determina ARCA n. 115 del 13.2.2019, con la quale ha disposto di “annullare, relativamente alla procedura denominata “ARCA_2017_006 Gara per l’affidamento del servizio di gestione e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali”, l’ammissione alle successive fasi di gara dell’operatore economico Consorzio Mediterraneo e Zephyro s.p.a. (Raggruppamento temporaneo di imprese costituendo) per tutti i lotti per cui concorre e precisamente i lotti nn. 1, 2, 6 e 9 in quanto lo stesso non risulta soddisfare le caratteristiche di consorzio stabile e non è in possesso del requisito di capacità tecnico finanziaria non avendo fornito evidenza della cessione del ramo di azienda di Zephyro S.p.A. a Biomedicale s.r.l. e con esso tutte le qualificazioni possedute”.
La società appellata ha altresì prodotto il ricorso ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a. proposto da Zephyro s.p.a. avverso il provvedimento sopravvenuto suindicato.
3. Ebbene, muovendo da tale ultima sopravvenienza provvedimentale, deve ritenersi che la stessa non sia idonea a determinare, come eccepito da Tecnologie Sanitarie s.p.a., l’improcedibilità dell’appello, non emergendo la sua autonomia motivazionale e dispositiva rispetto alla sentenza appellata, da cui appare anzi, per la perfetta simmetria ravvisabile tra la stessa e la motivazione della medesima sentenza, dipendere geneticamente.
4. Mediante l’atto di appello, la società Zephyro s.p.a. contesta in primo luogo la statuizione di inammissibilità del ricorso incidentale da essa proposto in primo grado, al fine di paralizzare (mediante la sanzione della inammissibilità) il ricorso principale proposto da Tecnologie Sanitarie s.r.l. avverso la sua ammissione alla gara de qua.
Premesso che il T.A.R. ha fatto discendere l’impugnata statuizione di irricevibilità dal mancato rispetto del termine per la proposizione del ricorso incidentale, fissandone la decorrenza in coincidenza con la pubblicazione sul profilo del committente del provvedimento di ammissione della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 29 d.lvo n. 50/2016, e che il motivo di appello all’uopo formulato si prefigge di dimostrare che il dies a quo deve essere invece fissato secondo la prescrizione di cui all’art. 42, comma 1, c.p.a., è sufficiente richiamare, al fine di accogliere in parte qua la domanda di riforma della sentenza appellata, l’orientamento di questa Sezione, sintetizzato nella formula motivazionale della sentenza n. 5182 del 10 novembre 2017, secondo cui “deve ritenersi preferibile ricondurre il ricorso incidentale, anche nel contesto del rito disciplinato dall’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., al regime decadenziale previsto dall’art. 42, comma 1 c.p.a.”.
Quanto al merito dei motivi dell’originario ricorso incidentale, riproposti con il presente appello principale, viene preliminarmente in rilievo quello inteso a sostenere che Tecnologie Sanitarie s.r.l., nella partecipazione (in forma singola o collettiva) alla gara, avrebbe posto in essere un comportamento elusivo dell’art. 5.2. del disciplinare di gara, laddove stabilisce che “ciascun operatore economico, nel rispetto della forma di partecipazione con cui concorre alla procedura non potrà risultare aggiudicatario per più di quattro lotti”: ciò in quanto essa ha presentato offerta:
- per quattro lotti (1, 2, 3 e 8), in qualità di mandataria nel RTI costituendo con HC Hospital Consulting s.p.a.;
- per altri quattro lotti (5, 6, 7 e 9), come mandante in RTI con la medesima HC;
- per il restante lotto (4) - unico al quale non hanno partecipato i citati RTI con HC – a titolo individuale.
In via subordinata, l’appellante deduce che la predetta clausola della lex specialis sarebbe illegittima ove dovesse essere interpretata nel senso di consentire comunque l’aggiudicazione di più di quattro lotti ad un medesimo soggetto, seppur partecipante alla procedura in “forme diverse”, ponendosi in contrasto con l’art. 51 d.lvo n. 50/2016, a mente del quale sono ammesse clausole aventi un simile contenuto allo specifico fine di limitare il numero di lotti aggiudicabili ad un singolo concorrente.
I motivi non sono meritevoli di accoglimento.
La disposizione della lex specialis di cui la parte appellante assume la violazione coincide con l’art. 5.2 del disciplinare di gara, rubricato (non a caso) “vincolo di aggiudicazione”, a mente del quale “ciascun operatore economico, nel rispetto della forma di partecipazione con cui concorre alla procura non potrà risultare aggiudicatario per più di 4 lotti della procedura stessa e l’ordine dei lotti per i quali potrà risultare aggiudicatario sarà definito sulla base del valore decrescente stimato per ciascuno dei lotti della procedura”.
E’ quindi evidente, dal tenore testuale della disposizione, che essa attiene alla fase dell’aggiudicazione, dettando un criterio regolatore in base al quale ciascun operatore non potrà rendersi aggiudicatario di più di quattro lotti: pertanto, l’eventuale violazione della citata disposizione potrà essere dedotta (non mediante la speciale impugnativa ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a., ma) in sede di contestazione del provvedimento di aggiudicazione, ove (ritenuto) confliggente con la citata disposizione.
Tale conclusione trova conferma nel fatto che l’art. 2.5 del disciplinare di gara, concernente la “partecipazione a più lotti”, non contiene al riguardo alcuna disposizione limitativa.
Né potrebbe sostenersi che la strutturazione delle plurime forme partecipative adottate da Tecnologie Sanitarie s.r.l., precostituendo i presupposti per l’elusione (in fase di aggiudicazione) della citata disposizione, integri una illegittimità riverberante i suoi effetti invalidanti già sul provvedimento di ammissione della stessa alla gara: ribadito infatti che la disciplina di gara non fissa alcun limite numerico ai lotti per la cui aggiudicazione è possibile partecipare alla gara, ne consegue che l’eventuale ricorso a forme partecipative (sostanzialmente) ripetitive non potrebbe essere sanzionata in sede di ammissione, restando rimessa alla stazione appaltante, nella fase di aggiudicazione, verificare la loro compatibilità con il “vincolo di aggiudicazione” di cui all’art. 5.2 del disciplinare di gara.
