Tar Puglia, Bari, sez. III, ordinanza 20 luglio 2018, n. 1097

1. “Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Terza Sezione, visti gli artt. 79, comma 1 cod. proc. amm., 134 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, riservata ogni altra pronuncia in rito, nel merito e sulle spese, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lettera b) d.lgs n. 50/2016), limitatamente all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, nella parte in cui onera l’impresa partecipante alla gara ad impugnare immediatamente le ammissioni delle altre imprese partecipanti alla stessa gara, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo della disposizione (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”), per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2 e 117, comma 1 della Costituzione e 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recepita con legge 4 agosto 1955, n. 848, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.”(1).

(1)    Conforme, T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, ordinanza n. 903 del 20 giugno 2018.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 601 del 2018, proposto da:

La Cascina Global Service s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Michele Perrone, Paola Cruciano e Pellegrino Mastella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Michele Perrone in Bari, Strada Torre Tresca, 2/A;

contro

Aeroporti di Puglia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaella Carla Calasso e Alfonso Celotto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Bari - Palese, alla via Enzo Ferrari, Aeroporto Civile di Bari - Palese, presso l’Ufficio Legale della società;

nei confronti

Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Rizzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Puglia in Bari, piazza Massari, 6;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- del provvedimento di aggiudicazione definitiva alla controinteressata Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale della gara per l’affidamento del servizio di assistenza passeggeri a ridotta mobilità presso l’aeroporto di Bari e Brindisi CIG 717007443E di cui all’atto prot. 5996 e comunicato con nota del 10 aprile 2018;

- nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti con particolare riferimento al verbale di gara del 29 dicembre 2017, e, ove occorra del bando e del disciplinare di gara;

nonché per la declaratoria di inefficacia dell’eventuale contratto medio tempore stipulato e, in ogni caso, per la condanna dell’Amministrazione resistente a risarcire il danno, in forma specifica, mediante il subentro nell’esecuzione del contratto ovvero, in via subordinata, per equivalente;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Aeroporti di Puglia s.p.a. e di Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 79, comma 1 cod. proc. amm., 134 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;

Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2018 per le parti i difensori come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

1. - Con bando di gara pubblicato in G.U.U.E. in data 8 agosto 2017, l’Amministrazione resistente Aeroporti di Puglia s.p.a. indiceva una gara per l’affidamento del servizio di assistenza passeggeri a ridotta mobilità presso l’Aeroporto di Bari e Brindisi per un valore di €. 6.858.305,73 oltre oneri della sicurezza non soggetti a ribasso e per una durata annuale prorogabile due volte per 12 mesi per un totale, quindi, di tre anni.

Chiedevano di partecipare alla gara quattro operatori economici: La Cascina Global Service s.r.l., Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale, Ontario s.r.l. e l’ATI Medica Sud s.r.l. - Panacea Soc. Coop. a r.l.

Alla seduta della Commissione di gara del 20.11.2017 venivano esaminati i documenti amministrativi delle concorrenti e, al termine, si procedeva al rinvio della seduta per l’esame di alcune integrazioni richieste alle concorrenti.

Nel corso della seduta del 22.12.2017, esaminate le integrazioni richieste, tutte le concorrenti erano ammesse al prosieguo della procedura de qua.

Le ammissioni venivano pubblicate sul profilo istituzionale della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 29, comma 1 dlgs n. 50/2016, con il provvedimento prot. n. 0018268 del 27.12.2017 adottato da Aeroporti di Puglia s.p.a.

Nelle successive sedute riservate del 28-29.12.2017, la Commissione di gara attribuiva i punteggi alle offerte tecniche delle concorrenti.

Nel corso della seduta pubblica del 12.1.2018, la Commissione dava lettura dei punteggi conseguiti per i progetti e, dopo aver aperto le buste contenenti le offerte economiche, stilava la graduatoria provvisoria che vedeva prima classificata la controinteressata Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale con un totale di 82,01 punti mentre l’odierna ricorrente La Cascina Global Service s.r.l. seguiva in graduatoria con 69,96 punti.

Le prime due classificate erano successivamente assoggettate alla verifica di anomalia dell’offerta.

In data 7.2.2018 la ricorrente La Cascina invocava l’accesso ai seguenti documenti in riferimento alla concorrente Novability:

- provvedimento di nomina della commissione di gara;

- verbali di gara;

- busta amministrativa;

- nota prot. Adp 2056 dell’8.2.2018.

In data 20.2.2018 Aeroporti di Puglia, in riscontro alla citata istanza di accesso, inviava alla ricorrente tra gli altri documenti, anche la busta amministrativa della ditta Novability, all’interno della quale si rinveniva il contratto di avvalimento oggetto di contestazione con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Con provvedimento prot. 5996 del 6.4.2018, trasmesso alla ricorrente in data 10.4.2018, l’Amministrazione resistente aggiudicava definitivamente la gara alla Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale.

2. - Con l’atto introduttivo del presente giudizio notificato in data 10.5.2018 La Cascina Global Service s.r.l. censurava il citato provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. 5996 del 6.4.2018, trasmesso alla ricorrente in data 10.4.2018, e gli altri atti in epigrafe indicati.

Invocava, altresì, tutela risarcitoria in forma specifica ovvero, in via subordinata, per equivalente.

Deduceva un’unica doglianza così sinteticamente riassumibile:

- violazione degli artt. 32, comma 7, 80, comma 6, 89 e 95, comma 6 dlgs n. 50/2016; violazione dell’art. 1343 cod. civ.; violazione della par condicio competitorum; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e per contraddittorietà ed illogicità dell’azione amministrativa: secondo la prospettazione di parte ricorrente vi sarebbe stato per diversi ordini di profili un utilizzo distorto, da parte della controinteressata Novability Coop. Soc. a r.l., dell’istituto dell’avvalimento con l’Associazione di Volontariato Protezione Civile Volontari Torchiarolo.

3. - Si costituivano la stazione appaltante Aeroporti di Puglia s.p.a. e la controinteressata Novability Cooperativa Sociale a r.l. Impresa Sociale, resistendo al gravame.

In particolare, eccepivano la tardività del ricorso per violazione del termine di cui all’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm.

Secondo le controparti il ricorso (notificato solo in data 10.5.2018) sarebbe dovuto essere proposto entro trenta giorni a decorrere dal 27.12.2017 (data della pubblicazione on line dell’elenco di cui all’art. 29, comma 1 dlgs n. 50/2016) ovvero al più tardi entro trenta giorni a decorrere dal 20.2.2018 (data in cui è avvenuto l’accesso, da parte della stessa La Cascina, alla documentazione amministrativa relativa alla controinteressata Novability).

4. - Nel corso dell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2018 il Collegio indicava - ai sensi dell’art. 73, comma 3 cod. proc. amm. - alla discussione delle parti la questione (sollevata d’ufficio ex artt. 1 legge costituzionale n. 1/1948 e 23, comma 3 legge n. 87/1953) di costituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 8 aprile 2016, n. 50), limitatamente all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2 e 117, comma 1 della Costituzione e 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recepita con legge 4 agosto 1955, n. 848, in relazione all’onere, gravante sull’impresa partecipante alla gara, di impugnare immediatamente le ammissioni delle altre imprese partecipanti alla stessa gara, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo del comma 2 bis (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”), con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria, trattandosi di atto (quello di ammissione) privo di immediata lesività.

Quindi la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. - Questo Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lettera b) dlgs n. 50/2016), limitatamente all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2 e 117, comma 1 della Costituzione e 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recepita con legge n. 848/1955, nella parte in cui pone l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni alle gare pubbliche, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo del comma 2 bis (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”) e laddove comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria, assuma rilevanza pregiudiziale ai fini della decisione della presente causa e sia non manifestamente infondata, per le ragioni che si diranno.

1.1. - Preliminarmente, va evidenziato che secondo Cons. Stato, Ad. Plen., 8 aprile 1963, n. 8:

«… Attribuire al giudice il potere di sollevare d’ufficio una certa questione, non avrebbe senso, se essa non dovesse servire alla definizione del giudizio. Questo potere conferito dalla norma costituzionale senza limitazione alcuna, può essere, quindi, esercitato non solo per risolvere dubbi sulla giurisdizione o sui presupposti processuali, ma anche per risolvere quelli concernenti il merito della controversia, cioè la legittimità dell’atto impugnato. Ora, poiché il potere è attribuito da una norma costituzionale (della quale l’art. 23, comma 3° della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, è semplice reiterazione) non si può ritenere che esso trovi ostacolo nei principi di legge ordinaria, secondo i quali il Consiglio di Stato può decidere solo sui motivi dedotti dal ricorrente. …».

Pertanto, alla luce del principio di diritto sancito in detta decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione di costituzionalità può, “… senza limitazione alcuna …”, essere sollevata d’ufficio ai sensi dell’art. 1 legge costituzionale n. 1/1948 (e art. 23, comma 3 legge n. 87/1953) dal Giudice a quo anche con riferimento a dubbi insorti in relazione alla giurisdizione ovvero in ordine ai presupposti processuali.

Come evidenziato da autorevole dottrina, le condizioni dell’azione (tra cui anche l’interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ.), intese quali requisiti intrinseci della domanda, concernenti il merito della controversia, con riguardo al suo contenuto necessario affinché il giudice possa pronunziarsi sulla pretesa sostanziale, concorrono, in uno ai citati presupposti processuali (i.e. elementi, attinenti alla regolare costituzione del rapporto processuale, che devono necessariamente sussistere prima della proposizione della domanda giudiziale la cui esistenza è condizione necessaria affinché sorga il potere-dovere del giudice di pronunziarsi sulla pretesa sostanziale dedotta), a costituire la più ampia categoria dei “presupposti di ammissibilità o ricevibilità del ricorso”; pertanto, l’affermazione operata da Ad. Plen. n. 8/1963 si può certamente ritenere estensibile alla possibilità di rilevazione d’ufficio “senza limitazione alcuna” della questione di costituzionalità per risolvere un dubbio concernente la sussistenza della condizione dell’azione dell’interesse ad agire, ipotesi appunto ricorrente nella fattispecie in esame.

In ogni caso, la statuizione di Ad. Plen. n. 8/1963 è relativa a dubbi insorti in ordine a presupposti processuali e quindi più in generale a norme processuali, tra le quali certamente si può annoverare la disposizione di cui al citato art. 100 cod. proc. civ. rubricato “Interesse ad agire” (“Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”).

