Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza 3 gennaio 2019, n. 68

Vanno rimesse alla Corte di Giustizia UE le seguenti questioni pregiudiziali:

  • se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3 bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che limita l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire;
  • se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad es. il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati;
  • se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3- bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza.

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’attenzione della Corte di Giustizia UE il comma 3 bis dell’art. 33 del previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, in materia di centrali di committenza cui devono affidarsi i comuni di piccole dimensioni.

Più precisamente, le perplessità sollevate dalla V Sezione riguardano la compatibilità della richiamata norma nazionale con il diritto europeo laddove impone ai comuni con minore densità di popolazione di utilizzare quali “centrali di committenza” le unioni di comuni, qualora esistenti, ovvero i consorzi di comuni, ponendo, in tal modo, un limite ai modelli organizzativi a cui poter fare ricorso.

Questa non è, però, l’unica incertezza derivante dalla comparazione dei due profili ordinamentali, in quanto il Collegio ha paventato delle zone d’ombra anche nel punto in cui la menzionata norma esclude la possibilità di costituire consorzi di diritto comune, con la partecipazione anche di privati ed infine, nella parte che delimita la sfera di operatività dei consorzi di comuni che siano centrali di committenza all’ambito territoriale dei comuni aderenti.

Questi i passaggi salienti dell’ordinanza del Consiglio di Stato, il quale approda alla formulazione dei quesiti di cui al rinvio pregiudiziale sulla scorta di un iter logico-argomentativo imperniato principalmente sul raffronto tra la normativa interna e il quadro euro-unitario di riferimento.

Anzitutto, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato come la disciplina nazionale (art. 3, commi 25 e 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ratione temporis vigente; art. 33, comma 3-bis, nel testo introdotto dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 241 del 2011, ulteriormente modificato dal decreto-legge n. 66 del 2014, convertito in legge n. 89 del 2014) necessiti di essere intesa nell’accezione secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici previste dal Codice dei contratti pubblici del 2006, ovverosia le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da siffatti soggetti, siano nella condizione di poter  assumere la funzione di centrale di committenza, con obbligo, però, per i Comuni (in un primo momento con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e, successivamente, non capoluogo di provincia) di rivolgersi a centrali di committenza configurate secondo un preciso modello organizzativo, quello dell’unione dei comuni di cui all’art. 32 TUEL, qualora sia già esistente, oppure quello del consorzio tra i comuni, il quale si avvale degli uffici delle province (nonché nell’ultima formulazione anche ad un soggetto aggregatore o alle province ai sensi della l. 7 aprile 2014, n. 56).

Da ciò discende che, la disposizione sulle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni, limitando il modello organizzativo utilizzabile a due soli schemi rispetto al più ampio novero di soggetti che potenzialmente possono assumere la veste di centrale di committenza, si pone come una chiara deroga a quella che costituisce la regola generale.

Orbene, il modello organizzativo del consorzio tra i comuni, anche in considerazione della definizione di “amministrazione aggiudicatrice” del menzionato art. 3, comma 25, in cui il riferimento è ai “consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” ovvero ai consorzi costituiti solamente tra soggetti pubblici, sembra richiamare una forma di cooperazione tra comuni di tipo pubblicistico, come quella prevista dall’art. 31 del TUEL, che esclude la partecipazione di soggetti privati; ciò comporta un’ulteriore limitazione del modello di centrale di committenza cui rimettere la funzione di acquisito di beni e servizi.

Giova, in seconda analisi, sottolineare che la disciplina interna non definisce un ambito di operatività per le centrali di committenza nelle disposizioni generali o in quelle speciali per i piccoli comuni; ciò nonostante, l’espresso riferimento ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti nell’originaria formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, come pure ai comuni non capoluogo di provincia, nella formulazione più recente, spinge a pensare che l’ordinamento interno si riferisca a una corrispondenza tra il territorio dei comuni ricorrenti alla centrale di committenza e l’ambito di operatività della stessa, limitato al territorio dei comuni compresi nell’unione dei comuni ovvero costituenti il consorzio.