Ugualmente infondata è la censura (subordinata) intesa a sostenere l’illegittimità della clausola citata, ove intesa nel senso di consentire l’aggiudicazione di più di quattro lotti allo stesso soggetto, seppur partecipante nella descritte “forme diverse”.
Se da un lato, infatti, la violazione prospettata attiene (anch’essa) astrattamente alla fase dell’aggiudicazione (sì che la sua eventuale illegittimità non potrebbe essere dedotta in sede di sindacato concernenti gli atti di ammissione), dall’altro lato, secondo la stessa prospettazione attorea, la norma invocata (art. 51 d.lvo n. 50/2016) “consente” - ergo, non impone - l’introduzione di limiti al numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente: facoltà di cui la stazione appaltante risulta essersi appunto avvalsa introducendo la clausola suindicata.
Con ulteriore motivo dell’originario ricorso incidentale, riproposto con il presente appello principale, viene dedotto che Tecnologie Sanitarie s.p.a. ha altresì partecipato a titolo individuale al lotto 4, unico nel quale gli RTI incrociati con HC non hanno presentato offerta: ebbene, poiché tanto sarebbe stato possibile solo in quanto la stessa era certa dell’astensione dei suddetti RTI dalla partecipazione ai fini dell’aggiudicazione del suddetto lotto, viene allegato che essa ha beneficiato di un “indebito flusso informativo”, che le avrebbe consentito di “disporre di notizie certe circa la partecipazione di altri concorrenti ancora prima che fosse scaduto il termine di presentazione delle offerte”, in contrasto con il principio desumibile dall’art. 53 d.lgs. 50/2016, laddove vieta l’accesso all’elenco dei partecipanti fino alla scadenza del termine di presentazione delle offerte.
Neanche tale motivo è meritevole di accoglimento.
Deve infatti osservarsi che l’acquisizione di notizie concernenti la partecipazione dei RTI di cui fa parte l’impresa asseritamente beneficiaria dell’“indebito flusso informativo” costituisce il fisiologico o, quantomeno, inevitabile corollario del ricorso alla suddetta forma partecipativa, che implica necessariamente il concordamento della strategia partecipativa (in forma collettiva o individuale) in relazione ai diversi lotti in cui si articola la gara: ciò senza che tale modus operandipossa ritenersi vietato da disposizioni di legge - come quella (art. 53, comma 2, lett. a) d.lvo n. 50/2016) invocata dalla parte appellante, che nelle procedure aperte differisce l’accesso, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime - aventi un contenuto tipico e volte a disciplinare specifici istituti.
La rilevata infondatezza del ricorso incidentale, riproposto con l’appello in esame, consente di prescindere dall’eccezione di improcedibilità dello stesso formulata dalla parte appellata.
5. Devono adesso esaminarsi i motivi dell’appello intesi a contestare la sentenza appellata laddove ha accolto due dei motivi aggiunti (al ricorso originario di Tecnologie Sanitarie s.p.a.) rivolti avverso l’ammissione alla gara del RTI Consorzio Mediterraneo - Zephyiro s.p.a., a cominciare da quello inteso a contestare l’intervenuta cessione del ramo d’azienda da parte della mandante Zephyro s.p.a..
Il T.A.R., premesso che “la cessione del ramo d’azienda non determina automaticamente la perdita dei requisiti di qualificazione, dovendosi di contro effettuare una verifica in concreto caso per caso” (secondo l’insegnamento di Ad. pl. n. 3/2017), ha evidenziato che l’atto pubblico del 29 luglio 2016, con il quale la società Zephyro s.p.a. ha conferito alla società Biomedicale s.r.l. «il ramo d’azienda di sua titolarità composto dal complesso di beni e rapporti giuridici organizzati per l’esercizio delle attività nel settore delle prestazione e fornitura di servizi di ingegneria biomedicale da intendersi come la manutenzione (ivi inclusa la manutenzione correttiva, preventiva e straordinaria) di apparecchiature biomedicali, la verifica della sicurezza dei dispositivi pianificati e postriparazione, l’inventario delle apparecchiature e la gestione di attrezzature biomedicali (ivi inclusa la gestione informatizzata del parco apparecchiature) a favore di strutture sanitarie, di ricovero e non, sia pubbliche che private», utilizza una “dizione omnicomprensiva così da avvalorare la conclusione che la cessione del ramo d’azienda si estenda ai requisiti di qualificazione maturati con lo svolgimento delle pregresse commesse”.
Alla suddetta conclusione il giudice di primo grado è pervenuto anche sul rilievo che Zephyro s.p.a., “che in quanto parte del contratto ha la piena disponibilità dell’elemento di prova, ha liberamente scelto di depositare in giudizio una copia omissata della relazione di stima - presuntivamente nella sua disponibilità nella forma integrale - allegata al suddetto atto di conferimento (vedi documento depositato in data 13.11.2018), con la conseguenza che il documento non consente di escludere dal trasferimento i beni che espressamente non compaiono nelle parti non omissate”, non assumendo rilievo decisivo “la circostanza che, successivamente al conferimento del ramo d’azienda, la società Zephyro S.p.A. abbia svolto in proroga un contratto analogo per una struttura sanitaria pubblica di altra Regione, posto che non vi è prova né che in quel caso la stazione appaltante abbia verificato la permanenza dei requisiti di qualificazione ai fini della proroga, né che l’appaltatrice fosse qualificata in proprio”.
Deduce in senso contrario la parte appellante che l’unico requisito di qualificazione richiesto dal disciplinare di gara per le mandanti di RTI (quale essa è) era quello di aver eseguito nel periodo di riferimento almeno un contratto relativo all’oggetto dell’appalto: ebbene, essa ha dimostrato di possedere il suddetto (unico) requisito di qualificazione all’uopo producendo: 1) il certificato di buona esecuzione rilasciatole dall’ASL di Torino per un contratto avente l’identico oggetto nel triennio di riferimento; 2) la relazione di stima allegata al verbale di assemblea con contestuale trasferimento in natura n. 2180 di rep. e 1164 di racc. del 29 luglio 2016.