Nella fattispecie in esame il dubbio di costituzionalità che il Collegio prospetta d’ufficio alla attenzione delle parti attiene alla compatibilità costituzionale con le disposizioni di seguito indicate della “presunzione legale di sussistenza dell’interesse ad agire” insita nell’onere di immediata impugnazione delle ammissioni di cui all’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm.

1.2. - La previsione oggetto di scrutinio di costituzionalità (art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm., comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lett. b) dlgs n. 50/2016), limitatamente all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, così statuisce:

«Il provvedimento che determina … le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale.».

La menzionata disposizione trova applicazione nel caso in esame poiché il bando della procedura di gara per cui è causa risale all’8 agosto 2017 e quindi opera la previsione di cui al combinato disposto dell’art. 216, comma 1 dlgs n. 50/2016 (“Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo ovvero nelle singole disposizioni di cui al presente codice, lo stesso si applica alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.”) e dell’art. 220 dlgs n. 50/2016 (“Il presente codice entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale” [i.e. 19 aprile 2016]).

Invero, come evidenziato da Cons. Stato, Sez. III, 25.11.2016, n. 4994:

«Quando viene introdotto un nuovo assetto normativo, che modifica un regime esistente, il legislatore deve (dovrebbe) farsi carico delle questioni di diritto intertemporale e dettare una chiara disciplina sulla transizione tra la regolazione previgente e quella nuova. In astratto, le opzioni regolatorie concettualmente disponibili sono tre: a) la normativa anteriore continua ad applicarsi ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore del nuovo atto normativo (principio di ultrattività); b) la nuova normativa si applica anche ai rapporti pendenti (principio di retroattività); c) previsione di una regolazione autonoma provvisoria. In mancanza di un’esplicita regolazione del regime transitorio, ma solo in quel caso, soccorrono all’interprete i noti principi del divieto di retroattività (articolo 11 delle preleggi: “la legge non dispone che per l’avvenire”), che impedisce di ascrivere entro l’ambito operativo di una disposizione legislativa nuova una situazione sostanziale sorta prima, e, per quanto riguarda le fattispecie sostanziali che constano di una sequenza di atti (ivi comprese quelle processuali), il principio del tempus regit actum, che impone di giudicare ogni atto della procedura soggetto al regime normativo vigente al momento della sua adozione. Con riferimento alle disposizioni recate dal d.lg. n. 50 del 2016, il legislatore del 2016 si è fatto carico delle questioni di diritto transitorio e le ha chiaramente risolte scegliendo e utilizzando (tra quelle astrattamente disponibili) l’opzione dell’ultrattività, mediante, cioè, la previsione generale che le disposizioni introdotte dal Dlgs n. 50 del 2016 si applicano solo alle procedure bandite dopo la data dell’entrata in vigore del nuovo “Codice”, e, quindi, dopo il 19 aprile 2016, e il rinvio a disposizioni speciali e testuali di un diverso regime di transizione; pertanto, l’anzidetta previsione, chiarissima nella sua portata precettiva, impedisce, innanzitutto, ogni esegesi di questioni ermeneutiche di diritto intertemporale che si fondi sulla regola tempus regit actum (pure prospettato come canone risolutivo, in senso contrario a quello qui affermato, del problema in esame), e che si rivela, evidentemente, recessiva rispetto a una disposizione normativa che regola la successione nel tempo delle leggi, e vincola, al contrario, l’interprete ad attenersi alla stretta applicazione della disciplina transitoria. Ne consegue che poiché il rito “superspeciale” di cui ai commi 2 bis e 6 bis dell’art. 120 c.proc.amm. risulta concepito e regolato in coerenza con la nuova disciplina procedimentale introdotta dal d.lg. n. 50 del 2016, resta del tutto illogica l’entrata in vigore differenziata dei due regimi (processuale e sostanziale) atteso che l’onere di impugnazione immediata, nel termine di trenta giorni, del “provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” risulta esigibile solo a fronte della contestuale operatività delle disposizioni del decreto legislativo che ne consentono l’immediata conoscenza da parte delle imprese partecipanti alla gara e, segnatamente, degli art. 29, comma 1, e 76, comma 3.».

Venendo in rilievo nella vicenda per cui è causa un bando (dell’8.8.2017) pubblicato in epoca successiva alla data di entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici (i.e. 19.4.2016), può operare ratione temporis - alla luce del principio di diritto espresso dalla citata sentenza del Consiglio di Stato - il cd. rito super accelerato di cui al combinato disposto dei commi 2 bis e 6 bis dell’art. 120 cod. proc. amm. (commi entrambi introdotti dall’art. 204 dlgs n. 50/2016).

Inoltre, va evidenziato che l’onere di immediata impugnativa dell’altrui ammissione alla procedura di gara senza attendere l’aggiudicazione, previsto dalla disposizione oggetto di scrutinio di costituzionalità, è subordinato alla pubblicazione degli atti della procedura ai sensi dell’art. 29, comma 1 dlgs n. 50/2016 (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 26.1.2018, n. 565 e Cons. Stato, Sez. V, 23.3.2018, n. 1843).

Nella fattispecie de qua le ammissioni sono state pubblicate sul profilo istituzionale della stazione appaltante, ai sensi del citato art. 29, comma 1 dlgs n. 50/2016, con il provvedimento prot. n. 0018268 del 27.12.2017 adottato da Aeroporti di Puglia s.p.a.

Pertanto nulla quaestio in ordine alla astratta operatività nel caso di specie del rito super accelerato di cui al combinato disposto dei commi 2 bis e 6 bis dell’art. 120 cod. proc. amm.

In conclusione, il sistema di cui al nuovo codice del contratti pubblici del 2016 denota una stretta compenetrazione, peraltro tipica del diritto amministrativo in generale, tra profili di diritto sostanziale ed aspetti di diritto processuale, con la conseguenza che soltanto laddove (ipotesi appunto ricorrente nella fattispecie de qua) siano pienamente operanti i primi (in ragione sia del tempo di pubblicazione del bando, sia della concreta operatività del meccanismo di pubblicazione on line degli atti della procedura ai sensi dell’art. 29, comma 1 dlgs n. 50/2016) può trovare applicazione il rito super accelerato introdotto dallo stesso legislatore dei contratti pubblici del 2016.

1.3. - Inoltre, la controversia per cui è causa ha ad oggetto, come correttamente evidenziato dalla stazione appaltante Aeroporti di Puglia nella memoria depositata in data 30.6.2018, le contestazioni della società ricorrente che attengono alla fase di “ammissione” alla gara della controinteressata Novability, e quindi rientrano pienamente nell’ambito applicativo del rito di cui all’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm. con consequenziale tardività del ricorso de quo.

Non può essere condivisa, infatti, l’affermazione, operata da parte ricorrente nella memoria depositata in data 25.6.2018 al fine di ovviare alla eccezione di tardività, secondo cui la stessa impugnerebbe non già l’ammissione in gara della controinteressata Novability (soggetta al rito ex art. 120, commi 2 bis e 6 bis cod. proc. amm.), quanto piuttosto il presunto utilizzo distorto del contratto di avvalimento dalla medesima stipulato (in relazione al requisito di cui al punto 5A), lett. b) del disciplinare: “esecuzione di contratti analoghi a quello oggetto di gara nel triennio antecedente alla data di scadenza della presente procedura di gara (2014-2015-2016)”) con il fine di conseguire indebitamente il punteggio tecnico, e quindi contesterebbe la fase successiva della valutazione della offerta (per la quale non trova applicazione il rito super accelerato di cui all’art. 120, commi 2 bis e 6 bis cod. proc. amm.) e l’attribuzione del relativo punteggio.

Invero, come detto, le doglianze della società istante attengono alla fase (di ammissione in gara degli operatori economici) non più discutibile una volta decorso il termine di cui al censurato comma 2 bis previsto dalla legge (art. 120 cod. proc. amm.) per proporre le relative censure.

In tal senso, la ricorrente La Cascina contesta, ad esempio, che l’Associazione di Volontariato Protezione Civile Volontari Torchiarolo - che ha prestato a Novability il requisito di capacità tecnica richiesto dalla lex di gara (i.e. punto 5A), lett. b) del disciplinare) per prendervi parte - sarebbe stata “impossibilitata a partecipare alla gara” (cfr. pag. 3 del ricorso), non potendo quindi qualificarsi come ausiliaria dell’aggiudicataria, in quanto “carente del requisito di cui al punto 5A, lett. a) del disciplinare di gara non essendo qualificabile come impresa e né essendo iscritta presso la Camera di Commercio” (cfr. pag. 4 del ricorso), oltre al fatto che la stessa “non poteva affatto impegnarsi … a mettere a disposizione “personale” …”, (cfr. pag. 4 del ricorso) perché costituita da volontari.

La difesa della società così si esprime (cfr. pagg. 3 e 4 del ricorso):

«… Nel caso che ci occupa siamo dinnanzi ad un utilizzo distorto dell’istituto dell’avvalimento e ciò per diversi ordini di profili.

Il primo concerne l’incontestata ed incontestabile circostanza che l’Associazione di Volontariato Protezione Civile, impossibilitata a partecipare alla gara, potesse qualificarsi come ausiliaria dell’aggiudicataria.

La predetta associazione, infatti è carente del requisito di cui al punto 5A, lett. a) del disciplinare di gara non essendo qualificabile come impresa e né essendo iscritta presso la Camera di Commercio ed è il motivo per il quale non poteva presentare l’offerta.

Ciò detto, essendo l’ausiliario soggetto giuridico che non può candidarsi alla gestione del servizio, non avrebbe potuto neppure prestare i requisiti a colui che effettivamente concorre.

Inoltre, la predetta associazione non poteva affatto impegnarsi, come invece ha fatto sottoscrivendo il contratto di avvalimento, a mettere a disposizione “personale” atteso che le unità utilizzate per l’esecuzione della prestazione in favore della stazione appaltante odierna resistente sono costituite da volontari i quali non soggiacciono, per tale ragione, al comando dell’associazione e dunque non possono essere messi a disposizione di alcuna impresa. In tale ottica, perciò, le unità che oggi gestiscono il servizio non avrebbero potuto neppure definirsi alla stregua di “personale”. …».