Nell’ambito della normativa europea, invece, nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture 2004/18/CE era espresso il favore comunitario verso l’istituto delle centrali di committenza con implicito riconoscimento della possibilità di un più ampio ricorso ad esso.

Il Collegio evidenzia che la nozione di “impresa” adottata dal diritto europeo ai fini della concorrenza è ampia, tale da comprendere qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle modalità di finanziamento[1], e l’“attività economica” è qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, così che una centrale di committenza è dunque, per il diritto euro-unitario, un’impresa che offre il servizio dell’acquisto di beni e servizi a favore delle amministrazioni aggiudicatrici, essendo nella specie stato accertato anche il carattere remunerativo della prestazione.

Inoltre, l’ordinanza rileva come l’art. 57 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea vieti le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea. Invero, il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, per quanto attiene agli appalti di servizi, è esso stesso diretto a garantire la libera circolazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza che non risulti falsata e che si ponga come la più ampia possibile tra tutti gli Stati membri[2].

A seguito del confronto fra i due ambiti ordinamentali, sono emersi una serie di interrogativi in merito alla compatibilità del diritto interno con il quadro europeo, con specifico riferimento alla scelta di limitare l’autonomia organizzativa dei piccoli comuni a due soli modelli di centrali di committenza, senza che ciò risulti adeguatamente giustificato dalla natura delle prestazioni, che non prevedono l’esercizio di prerogative pubblicistiche, oltre all’obbligo di imporre ai piccoli comuni di ricorrere a modelli organizzativi solamente pubblicistici.

In sostanza, una simile regolamentazione delle “centrali di committenza”, sembra porsi in contrasto con il principio di libera circolazione dei servizi e il principio di massima apertura alla concorrenza, in quanto determina l’istituzione di particolari zone di esclusiva nell’operatività delle centrali di committenza.

                                

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2863 del 2016, proposto da


 

Asmel società consortile a r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Pilade Chiti, Lorenzo Lentini e Aldo Sandulli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Aldo Sandulli in Roma, via F. Paulucci de' Calboli, 9;

 

contro

A.N.A.C. - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti

A.N.A.C.A.P. - Associazione Nazionale Aziende Concessionarie Servizi entrate enti locali, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Di Benedetto e Giuseppe Dicuonzo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pietro Di Benedetto in Roma, via Cicerone, 28; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 02339/2016, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’A.N.A.C. - Autorità Nazionale Anticorruzione e dell’A.N.A.C.A.P.;

Considerata la richiesta di sollevare questione di pregiudizialità europea formulata dalla difesa della Asmel società consortile a r.l. in udienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Chiti, Lentini e Cimino per delega di Sandulli, Dicuonzo e Montella per delega di Di Benedetto, l’avvocato dello Stato Carmela Pluchino;


 

I. FATTO

1. Il giudizio ha ad oggetto l’attività svolta da Asmel società consortile a.r.l. quale centrale di committenza di enti locali.

1.1. Asmel s.c.a.r.l. risulta composta dal Consorzio Asmez, dall’associazione privata Asmel e dal Comune di Caggiano, rispettivamente detentori del 24%, del 25% e del 51% delle quote sociali.

1.2. Il Consorzio Asmez è stato costituito da imprese private a Napoli il 25 marzo 1994 ed è divenuto operativo con l’ingresso nella compagine sociale di Selene service s.r.l., società convenzionata con A.N.C.I. – Associazione nazionale comuni italiani, sede della Campania, per la promozione delle innovazioni tecnologiche e gestionali e l’accesso ai finanziamenti pubblici anche mediante attività di formazione e assistenza. Nel tempo, il Consorzio ha raccolto le adesioni di numerosi Comuni anche della Basilicata e della Calabria.

1.3. L’associazione Asmel, invece, è stata costituita il 26 maggio 2010 nella forma di associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 14 Cod. civ. da Asmenet Campania s.c.a.r.l., Asmenet Calabria s.c.a.r.l., dallo stesso Consorzio Asmez e dall’A.N.P.C.I. – associazione nazionale piccoli comuni italiani, nata nel 1996, su iniziativa di piccoli comuni della provincia di Cuneo.