Aggiunge che la suddetta relazione di stima riporta, nella parte non oscurata, che il ramo di azienda oggetto di cessione comprende “una serie di contratti di appalto/prestazioni di servizio sottoscritti dalla Conferente con importanti strutture sanitarie e aziende ospedaliere italiane aventi ad oggetto, tra le altre, la prestazione di servizi integrati per la gestione e la manutenzione di tipo full risk di apparecchiature elettromedicali e biomedicali (…)”, a tal fine rimandando all’allegato 3 alla relazione medesima, integralmente prodotto, il quale consiste di una tabella in cui vengono elencati tutti i contratti che fanno parte del ramo d’azienda ceduto, alla quale è estraneo il predetto contratto con la ASL Torino.
Precisa altresì la parte appellante che la produzione in giudizio di una copia con omissis – peraltro non interessanti le parti rilevanti ai fini del decidere – è discesa dal vincolo imposto con la clausola di riservatezza inserita nel contratto di cessione, tanto che aveva chiesto espressamente al Tribunale, ove avesse ritenuto necessario disporre del testo integrale di detta copia, di ordinarne l’esibizione, così liberandola dal suddetto obbligo contrattuale.
Il motivo di appello è meritevole di accoglimento.
Deve premettersi il carattere incontestato della deduzione di parte appellante, intesa ad evidenziare che l’unico requisito di qualificazione – di cui verificare la permanenza in capo alla mandante Zephyro s.p.a., nonostante la cessione del ramo di azienda effettuata in data 29 luglio 2016 in favore di Biomedicale s.r.l. – attiene alla capacità tecnica e professionale e consiste nella esecuzione, negli ultimi tre esercizi sociali (2016/2015/2014), di almeno un contratto relativo all’oggetto dell’appalto (cfr. pag. 18 del disciplinare di gara).
E’ altresì incontestato che la mandante Zephyro s.p.a. ha inteso dimostrare il possesso del suddetto requisito mediante la produzione del certificato di esecuzione relativo al contratto di appalto stipulato con la ASL Torino e relativo al periodo suindicato (cfr., sul punto, la dichiarazione di partecipazione alla gara di Zephyro s.p.a.).
Ebbene, l’atto di cessione del 29 luglio 2016 rimanda, ai fini della definizione del suo oggetto (anche quanto ai rapporti contrattuali in corso), alla relazione di stima di cui all’allegato “B” dello stesso.
La necessità di avere riguardo a tale documento, in ordine alla delimitazione dell’oggetto del conferimento, si evince vieppiù dalla clausola di chiusura secondo cui “è escluso dal presente conferimento tutto ciò che non è espressamente menzionato nella relazione di stima”.
La relazione di stima rimanda a sua volta, sotto il profilo in esame, all’allegato 3, recante l’elencazione dei contratti trasferiti, tra i quali non figura quello suindicato: ciò che è sufficiente ad escludere che la cessione abbia comportato la perdita, in capo alla cedente, del suddetto requisito di qualificazione.
Né la presenza degli omissis nell’atto di cessione e nella relazione di stima poteva indurre a dubitare della permanenza in capo alla appellante del suindicato requisito di qualificazione (dubbi che peraltro avrebbero dovuto indurre il Tribunale, al fine di verificare funditus la censura di parte ricorrente, a disporre i pertinenti incombenti istruttori), atteso che la correlazione tra le parti rilevanti degli atti menzionati, quale dianzi operata, e l’assenza di omissis nella tabella di cui all’allegato 3 della relazione di stima, consentiva di pervenire con sufficiente univocità alla conclusione della permanenza in capo alla conferente del rapporto contrattuale de quo, rilevante ai fini della partecipazione della mandante alla gara.
Non persuasive, in proposito, risultano le deduzioni formulate dalla parte appellata con successiva memoria, intese ad evidenziare che, dalla lettura dell’atto rep. n. 2180 del 29 luglio 2016, si evincerebbe che Zephyro s.p.a. ha conferito a Biomedicale s.r.l. il ramo d’azienda di sua titolarità composto dal complesso dei beni e rapporti giuridici organizzati per l’esercizio dell’attività nel settore della prestazione e fornitura di servizi di ingegneria biomedicale, con la conseguente acquisizione da parte della seconda di tutte le qualificazioni necessarie ad esercitare l’attività propria del ramo medesimo: ciò sul rilievo che il fatturato specifico, quale requisito di capacità economica e finanziaria, rileva quale espressione della capacità dell’imprenditore di operare nel settore grazie alle risorse, materiali ed immateriali, che compongono il ramo d’azienda, non potendo invece considerarsi un mero valore cartolare ed astratto.
Prosegue la parte appellata osservando che Zephyro s.p.a., una volta spogliatasi del suddetto ramo di azienda, non potrebbe ritenersi qualificata in termini di capacità economica e finanziaria solo perché avrebbe mantenuto la titolarità di un contratto, una volta che tutte le risorse, materiali ed immateriali, che hanno contribuito a generare il fatturato sono state trasferite alla avente causa Biomedicale s.r.l., a meno di non ritenere ammissibile la duplicazione di capacità e qualificazioni.
Deve osservarsi, in senso contrario, che non è affatto dimostrato che il conferimento abbia rivestito carattere assorbente rispetto alla complessiva capacità produttiva della società conferente nello specifico settore cui inerisce il ramo ceduto: la già evidenziata connessione tra l’atto di cessione e la relazione di stima ad esso allegata – assumendo quest’ultima il ruolo di delimitare la portata effettuale del primo – induce invero ad escludere, prima facie, il carattere assoluto dell’effetto dispositivo da quello nascente.
In ogni caso, il possesso dei requisiti di capacità deve essere accertato alla stregua delle prescrizioni dettate al riguardo dalla disciplina di gara: ebbene, poiché questo fissa la suddetta capacità con riferimento all’esecuzione di un contratto analogo nel triennio 2014/2016, e la cessione del ramo di azienda si è perfezionata (ed ha acquisito efficacia) solo in data 29 luglio 2016, deve revocarsi in dubbio il rapporto di stretta consequenzialità, invocato dalla parte appellata, tra la dismissione del ramo d’azienda e la perdita, da parte dell’impresa cedente, della capacità tecnica che essa, svolgendo il suddetto contratto, ha maturato nel settore oggetto di gara, così come definita dalla lex specialis.