In sostanza, partendo dal presupposto che la suddetta Associazione di Volontariato Protezione Civile Volontari Torchiarolo è carente del requisito di cui al punto 5A, lett. a) del disciplinare di gara (iscrizione nel registro delle imprese della Camera di Commercio) e che quindi, per le ragioni in precedenza indicate, non potrebbe mettere a disposizione “personale” in favore della controinteressata Novability, la ricorrente giunge a contestare la possibilità per l’Associazione di Volontariato di fornire il requisito di cui al punto 5A), lett. b) del disciplinare (oggetto del contratto di avvalimento del 19.9.2017: “esecuzione di contratti analoghi a quello oggetto di gara nel triennio antecedente alla data di scadenza della presente procedura di gara (2014-2015-2016)”) e di cui Novability è carente.

È di tutta evidenza come dette allegazioni attengano alla fase di ammissione in gara della controinteressata, tanto è vero che, come la medesima istante conferma a pag. 10 del ricorso introduttivo, “… La Commissione avrebbe dovuto rilevare quanto precede ed escludere l’offerta di Novability poiché carente dei requisiti minimi richiesti …” e, a pag. 12 del ricorso introduttivo, “… Laddove la P.A. avesse in concreto operato nel senso imposto dalle prescrizioni di cui ai citati art. 32, comma 7, e 80, comma 6, del d.lgs 50 del 2016 allora avrebbe dovuto provvedere ad escludere l’odierna illegittima aggiudicataria, con contestuale aggiudicazione alla ricorrente. …”.

Si rammenta a tal proposito che ai sensi dell’art. 89, comma 1, primo periodo dlgs n. 50/2016 “L’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi.”.

In termini analoghi si esprimeva il previgente art. 49, comma 1 dlgs n. 163/2006: “Il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell’articolo 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione SOA di altro soggetto.”.

Del resto, come evidenziato da Cons. Stato, Sez. IV, 1.8.2012, n. 4406, “L’istituto dell’avvalimento permette la più ampia partecipazione alle gare pubbliche consentendo a soggetti sprovvisti di alcuni requisiti di ammissione richiesti di concorrere ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, senza che abbiano alcuna influenza per la stazione appaltante i rapporti esistenti tra il concorrente ed il soggetto avvalso, essendo indispensabile unicamente che il primo dimostri di poter disporre dei mezzi del secondo.”.

E’, quindi, palese che l’avvalimento altro non è se non l’utilizzazione / il fare affidamento su altro soggetto (nel caso di specie l’Associazione di Volontariato Protezione Civile Volontari Torchiarolo) per soddisfare la richiesta relativa al “possesso di un requisito necessario per partecipare ad una procedura di gara” (di cui la Cooperativa Sociale Novability era priva: rectius requisito ex punto 5A), lett. b) del disciplinare), con la conseguenza che la (asserita) mancanza di un requisito di partecipazione in capo al soggetto ausiliario non potrebbe non determinare - quale conseguenza giuridica - l’esclusione del soggetto ausiliato e quindi la sua mancata ammissione, e non già la mera decurtazione del punteggio in sede di valutazione dell’offerta.

Tutto ciò (rectius mancanza del requisito di cui al punto 5A, lett. b) del disciplinare in capo a Novability e la necessità di avvalersi dell’Associazione di Volontariato Protezione Civile Torchiarolo) emerge chiaramente dal tenore del contratto di avvalimento del 19.9.2017 (cfr. art. 2: “In relazione alla procedura di gara aperta indetta dalla Stazione Appaltante Aeroporti di Puglia S.p.A. con sede in Bari Palese al viale E. Ferrari per l’affidamento del servizio di assistenza passeggeri a ridotta mobilità presso gli aeroporti di Bari e Brindisi - CIG 717007443, l’ausiliaria si obbliga a fornire all’ausiliata il requisito relativo alla capacità tecnica di cui al punto 5A) sub b) del Disciplinare di Gara, nonché tutti i requisiti previsti dai documenti di gara ed in particolare dal Disciplinare e dal Capitolato, mettendo a disposizione di questa tutte le risorse ed i mezzi propri che saranno necessari senza limitazioni di sorta per tutta la durata dell’appalto”) e dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 19.9.2017 formulata dall’Associazione di Volontariato Protezione Civile Volontari Torchiarolo in cui la stessa dichiara di essere titolare del requisito relativo alla capacità tecnica di cui al punto 5A) sub b) del disciplinare di gara.

Ne discende che la controversia in ordine alla possibilità per l’Associazione di Volontariato di fornire alla controinteressata Novability il requisito di cui al punto 5A), lett. b) del disciplinare (“esecuzione di contratti analoghi a quello oggetto di gara nel triennio antecedente alla data di scadenza della presente procedura di gara (2014-2015-2016)”) non può non riguardare la fase della “ammissione” della stessa Novability alla procedura di gara (non già quella di valutazione delle offerte e di assegnazione del relativo punteggio).

Invero, se si dovesse giungere alla conclusione di ritenere che l’Associazione di Volontariato non era nelle condizioni di fornire alla Novability il menzionato requisito di cui al punto 5A, lett. b) del disciplinare, ne deriverebbe che la stessa controinteressata rimarrebbe sfornita di un requisito di “capacità tecnica” (cfr. rubrica a pag. 9 del disciplinare) espressamente richiesto a pena di esclusione dal disciplinare (cfr. pag. 10: “La mancanza delle dichiarazioni di cui al punto 5A), nonché la mancata produzione della documentazione comprovante il requisito in capo all’aggiudicatario comporta l’esclusione del concorrente dalla gara”) e, quindi, avrebbe meritato di non essere ammessa alla procedura di gara.

Peraltro, sempre a pag. 10 il disciplinare prevede espressamente l’ammissibilità dell’avvalimento ai sensi dell’art. 89 dlgs n. 50/2016 con riferimento al citato requisito.

Dette considerazioni sono rilevanti ai fini della determinazione del rito applicabile (i.e. quello di cui all’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm.).

Ciò finisce per confermare quanto rilevato da Aeroporti di Puglia nella memoria depositata in data 30.6.2018, posto che, come noto, a norma dell’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm., l’omessa impugnazione (in questo caso) del provvedimento che ha disposto l’ammissione della controinteressata Novability all’esito della valutazione, tra gli altri, dei requisiti tecnico-professionali, nei termini ivi previsti, “preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento”.

Nel caso in esame, oltre al fatto che in data 27.12.2017 la stazione appaltante ha provveduto alla pubblicazione sul proprio profilo istituzionale dell’avviso con cui ha comunicato le ammissioni degli operatori economici (tra cui Novability) alle successive fasi della procedura di gara, va evidenziato che in data 20.2.2018, Aeroporti di Puglia, in riscontro alla istanza di accesso a tal fine inoltrata, ha osteso alla ricorrente - che dunque in quel momento ne ha avuto piena cognizione - tra gli altri documenti, anche la busta amministrativa della ditta Novability, all’interno della quale si rinveniva il contratto di avvalimento oggetto di contestazione con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Ne consegue che alla stregua dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm. la mancata impugnativa proposta nei termini avverso l’ammissione di Novability (anche attraverso la contestazione della mancanza dei requisiti di partecipazione del soggetto ausiliario) impedisce quindi ora a La Cascina, una volta intervenuta l’aggiudicazione definitiva, di articolare censure inerenti a detto contratto, sulla base di profili che ad esso facciano espresso riferimento.

Il ricorso sarebbe quindi tardivo in applicazione del citato art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm.

In sostanza, viene in rilievo nel caso di specie un ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente (alla stregua del menzionato comma 2 bis) l’ammissione dell’aggiudicataria (vicenda concreta identica a quella oggetto di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea da parte della T.A.R. Piemonte, Torino con ordinanza n. 88 del 17.1.2018), e quindi una fattispecie che si pone in termini opposti a quella oggetto della precedente rimessione alla Corte costituzionale operata da questo T.A.R. con ordinanza n. 903 del 20.6.2018 (ove invece si discuteva dell’impugnazione tempestiva delle ammissioni in una fase antecedente alla adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva).

2. - Sussiste, ai sensi dell’art. 23, comma 2 legge n. 87/1953, il primo presupposto, consistente nella rilevanza della questione ai fini della definizione del presente contenzioso, di rimessione della questione di costituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (limitatamente alla problematica della impugnazione delle ammissioni, della preclusione processuale di cui al secondo inciso e della declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria) alla Corte costituzionale (art. 23, comma 2 legge n. 87/1953: “… il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale …”).

Invero, dall’accertamento, da parte della Corte costituzionale, della compatibilità costituzionale della disposizione in esame deriverebbe la necessità per questo Giudice di adottare una pronunzia di rito (ex art. 35 cod. proc. amm.) dichiarativa della inammissibilità del ricorso (notificato solo in data 10.5.2018) per avere la società La Cascina impugnato tardivamente (rispetto alla data del 27.12.2017 di pubblicazione delle ammissioni sul sito Internet di Aeroporti di Puglia, ovvero rispetto alla data del 20.2.2018 di concreto accesso alla documentazione amministrativa relativa alla concorrente Novability) l’aggiudicazione definitiva in favore della stessa Novability, avendo omesso la tempestiva contestazione in sede giurisdizionale della relativa ammissione.

All’opposto, l’eventuale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (nei limiti indicati) comporterebbe l’adozione, da parte di questo Giudice in sede di giudizio di prosecuzione ex art. 80, comma 1 cod. proc. amm., di una sentenza di merito (ex art. 34 cod. proc. amm.) e quindi la possibilità di valutare la fondatezza del ricorso, così rendendo proficuamente corrisposta la somma di denaro dovuta ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002 per contributo unificato (peraltro - come vedremo - considerevole in materia di rito degli appalti pubblici) ed evitando il grave vulnus ai principi costituzionali di cui al successivo punto 3.2. della presente motivazione.

Pertanto, come recita l’art. 23, comma 2 legge n. 87/1953, il giudizio non può essere definito (con sentenza di merito ex art. 34 cod. proc. amm.) indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale del comma 2 bis nei limiti indicati, in quanto, in assenza di rimessione alla Corte costituzionale, il giudizio andrebbe appunto definito con sentenza di rito (ex art. 35 cod. proc. amm.) nel senso della inammissibilità del ricorso in applicazione dell’art. 120, comma 2 bis, secondo inciso cod. proc. amm. (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale.”).

Da qui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della citata previsione normativa ai fini della decisione (nel merito) della presente controversia.