1.4. La Asmel società consortile a r.l. è stata, invece, costituita il 23 gennaio 2013.

Nel corso degli anni Asmel s.c.a.r.l. ha svolto attività di centrale di committenza a favore di enti locali; precisamente, ha indetto una procedura per la stipula di convenzioni quadro per l’affidamento del servizio di accertamento tributi ICI/IMU e riscossione coattiva delle entrate, nonché centocinquantadue procedure per l’aggiudicazione, mediante gara telematica, di appalti di varia natura a favore di singoli comuni richiedenti o aderenti.

2. A seguito di diversi esposti l’A.N.A.C. – Autorità nazionale anticorruzione ha avviato un’attività di indagine nei confronti di Asmel s.c.a.r.l., conclusasi, dopo la presentazione di documenti scritti e chiarimenti, con la deliberazione 30 aprile 2015, n. 32 declaratoria della non rispondenza di Asmel s.c.a.r.l. e del Consozio Asmez ai modelli organizzativi indicati dall’art. 33, comma 3-bis d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 per le centrali di committenza.

L’ANAC ha inoltre: escluso che Asmel s.c.a.r.l. potesse essere inclusa tra i «soggetti aggregatori» di cui all’art. 9 d.-l. 24 aprile 2014 n. 66 conv. dalla l. 23 giugno 2014, n. 89, con conseguente divieto allo svolgimento di attività di intermediazione negli acquisti pubblici ed ha dichiarato prive del presupposto di legittimazione le gare poste in essere dalla società consortile.

2.1. La motivazione del provvedimento dell’ANAC si articola in tre passaggi:

a) l’individuazione nell’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 inserito dall’art. 23, comma 4, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n.. 214 del dato normativo di raffronto della legittimità della forma giuridica adoperata, per essere ivi disposto l’obbligo per i «Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia» di affidare «ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici»;

b) la precisazione delle modalità di funzionamento del “sistema Asmel” in cui gli enti locali, con deliberazione del Consiglio comunale, aderiscono non direttamente alla società consortile, ma all’associazione Asmel che ne è uno dei componenti, e, solo successivamente, mediante deliberazione della Giunta, procedono all’affidamento alla Asmel s.c.a.r.l. delle funzioni di acquisto, per cui la partecipazione degli enti locali alla centrale di committenza si può dire solo indiretta ovvero realizzata mediante l’intermediazione dell’associazione Asmel cui essi, in prima battuta, aderiscono;

c) la conclusione per la quale la Asmel s.c.a.r.l. non corrisponde al modello organizzativo imposto dall’art. 33 comma 3-bis d.lgs. 163 cit. per la costituzione di centrali di committenza da parte dei comuni, tenuto conto altresì che essa ha natura privatistica (società di diritto privato costituita a sua volta da altre associazioni) mentre per le centrali di committenza l’ordinamento italiano ha sempre fatto riferimento ad enti pubblici (province e città metropolitane) ovvero a forme associative di enti locali quali “l’unione di comuni” o anche il consorzio di comuni sorti a seguito di accordi ai sensi dell’art. 30 del Testo unico degli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000), e che, anche ad ammettere il ricorso a soggetti privati, dovrebbe, comunque, trattarsi di organismi in house la cui attività sia limitata al territorio dei comuni fondatori, laddove, invece, manca sia l’un profilo per l’insussistenza del controllo analogo, sia l’altro per l’assenza di limiti territoriali e la previsione di una legittimazione a svolgere funzione di centrale di committenza a livello nazionale.

2.3. In un ultimo passaggio della motivazione del provvedimento, infine, l’ANAC si pronuncia sulla natura giuridica di Asmel s.c.a.r.l. per escluderne la qualificazione di “organismo di diritto pubblico”: la società svolge un’attività solamente strumentale rispetto alle esigenze (di acquisto di beni) degli enti locali aderenti e, dunque, non assolve direttamente ai bisogni di interesse generale irrinunciabili per la collettività; è assente, inoltre, l’esternalizzazione diretta di funzioni, vista la necessità per i Comuni di aderire, preliminarmente, all’associazione Asmel.

II. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

3. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Asmel s.c.a.r.l. ha impugnato il provvedimento dell’ANAC proponendo sette motivi.