Né potrebbe sostenersi che la suddetta dismissione rileverebbe comunque per il futuro, denotando la carenza in capo a Zephyro s.p.a. della capacità tecnica e professionale necessaria all’esecuzione dell’appalto: deve infatti osservarsi che, una volta comprovato il possesso della suddetta capacità, nei termini dimostrativi prefigurati dalla lex specialis, non è precluso all'impresa concorrente, nell’ipotesi di aggiudicazione, ricostituire quella (ipoteticamente, ma comunque non definitivamente, perduta) capacità, mediante l’acquisizione dei mezzi e del personale all’uopo necessari.
Assume ancora la parte appellata, con la memoria del 4 aprile 2019, che, ai sensi dell’art. 2557 c.c. (rubricato “divieto di concorrenza”), chi aliena l’azienda o il ramo d’azienda, anche a titolo di conferimento al capitale di altra società (come nella specie), non può, per un periodo di cinque anni, svolgere l’attività già svolta attraverso il ramo d’azienda alienato.
Il rilievo (oltre che inammissibile, non essendo stato ritualmente riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a.) non è condivisibile, in primo luogo, perché il vincolo de quo riveste efficacia meramente obbligatoria (nell’ambito dei rapporti tra l’impresa cedente e quella cessionaria), in secondo luogo, in quanto proprio il già evidenziato carattere parziale della cessione, con particolare riguardo ai rapporti contrattuali trasferiti, sottende la rinuncia della parte cessionaria all’effetto restrittivo della concorrenza, discendente dalla previsione menzionata.
Deduce altresì la parte appellata, nella medesima sede difensiva, che la cessionaria Biomedicale s.r.l., mediante l’atto di fusione del 9 ottobre 2017, è stata poi incorporata in Higea s.p.a. (ora Althea Italia s.p.a.), la quale è anch’essa un’impresa concorrente alla gara di cui trattasi, con il paradossale risultato per cui sia la conferente che la conferitaria del ramo d’azienda in questione partecipano in concorrenza alla stessa gara, avvalendosi di qualificazioni attinenti al medesimo ramo d’azienda, in palese violazione del principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla gara.
Nemmeno tale deduzione (a prescindere dalla sua inammissibilità, risultando estranea al contenuto delle doglianze originariamente formulate) è meritevole di positiva valutazione, ove si consideri che il requisito di qualificazione, rilevante ai fini della partecipazione alla gara de qua, non è costituito dal “ramo di azienda”, ma dalla esecuzione, nel triennio di riferimento, di un rapporto contrattuale “analogo”: rapporto contrattuale che, relativamente al suddetto periodo, coincide con la titolarità in capo alla società Zephyro s.p.a. del ramo di azienda atto a generarlo.
Deduce infine la parte appellata che il contratto da quella dichiarato ai fini partecipativi riguarda un appalto con scadenza naturale al 31 dicembre 2013, per cui nel triennio rilevante essa ha eseguito la commessa in proroga.
La deduzione (anch’essa inammissibile, siccome estranea al contenuto del ricorso originario) non è condivisibile, non giustificandosi, anche alla stregua della disciplina di gara, alcuna differenziazione tra rapporti contrattuali eseguiti antecedentemente alla loro scadenza naturale e rapporti contrattuali eseguiti in proroga.
6. Con ulteriore motivo di appello, la società Zephyro s.p.a. contesta la sentenza appellata nella parte in cui ha accolto l’ulteriore motivo aggiunto della originaria ricorrente, inteso a sostenere che il Co.Med., che si era auto-qualificato come consorzio stabile, tale non era, in quanto: 1) era privo della denominazione di consorzio stabile; 2) era carente di un’autonoma struttura di impresa; 3) condivideva con le singole consorziate sia gli organi di rappresentanza, sia la sede sociale; 4) non risultavano le deliberazioni delle singole consorziate volte alla costituzione del suddetto consorzio stabile.
Il T.A.R. in particolare, premesso che, ai sensi dell’art. 45, comma 2, lettera c), d.lvo n. 50/2016, i consorzi stabili sono «formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa», e che, secondo la giurisprudenza, elemento essenziale e qualificante del consorzio stabile è «l’astratta idoneità del consorzio, esplicitamente consacrata nello statuto consortile, di operare con un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le prestazioni previste nel contratto (ferma restando la facoltà per il consorzio, che abbia tale struttura, di eseguire le prestazioni, nei limiti consentiti, attraverso le consorziate)», ha rilevato che “dalla documentazione in atti non emerge affatto l’esistenza di un’autonoma struttura aziendale in capo al Co.Med., distinta da quella delle imprese consorziate”.
Al fine di pervenire a tale conclusione, il T.A.R. ha posto l’accento sui seguenti elementi:
- lo statuto consortile, oltre a non riportare la denominazione “consorzio stabile” (articolo 1), indica quale oggetto sociale – tra gli altri – l’assunzione di lavori e ordinativi da ripartire tra i consorziati (articolo 2). A sua volta, la visura camerale conferma che l’attività prevalente del Co.Med. è il «reperimento di lavoro per le imprese consorziate che operano nel settore ospedaliero», e non anche lo svolgimento in proprio di quel lavoro;
- lo stesso Co.Med. ha ammesso di non avere dipendenti propri e che i dipendenti che svolgono le prestazioni contrattuali sono quelli delle consorziate: ebbene, “non può certo qualificarsi come stabile un consorzio che si avvale esclusivamente delle strutture e del personale delle singole consorziate”;
- “non sono emersi in giudizio elementi che attestino la presenza di un idoneo patrimonio (oltre all’esiguo fondo consortile) per l’esercizio dell’attività d’impresa. Così come non sono state prodotte le delibere delle imprese consorziate volte alla costituzione di un consorzio avente il carattere di consorzio stabile”.
Quindi, ad avviso del T.A.R., “non avendo Co.Med. dimostrato, almeno nella presente controversia, di essere un consorzio stabile, non può avvalersi dei requisiti di partecipazione delle consorziate (criterio del cumulo alla rinfusa, su cui v., da ultimo, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 5057/2018), e, dunque, non è qualificato per svolgere l’appalto”.
