Cons. Stato, Sez. V, 13 febbraio 2019
L’art. 120 c.p.a. ha carattere eccezionale e derogatorio del principio secondo cui l'interesse a impugnare dei partecipanti a una gara si concretizza al momento dell'aggiudicazione; per l’effetto deve ritenersi di stretta interpretazione, non potendo trovare applicazione – senza un espresso richiamo legislativo – ad ipotesi dalla stessa non espressamente (e direttamente) regolate.
Invero, il primo comma dell’art. 120 Cod. proc .amm. circoscrive espressamente l’ambito di applicazione della norma (e, dunque, anche del rito specialissimo di cui al richiamato comma 2-bis) agli “atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferiti”, non comprendendo dunque gli affidamenti in concessione di beni demaniali, cui si riferisce invece la vicenda in esame.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5991 del 2018, proposto da
Mori s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Francesco Pappalepore in Roma, via Guglielmo Calderini, n. 68;
contro
Comune di Bisceglie, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Felice Ingravalle, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Mario Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180;
nei confronti
La Salata 2.0. s.r.l.s, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Lancieri, con domicilio eletto presso lo studio legale degli avvocati Corvasce e Pasquino in Roma, via Emanuele Filiberto, n. 144;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione Prima, n. 01089/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Bisceglie e di La Salata 2.0. s.r.l.s;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Vito Aurelio Pappalepore, Massimo Ingravalle e Saverio Profeta, in dichiarata delega di Marco Lancieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con delibera n. 131 del 17 maggio 2017, avente ad oggetto “Bando spiagge. Indirizzo politico-amministrativo (concessione di aree demaniali marittime)”, il Comune di Bisceglie esprimeva valutazione favorevole alla concessione per finalità turistico-balneari, per il periodo di sei anni, di alcuni tratti di spiaggia denominati S01, S02, S03, S04, S05 e S06.
Successivamente, con determinazione dirigenziale n. 105 del 5 luglio 2016, veniva approvato il bando per l’assegnazione dei predetti tratti di spiaggia, pubblicato il successivo 22 luglio 2016: detto bando prevedeva che l’assegnazione sarebbe avvenuta a favore del partecipante che avesse conseguito il punteggio più alto determinato secondo il criterio dettato dall’art. 7.
All'esito delle valutazioni delle offerte tecniche presentate dalle imprese partecipanti risultavano assegnatari definitivi dei tratti di spiaggia, giusta determinazione dirigenziale n. 20 del 21 marzo 2017, i seguenti operatori professionali: - tratto di spiaggia “S01” - Ditta “Mori”, con punti 69,5;
- tratto di spiaggia “S02” - Ditta “Lattanzio Andrea”, con punti 87; - tratto di spiaggia “S03” - Ditta “la Salata” con punti 87; - tratto di spiaggia “S04” - “Ditta “D’Ambrosio” con punti 90; - tratto di spiaggia “S05” - “RTI AL.VE s.r.l.” con punti 90; - tratto di spiaggia “S06”, non assegnato.
Con un primo ricorso al Tribunale amministrativo della Puglia (iscritto a r.g.n. 415 del 2017) la società Mori s.r.l. – seconda classificata – impugnava la determina dirigenziale n. 20 del 21 marzo 2017, con cui il Comune di Bisceglie aveva disposto l’assegnazione in concessione del tratto di spiaggia denominato S03 in favore della società La Salata 2.0 s.r.l.s., chiedendo altresì la l’annullamento degli atti con i quali quest’ultima era stata ammessa alla gara.
Il ricorso veniva respinto con sentenza 24 gennaio 2018, n. 310.
Nelle more della pubblicazione della sentenza, la società ricorrente, con missiva datata 15 febbraio 2018 e protocollata con nota n. 8535 del 20 febbraio 2018, chiedeva all’amministrazione comunale di fare uso del potere di autotutela, disponendo l’esclusione della società La Salata 2.0, avendo rilevato, a carico del socio al 50% di quest’ultima (Racanati Sergio) una condanna, passata in giudicato, per i reati di cui agli articoli 624 e 625 Cod. pen. (come da sentenza della Corte di appello di Napoli n. 3234 del 2008), non dichiarata in sede di gara.