Rilevano, ai fini dell’odierno giudizio, il secondo, il terzo ed il sesto motivo.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso la società consortile ha contestato il provvedimento impugnato per averle negato la qualificazione di “organismo di diritto pubblico”.

La ricorrente ha, infatti, sostenuto di rispondere ai tre requisiti richiesti dalla giurisprudenza nazionale ed europea per la configurazione dell’organismo di diritto pubblico e segnatamente: a) di avere personalità giuridica, non rilevando che si tratti di personalità giuridica di diritto comune; b) di soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale; c) di essere finanziato dagli enti locali aderenti ed operare sotto il loro controllo (o meglio, sotto la loro “influenza dominante”).

La qualificazione – nella impostazione della ricorrente – è centrale: Asmel s.c.a.r.l., in qualità di “organismo di diritto pubblico” rientrerebbe tra le «amministrazioni aggiudicatrici» di cui all’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e potrebbe, per questa via, essere qualificata come “centrale di committenza” considerato che il medesimo art. 3, comma 34, definisce le centrali di committenza «amministrazioni aggiudicatrici», anche a prescindere dai diversi modelli organizzativi stabiliti per le centrali di committenza degli enti locali dall’art. 33, comma 3-bis, cit.

3.2. Con il terzo motivo di ricorso, Asmel s.c.a.r.l. ha censurato il provvedimento dell’ANAC per aver ritenuto in contrasto con il dato normativo lo svolgimento dell’attività di centrale di committenza oltre il territorio dei comuni fondatori; la ricorrente assume che né l’originaria versione del comma 3-bis dell’art. 33, che si limitava a prevedere l’obbligo per i comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti di affidare l’attività di acquisto ad una centrale di committenza, né la successiva versione, che pone l’obbligo a carico di tutti i comuni non capoluogo, fanno riferimento ad un ambito infra-regionale di operatività.

3.3. Merita considerazione, infine, il sesto motivo di ricorso con il quale la ricorrente contesta la lettura data dall’ANAC all’art. 33, comma 3-bis ove è imposto quale modello organizzativo per la costituzione di una centrale di committenza, oltre l’«unione dei comuni», l’«accordo consortile» fra i comuni; per la società sarebbe errata l’interpretazione di ANAC secondo cui il legislatore ha voluto richiamare, in questo modo, accordi come quelli previsti dall’art. 30 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 [T.U.E.L. – Testo unico degli enti locali per il quale «Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni»], poiché, invece, il riferimento va inteso come ad una qualunque delle modalità con le quali è possibile realizzare in forma cooperativa attività di interesse degli enti locali ivi compresa anche la forma del consorzio privatistico.

3.4. Nel giudizio si è costituito l’ANAC che ha concluso per il rigetto del ricorso.

4. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III, con sentenza 22 febbraio 2016, n. 2339 ha respinto il ricorso di Asmel s.c.a.r.l.

4.1. La sentenza ha affrontato e risolto le questioni poste dai motivi di ricorso in questi termini:

a) ha ritenuto vigente al 30 aprile 2015, data di adozione del provvedimento impugnato, l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 così come introdotto dall’art. 23, comma 4, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, essendo entrata in vigore solamente il 1°novembre 2015 la nuova formulazione proposta dall’art. 9, comma 4, d.-l. 24 aprile 2014, n. 66 conv. dalla l. 23 giugno 2014, n. 89;

b) ha escluso la rilevanza per il giudizio della direttiva 2014/24/UE, richiamando la sentenza del Consiglio di Stato, VI, 26 maggio 2015, n. 2660 per la quale l’unico obbligo che incombe sul giudice nazionale in presenza di una direttiva dell’Unione europea non ancora recepita e che disciplina in maniera innovativa la materia oggetto del giudizio è quello di “astenersi dall’interpretazione difforme potenzialmente pregiudizievole per i risultati che la direttiva intende conseguire”;

c) ha valutato il “sistema Asmel” non conforme al modello legale della “centrale di committenza” previsto dal combinato disposto degli artt. 3, commi 25 e 34 e 33, commi 1, 2, 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, poiché:

c1) Asmel non può essere qualificata “organismo di diritto pubblico” (per quanto possa essere utile il richiamo a tale istituto) per l’assenza del requisito della “influenza pubblica dominante”, considerate le modalità di finanziamento (che la società consortile pone a carico delle imprese aggiudicatarie delle commesse pubbliche) e il controllo sulla gestione (che non spetta ai piccoli comuni associati, i quali, anche a superare la circostanza della gestione indiretta mediante iscrizione all’associazione Asmel, detengono, in ogni caso, una partecipazione che assomma al 49% e, dunque, non maggioritaria a fronte della partecipazione del 51% detenuta dal solo Comune di Caggiano, senza considerare che l’elevato numero di comuni associati determina che il singolo piccolo comune abbia un potere ben limitato sulla vita associativa, e tale, comunque, da escludere una vera incidenza sulle scelte gestionali);

c2) non risulta conforme ad alcuno dei modelli organizzativi enucleabili dall’art. 33, comma 3-bis, nella formulazione vigente al tempo dell’adozione del provvedimento impugnato per la presenza nella compagine consortile dell’associazione di diritto privato Asmel ed in quanto l’ “accordo consortile”, anche ammesso che il riferimento normativo non sia al consorzio di cui all’art. 31 T.U.E.L., non interviene tra “comuni” per essere la partecipazione dei comuni alla centrale di committenza solo indiretta, perché mediata dall’adesione all’associazione privata (a sua volta consorziata Asmel), e si realizza mediante una delega di funzioni di committenza alla Asmel consortile da parte del singolo Comune;

d) ha escluso che, in base alla normativa vigente all’adozione del provvedimento impugnato (come pure in base alla successiva formulazione) la centrale di committenza possa estendere la propria operatività a tutti i comuni dell’intero territorio nazionale, dovendo, invece, limitare la propria attività al territorio dei comuni fondatori ovvero all’ambito provinciale.

III. I MOTIVI DI APPELLO.

5. Asmel società consortile a r.l. ha proposto appello con cinque motivi.

5.1. Con il primo motivo l’appellante contesta la sentenza per “Violazione del principio del “tempus regit actum”- violazione di legge (art. 23 co. IV D.l. 201/2011 conv. in l. 241/11; art. 29 d.l. 216/2011 conv. n l. 14/12, art. 5ter l. 71/2013, art. 1 co. 343 l. 147/2013, art. 23 l. 90/2014, modificato l. 11/2014, art. 1 co. 163 l. 107/2015)”; assume che erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato la prima formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, così come introdotta nel corpo del codice dei contratti pubblici dall’art. 23, comma 4, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201 conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 («I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici»), piuttosto che la più recente formulazione introdotta dall’art. 1, comma 343, l. 27 dicembre 2013, n. 147 («I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 15 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A.o da altro soggetto aggregatore di riferimento»). Per l’appellante, infatti, la prima formulazione non ha mai prodotto i suoi effetti (pur essendo formalmente entrata in vigore) avendo la norma stabilito che dovesse trovare applicazione «alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012», termine poi prorogato fino al 30 giugno 2014, quando, orami la disposizione era già stata modificata dagli interventi normativi successivi.

5.2. Con il secondo motivo di appello la sentenza è oggetto di censura per “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33 d.lgs. n. 163/2016 a causa della mancata interpretazione conforme al nuovo diritto europeo (Direttiva 2014/24/UE)”; per la società appellante la decisione avrebbe erroneamente ritenuto non immediatamente applicabili la disposizione, contenuta nella direttiva sui contratti pubblici 2014/24/UE, che definisce le “centrali di committenza”, in quanto non ancora recepita al tempo dell’adozione del provvedimento impugnato: il mancato recepimento, sostiene l’appellante, rileva solo in caso di nuova direttiva che intervenga in una materia da tempo disciplinata dall’ordinamento (anche con disposizioni di derivazione comunitarie) e per la quale si sia formata una giurisprudenza stratificata, non già nel caso, come quello delle centrali di committenza, di materia non ancora adeguatamente disciplinata, ove il giudice è obbligato ad una interpretazione conforme alla direttiva sebbene non ancora recepita.