Mediante i corrispondenti motivi di appello, la società Zephyro s.p.a. osserva, in senso critico, che:
- irrilevanti sono i profili formali indicati dalla sentenza appellata, in quanto questa Sezione, con la sentenza n. 4983 del 20 agosto 2018, ha chiarito che la mancata indicazione formale di consorzio stabile non impedisce al soggetto di possedere sostanzialmente quest’ultima qualità, l’autonoma struttura di impresa può anche prescindere da una formale costituzione né è necessario che debba essere recepita in uno specifico atto la volontà delle consorziate di operare in modo congiunto;
- la sentenza non ha considerato le molteplici disposizioni statutarie che dimostrano la natura sostanziale di consorzio stabile rivestita da Co.Med.. In particolare, dall’atto costitutivo si evince che: il consorzio, costituito nel 2011 da 4 soci, opera “con lo scopo di ridurre i costi di esercizio delle imprese consorziate e di rafforzare la loro capacità contrattuale con la possibilità di presentarsi alla committenza e ai fornitori come organizzazione unitaria” (art. 2); l’atto suindicato non indica affatto il solo generico reperimento di lavoro, ma anche la partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti e concessioni (art. 2); la durata del consorzio è stabilita in ben venticinque anni (art. 3); alle consorziate è vietato intraprendere autonomamente “iniziative dirette con i committenti o i concedenti del consorzio” (art. 5); “è compito del Consorzio, con l’ausilio della propria struttura organizzativa o di quella eventuale dei consorziati, provvedere per conto e nell’interesse dei consorziati stessi al compimento di tutto quanto necessario per l’esecuzione dei lavori assunti e per il raggiungimento dell’oggetto consortile” (art. 9); il Consorzio è dotato di propri organi (art. 10 e ss.).
Osserva altresì la parte appellante, quanto al riferimento all’assenza di dipendenti in capo a Co.Med. contenuto nella sentenza appellata, che secondo la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato da essa richiamata, il consorzio stabile può eseguire anche in proprio le prestazioni contrattuali, con la conseguenza che il consorzio medesimo ben può utilizzare beni e personale delle consorziate.
Infine, evidenzia la parte appellante che Co.Med. (come si legge nella relativa domanda di partecipazione) dispone di requisiti economici e tecnici in proprio, così ulteriormente avvalorando la gestione imprenditoriale autonoma.
L’appello, anche per il capo in questione della sentenza appellata, è meritevole di accoglimento.
Deve preliminarmente osservarsi che, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, la natura del soggetto imprenditoriale – in relazione alla questione della sua qualificabilità come “consorzio stabile” – deve essere accertata sulla scorta di una ricostruzione sostanzialistica dei suoi tratti identificativi, così come delineati dall’art. 45, comma 2, lettera c), D.Lgs. n. 50/2016: consegue, già da tale rilievo, l’irrilevanza, ai fini del decidere, della assenza nell’atto costitutivo del Co.Med., di espresse indicazioni nominalistiche della sua natura così come di formali manifestazioni di volontà delle imprese consorziate dirette alla costituzione di un consorzio stabile (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5152 del 6 dicembre 2016: “quanto all’essenza dell’istituzione di una comune struttura d’impresa va ricordato che per pacifico orientamento della giurisprudenza tale aspetto non comporta, l’uso del verbo "istituire" in luogo di "costituire" ne è la significativa riprova, "un’autonoma struttura d’impresa né che la decisione delle imprese di operare in modo congiunto debba essere formalizzata in un apposito atto" (Cons. Stato V,15 ottobre 2010, n. 7524). Quel che conta invero, è la possibilità di " individuare l’avvenuta creazione di un complesso strutturale ed organizzativo compatibile con il modello giuridico-formale di riferimento").
Tanto premesso, non vi è dubbio che, analizzando il contenuto dell’atto costitutivo del Co.Med., esso rechi la definizione di un modello organizzativo del tutto coerente con lo schema normativo di riferimento, ricorrendo di quest’ultimo: 1) il requisito numerico (“formati da non meno di tre consorziati”), partecipando al Co.Med. 4 imprese; 2) temporale (“per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni”), essendo stabilita dall’atto costitutivo la durata di 25 anni; 3) teleologico (“abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”); e 4) strutturale (“istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”).
Quanto in particolare ai requisiti sub 3) e 4), deve osservarsi che, alla stregua dell’art. 2 dell’atto costitutivo, il Co.Med. persegue “lo scopo di ridurre i costi di esercizio delle imprese consorziate e di rafforzare la loro capacità contrattuale con la possibilità di presentarsi alla committenza e ai fornitori come organizzazione unitaria”, avendo come oggetto, tra l’altro, la “partecipazione alle procedure di aggiudicazione di gare di appalto nazionali ed internazionali”, mentre, in base all’art. 9, “è compito del Consorzio, con l’ausilio della propria struttura organizzativa o di quella eventuale dei consorziati, provvedere per conto e nell’interesse dei consorziati stessi al compimento di tutto quanto necessario per l’esecuzione dei lavori assunti e per il raggiungimento dell’oggetto consortile” (art. 9).
Dalle citate disposizioni si evince quindi la finalizzazione del Co.Med. a partecipare in proprio alle procedure di affidamento e realizzare le relative attività preparatorie (in particolare di carattere progettuale) ed esecutive.
Quanto poi all’elemento strutturale, è sufficiente osservare che, ai sensi dell’art. 7 dell’atto costitutivo, le imprese consorziate si obbligano a “mettere a disposizione del consorzio, sempre pro quota e secondo le direttive del Consiglio, le risorse di qualsivoglia natura ivi compreso il personale, i materiali, i macchinari e le attrezzature occorrenti per l’esecuzione dei lavori assunti nonché i mezzi finanziari necessari ed utili alla loro corretta esecuzione”: è quindi evidente che la struttura organizzativa consacrata dall’atto costitutivo sia corredata degli strumenti e delle garanzie funzionali a dotare il consorzio, unitariamente e distintamente (rispetto alle imprese consorziate) considerato, dei mezzi necessari alla sua autonoma operatività imprenditoriale.
Le conclusioni esposte non si pongono in contrasto con le acquisizioni giurisprudenziali richiamate dalla parte appellata, con particolare riguardo all’orientamento secondo cui “elemento essenziale per attribuire al consorzio la qualifica di consorzio stabile il c.d. elemento teleologico, ossia l’astratta idoneità del consorzio, esplicitamente consacrata nello statuto consortile, di operare con un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le prestazioni previste nel contratto” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2018, n. 5036, nonché, più recentemente e di questa stessa Sezione, 4 febbraio 2019, n. 865).