E’, quindi, evidente la necessità che la disposizione in esame (art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm. per quanto concerne la parte relativa all’onere di immediata impugnazione delle ammissioni) riceva applicazione da parte di questo Giudice nel giudizio a quo.

Si tratta di una “rilevanza” attuale e concreta della questione di costituzionalità poiché, operando con riferimento alla fattispecie in esame la citata previsione normativa, il ricorso - come evidenziato al precedente punto 1.3 - dovrebbe certamente essere considerato inammissibile, avendo la ricorrente omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione di Novability anche nel momento considerato rilevante dal novellato art. 29, comma 1 dlgs n. 50/2016 come modificato dal dlgs n. 56/2017 (“Il termine per l’impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione”), che nel caso di specie coincide con la data in cui l’accesso ai documenti della concorrente Novability è stato consentito (i.e. 20.2.2018).

Quindi, il ricorso sarebbe dovuto essere proposto - in applicazione del contestato comma 2 bis - al più tardi entro il 20.3.2018, mentre nel caso di specie il ricorso risulta notificato soltanto in data 10.5.2018 con palese tardività rispetto alla previsione di cui al medesimo comma 2 bis.

All’opposto, se si applicasse l’ordinamento processuale amministrativo depurato dalla norma in contestazione, sarebbe preclusa l’impugnazione delle ammissioni, in quanto atto endoprocedimentale, non immediatamente lesivo (cfr., sulla natura endoprocedimentale, non immediatamente lesiva dell’atto di ammissione e quindi non autonomamente impugnabile, Cons. Stato, Sez. V, 14.4.2008, n. 1600, pronunzia resa con riferimento ad un’epoca in cui non esisteva la censurata previsione normativa) e quindi il gravame andrebbe proposto ai sensi dell’art. 120, comma 5 cod. proc. amm. unicamente contro il provvedimento di aggiudicazione definitiva nel termine di trenta giorni dalla comunicazione (nel caso di specie avvenuta in data 10.4.2018). Il ricorso nella fattispecie in esame sarebbe quindi tempestivo poiché notificato in data 10.5.2018.

3. - Relativamente al profilo della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità ex art. 23, comma 2 legge n. 87/1953 si evidenzia quanto segue.

3.1. - Si indicano ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. b) legge n. 87/1953 le seguenti disposizioni della Costituzione che si assumono violate:

a) art. 3, comma 1: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”;

b) art. 24, commi 1 e 2: “[I] Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. [II] La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.”;

c) art. 103, comma 1: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.”;

d) art. 111, commi 1 e 2 (commi premessi dall’art. 1 legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2): “[I] La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. [II] Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

e) art. 113, commi 1 e 2: “[I] Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. [II] Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.”;

f) art. 117, comma 1 (come novellato dalla legge costituzionale n. 3/2001): “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”

Le norme interposte della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo di Roma del 4.11.1950 recepita con legge n. 848/1955) rilevanti ex menzionato art. 117, comma 1 Cost. ai fini della presente rimessione (diritto ad un giusto ed effettivo processo) sono:

a) art. 6, par. 1 (in tema di “Diritto a un equo processo”): “1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.”;

b) art. 13 (in tema di “Diritto a un ricorso effettivo”): “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

3.2. - Ritiene questo Collegio che l’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (limitatamente alla parte che impone l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni) si ponga in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost. in quanto impone la necessità di impugnare, nel termine decadenziale di trenta giorni, decorrente dalla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1 dlgs n. 50/2016, un atto per sua natura non immediatamente lesivo, quale appunto l’ammissione alla gara, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”), con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria.

Viene, infatti, stabilito ex lege che esclusioni ed ammissioni sono atti endoprocedimentali dotati di immediata lesività e, conseguentemente, necessitanti di immediata impugnazione.

L’onere di immediata impugnazione dell’ammissione di tutti gli operatori economici diviene, pertanto, a partire dalla novella legislativa del 2016 condizione di ammissibilità della futura impugnazione del provvedimento di aggiudicazione anche in carenza di un’effettiva lesione ed utilità concreta.

La ratio perseguita dal legislatore, con disposizione di portata certamente innovativa per quanto concerne le ammissioni, va ravvisata in sostanza nella celere definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione in modo tale da individuare in modo certo e non più discutibile la platea dei soggetti ammessi in gara in un momento antecedente rispetto all’esame delle offerte ed alla conseguente aggiudicazione.

Tuttavia, in precedenza (i.e. in epoca antecedente all’entrata in vigore del dlgs n. 50/2016 che ha introdotto la previsione di cui al comma 2 bis, primo periodo dell’art. 120 cod. proc. amm.), la necessità della immediata impugnazione di un atto endoprocedimentale era stata affermata dal Consiglio di Stato unicamente con riguardo al provvedimento di esclusione adottato dalla Commissione nel corso di una seduta alla quale avesse partecipato un rappresentante della concorrente esclusa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23.2.2015, n. 856: “… Il termine decadenziale per impugnare gli atti delle procedure di affidamento di appalti pubblici, ed in particolare l’aggiudicazione definitiva in favore di terzi, decorre dalla conoscenza di quest’ultima comunque acquisita dall’impresa partecipante alla gara (da ultimo: Sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143 e Sez. III, 7 gennaio 2015, n. 25; in precedenza: Ad. plen. 31 luglio 2012, n. 31). A questo principio di diritto, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, fa unica eccezione il caso in cui sia impugnato il provvedimento di esclusione dalla gara adottato dalla commissione nel corso della stessa ed in una seduta alla quale abbia partecipato un rappresentante della concorrente esclusa. Trattandosi infatti di determinazione immediatamente lesiva, malgrado il suo carattere endoprocedimentale, la giurisprudenza fissa la decorrenza del termine decadenziale ex art. 29 cod. proc. amm. in tale momento (in questi termini: Sez. III, 22 agosto 2012, n. 4593; Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 740; Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6264, 14 maggio 2013, n. 2614; Sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6531). …”).

Pertanto, sul punto specifico dell’onere di immediata impugnazione del provvedimento di esclusione si può ritenere che l’art. 120, comma 2 bis, primo periodo cod. proc. amm. non abbia portata innovativa rispetto al precedente quadro normativo come interpretato dalla giurisprudenza amministrativa dell’epoca.

All’opposto, la questione di compatibilità costituzionale (alla stregua dei menzionati artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost.) si pone con riferimento ad una previsione legislativa (certamente innovativa rispetto al quadro normativo e giurisprudenziale antecedente) generale ed astratta (rectius art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. sul punto dell’onere di immediata impugnazione delle ammissioni, questione rilevante nella vicenda in esame), previsione che attribuisce in via preventiva natura lesiva ad un atto tipicamente endoprocedimentale (i.e. specificamente le ammissioni), la cui impugnazione è priva, per sua natura, di utilità concreta ed attuale per un partecipante (quale l’odierna ricorrente La Cascina Global Service s.r.l.) che ancora (i.e. nel momento in cui è costretto - in forza della contestata disposizione - alla proposizione del ricorso giurisdizionale) ignora l’esito finale della procedura selettiva.

L’inosservanza del citato onere comporta - come detto - l’incorrere, della parte inerte, nella preclusione di cui al secondo periodo del comma 2 bis (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”), con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi (come l’impresa La Cascina) ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria Novability.

Il sistema processuale previgente, come interpretato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14.4.2008, n. 1600 in precedenza menzionato), precludeva, infatti, l’impugnazione immediata delle ammissioni in quanto atti endoprocedimentali privi di immediata lesività.

La nuova disposizione (art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm.), introdotta dal dlgs n. 50/2016, ribalta, con specifico riferimento ai provvedimenti di ammissione, l’orientamento precedente ed espressamente impone l’onere di immediata impugnazione delle citate ammissioni (pena altrimenti l’incorrere nelle conseguenze sfavorevoli sopra indicate), contemplando un rito speciale ed accelerato (comma 6 bis) per dette controversie in materia di appalti.

Detto onere di immediata impugnazione giurisdizionale delle ammissioni è, pertanto, in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall’art. 100 del codice di procedura civile (ed applicabile anche al processo amministrativo in forza del rinvio esterno di cui all’art. 39 cod. proc. amm.) della necessità, quale condizione dell’azione, della esistenza di un interesse ad agire concreto ed attuale al ricorso in corrispondenza di una lesione effettiva di detto interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6.3.2002, n. 1371; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 9.1.2017, n. 235; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 17.1.2018, n. 88; Cons. Stato, Sez. III, 1.9.2014, n. 4449; Cons. Stato, Sez. V, 23.2.2015, n. 855; punto 13.5.1, lett. c) della motivazione della ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 dell’11.5.2018).

In ordine al citato principio in tema di concretezza e attualità della titolarità dell’interesse all’azione ex art. 100 cod. proc. civ., il ricorso giurisdizionale è sempre stato considerato in passato un rimedio non dato nell’interesse astratto della giustizia o per ottenere la mera enunciazione dei parametri di legalità dell’azione amministrativa, disancorati da un effettivo e non ipotetico vantaggio derivante all’attore nel caso in contestazione.

Si richiamano, a tal riguardo, le interessanti osservazioni di Cons. Stato, Sez. VI, 6.3.2002, n. 1371:

«… Si deve prendere le mosse dal principio generale, sancito dall’art. 100 del codice di rito civile, applicabile anche al processo amministrativo, a guisa del quale costituisce condizione per l’ammissibilità dell’azione, oltre alla titolarità di una situazione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo, anche la sussistenza dell’interesse a ricorrere, inteso quest’ultimo non come idoneità astratta dell’azione a realizzare il risultato perseguito ma, più specificamente, come interesse proprio del ricorrente al conseguimento di un’utilità o di un vantaggio (materiale o, in certi casi, morale) attraverso il processo amministrativo; vale a dire, nell’ottica di un processo amministrativo di stampo impugnatorio originato dal varo di una determinazione lesiva di interessi legittimi, la sussistenza di un interesse all’eliminazione del provvedimento oggetto di impugnazione.

A parere della dottrina e della giurisprudenza dominanti, l’interesse al ricorso è qualificato da un duplice ordine di fattori:

a) la lesione, effettiva e concreta, che il provvedimento che si vuole impugnare, e alla cui caducazione si è quindi interessati, arreca alla sfera patrimoniale, o anche semplicemente morale, del ricorrente;

b) il vantaggio, anche solo potenziale, che il ricorrente si ripromette di ottenere dall’annullamento del provvedimento impugnato.