5.3. Con il terzo motivo di appello Asmel s.c. a r.l. ha censurato la sentenza per “Violazione degli artt. 3, co. 25-26 e 33 d.lgs. 163/2006 – violazione dei principi comunitari in tema di organismo di diritto pubblico”; contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza, l’appellante sostiene di essere in possesso dei requisiti per essere qualificato organismo di diritto pubblico e di poter, per questa via, svolgere attività di centrale di committenza, a prescindere dalle più stringenti previsioni dell’art. 33, comma 3-bis.

5.4. Con il quarto motivo la società contesta alla sentenza impugnata la “Violazione di legge (art. 33 co. 3bis d.lgs. 163/06)” per aver ritenuto il modello organizzativo della società consortile incompatibile con quelli previsti dall’art. 33, comma 3-bis, per lo svolgimento dell’attività di centrale di committenza; in particolare, per l’appellante, la sentenza avrebbe errato nel ritenere che l’«accordo consortile tra i comuni» di cui alla disposizione sia solo quello previsto dall’art. 30 T.u.e.l. e non anche un contratto di diritto privato volto a costituire un consorzio secondo le disposizioni di diritto comune, vista la generale capacità di diritto privato degli enti pubblici. Allo stesso modo non potrebbe dirsi solo indiretta la partecipazione dei comuni all’accordo consortile considerato per aver affidato ad Asmel le funzioni di centrale di committenza con delibera di Giunta. Aggiunge l’appellante che, da ultimo, e dopo la delibera di ANAC, l’associazione Asmel ha dismesso le quote di partecipazione all’interno del consorzio.

5.5. Con un ultimo motivo di ricorso, la società appellante ha contestato la sentenza di primo grado per “Error in iudicando: assenza del vincolo di territorialità – violazione di legge (art. 1, co. 343 l. 147/2013)”: le disposizioni in materia di centrali di committenza (né nell’originaria formulazione, né nella formulazione più recente) non conterrebbero in realtà alcun limite territoriale di operatività; il richiamo ai piccoli comuni solo servirebbe a circoscrivere l’obbligo di affidamento alle centrali di committenza.

6. Ritiene il Collegio che il primo, il secondo e il terzo motivo di appello siano irrilevanti ai fini della decisione presente, e che il quarto e il quinto motivo rendano necessario sollevare questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea nei termini di seguito esposti.

IV. DIRITTO EURO-UNITARIO E DIRITTO NAZIONALE

7. La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture 2004/18/CE, individuava, all’art. 1, comma 9 le “amministrazioni aggiudicatrici” ne “lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico”, mentre per il comma 10, una “centrale di committenza” era “un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o – aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”.

L’art. 11 (Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza) chiariva: “1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di acquistare lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza. 2. Le amministrazioni aggiudicatrici che acquistano lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza nei casi di cui all’articolo 1, paragrafo 10, sono considerate in linea con la presente direttiva a condizione che detta centrale l’abbia rispettata”.

8. L’art. 3, comma 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ratione temporis vigente, forniva la definizione di centrale di committenza, in perfetta coerenza con la direttiva comunitaria, come di «un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o - aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori».

L’«amministrazione aggiudicatrice» era, invece, identificata al comma 25, come «le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti».

Come visto, l’art. 33, comma 3-bis, nella sua ultima formulazione specificava, infine: «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l'obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione».

L’art. 32 (Unioni di comuni) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico enti locali) prescrive: «L’unione di comuni è l’ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi»; l’art. 31 (Consorzi) prevede, invece che: «Gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e per l’esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’articolo 114, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti».

V. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE RIMESSA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA.

9. La disciplina nazionale, sopra trascritta, va letta nel senso che le amministrazioni aggiudicatrici previste dal Codice dei contratti pubblici del 2006, vale a dire le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da siffatti soggetti, possono assumere la funzione di centrale di committenza, con obbligo, però, per i Comuni (dapprima con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e, poi, non capoluogo di provincia) di rivolgersi a centrali di committenza configurate secondo un preciso modello organizzativo, quello dell’unione dei comuni di cui all’art. 32 del Testo unico degli enti locali qualora sia già esistente ovvero quello del consorzio tra i comuni che si avvale degli uffici delle province (nonché nell’ultima formulazione anche ad un soggetto aggregatore o alle province ai sensi della l. 7 aprile 2014, n. 56).