Deve infatti osservarsi che, anche alla luce della giurisprudenza citata, rilievo discriminante, ai fini della riconoscibilità di un “consorzio stabile”, deve attribuirsi alla sussistenza di un “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, secondo la nozione civilistica di “azienda”.
Ebbene, è un dato acquisito, sul piano interpretativo, che ciò che connota l’impresa non è la disponibilità materiale dei mezzi e delle attrezzature necessarie allo svolgimento dell’attività produttiva, quanto piuttosto la disponibilità giuridica degli stessi, intesa come un complesso di rapporti giuridici che consentono all’imprenditore di disporre dei mezzi necessari all’esercizio dell’impresa, nonché la capacità dell’imprenditore medesimo di organizzarli in modo da asservirli ad una nuova funzione produttiva, diversa da quella delle imprese da cui quei mezzi siano eventualmente “prestati”: capacità che viene meno – a leggere attentamente la citata giurisprudenza – quando il consorzio operi avvalendosi della struttura imprenditoriale tout court delle imprese consorziate, replicandone la funzione produttiva, ma non quando esso attinga al patrimonio di queste ultime ai fini della costituzione di un nuovo assetto produttivo, di cui esso abbia la diretta responsabilità organizzativa.
Infine, l’esistenza di una “autonoma struttura di impresa”, nel senso chiarito, non può ritenersi esclusa dal fatto, dedotto dalla parte appellata, che i componenti del Consiglio di Direttivo del Co.Med. sono contemporaneamente soci e/o amministratori delle singole imprese consorziate TEA s.r.l., Sorat Rappresentanze s.r.l., RHA Vision s.r.l. e SISTEA società cooperativa, ovvero dal fatto che il consorzio e le singole consorziate hanno tutte la sede legale e operativa in Fragagnano (TA), Via per Torricella Zona Pip Lotto 22, ovvero ancora dal fatto che i dipendenti dichiarati in proprio dalla Co.Med. (40 unità), in realtà, corrispondono alla somma dei dipendenti di ogni singola impresa consorziata.
Quanto alla composizione del Consiglio Direttivo del consorzio, invero, il fatto che i suoi singoli componenti siano contestualmente soci e/o amministratori delle imprese consorziate non elide l’autonomia organizzativa del consorzio: anzi, proprio il concorso dei soggetti suindicati alla composizione di un nuovo organismo decisionale dimostra la diversità organica del consorzio rispetto alle imprese consorziate.
Quanto poi alla comunanza della sede, essa è indice semplicemente di una scelta organizzativa improntata al migliore impiego delle risorse.
Il fatto, invece, che i dipendenti dichiarati dal consorzio corrispondano a quelli delle imprese consorziate si correla al già evidenziato obbligo di queste ultime di concorrere alla dotazione delle risorse consortili necessarie allo svolgimento dei suoi compiti.
Allega ancora la parte appellata che, come si evince dalla dichiarazione di partecipazione presentata dallo stesso consorzio e dalle singole imprese consorziate, tutti i contratti citati da Co.Med. risultano, in realtà, effettivamente eseguiti soltanto con l’ausilio delle singole consorziate, le quali – a loro volta – hanno fatto valere le stesse commesse quale proprio requisito di fatturato specifico: invero, T.E.A. s.r.l., Sorat Rappresentanze s.r.l., RHA VISION s.r.l. e SISTEA società cooperativa hanno stipulato con Co.Med., per ognuno dei quattro contratti che lo stesso ha dichiarato di aver eseguito in proprio, singoli contratti di subappalto di importi che, sommati, corrispondono sostanzialmente alla cifra complessiva dichiarata dal consorzio quale proprio fatturato specifico, con la conseguenza che Co.Med. non ha eseguito in proprio alcuna commessa, essendo stati tutti i contratti, dichiarati come imputabili direttamente al consorzio ai fini della partecipazione all’appalto di cui trattasi, eseguiti in realtà dalle singole consorziate tramite una serie di contratti di subappalto.
Nemmeno tale deduzione è meritevole di accoglimento.
Basti osservare che il fatturato complessivo, imputabile direttamente al consorzio sulla base della dichiarazione di partecipazione, è pari ad € 2.836.867, mentre quello di carattere specifico, che la parte appellata deduce corrispondere al fatturato delle imprese consorziate, assomma all’importo (inferiore) di € 2.147.378: ciò che dimostra a sufficienza l’autonoma operatività del consorzio rispetto alle imprese consorziate.
7. Devono adesso esaminarsi i motivi, formulati con il ricorso introduttivo del giudizio (recte, i successivi motivi aggiunti, attesa l’incontestata improcedibilità del primo), dichiarati assorbiti dal T.A.R. e riproposti da Tecnologie Sanitarie s.p.a., ex art. 101, comma 2, c.p.a., con memoria del 15 marzo 2019.
Con il primo di essi, la parte appellata deduce che la commissione di gara, a seguito del ricorso introduttivo del giudizio, preso atto della incongruenza in ordine alla ottemperanza alla legge n. 68/1999 tra le dichiarazioni presentate da TEA s.r.l. (consorziata Co.Med.) nel modello di dichiarazione e nella DGUE, in luogo di escludere il concorrente sulla scorta della presentazione di una dichiarazione mendace, ha illegittimamente attivato il soccorso istruttorio, a seguito del quale il concorrente ha trasmesso la dichiarazione di TEA s.r.l. con la quale la stessa ha dichiarato di avere un numero di dipendenti, cumulabile ai sensi dell’art. 4 della legge n. 68/1999, pari a 24 unità iscritti al libro unico del lavoro e di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili di cui alla legge citata, rappresentando che per mero errore, nella dichiarazione di partecipazione, aveva posto la spunta in corrispondenza della dichiarazione di non essere assoggettata a tali norme.
Sotto altro profilo, la parte resistente all’appello deduce che il seggio di gara ha omesso di considerare che il vizio lamentato in ricorso riguardava altresì la dichiarazione carente e mendace rilasciata dallo stesso consorzio Co.Med. sul rispetto della normativa sul diritto al lavoro dei disabili: ciò perché esso aveva dichiarato di avere un numero di dipendenti pari a 40 unità, numero in realtà corrispondente alla somma dei dipendenti delle singole imprese consorziate, mentre non possedeva alcun dipendente.