L’interesse a ricorrere deve altresì essere caratterizzato dai predicati della personalità (il risultato di vantaggio deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente), dell’attualità (l’interesse deve sussistere al momento del ricorso, non essendo sufficiente a sorreggere quest’ultimo l’eventualità o l’ipotesi di una lesione) e della concretezza (l’interesse a ricorrere va valutato con riferimento ad un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del ricorrente).

Si deve soggiungere, ai fini che qui rilevano, che la giurisprudenza reputa sufficiente a radicare l’interesse al ricorso la sussistenza di un interesse di carattere strumentale, inteso nel senso di interesse ad ottenere la caducazione del provvedimento amministrativo al fine di rimettere in discussione il rapporto controverso e di eccitare il nuovo (o il non) esercizio del potere amministrativo in termini potenzialmente idonei ad evitare un danno ovvero ad attribuire un vantaggio.

L’assunto della sufficienza di un interesse di carattere strumentale è stato posto alla base del riconoscimento della legittimazione ad impugnare l’atto di aggiudicazione da parte di un soggetto che non sia stato posto in grado di partecipare ad una procedura di evidenza ovvero sia stato escluso da una trattativa privata e aspiri, per effetto dell’accoglimento del ricorso, alla ripetizione o alla prima indizione della procedura selettiva (Cons. Stato, sezione V, n. 792/1996; 454/1995; sezione VI, 7 giugno 2001, n. 3090; 7 maggio 2001, n. 2541); così come a tale categoria concettuale si è fatto riferimento per ammettere la legittimazione di un’impresa a contestare la scelta dell’amministrazione di gestire un servizio pubblico attraverso il modulo della convenzione con altri enti locali, in modo da frustrare l’aspirazione a giocare le proprie chances di essere affidataria della gestione in caso di ricorso a moduli gestori basati sull’apporto di soggetti privati esterni al plesso amministrativo (Cons. Stato, sezione V, n. 1374/1996).

Ancora, la suddetta ricostruzione dell’interesse a ricorrere, in termini di vantaggio anche solo potenziale che si ritrae dalla caducazione del provvedimento impugnato, determina la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso o dei singoli motivi di ricorso dal cui accoglimento non derivi alcuna utilità in capo al ricorrente alla stregua della cosiddetta prova della resistenza; la necessità della sottoposizione del ricorso al vaglio della prova di resistenza trova ampia applicazione in caso di ricorsi diretti ad ottenere l’annullamento di una graduatoria di un concorso pubblico ovvero di una gara di appalto, laddove il ricorrente è chiamato a dimostrare che l’attribuzione dei punteggi rivendicati si concreterebbe nell’acquisizione di una posizione utile in seno alla graduatoria.

Si può concludere questa sintetica ricapitolazione dei caratteri dell’interesse a ricorrere con l’osservazione che anche nel processo amministrativo il risultato utile che il ricorrente deve dimostrare di poter perseguire non può isterilirsi nella semplice garanzia dell’interesse legittimo e, men che meno, nella rivendicazione popolare della legittimità ex se dell’azione pubblica.

Deve allora trovare condivisione l’affermazione dei primi Giudici secondo cui “il requisito dell’attualità dell’interesse non può considerarsi sussistente quando il pregiudizio derivante dall’atto amministrativo sia meramente eventuale, quando cioè non è certo, al momento dell’emanazione del provvedimento, se si realizzerà in un secondo tempo la lesione della sfera giuridica del soggetto.

Da ciò deriva che il ricorso diretto ad ottenere una pronuncia di principio che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell’Amministrazione deve ritenersi inammissibile, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all’oggetto del giudizio con carattere diretto ed attuale. (cfr. Cons. Giustizia Amm. Reg. Sicilia - n. 372 del 9 giugno 1998)”. …».

Su questa stessa linea interpretativa T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 9.1.2017, n. 235 esclude la tutelabilità in sede giurisdizionale di un interesse meramente potenziale, ovvero subordinato al verificarsi di un evento futuro, occorrendo che la lesione si configuri come un vulnus immediato tale da precludere subito il conseguimento del bene della vita a cui il ricorrente aspira, escludendosi tale condizione quando l’atto impugnato necessita di ulteriori provvedimenti futuri e non ancora adottati. Tale è il caso della ammissione, atto che non produce un vulnus immediato al partecipante, essendo necessario un ulteriore provvedimento (rectius l’aggiudicazione definitiva in favore del soggetto ammesso).

Cons. Stato, Sez. III, 1.9.2014, n. 4449 richiede, al fine della ammissibilità del ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo, la necessaria esistenza di un interesse personale, concreto ed attuale al conseguimento di un vantaggio materiale o morale derivante dal processo amministrativo, non potendosi ammettere il piegare l’esercizio della giustizia amministrativa ad una funzione di oggettiva verifica, di carattere generale, del rispetto della legalità e cioè di giurisdizione di diritto oggettivo, scollegata ad una posizione direttamente legittimante del ricorrente, impostazione ritenuta estranea al nostro ordinamento.

Cons. Stato, Sez. V, 23.2.2015, n. 855 conferma la necessità per agire nel processo amministrativo non solo di essere titolari di una situazione giuridica riconducibile a diritto soggettivo o interesse legittimo, ma anche di un interesse a ricorrere inteso, lungi che come idoneità astratta a conseguire un risultato utile, come interesse personale, concreto ed attuale al conseguimento di un vantaggio materiale o morale.

Il punto 13.5.1, lett. c) della motivazione della ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 dell’11.5.2018, al fine di rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea un quesito interpretativo circa il rapporto intercorrente tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente nell’ambito del rito degli appalti con riferimento a gare pubbliche cui abbiano partecipato più imprese, considera una nozione di interesse ad agire scevra dei predicati di certezza e attualità come distonica rispetto ai principi generali del processo amministrativo costantemente affermati dalla giurisprudenza.

Infine, come evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, 2.4.2014, n. 1572, “… l’interesse ad agire sancito dall’art. 100 c.p.c., da sempre considerato applicabile al processo amministrativo ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a. è scolpito nella sua tradizionale definizione di “bisogno di tutela giurisdizionale”, nel senso che il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo; è dunque espressione di economia processuale, manifestando l’esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla concretezza ed attualità del danno (anche in termini di probabilità), alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte perché meramente ipotetiche; sicché in tale frangente la pretesa ostesa in giudizio si rivela per quello che è, ovvero, una mera speranza al riesercizio futuro ed eventuale del potere amministrativo, inidonea a configurare l’interesse ad agire; …”.

Pertanto, l’interesse al ricorso ex art. 100 cod. proc. civ. è qualificato da un duplice ordine di elementi costitutivi:

a) la lesione, effettiva e concreta, che il provvedimento impugnato arreca alla sfera patrimoniale, o anche semplicemente morale, del ricorrente;

b) il vantaggio, anche solo potenziale, che il ricorrente mira a conseguire dall’annullamento del provvedimento gravato.

L’interesse a ricorrere, secondo l’impostazione tradizionale in linea con il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale desumibile dagli artt. 24, 103 e 113 Cost., deve, quindi, essere caratterizzato dai predicati della personalità (il risultato di vantaggio deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente), dell’attualità (l’interesse deve sussistere al momento del ricorso, non essendo sufficiente a sorreggere quest’ultimo l’eventualità o l’ipotesi di una lesione) e della concretezza (l’interesse a ricorrere va valutato con riferimento ad un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del ricorrente).

Si deve, altresì, evidenziare che la giurisprudenza reputa sufficiente a radicare l’interesse al ricorso la sussistenza di un interesse di carattere strumentale, inteso nel senso di interesse ad ottenere la caducazione del provvedimento amministrativo al fine di rimettere in discussione il rapporto controverso e di eccitare il nuovo (o il non) esercizio del potere amministrativo in termini potenzialmente idonei ad evitare un danno ovvero ad attribuire un vantaggio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2.3.2018, n. 1292: “Sussiste l’interesse al ricorso censurante solamente la nomina della Commissione giudicatrice, senza allegazione di un pregiudizio concreto arrecato dall’asserita composizione irregolare della stessa all’esito del procedimento di valutazione comparativa concorrenziale, in quanto si tratta di un interesse strumentale alla rinnovazione della gara, mirante al potenziale effetto favorevole che deriverebbe dal rifacimento dell’intera gara e dalla conseguente nuova valutazione dell’offerta (in termini Cons. Stato, V, 26 gennaio 1996, n. 92; IV, 10 aprile 2006, n. 1971). Del resto, diversamente opinando, ed in particolare prospettando che l’Amministrazione potrebbe anche non rinnovare la gara, si perverrebbe alla paradossale situazione di dichiarare inammissibile ogni ricorso in cui permanga un’ampia discrezionalità dell’Amministrazione in sede di rinnovazione del procedimento.”).

Ne discende che in base alle regole generali il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile nel caso in cui il ricorrente dall’ipotetico accoglimento non ne possa ricavare alcuna utilità alla stregua della cd. prova di resistenza.

La necessità della sottoposizione del ricorso al vaglio della prova di resistenza - come evidenziato da Cons. Stato, Sez. VI, 6.3.2002, n. 1371 in precedenza citata - trova ampia operatività pratica in caso di ricorsi diretti ad ottenere l’annullamento di una graduatoria di un concorso pubblico ovvero di una gara di appalto, laddove il ricorrente è chiamato a dimostrare che l’attribuzione dei punteggi rivendicati si concreterebbe nell’acquisizione di una posizione utile in seno alla graduatoria.

Si veda sul punto Cons. Stato, Sez. V, 26.4.2018, n. 2534: “E’ necessaria la cd. prova di resistenza, essenziale per la dimostrazione dell’interesse al ricorso che, come è noto costituisce condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c., rilevabile anche d’ufficio e, in sede di appello. In linea generale, la verifica della sussistenza dell’interesse all’impugnativa deve manifestare la sua concretezza, nel senso che l’annullamento degli atti gravati deve risultare idoneo ad arrecare al ricorrente un’effettiva utilità, con la conseguenza che il gravame dell’aggiudicazione di un appalto pubblico che non sia finalizzato ad ottenere la rinnovazione della gara o l’esclusione dell’impresa aggiudicataria (che implicherebbero un immediato vantaggio per il ricorrente), ma che risulti fondato sulla sola contestazione della correttezza dei punteggi assegnati alle concorrenti, dev’essere sorretto, per essere ritenuto ammissibile, dalla c.d. prova di resistenza e, cioè, dalla dimostrazione a priori che, se le operazioni si fossero svolte correttamente, la ricorrente sarebbe risultata con certezza aggiudicataria (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5717 e 8 settembre 2015, n. 4209).”.