In ragione di tali rilievi, il Comune, con nota prot. n. 8536 dello stesso 20 febbraio 2018, chiedeva alla società La Salata di “fornire necessari elementi conoscitivi ed informativi” sulle vicende dedotte.
La società La Salata 2.0 s.r.l.s. rendeva i chiarimenti richiesti con nota del 2 marzo 2018.
All’esito dell’istruttoria, il dirigente competente – ritenuto che questi ultimi fossero idonei a superare i rilievi evidenziati – accertava il possesso dei requisiti e, con successiva determinazione n. 19 dell'8 marzo 2018, disponeva l’assegnazione definitiva del tratto di spiaggia S03 in favore dell’aggiudicataria La Salata 2.0.
Con nuovo ricorso al Tribunale amministrativo della Puglia la società Mori s.r.l. impugnava quest’ultima determina, unitamente agli atti del sub-procedimento di verifica del possesso dei requisiti ed agli atti presupposti con cui era stata disposta l’ammissione alla gara della società La Salata, al fine di ottenerne l’annullamento. Deduceva, a tal fine, due distinti motivi di censura:
1. il Comune avrebbe dovuto escludere la controinteressata per aver violato gli obblighi dichiarativi prescritti dall’art. 38, comma 1 lett. c) e comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 – in tesi ritenuto applicabile – invece di ricorrere al soccorso istruttorio per sanare la posizione dell’aggiudicataria, così, violando la par condicio fra concorrenti;
2. La determinazione di assegnazione definitiva sarebbe stata inoltre viziata per non aver l’amministrazione dato atto, nel provvedimento impugnato, delle controdeduzioni della ricorrente, non compiutamente esaminate.
Si costituivano in giudizio il Comune di Bisceglie e la società La Salata 2.0 s.r.l.s., preliminarmente eccependo – il primo – l’inammissibilità del gravame per mancato rispetto dei termini di cui all’art. 120, comma 2-bis Cod. proc. amm. e – la seconda – per la natura meramente confirmativa del provvedimento impugnato; nel merito contestavano la fondatezza del gravame, del quale chiedevano la reiezione.
Con sentenza 17 luglio 2018, n. 1089, il giudice adito dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo fondata l’eccezione formulata dalla difesa comunale secondo cui la ricorrente aveva in realtà contestato l’ammissione alla gara dell’aggiudicataria, senza però rispettare le prescrizioni di cui all’art. 120, comma 2-bis Cod. proc. amm.
Avverso tale decisione la Mori s.r.l. ha interposto appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1. Errores in iudicando: Violazione ed erronea applicazione dell’art. 120, co. 2bis, cpa.
2. Errores in iudicando: Violazione ed erronea applicazione dell’art. 32, co. 7°, D. Lgs. n.50/2016.
3. Errores in iudicando: Violazione ed erronea applicazione dell'art. 80, comma 5, lett. c) ed f bis), D.Lgs. n. 50/2016. Violazione delle Linee Guida ANAC n. 6/2016; Violazione della par condicio. Violazione del dovere di clare loqui, del principio di correttezza e buona fede.
4. Errores in iudicando: Violazione ed erronea applicazione dell'art. 83, comma 9, D. Lgs. n. 50/2016; Violazione art. 3, 7, 10 L. n. 241/1990; Violazione par condicio.
Il Comune di Bisceglie si è costituito in giudizio, eccependo l’infondatezza del gravame e chiedendone la reiezione.
Anche la società La Salata 2.0 s.r.l.s. si è costituita in giudizio, ribadendo le difese già svolte nel precedente grado di giudizio e chiedendo il rigetto dell’appello.
Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno ribadito, illustrandole con specifiche memorie, le proprie rispettive tesi difensive ed all’udienza pubblica del 31 gennaio 2019, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello viene contestata l’applicabilità, alla fattispecie controversa dei termini processuali di cui all’art. 120 comma 2-bis Cod. proc. amm., diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice secondo cui “pur dichiarando di impugnare la determinazione in oggetto indicata con cui si è proceduto a verificare il possesso dei requisiti dichiarati, reclama, in realtà l’estromissione dalla gara dell’aggiudicataria per difetto dei requisiti di ordine generale […] Dunque, le doglianze mosse dalla società ricorrente riguardano il provvedimento di ammissione alla gara e, di conseguenza, quello di aggiudicazione”.