9.1. La disposizione sulle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni appare, dunque, derogatoria rispetto alla regola generale, limitando il modello organizzativo utilizzabile a due soli schemi rispetto al più ampio novero di soggetti che, nella qualità di amministrazioni aggiudicatrici, potenzialmente possono assumere la veste di centrale di committenza.

9.2. Il modello organizzativo del consorzio tra i comuni – tenuto conto della definizione di “amministrazione aggiudicatrice” dell’art. 3, comma 25, in cui il riferimento è ai “consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” ovvero ai consorzi costituiti solamente tra soggetti pubblici – sembra richiamare una forma di cooperazione tra comuni di tipo pubblicistico, come quella prevista dall’art. 31 del Testo unico degli enti locali, che esclude la partecipazione di soggetti privati. Ciò comporta un’ulteriore limitazione del modello di centrale di committenza cui rimettere la funzione di acquisito di beni e servizi.

9.3. La disciplina interna non definisce un ambito di operatività per le centrali di committenza né nelle disposizioni generali né nella disposizione speciale per i piccoli comuni; tuttavia, l’espresso riferimento ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti nell’originaria formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, come pure ai comuni non capoluogo di provincia, nella formulazione più recente, ossia ad una connotazione territoriale degli enti aderenti, induce a ritenere che l’ordinamento interno si sia riferito a una corrispondenza tra il territorio dei comuni ricorrenti alla centrale di committenza e l’ambito di operatività della stessa. Quest’ultimo sarebbe limitato al territorio dei comuni compresi nell’unione dei comuni ovvero costituenti il consorzio.

10. Nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture 2004/18/CE era espresso il favore comunitario verso l’istituto delle centrali di committenza con implicito riconoscimento della possibilità di un più ampio ricorso ad esso.

Nel considerando 15, infatti, si legge: “In alcuni Stati si sono sviluppate tecniche di centralizzazione delle committenze. Diverse amministrazioni aggiudicatrici sono incaricate di procedere ad acquisti o di aggiudicare appalti pubblici/stipulare accordi quadro destinati ad altre amministrazioni aggiudicatrici. Tali tecniche consentono, dato il volume degli acquisti, un aumento della concorrenza e dell’efficacia della commessa pubblica”;

nel considerando 16, inoltre, si legge che: “Al fine di tenere conto delle diversità esistenti negli Stati membri, occorre lasciare a questi ultimi la facoltà di prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere ad accordi quadro, a centrali di committenza, ai sistemi dinamici di acquisizione ad aste elettroniche e al dialogo competitivo, quali sono definiti e disciplinati dalla presente direttiva”.

10.1. La Corte di Giustizia delle Comunità europee, con sentenza 20 ottobre 2005, causa C-246/03 Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese, ha ritenuto (§44) il “mandato di committenza” ovvero l’incarico affidato ad una persona giuridica di acquistare in nome e per conto del mandante beni e servizi, come una prestazione di servizi ai sensi del diritto comunitario (e le committenze come “prestatori di servizi”) e (§61) la legge francese esaminata (l. 85-704, successivamente modificata), che riservava detta prestazione solamente a persone giuridiche di diritto francese tassativamente enumerate, in contrasto con il principio della parità di trattamento tra i diversi prestatori di servizi.

10.2. La nozione di “impresa” adottata dal diritto comunitario ai fini della concorrenza è ampia, tale da comprendere “qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle modalità di finanziamento” (cfr. Corte di Giustizia dell’UE, sentenza 12 dicembre 2013 nella causa C-372-12 Ministero dello sviluppo economico sull’attività delle SOA; sentenza 6 settembre 2011 nella causa C-108/10 Scattolon, e sin da Corte di Giustizia delle Comunità europee, 23 aprile 1991, nella causa C-41/90 Klaus Hofner e Elsen). L’“attività economica” è “qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato” (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 25 ottobre 2001, nella causa C-475/99 Ambulanz Glöckner).

10.3. Una centrale di committenza è dunque, per il diritto euro-unitario, un’impresa che offre il servizio dell’acquisto di beni e servizi a favore delle amministrazioni aggiudicatrici.