In definitiva, dalla citata giurisprudenza si ricava il principio fondamentale in forza del quale anche nel processo amministrativo il risultato utile che il ricorrente deve dimostrare di poter perseguire non può isterilirsi nella semplice garanzia dell’interesse legittimo e, men che meno, nella rivendicazione popolare della legittimità / legalità ex se dell’azione pubblica.

Conclusivamente, la novella di cui all’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm. deve confrontarsi con i principi generali delineati dalla giurisprudenza secondo cui «il requisito dell’attualità dell’interesse non sussiste quando il pregiudizio derivante dall’atto amministrativo è meramente eventuale, e cioè quando l’emanazione del provvedimento non sia di per sé in grado di arrecare una lesione nella sfera giuridica del soggetto né sia certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo; pertanto, è inammissibile il ricorso che tende ad ottenere una pronuncia di principio, che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell’amministrazione, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all’oggetto del giudizio, con carattere diretto ed attuale.» (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV, 19.6.2006, n. 3656 e Cons. Stato, Sez. IV, 7.6.2012, n. 3365).

Ciò premesso, si evidenzia quanto segue.

Il censurato art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm., nella parte in cui contempla l’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, introduce - a ben vedere - una ipotesi di “giurisdizione amministrativa oggettiva” (e cioè avente funzione di oggettiva verifica, di carattere generale, del rispetto della legalità dell’azione amministrativa, ciò che la decisione di Cons. Stato, Sez. III, 1.9.2014, n. 4449 sopra menzionata esclude possa essere considerato ammissibile) eccentrica rispetto ad un sistema di giustizia amministrativa tradizionalmente impostato sulla giurisdizione / giustizia di diritto “soggettivo” e sul “potere” ex art. 24, comma 1 Cost. (non già sul “dovere”, inteso nel senso di onere economicamente gravoso, pena altrimenti l’incorrere in una preclusione processuale, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria), in capo all’attore (“Tutti possono …”), di “… agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

Inoltre, il concetto stesso di “tutela degli interessi legittimi”, richiamato espressamente dagli artt. 24, 103 e 113 Cost., implica necessariamente i menzionati caratteri della personalità, attualità e concretezza del sostrato processuale della posizione giuridica soggettiva dell’individuo (i.e. interesse legittimo) dinanzi all’esercizio del potere autoritativo, poiché solo lui è l’unico soggetto dell’ordinamento che può valutare autonomamente l’utilità del giudizio (nel caso di specie comunque economicamente costoso, trattandosi della materia degli appalti), e non può essere una legge dello Stato ad imporgli la “doverosità” (sempre nel senso di “onere” per evitare il formarsi di una preclusione processuale) di un’azione giurisdizionale priva di alcun vantaggio sul piano soggettivo, almeno nel momento in cui deve essere esperita secondo il censurato dettato normativo.

Ne discende che i caratteri della personalità, attualità e concretezza dell’interesse ad agire caratterizzano il nostro sistema “soggettivo” di giustizia amministrativa, come delineato in Costituzione, mentre la previsione di cui all’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. costituisce una illegittima deviazione rispetto al quadro costituzionale predetto.

Questo Collegio non ignora l’esistenza di ipotesi normative “eccezionali” di legittimazione ex lege al ricorso giurisdizionale di Autorità amministrative indipendenti (rispettivamente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per quanto concerne l’impugnazione di atti amministrativi in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato ai sensi dell’art. 21 bis legge n. 287/1990 e l’Autorità Nazionale Anticorruzione con riguardo alla impugnazione di provvedimenti amministrativi viziati da gravi violazioni del codice degli appalti pubblici di cui al dlgs n. 50/2016 ex art. 211, comma 1 ter dlgs n. 50/2011).

Tuttavia, come evidenziato dalla recente giurisprudenza amministrativa (cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 7.12.2017, n. 1521; Cons. Stato, Sez. VI, 30.4.2018, n. 2583; Cons. Stato, Sez. V, 30.4.2014, n. 2246; Cons. Stato, Sez. V, 15.5.2017, n. 2294) nell’escludere qualsiasi contrasto delle suddette previsioni eccezionali (e quindi, in base all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, non estensibili oltre i casi da esse espressamente considerati) con gli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., siamo - a ben vedere - in presenza di disposizioni speciali che, lungi dall’introdurre un’ipotesi di giurisdizione amministrativa di “diritto oggettivo”, in cui l’azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, contemplano una legittimazione straordinaria - a proporre ricorso giurisdizionale dinanzi al G.A. - di un soggetto pubblico (i.e. Autorità amministrativa indipendente), in quanto ente portatore di un interesse “qualificato e differenziato” al corretto funzionamento del mercato e quindi giuridicamente rilevante ed idoneo a fondare situazioni giuridiche soggettive.

In ogni caso, si tratta di un “interesse” ad agire in giudizio di cui è ex lege portatore un soggetto pubblico e non già un privato.

Del resto anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella citata ordinanza n. 6/2018 di rimessione alla Corte di Giustizia del quesito interpretativo relativo al rapporto intercorrente tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente nell’ambito del rito degli appalti, nel rappresentare il proprio punto di vista sulla questione in ottemperanza alle prescrizioni contenute ai punti 17 e 34 delle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” (2016/C 439/01, in G.U.U.E del 25 novembre 2016), rileva che:

«… a) sarebbe maggiormente armonico con il sistema processuale nazionale e con il principio di autonomia processuale incentrato sull’ iniziativa delle parti (ed in parte qua comune a quello di numerosi Stati-Membri), che venisse precisato che l’interesse del ricorrente principale attinto da un ricorso incidentale escludente, in quanto limitato alla reiterazione della procedura di gara (con esclusione di profili concernenti la “regolarità delle procedure di gara”), dovrebbe essere valutato nella sua concretezza, e non con riferimento a ragioni astratte, dal Giudice adìto;

b) in quest’ottica, sarebbe opportuno che venisse rimesso agli ordinamenti processuali degli Stati Membri, in ossequio all’autonomia processuale loro riconosciuta, il compito di individuare le modalità di dimostrazione della concretezza del detto interesse, garantendo il diritto di difesa delle offerenti rimaste in gara e non evocate nel processo ed in armonia con i principi in materia di interesse concreto e attuale della parte al ricorso e in punto di onere della prova.

In altri e riassuntivi termini, ed in considerazione anche delle recenti pronunce sopra richiamate dalla Corte di giustizia, che sembrano prestare attenzione alle possibili particolarità delle situazioni di fatto, sembra a questa Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che il rimettere al Giudice nazionale adito un margine di valutazione in ordine all’accertamento della reale sussistenza in concreto di un interesse sia pure strumentale del ricorrente principale sia maggiormente coerente sia con il rispetto dei principi cardine degli ordinamenti nazionali in materia processuale - e quindi con l’autonomia processuale loro costantemente riconosciuta dalla Corte di giustizia - sia con gli assetti delle giurisdizioni nazionali e della stessa Unione europea, che configurano il ricorso al giudice amministrativo come ricorso nell’interesse di una parte e mai come ricorso volto al rispetto formale delle regole, a prescindere da ogni interesse; salvi i casi, sopra descritti anche con riferimento all’ordinamento italiano, in cui il rispetto delle regole venga demandato ad una autorità pubblica, riconoscendo alla stessa la legittimazione a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo. …».

Pertanto, nel nostro ordinamento il ricorso al Giudice amministrativo è configurato come ricorso nell’interesse di una parte e mai come ricorso volto al rispetto formale delle regole, a prescindere da ogni interesse, salvi i casi, sopra descritti (art. 21 bis legge n. 287/1990 e art. 211, comma 1 ter dlgs n. 50/2011), in cui il rispetto delle regole venga demandato ad una autorità pubblica (rispettivamente AGCM e ANAC), riconoscendo coerentemente alla stessa una legittimazione, comunque eccezionale e straordinaria, a ricorrere dinanzi al Giudice amministrativo.

È, quindi, evidente la differenza di dette previsioni normative comunque eccezionali (che proprio in ragione della loro eccezionalità non deviano rispetto al principio fondamentale della giurisdizione amministrativa di “diritto soggettivo”) con la disposizione di cui all’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm., oggetto del presente scrutinio, che invece “rende” stabilmente un soggetto privato ex lege portatore di interesse pubblico alla formazione anticipata (e non più discutibile) della platea dei concorrenti in un momento antecedente all’esame delle offerte (interesse di cui viceversa non potrebbe non essere portatrice unicamente la pubblica amministrazione).

In ciò si manifesta tutta la irragionevolezza e contrarietà della disposizione in esame rispetto al principio costituzionale di effettività alla tutela giurisdizionale, poiché evidentemente finalizzata a “incaricare” un soggetto privato della tutela ex lege di un interesse pubblico, con costi ed oneri economici - come vedremo di qui a breve - eccessivi.

Invero, la citata disposizione del codice del processo amministrativo, nell’imporre la necessità, pena l’incorrere nella preclusione di cui allo stesso comma 2 bis, secondo inciso, della immediata contestazione in sede giurisdizionale delle ammissioni (con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria), sostanzialmente onera l’impresa partecipante alla gara (nel caso di specie la ricorrente La Cascina) ad impugnare (a prescindere da ogni concreta utilità nel senso in precedenza delineato) le ammissioni di altri soggetti partecipanti (rectius nella fattispecie Novability, Ontario s.r.l. e l’ATI Medica Sud S.r.L. - Panacea Soc. Coop. a r.l.), impugnazione che potrebbe rivelarsi inutile nel momento in cui la stessa impresa ricorrente dovesse venire a conoscenza in una fase successiva dell’aggiudicazione definitiva della gara in proprio favore ovvero, all’opposto, della propria collocazione in graduatoria in posizione talmente deteriore da non ritenere più utile alcuna contestazione.

E’, infatti, evidente che al momento della ammissione delle ditte in gara la posizione delle concorrenti è neutra o meglio indifferenziata in quanto solo potenzialmente lesiva.