L’appellante rileva come il rito di cui all’art. 120, comma 2-bis possa trovare applicazione esclusivamente con riguardo alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi o forniture, ossia fattispecie assolutamente distinte da quella di cui è causa, riguardante invece l’assegnazione in concessione di un tratto di spiaggia.
Il motivo è fondato.
La normativa processuale in esame ha effettivamente carattere eccezionale e derogatorio del principio secondo cui l'interesse a impugnare dei partecipanti a una gara si concretizza al momento dell'aggiudicazione; per l’effetto deve ritenersi di stretta interpretazione, non potendo trovare applicazione – senza un espresso richiamo legislativo – ad ipotesi dalla stessa non espressamente (e direttamente) regolate.
Al riguardo, il primo comma dell’art. 120 Cod. proc .amm. circoscrive espressamente l’ambito di applicazione della norma (e, dunque, anche del rito specialissimo di cui al richiamato comma 2-bis) agli “atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferiti”, non comprendendo dunque gli affidamenti in concessione di beni demaniali, cui si riferisce invece la vicenda in esame.
Con il secondo motivo di appello, anch’esso di natura processuale, viene invece dedotto che l’azione proposta in primo grado dall’odierna appellante – volta a contestare la legittimità della determinazione n. 19 dell’8 marzo 2018 – era pienamente ammissibile, atteso che la società Mori aveva già a suo tempo gravato, con una prima autonoma impugnativa, la determina dirigenziale n. 20 del 21 marzo 2017 recante assegnazione, in favore della società La Salata 2.0, del tratto di spiaggia denominato S03.
Successivamente, avendone l’interesse in quanto seconda classificata, l’odierna appellante aveva proposto una nuova impugnativa volta a sindacare la regolarità dello svolgimento del procedimento di verifica dei requisiti, sfociata nella richiamata determinazione n. 19 dell’8 marzo 2018: per l’effetto l’odierna appellante avrebbe correttamente agito, avendo già tempestivamente impugnato il provvedimento di aggiudicazione e tempestivamente proposto nuovo ricorso riguardante la successiva fase della verifica dei requisiti e di assegnazione definitiva del tratto di spiaggia.
Anche questo motivo è fondato.
Invero, la determina dirigenziale n. 20 del 21 marzo 2017 non poteva dirsi atto meramente confermativo del precedente provvedimento di aggiudicazione in favore di La Salata 2.0, essendo stato adottato all’esito (ed alla luce) di una nuova istruttoria, seguita alla denuncia, da parte di Mori s.r.l., di una presunta violazione – da parte della società aggiudicataria – degli obblighi dichiarativi di cui all’art. 38, comma 1 lett. c) e comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 ed alla successiva presentazione, da parte dell’aggiudicataria medesima, di specifica memoria di replica in merito alle ragioni di tale mancata dichiarazione; istruttoria che era stata incentrata su circostanze di fatto del tutto nuove, non considerate in precedenza.
Sussisteva pertanto l’interesse dell’odierna appellante ad impugnarla in via autonoma in ragione del suo contenuto lesivo, non potendosi più, in quel momento, proporre motivi aggiunti nel precedente gravame (iscritto a r.g.n. 415 del 2017), essendo stata la causa ormai introitata per la decisione.
Così risolti in senso positivo i primi due motivi di gravame, deve procedersi allo scrutinio degli altri che attengono alla legittimità del provvedimento impugnato in primo grado.
Con il terzo motivo di appello viene infatti dedotto che la società La Salata 2.0, in sede di partecipazione, nella dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, aveva dichiarato l’insussistenza delle cause di esclusione ivi contemplate (e dunque, implicitamente, anche di condanne penali); in sede di verifica da parte della stazione appaltante del possesso dei requisiti dichiarati, era invece emersa la “presenza di annotazioni, delle quali non vi è cenno nelle dichiarazioni rese in sede di gara”, segnatamente una condanna del sig. Sergio Recanati (socio al 50 % de La Salata 2.0) per reati di cui agli artt. 110, 624 e 625 Cod. pen. Inoltre, con sentenza emessa dal Tribunale di Lecce e divenuta irrevocabile in data 22 giugno 2016, l’amministratore della società sig. Francesco Capozza risultava essere stato condannato per guida in stato di ebrezza.