10.4. Nella controversia al giudizio di questo Consiglio di Stato è stato accertato, altresì, il carattere remunerativo della prestazione, poiché le amministrazioni committenti, nella delibera a contrarre, dato atto della precedente delibera di adesione ad Asmel, precisavano che il corrispettivo per i servizi prestati dalla piattaforma telematica era quantificato nell’1,5% dell’importo di aggiudicazione e sarebbe stato posto a carico dell’aggiudicatario.

10.4. L’art. 57 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea; il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, per quanto attiene agli appalti di servizi, è esso stesso diretto a garantire la libera circolazione dei servizi e che l’apertura ad una concorrenza non sia falsata e risulti la più ampia possibile tra tutti gli Stati membri (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 28 gennaio 2016, nella causa C-50/14 Consorzio artigiano servizi taxi ed autonoleggio (CASTA); 11 dicembre 2014, nella causa C-113/13 Asl n. 5 “Spezzino”).

11. Il Collegio dubita che il quadro normativo interno, come precedentemente ricostruito, sia compatibile con i principi del diritto euro-unitario richiamati quanto alla scelta:

a) di limitare l’autonomia organizzativa dei piccoli comuni a due soli modelli di centrali di committenza;

b) di imporre ai piccoli comuni di ricorrere a modelli organizzativi solamente pubblicistici;

c) di limitare l’ambito di operatività della centrale di committenza al solo territorio dei comuni presenti nell’unione dei comuni ovvero costituenti il consorzio.

11.1. La scelta legislativa interna di imporre ai piccoli comuni di utilizzare quali centrali di committenza le unioni dei comuni se esistenti ovvero di costituire un consorzio di comuni sembra contrastare con la possibilità del più ampio ricorso alle centrali di committenza senza limitazione di forme di cooperazione. Infatti circoscrive i soggetti cui possono essere affidate funzioni di committenza, senza che ciò risulti adeguatamente giustificato dalla natura delle prestazioni, che non prevedono l’esercizio di prerogative pubblicistiche.

11.2. La scelta di ricorrere ad un modello organizzativo che esclude la partecipazione di soggetti privati, quale il consorzio di comuni di cui all’art. 31 del Testo unico degli enti locali, può apparire in contrasto con i principi euro-unitari di libera circolazione dei servizi e di massima apertura alla concorrenza, limitando ai soli soggetti pubblici italiani, tassativamente individuati, l’esercizio di una prestazione di servizi qualificabile come attività di impresa e che, in questa prospettiva, potrebbe meglio essere svolta in regime di libera concorrenza nel mercato interno.

11.3. La scelta di limitare l’ambito di operatività delle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni al territorio comunale sembra, anch’essa, in contrasto con il principio di libera circolazione dei servizi e il principio di massima apertura alla concorrenza, poiché istituisce zone di esclusiva nell’operatività delle centrali di committenza.

VI. LA FORMULAZIONE DELLA QUESTIONE PREGIUDIZIALE

12. Si chiede, pertanto, alla Corte di Giustizia dell’UE di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali:

se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che limita l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire”.

e, in ogni caso “se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad es, il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati

e, infine, “se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza”.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione e, riservata ogni altra decisione, anche sulle spese, sospende il giudizio.

Dispone che il presente provvedimento, unitamente a copia degli atti di giudizio indicati in motivazione, sia trasmesso, a cura della Segreteria della Sezione, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

 

Giuseppe Severini, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Federico Di Matteo

 

Giuseppe Severini


[1] Corte di Giustizia dell’UE, sentenza 12 dicembre 2013 nella causa C-372-12 Ministero dello sviluppo economico sull’attività delle SOA; sentenza 6 settembre 2011 nella causa C-108/10 Scattolon, e sin da Corte di Giustizia delle Comunità europee, 23 aprile 1991, nella causa C-41/90 Klaus Hofner e Elsen.

[2] Corte di Giustizia dell’UE, sentenza 28 gennaio 2016, nella causa C-50/14 Consorzio artigiano servizi taxi ed autonoleggio (CASTA); 11 dicembre 2014, nella causa C-113/13 Asl n. 5 “Spezzino”.