Il bene della vita cui aspira la concorrente in gara è l’aggiudicazione dell’appalto sicché il suo interesse a contestare l’ammissione (pur illegittima) delle altre concorrenti si concretizza solo alla fine della procedura allorquando la posizione in graduatoria cristallizzata dal provvedimento di aggiudicazione definitiva determina quel grado di differenziazione idoneo a radicare l’interesse al ricorso.

Il contrasto con i menzionati principi costituzionali (effettività della tutela giurisdizionale desumibile dagli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost. e dagli artt. 1 cod. proc. amm. [“La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”] e 7, comma 7 cod. proc. amm. [“Il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi”]) è ancora più netto se si considera che l’impugnazione in materia di appalti pubblici (e quindi anche del provvedimento di ammissione di cui al comma 2 bis dell’art. 120 cod. proc. amm.) è soggetta ad un contributo unificato con importi elevati nel corso degli ultimi anni (cfr. art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002: “Il contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato è dovuto nei seguenti importi: … d) per i ricorsi di cui all’articolo 119, comma 1, lettere a) e b), del codice di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il contributo dovuto è di euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; per quelle di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000 il contributo dovuto è di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 di euro è pari ad euro 6.000. Se manca la dichiarazione di cui al comma 3-bis dell’articolo 14, il contributo dovuto è di euro 6.000; …”).

Concludendo sul punto, va rimarcato che il principio, sottostante alle citate norme costituzionali, di effettività della tutela giurisdizionale a fronte della violazione di una posizione giuridica soggettiva, inevitabilmente implica la libertà - tanto più rilevante alla luce dei costi di accesso alla giustizia amministrativa - del soggetto (nel caso di specie l’impresa ricorrente La Cascina) di autodeterminarsi in ordine alla concretezza ed attualità dell’interesse ad agire (contro le altrui ammissioni alla gara de qua), e quindi la libertà di stabilire autonomamente senza coartazione alcuna (anche da parte del “legislatore” e quindi, in caso di inerzia rispetto alla impugnazione delle ammissioni, senza incorrere nella sanzione processuale della inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva, discendente nella fattispecie in esame dalla applicazione dell’art. 120, comma 2 bis, secondo inciso cod. proc. amm.) se l’azione giurisdizionale risponde ad un proprio effettivo interesse, ovvero di decidere di astenersi dall’agire in giudizio, se detto interesse non dovesse essere ritenuto sussistente, come accade appunto nell’ipotesi del provvedimento di ammissione, rispetto al quale non è dato sapere (nel momento in cui detto provvedimento viene adottato) se il soggetto ammesso potrà mai essere aggiudicatario, ovvero se si collocherà in una posizione della graduatoria finale, tale da non poter mai ambire all’aggiudicazione quand’anche fosse dimostrata l’illegittima presenza in graduatoria di soggetti in posizione migliore rispetto alla propria.

3.3. - La contestata disposizione (art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso cod. proc. amm., nella parte in cui contempla l’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione e comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria) è, altresì, irrazionale alla stregua dell’art. 3, comma 1 Cost. (oltre che degli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost.) in forza dell’ulteriore considerazione di seguito esposta, che mette ulteriormente in risalto il contrasto della nuova disciplina processuale con il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale di cui si è detto al precedente paragrafo, qui ulteriormente sviluppato anche sotto la lente della violazione del principio di ragionevolezza.

Il legislatore al terzo inciso del comma 2 bis ha, infatti, considerato inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, sostanzialmente riconfermando la regola generale tradizionale (i.e. inammissibilità dell’impugnazione giurisdizionale rivolta avverso atti endoprocedimentali non immediatamente lesivi), regola che è invece irragionevolmente derogata dai primi due periodi del comma 2 bis con riferimento ad un atto endoprocedimentale quale l’ammissione, pur essendo lo stesso privo di immediata lesività dal punto di vista del concorrente, ma dal legislatore ritenuto evidentemente lesivo dal punto di vista dell’interesse generale (alla anticipata ed incontestata formazione della platea dei concorrenti), della cui tutela si deve pertanto fare carico lo stesso concorrente (anche se detto interesse pubblico potrebbe non coincidere mai con un interesse del partecipante alla gara, personale, concreto ed attuale al conseguimento del bene della vita, rectius aggiudicazione della gara).

Ai fini del sindacato di costituzionalità della disposizione contestata per contrasto con il principio di eguaglianza ex art. 3, comma 1 Cost. si deve, dunque, considerare come termine di raffronto (cd. tertium comparationis) il disposto del terzo inciso dell’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm. (“E’ altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività”).

In sostanza, riprendendo gli argomenti di cui al paragrafo 3.2, si ribadisce che un interesse al ricorso meramente ipotetico viene irragionevolmente trasmutato dal legislatore del 2016 (art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm.) in un interesse concreto e attuale, introducendo una sorta di presunzione legale ed astratta di interesse al ricorso avverso le ammissioni (tuttavia in concreto non sussistente) e, corrispondentemente, di lesione di detto interesse, mentre analoga operazione è stata espressamente esclusa dal terzo inciso della disposizione in commento con riferimento a tutti gli “altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività”.

Tuttavia, la lesione è - come già visto al precedente punto 3.2 - tradizionalmente intesa come fatto connesso all’esistenza di una effettiva e attuale lesione che preclude all’interessato il conseguimento del bene della vita cui aspira, nel caso di specie rappresentato dall’aggiudicazione della gara.

Pertanto, se si può certamente ritenere ragionevole l’esclusione dell’onere di immediata impugnazione degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, sancita dalla terzo inciso dell’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm., appare viceversa irragionevole la previsione di cui al primo e secondo periodo della disposizione in esame circa l’onere di immediata impugnazione del provvedimento di ammissione (con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria), pur rientrando lo stesso nella categoria degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, secondo la visione tradizionale della nozione di interesse ad agire.

La previsione de qua si pone - come detto - in contrasto sia con i richiamati principi di cui all’art. 100 cod. proc. civ. in tema di “Interesse ad agire”, sia con il principio sotteso agli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost., alla cui stregua la giurisdizione amministrativa è orientata ad apprestare tutela ad una posizione sostanziale correlata ad un bene della vita in questo caso facente capo all’impresa partecipante alla gara (i.e. in ultima analisi l’aggiudicazione della gara stessa).

Nel modello di impugnabilità immediata delle ammissioni di cui al novellato art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm., invece, essendo l’esito della competizione ancora futuro ed incerto, non è dato scorgere una posizione sostanziale che giustifichi l’accesso al giudice.

La disposizione in esame pone, pertanto, in capo al partecipante un onere inutile, economicamente gravoso, ed irragionevole (la cui violazione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria) - alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale desumibile dal combinato disposto degli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost. e del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1 Cost. - rispetto all’interesse realmente perseguito (i.e. conseguimento dell’aggiudicazione dell’appalto).

In precedenza questa Sezione del T.A.R. Puglia, Bari, con sentenza dell’8.11.2016, n. 1262 non aveva mancato di evidenziare che “… la novella legislativa di cui all’art. 120, comma 2 bis, d. lgs n. 50/2016 confligge con il quadro giurisprudenziale, storicamente consolidatosi, atteso che veicola nell’ordinamento l’onere di immediata impugnazione dell’ammissione di tutti gli operatori economici - quale condizione di ammissibilità della futura impugnazione del provvedimento di aggiudicazione - anche in carenza di un’effettiva lesione od utilità concreta. …”.

Anche T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 20.12.2016, n. 5852 aveva rilevato che “… La peculiarità del nuovo rito risiede, oltre che nel circoscritto ambito di applicazione - volto a cristallizzare la definitività di una peculiare sub fase delle gare d’appalto creando una struttura bifasica della tutela in subiecta materia - nell’utilizzo dello strumento processuale come veicolo per creare una correlazione del tutto inusuale tra interesse ad agire in giudizio e pretesa sostanziale, sicché, come rilevato anche dai primi commenti alla disciplina in questione, il legislatore avrebbe introdotto una sorta di presunzione legale di lesione, non direttamente correlata alla lesione effettiva e concreta di un bene della vita secondo la dimensione sostanzialistica dell’interesse legittimo ormai invalsa nel nostro ordinamento. …”.

La stessa pronuncia del Tribunale Campano affermava:

«… Astrattamente parlando, il nuovo rito superaccelerato, così come costruito, sembra porsi in contrasto con le garanzie costituzionali di azione in giudizio e tutela contro gli atti della pubblica amministrazione ex artt. 24 e 113 Cost. e questo a causa dell’onere di immediata impugnativa dei provvedimenti di aggiudicazione e esclusione indicati a fronte dell’assenza di un interesse concreto e attuale al ricorso.

Sicché, nonostante alcuni tra i primi interpreti abbiano ricostruito questa presunzione assoluta di lesività dei provvedimenti come una sorta di interesse alla legittima formazione della platea dei concorrenti ammessi alle successive fasi della procedura, sul modello processuale del contenzioso elettorale di cui all’art. 129 c.p.a. (nel quale, tuttavia, sono impugnabili i provvedimenti immediatamente lesivi del di diritto a partecipare al procedimento elettorale preparatorio), ciò non toglie che un sistema così congegnato potrebbe astrattamente far scivolare il contenzioso in materia di appalti verso un modello di giudizio di diritto oggettivo contrario agli artt. 24 e 113 Cost. ed escluso dalla giurisprudenza (cfr. Ad. Plenaria n. 4 del 13 aprile 2015, per la quale il processo amministrativo si basa pur sempre sul principio dispositivo in relazione all’ambito della domanda di parte e la giurisdizione amministrativa di legittimità è pur sempre una giurisdizione di tipo soggettivo, sia pure con aperture parziali alla giurisdizione di tipo oggettivo in precisi, limitati ambiti tra le quali la valutazione sostitutiva dell’interesse pubblico, da parte del giudice, in sede di giudizio cautelare). …».

I dubbi in precedenza esposti sono stati di recente evidenziati dall’ordinanza del T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I n. 88 del 17.1.2018 che ha sollevato la corrispondente questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di verificare la compatibilità euro-unitaria della norma processuale interna (art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm. nella parte in cui contempla l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni) con la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela giurisdizionale (i.e. artt. 6 e 13 della CEDU, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e art. 1 direttiva n. 89/665/CEE).