In ragione della non veridicità della dichiarazione resa, la concorrente avrebbe pertanto dovuto essere obbligatoriamente esclusa, ai sensi dell’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, che testualmente prescrive: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, ne' le condanne revocate, ne' quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione”.
Il motivo non è fondato.
Correttamente il primo giudice ha rilevato, sul punto, che alla procedura di gara in questione – il cui bando era stato adottato il 5 luglio 2017 e quindi pubblicato dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, avvenuta in data 19 aprile 2016 – non poteva più applicarsi il d.lgs. n. 163 del 2006, bensì il d.lgs. n. 50 del 2016.
Nessuna rilevanza poteva dunque avere l’ormai abrogato art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, laddove l’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 individua quali cause ostative – prescrivendone la relativa dichiarazione – solo le condanne penali per taluni reati, tra cui non rientra la fattispecie denunciata dall’appellante in relazione al socio sig. Racanati.
Del resto, l’art. 86 del d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che le stazioni appaltanti accettano “come prova sufficiente della non applicabilità all'operatore economico dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80 […] il certificato del casellario giudiziario o in sua mancanza, un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato membro o del Paese d'origine o di provenienza da cui risulta il soddisfacimento dei requisiti previsti”, laddove risulta dagli atti che in sede di giustificazioni la ditta La Salata 2.0 aveva prodotto, a riprova della propria correttezza e buona fede nelle dichiarazioni, CUD, visura catastale e certificato generale del casellario giudiziale (oltreché dei carichi pendenti, entrambi datati 22 febbraio 2018) dai quali emergeva, rispettivamente, che “la banca dati del Casellario Giudiziale risulta NULLA” e che “non risultano carichi pendenti” (vedasi allegati sub doc. 8 Comune di Bisceglie).
Analoghe considerazioni valgono per l’amministratore della società, sig. Capozza, cui veniva contestata una condanna per guida in stato di ebbrezza, fattispecie che però non rientra nella casistica tassativa di cui al primo comma 1 dell’art. 80 cit.
Neppure è fondata l’ulteriore censura secondo cui il comportamento tenuto dall’aggiudicataria si presterebbe ad integrare sia un grave illecito professionale (ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c del d.lgs. n. 50 del 2016), nei termini di “fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento delle procedure di selezione”, sia una violazione della previsione di cui all’art. 80, comma 5 lett. f-bis) del medesimo decreto.
Quanto al primo profilo, è del tutto evidente che, in assenza di un obbligo di dichiarare i richiamati precedenti (come rilevato poc’anzi), la loro mancata menzione certo non potrebbe solo in quanto tale integrare un illecito professionale, non integrandosi la fattispecie delle informazioni false o fuorvianti presupposta dal legislatore.
Neppure potrebbe trovare applicazione la regola di cui all’art. 80, comma 5 lett. f-bis) cit., sia per una questione di diritto intertemporale (la norma, introdotta ex novo dall’art. 49, comma 1, lett. e), n. 1 del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, è infatti entrata in vigore in epoca successiva al provvedimento di assegnazione, disposto con determinazione dirigenziale 21 marzo 2017, n. 20), sia comunque per carenza di presupposti.
Da un lato, infatti, per le ragioni già esaminate in precedenza non può ritenersi che la dichiarazione resa dai sigg.ri Racanati e Capozza di non rientrare nelle cause di esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. 50 del 2016 integrasse un falso o, comunque, una condotta fraudolenta, volta a celare circostanze rilevanti ai fini della gara; dall’altro, nell’ottica stessa dell’appellante, che sembra contestare la mancata dichiarazione in quanto tale, a prescindere dalla riconducibilità dei fatti di reato alle fattispecie previste dall’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, l’oggetto della contestazione verrebbe piuttosto ad integrare un’omessa dichiarazione, ipotesi però non riconducibile alla norma in questione.
Con il quarto motivo di appello viene infine contestata la scelta del Comune di Bisceglie di far uso del soccorso istruttorio, consentendo all’aggiudicataria di “sanare” la dichiarazione non completa resa in sede di partecipazione alla gara, anziché comminarne direttamente l’esclusione; inoltre, il provvedimento impugnato viene altresì censurato per omessa applicazione delle garanzie procedimentali, in ragione dell’asserito mancato esame delle controdeduzioni a suo tempo formulate dalla ricorrente (desunta dal fatto che la determina impugnata non ne farebbe menzione) e, comunque, per l’asserita inapplicabilità al caso di specie della c.d. sanatoria processuale prevista dall'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, valevole solo per i provvedimenti di carattere vincolato.