Deduce inoltre che, in relazione agli obblighi nascenti dalla l. n. 68/1999, Co.Med. si era limitato a rimandare “a quanto dichiarato dalle imprese consorziate”: ebbene, deduce la parte appellata che tale richiamo equivarrebbe ad un’omessa dichiarazione circa il possesso del citato requisito, giacché il consorzio avrebbe dovuto rilasciare al riguardo una specifica dichiarazione in relazione ai propri dipendenti, avendo dichiarato di averne 40.
Del resto, aggiunge la parte appellata, trattandosi di requisito di ordine generale, Co.Med. non poteva affatto avvalersi del c.d. “cumulo alla rinfusa”, tipico dei consorzi stabili, ed evidenzia che l’art. 80, comma 5, lett. i) d.lvo n. 50/2016 include tra i motivi di esclusione l’ipotesi in cui “l’operatore economico non presenti la certificazione di cui all’art. 17 della l. 12 marzo 1999 n. 68 ovvero non autocertifichi la sussistenza del medesimo requisito”.
Conclude osservando che il ricorso al soccorso istruttorio ex art. 83, comma 9, d.lvo n. 50/2016 è ammissibile solo in ipotesi di regolarizzazione di documentazione di gara incompleta e non certo in ipotesi, come quella in esame, di carente e/o omessa dichiarazione, oltre che di inadempienza agli obblighi di legge in merito alla assunzione dei disabili e, quindi, di insussistenza del requisito morale ex art. 80 d.lvo n. 50/2016 in capo al Co.Med. ed alla sua consorziata.
Il motivo, nella sua complessa articolazione, non è meritevole di accoglimento.
In primo luogo, quanto alla incongruenza ravvisabile tra le dichiarazioni presentate da TEA s.r.l. (consorziata Co.Med.) nel modello di dichiarazione di partecipazione, nel senso di non essere assoggettata all’applicazione delle norme a tutela del diritto al lavoro dei disabili, e nella DGUE, nel senso di essere in regola con le relative disposizioni, la stazione appaltante ha correttamente attivato il soccorso istruttorio: come statuito dalla giurisprudenza, infatti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3361 del 3 luglio 2014), “la conseguente esclusione dalla gara deve essere di certo disposta quando la dichiarazione manchi ma non anche se, essendo stata resa, appaia di tenore equivoco o contraddittorio inducendo soltanto margini di dubbio sull'effettiva volontà del dichiarante, dovendosi ricorrere in tal caso all’applicazione dell’art. 46, comma 1, del codice (Sez. III, 9 maggio 2014, n. 2376), a meno che la contraddittorietà della dichiarazione sia tale da farla risultare come inesistente, con esclusione del potere di chiedere chiarimenti o integrazioni (Sez. III, 18 aprile 2011, n. 2385; Sez. V, 24 marzo 2011, n. 1792)”.
In ogni caso, nel mutato (rispetto a quello vigente all’epoca di formazione della menzionata giurisprudenza) contesto normativo, caratterizzato dall’ampliamento delle ipotesi di carenza documentale regolarizzabili (inclusive della mancata presentazione di dichiarazioni essenziali), la carenza della citata dichiarazione, ove si ritenga conseguente alla contraddittorietà delle dichiarazioni fornite dall’impresa nei citati contesti documentali, non avrebbe potuto condurre all’esclusione della stessa, ma all’attivazione, di fatto avvenuta, del meccanismo di soccorso istruttorio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3674 del 25 luglio 2017:”da un lato, la legge n. 68/1999, all’art. 17, prevede che le imprese partecipanti a gare indette da pubbliche amministrazioni sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l’ottemperanza alle norme della presente legge, pena l’esclusione", mentre, dall’altro, lo stesso art. 38, lettera l, del D.LGS. n. 163/2006 sanziona con l’esclusione la concorrente, che non abbia presentato la certificazione di cui all’art. 17 legge n. 68/1999, n. 68. Quindi, pur se la legge di gara non comminava espressamente l’esclusione in caso di mancanza di tale documentazione, tuttavia il contenuto della lex specialis (bando e disciplinare) doveva intendersi etero integrato direttamente dalla legge nel senso esposto con la conseguenza che la mancanza totale di tale documentazione, secondo la normativa vigente all’epoca, doveva essere sanata con il c.d. soccorso istruttorio”).
A tale conclusione deve pervenirsi anche in relazione alla dedotta omissione dichiarativa imputabile al Co.Med. (ove fosse assimilabile ad una carenza dichiarativa la dichiarazione con la quale esso, in merito all’osservanza degli obblighi nascenti dalla l. n. 68/1999, ha rinviato alle dichiarazioni rese sul punto dalle imprese consorziate), la quale non avrebbe potuto condurre, per le ragioni illustrate, alla sua diretta estromissione della procedura di gara, come preteso dalla parte appellata: ciò senza trascurare che la stessa parte appellata chiarisce che il Co.Med. non dispone di propri lavoratori, in relazione ai quali dichiarare l’osservanza degli obblighi discendenti dalla legge suindicata, essendo il numero dichiarato (40) la sommatoria dei dipendenti delle imprese consorziate.
Né, infine, la parte appellata fornisce concreti elementi per dimostrare che faccia difetto, in capo al Co.Med. e/o alla consorziata TEA s.r.l., il requisito in discorso, concentrandosi le sue deduzioni nella contestazione del corretto adempimento dei relativi oneri dichiarativi.
Con ulteriore motivo aggiunto, riproposto come si è detto nella presente sede di appello, viene dedotta l’erroneità del riscontro dato dal seggio di gara alla censura, formulata con il ricorso originario, intesa ad evidenziare la mancata allegazione del documento di riconoscimento alle dichiarazioni sostitutive ex d.P.R. n.445/2000 del consorzio e delle consorziate: premesso che la commissione ha affermato la presenza della firma digitale e del documento di identità del sottoscrittore, allega in senso contrario Tecnologie Sanitarie s.p.a. che risulta mancante, all’interno dei relativi files, l’allegazione del documento di riconoscimento del firmatario delle dichiarazioni sostitutive rilasciate dalla mandataria e da tutte le consorziate, e che inoltre è stata omessa l’allegazione del documento di identità del legale rappresentante della Co.Med., sottoscrittore della dichiarazione del RTI riguardante il subappalto.