Neppure questo motivo è fondato.
Sul punto il primo giudice ha concluso, in termini sostanzialmente condivisibili, che “da un lato, la infondatezza dell’assunto da cui muove la seconda classificata rende del tutto irrilevante la questione posta in merito all’integrazione istruttoria (che, peraltro, non può qualificarsi quale soccorso istruttorio, avendo dato adito ad una interlocuzione con l’aggiudicataria in merito alla disciplina applicabile e non, come sostenuto, a produzioni documentali sananti); dall’altro, la fase istruttoria avviata dal Comune ha pienamente recepito le osservazioni della odierna ricorrente, avviando una specifica verifica delle stesse (che ha ritenuto, poi, condivisibilmente di non accogliere), sicché rileva il dato sostanziale della effettiva loro infondatezza, indipendentemente dalla relativa specifica confutazione in sede motivazionale, in ossequio anche ai principi di cui all’art. 21 octies L n. 241/90”.
In merito al dedotto profilo del soccorso istruttorio, risulta convincente – alla luce delle risultanze di causa – la difesa del Comune di Bisceglie, secondo cui, lungi dal connotarsi quali atti resi in esecuzione di un avviato “soccorso istruttorio”, le produzioni chieste all’aggiudicataria andavano qualificate quali documenti resi ai sensi dell’art. 32 d.lgs. n. 50 del 2016, allo scopo di provare il possesso dei requisiti di legge per ottenere la definitiva assegnazione dell’area demaniale.
Significativamente, del resto, tale norma era stata espressamente richiamata sia nella determina dirigenziale di assegnazione n. 20 del 2017, sia nella successiva determina n. 19 del 2018.
Con la prima di esse – come ricorda sempre la stazione appaltante – ai sensi del comma 7 dell’art. 32, si è provveduto alla prima fase dell’aggiudicazione, inefficace fino “alla verifica del possesso dei prescritti requisiti”. Successivamente, “vista l’ulteriore documentazione richiesta e prodotta ai sensi del combinato disposto dall’art. 32 n. 7 e 9 del D. Lgs. 50/2016 […]”, il Comune adottava il provvedimento definitivo di assegnazione.
Né può accogliersi la censura della mancata considerazione delle ragioni esposte dalla ricorrente nella propria istanza di annullamento in autotutela, ove solo si consideri che proprio a seguito di tale istanza la stazione appaltante si era determinata a sospendere la procedura di aggiudicazione definitiva, chiedendo a La Salata 2.0 di produrre documentazione idonea a confermare il possesso dei requisiti di legge, messi in dubbio da Mori s.r.l.
Quanto sopra vale anche ad escludere la rilevanza dell’ulteriore censura dedotta dall’appellante, non vertendosi in materia di sanatoria ex art. 21-octies l. n. 241 del 1990. Per contro, correttamente il primo giudice ha preso atto delle ragioni fondanti il provvedimento amministrativo impugnato, alla luce del loro obiettivo contenuto e delle risultanze procedimentali, in sintonia del resto con il precedente di Cons. Stato, VI, 19 ottobre 2018, n. 5984, per cui addirittura l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo sarebbe ammissibile, se effettuata mediante gli atti del procedimento – nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta – oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida.
Ricostruzione che però, nel caso di specie, neppure è dato riscontrare, già risultando il provvedimento impugnato correttamente motivato circa le ragioni della sua adozione.
Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono l’appello va accolto per quanto di ragione e va dichiarato ammissibile il ricorso di primo grado, che tuttavia deve essere respinto nel merito.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado che respinge nel merito.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Bisceglie e della società La Salata 2.0 s.r.l.s., delle spese di lite dell’attuale grado di giudizio, che liquida in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) ciascuna, oltre Iva e Cpa se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere, Estensore
Angela Rotondano, Consigliere
GUIDA ALLA LETTURA
Nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato viene adito dalla seconda classificata in una procedura di gara per l’assegnazione di una concessione demaniale marittima. L’occasione consente al C.d.S. di fare il punto su due questioni, una di carattere processuale, l’altra di carattere intertemporale, che si sono poste all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti.
La prima di tali questioni attiene all’applicabilità dell’art. 120 c.p.a. alla fattispecie che ci occupa, ossia le procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime. Invero, l’appellata/aggiudicataria contesta sul punto l’inammissibilità del ricorso proposto, posto che il provvedimento di ammissione alla procedura avrebbe dovuto essere impugnato con il rito super-accellerrato di cui al citato art. 120.
Il C.d.S. ritiene, tuttavia, che il motivo sia infondato, in quanto la normativa processuale in esame ha carattere eccezionale e derogatorio del principio secondo cui l'interesse a impugnare dei partecipanti a una gara si concretizza al momento dell'aggiudicazione; per l’effetto deve ritenersi di stretta interpretazione, non potendo trovare applicazione – senza un espresso richiamo legislativo – ad ipotesi dalla stessa non espressamente (e direttamente) regolate.
Invero, il primo comma dell’art. 120 Cod. proc .amm. circoscrive espressamente l’ambito di applicazione della norma (e, dunque, anche del rito specialissimo di cui al richiamato comma 2-bis) agli “atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferiti”, non comprendendo dunque gli affidamenti in concessione di beni demaniali, cui si riferisce invece la vicenda in esame.
Venendo al secondo punto, questo riguarda la dichiarazione resa in sede di partecipazione alla gara circa il possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 D.Lgs. 50/2016. Secondo la tesi, sostenuta questa volta dall’appellante, l’aggiudicataria avrebbe omesso di dichiarare l’esistenza di taluni reati a carico dei soggetti dotati del potere di amministrazione. In ragione della non veridicità della dichiarazione resa, la concorrente avrebbe pertanto dovuto essere obbligatoriamente esclusa, ai sensi dell’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, che testualmente prescrive: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, ne' le condanne revocate, ne' quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione”.
Anche tale motivo viene ritenuto infondato in quanto non tiene conto della rinnovata disciplina posta dall’art. 80 cit.
Invero, alla procedura di gara in questione – il cui bando era stato adottato il 5 luglio 2017 e quindi pubblicato dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, avvenuta in data 19 aprile 2016 – non poteva più applicarsi il d.lgs. n. 163 del 2006, bensì il d.lgs. n. 50 del 2016.
Nessuna rilevanza può dunque avere l’ormai abrogato art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, laddove l’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 individua quali cause ostative – prescrivendone la relativa dichiarazione – solo le condanne penali per taluni reati, tra cui non rientra la fattispecie denunciata dall’appellante in relazione ad uno dei soci.
Neppure è fondata l’ulteriore censura secondo cui il comportamento tenuto dall’aggiudicataria si presterebbe ad integrare sia un grave illecito professionale (ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c del d.lgs. n. 50 del 2016), nei termini di “fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento delle procedure di selezione”, sia una violazione della previsione di cui all’art. 80, comma 5 lett. f-bis) del medesimo decreto.
Quanto al primo profilo, è del tutto evidente che, in assenza di un obbligo di dichiarare i richiamati precedenti (come rilevato poc’anzi), la loro mancata menzione certo non potrebbe solo in quanto tale integrare un illecito professionale, non integrandosi la fattispecie delle informazioni false o fuorvianti presupposta dal legislatore.
Neppure potrebbe trovare applicazione la regola di cui all’art. 80, comma 5 lett. f-bis) cit., sia per una questione di diritto intertemporale (la norma, introdotta ex novo dall’art. 49, comma 1, lett. e), n. 1 del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, è infatti entrata in vigore in epoca successiva al provvedimento di assegnazione, disposto con determinazione dirigenziale 21 marzo 2017, n. 20), sia comunque per carenza di presupposti.
Da un lato, infatti, per le ragioni già esaminate in precedenza non può ritenersi che la dichiarazione resa dall’aggiudicataria di non rientrare nelle cause di esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. 50 del 2016 integri un falso o, comunque, una condotta fraudolenta, volta a celare circostanze rilevanti ai fini della gara; dall’altro, nell’ottica stessa dell’appellante, che sembra contestare la mancata dichiarazione in quanto tale, a prescindere dalla riconducibilità dei fatti di reato alle fattispecie previste dall’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, l’oggetto della contestazione verrebbe piuttosto ad integrare un’omessa dichiarazione, ipotesi però non riconducibile alla norma in questione.