Conclude la parte appellata osservando che tale omissione non può essere sanata dal fatto che una copia del documento fosse presente in un file inserito nella cartella contenente la documentazione amministrativa, giacché tale file era totalmente isolato dai restanti, senza alcun elemento di congiunzione da cui potesse evincersi un qualche collegamento tra essi.
Il motivo non è complessivamente meritevole di accoglimento.
Evidenziato che le dichiarazioni asseritamente carenti sono state sottoscritte con firma digitale, basti osservare che, come statuito da Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4676 del 20 settembre 2013, “dal combinato disposto dell’articolo 65, comma 1, lettera a) del Codice dell’amministrazione digitale e dell’articolo 77, comma 6, lettera b) del Codice dei contratti deriva che l’apposizione della firma digitale, a cagione del particolare grado di sicurezza e di certezza nell’imputabilità soggettiva che la caratterizza, sia di per sé idoneo a soddisfare i requisiti dichiarativi di cui al comma 3 dell’articolo 38 del d.P.R. 445 del 2000, anche in assenza dell’allegazione in atti di copia del documento di identità del dichiarante”.
Con ulteriore doglianza, l’originaria ricorrente deduceva - reiterando la censura in questa sede - che la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere il RTI controinteressato in ragione della mancata dichiarazione di fatti suscettibili di apprezzamento ai fini della integrazione della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) d.lvo n. 50/2016, il quale prevede che i soggetti che partecipano alle gare di appalto non debbano aver commesso gravi negligenze o malafede nell’esecuzione di contratti di appalto ovvero gravi errori professionali.
Deduceva infatti che la mandante Zephyro s.r.l., originariamente denominata Prima Vera s.p.a., non aveva dichiarato in sede di partecipazione alla gara di aver ricevuto la contestazione (nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria c.d. “clean hospital”) di gravissime irregolarità nell’esecuzione di appalti presso l’ospedale di Gallarate e presso la Asl di Torino, quali erano state riferite dagli organi di stampa.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Deve infatti osservarsi che, sulla base della disposizione invocata, la stazione appaltante esclude l’operatore economico dalla gara ove “dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
E’ quindi evidente che i fatti suscettibili di apprezzamento, alla luce della stessa, devono trovare traccia, al fine di generare il corrispondente onere dichiarativo in capo all’impresa interessata, in atti/documenti dotati di un minimum di attendibilità e valenza dimostrativa, onde fornire alla stazione appaltante la base probatoria (i “mezzi adeguati” di cui alla disposizione citata) al fine di formulare le eventuali conseguenti contestazioni di inaffidabilità professionale.
Ebbene, tale livello di significatività probatoria non può ritenersi raggiunto dalle notizie di stampa, cronologicamente collocate nel 2014, menzionate con il motivo in esame: ciò sia in ragione della intrinseca inaffidabilità di tale fonte informativa, per sé considerata, sia in considerazione del fatto che non è allegato alcun elemento per ritenere che le notizie diffuse fossero ancora attuali alla data della presentazione dell’offerta (e tali, quindi, da generare in capo all’impresa interessata il predicato obbligo dichiarativo).
Infine, deduce la parte appellata che una ulteriore ragione di esclusione dalla gara, a carico del RTI controinteressato, discendeva dalla avvenuta presentazione da parte dello stesso, in relazione ai lotti 1 e 6, di due garanzie per la partecipazione alla gara non conformi al dettato di legge e alla lex specialis di gara.
In particolare, essa evidenzia che nella polizza fideiussoria per la cauzione provvisoria prodotta dalla Elba Assicurazioni s.p.a. per i suddetti lotti si legge, all’art. 4 (rubricato “escussione della garanzia”), quanto segue: “Il Garante corrisponderà l’importo dovuto dal Contraente, nei limiti della somma garantita, entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della semplice richiesta scritta della Stazione appaltante - inviata per conoscenza anche al Contraente - recante l’indicazione dei motivi per i quali la Stazione appaltante attiva l’escussione”.
Deduce al riguardo la parte appellata che la necessaria indicazione dei motivi per i quali la stazione appaltante attiva l’escussione della garanzia costituisce un’eccezione e/o una condizione all’operatività della polizza non consentita dalla legge e dalla normativa di gara: da un lato, infatti, l’art. 93, comma 4, d.lvo n. 50/2016 prescrive che “la garanzia deve prevedere espressamente la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale, la rinuncia all’eccezione di cui all’articolo 1957, secondo comma, del codice civile nonché l’operatività della garanzia medesima entro quindici giorni, a semplice richiesta scritta della stazione appaltante”, dall’altro lato, il disciplinare di gara, al paragrafo 4.3.2., punto c), impone, a pena di esclusione, “la piena operatività entro quindici giorni su semplice richiesta scritta di ARCA S.p.A.”.
La censura non può essere accolta.
La mera indicazione dei motivi per i quali la stazione appaltante procede all’attivazione della garanzia non può infatti essere equiparata ad una “condizione di operatività” della stessa, non essendo previsto alcun potere di sindacato in capo all’impresa garante: inoltre, l’indicazione dei motivi appare connessa al modus operandi della stazione appaltante che, quale soggetto pubblico, non agisce ad libitum, ma al ricorrere dei presupposti di legge, dei quali quindi è del tutto plausibile richiedere l’esposizione nel contesto della richiesta di pagamento.
8. L’appello, in conclusione, deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, respinti i motivi aggiunti al ricorso di primo grado.
9. La peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio, fermo il rimborso del contributo unificato versato dalla odierna appellante, in relazione al giudizio di appello, a carico della società Tecnologie Sanitarie s.p.a..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge i motivi aggiunti al ricorso di primo grado.
Spese dei due gradi di giudizio compensate, fermo il rimborso del contributo unificato versato dalla odierna appellante, in relazione al giudizio di appello, a carico della società Tecnologie Sanitarie s.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Ezio Fedullo
Franco Frattini
IL SEGRETARIO