In detta occasione, sia pure sotto la lente di ingrandimento del confronto della norma processuale nazionale con la disciplina europea, è stato condivisibilmente rimarcato come il disancoramento dell’interesse ad agire rispetto ad una utilità personale, concreta ed attuale dell’impresa partecipante alla gara (costretta a contestare le ammissioni in forza della censurata disposizione), dà vita ad una sorta di tutela giurisdizionale amministrativa / giudizio di diritto “oggettivo” (cfr. punto D della motivazione della citata ordinanza del T.A.R. Piemonte n. 88/2018), dove un operatore è obbligato ad impugnare immediatamente le ammissioni di tutti gli altri concorrenti, senza sapere ancora chi potrà essere l’aggiudicatario e, parimenti, senza sapere se lui stesso si collocherà in graduatoria in posizione utile per ottenere e/o contestare l’aggiudicazione dell’appalto.

Si introduce, pertanto, una sorta di giudizio di “diritto oggettivo” che è contrario non solo ai principi europei invocati dal T.A.R. Piemonte, Torino nella citata ordinanza, ma anche ai principi costituzionali di cui agli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost. (in tema di effettività della tutela giurisdizionale), i quali plasmano il diritto di azione a mo’ di diritto azionabile unicamente dal titolare di un interesse personale, attuale e concreto e che nelle gare d’appalto non può non consistere nel conseguimento della aggiudicazione ovvero al più, quale modalità strumentale al perseguimento del medesimo fine, nella chance derivante dalla rinnovazione della gara.

E ciò - come evidenziato in precedenza e qui ribadito per rimarcare ulteriormente il contrasto tra il giudizio di “diritto oggettivo” implicito nella contestata previsione di cui al comma 2 bis, primo e secondo periodo dell’art. 120 cod. proc. amm., nella parte in cui impone l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni (con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria), ed il sistema di “diritto soggettivo” di giustizia amministrativa sottostante ai citati principi costituzionali - nell’ambito di un quadro di giustizia amministrativa tradizionalmente fondato, appunto, sulla tutela di “diritto soggettivo” e sul “potere” ex art. 24, comma 1 Cost. (non già sul “dovere” inteso nel senso di onere), in capo all’attore (“Tutti possono …”), di “… agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

Il contrasto con i principi costituzionali si realizza nel momento in cui il legislatore attribuisce ad un soggetto privato (i.e. impresa partecipante alla gara) la tutela in via esclusiva di un interesse pubblico (come detto alla anticipata e non più contestabile formazione della platea dei concorrenti), interesse che potrebbe non coincidere mai con l’interesse privato, il tutto reso ancor più del gravoso se si considerano gli esborsi economici ingenti che sono necessari per promuovere eventualmente anche plurimi e distinti ricorsi giurisdizionali avverso distinte ammissioni.

La censurata norma processuale potrebbe, quindi, avere un effetto dissuasivo con riferimento ad iniziative processuali notevolmente anticipate (e sensibilmente costose) rispetto al verificarsi della concreta lesione, così ulteriormente aggravando la violazione del principio costituzionale di tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), ovvero, all’opposto, un effetto di proliferazione dei ricorsi giurisdizionali, effetto evidentemente non compatibile con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2 Cost.

Peraltro, la previsione di una “preclusione processuale” ex art. 120, comma 2 bis, secondo inciso cod. proc. amm. non è giustificabile neanche alla luce del principio di diritto espresso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 94 del 4.5.2017 (con riferimento alla questione di legittimità costituzione dell’art. 30, comma 3 cod. proc. amm. nella parte in cui prevede un termine di decadenza per l’esperimento dell’azione di risarcimento danni da provvedimento amministrativo illegittimo).

Invero, in detta sentenza la Corte costituzionale - nel respingere la questione di costituzionalità - ha ritenuto comunque sindacabile la discrezionalità del legislatore (nella disciplinare gli istituti processuali ed in particolare nel contemplare termini decadenziali) unicamente in ipotesi di manifesta irragionevolezza (cfr. punto 6.1 della motivazione).

Ad avviso di questo Collegio, nel caso di specie, la disposizione di cui all’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm.in tema di “preclusione processuale” appare manifestamente irragionevole poiché la prima parte della norma in commento (rectius primo inciso del comma 2 bis) pone - come visto in precedenza - in capo al partecipante un onere (i.e. immediata contestazione in sede giurisdizionale delle ammissioni la cui violazione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria) inutile, economicamente gravoso, ed irragionevole - alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale desumibile dal combinato disposto degli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost. e del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1 Cost. - rispetto all’interesse realmente perseguito dalla parte (i.e. conseguimento dell’aggiudicazione dell’appalto), ovvero comportante un effetto di proliferazione dei ricorsi giurisdizionali, effetto evidentemente non compatibile con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2 Cost.

Il contrasto della disposizione in esame (comma 2 bis) con i richiamati principi costituzionali va, altresì, analizzato alla luce del dictum di cui a Corte cost. n. 241/2017.

Premette la Corte delle Leggi nella citata sentenza che “il controllo di costituzionalità, vertendosi in materia di istituti processuali, per la cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, deve limitarsi a riscontrare se sia stato o meno superato il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute”, principio che si rinviene anche nella pregressa giurisprudenza costituzionale (cfr. ex multis sentenza n. 221/2008; sentenza n. 50/2010; sentenza n. 229/2010; sentenza n. 17/2011; sentenza n. 155/2014; sentenza n. 71/2015).

In particolare, nella sentenza n. 241/2017, con riferimento alla questione di costituzionalità del disposto di cui all’ultimo capoverso dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. inserito dall’art. 38 decreto legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 (“A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo”) per l’eccessiva gravosità - secondo la prospettazione del giudice rimettente - della sanzione della inammissibilità del ricorso in quanto integrerebbe una penalizzazione irragionevole e sproporzionata a fronte del mancato adempimento di rilevanza formale, il Giudice delle Leggi opera una verifica circa la correttezza del bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti:

«… Tale riscontro va operato attraverso la verifica «che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988)» (sentenza n. 71 del 2015). …».

In relazione al caso specifico oggetto di scrutinio, la Corte costituzionale ha ravvisato la ratio della disposizione oggetto di scrutinio (i.e. ultimo capoverso dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ.) - in uno ad altra previsione introdotta dall’art. 52 legge n. 69/2009 (rectius ultima parte dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ.) in forza della quale il giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non può liquidare spese, competenze ed onorari superiori al valore della prestazione dedotta in giudizio - nello scopo di deflazionare il contenzioso bagattellare.

Pertanto, la Consulta evidenzia come entrambe le disposizioni in esame (quella oggetto di censura introdotta dall’art. 38 decreto legge n. 98/2011 e quella introdotta dall’art. 52 legge n. 69/2009) perseguano lo stesso scopo di deflazionare il contenzioso privo di rilevanza economica; che anzi la norma che prevede di non liquidare le spese in misura superiore al valore della prestazione dedotta in giudizio già di per sé sola è idonea a perseguire pienamente lo scopo con effetto deflattivo certamente in grado di scoraggiare l’instaurarsi di liti pretestuose.

Sottolinea, tuttavia, la Corte costituzionale a tal riguardo:

«… L’obiettivo di evitare la strumentalizzazione del processo, attraverso la sanzione di inammissibilità, va bilanciato con la garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale e della sua effettività.

Seppure, infatti, la declaratoria di inammissibilità non precluda la riproposizione dell’azione giudiziaria, essa si traduce comunque in un aggravio per la parte, che dovrà ricominciare ex novo il giudizio.

Pertanto, le conseguenze sfavorevoli derivanti dall’inammissibilità non sono adeguatamente bilanciate dall’interesse ad evitare l’abuso del processo che è già efficacemente realizzato dalla disciplina introdotta dalla novella di cui all’art. 52 della legge n. 69 del 2009.

L’eccessiva gravità della sanzione e delle sue conseguenze, rispetto al fine perseguito, comporta, quindi, la manifesta irragionevolezza dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., ultimo periodo, il quale prevede che «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo». …».

Traslando il ragionamento operato dalla Corte costituzionale con la menzionata sentenza n. 241/2017 alla fattispecie in esame (scrutinio di costituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm.), si può giungere alla conclusione che la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva, per omessa tempestiva impugnazione (alla stregua dell’art. 120, comma 2 bis, primo periodo cod. proc. amm.) della ammissione dell’impresa aggiudicataria, si traduce in un aggravio eccessivo per la parte ricorrente, che comunque - diversamente dall’ipotesi di cui alla sentenza n. 241/2017 - non potrà neanche “… ricominciare ex novo il giudizio …”. Infatti, in detta evenienza l’autonoma e separata impugnazione della aggiudicazione - come appunto accaduto nel caso di specie (ricorso di La Cascina Global Service) - sarà comunque e sempre inammissibile in mancanza della previa tempestiva impugnazione della ammissione della impresa aggiudicataria.

In altri termini, il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti è operato dal legislatore con la previsione di cui al comma 2 bis in modo tale da determinare il sacrificio e la compressione di uno di essi (rectius garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale e della sua effettività desumibile dal combinato disposto degli artt. 3, 24, 103, 111 e 113 Cost.) in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.

Ne consegue che il citato comma 2 bis non passa indenne il test di proporzionalità (di cui si fa menzione il punto 2.7 della motivazione di Corte cost. n. 23/2015 richiamando Corte cost. n. 1130/1988), nel senso di valutare se la norma oggetto di scrutinio (nel caso di specie comma 2 bis), con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate (a tal fine si potrebbe anche considerare la previsione di importi elevati di contributo unificato ex art. 13 d.p.r. n. 115/2002), prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi.

Pertanto, analogamente alla fattispecie definita da Corte cost. n. 241/2017, si può ritenere che le conseguenze sfavorevoli (eccessive), derivanti dalla declaratoria di inammissibilità (alla stregua dell’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm.) del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria, non sono adeguatamente bilanciate con l’interesse pubblico ad evitare l’abuso del processo, interesse che si può ritenere già efficacemente realizzato grazie alla previsione (sufficiente a tale scopo) di cui all’art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002 (disposizione che impone importi elevati di contributo unificato in materia di rito degli appalti pubblici).

In conclusione, l’eccessiva gravità della sanzione della inammissibilità di cui all’art. 120, comma 2 bis, secondo periodo cod. proc. amm. rispetto al fine perseguito dal legislatore comporta la manifesta irragionevolezza del citato comma 2 bis il quale prevede “L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”.

Anche alla luce del principio di diritto di cui a Corte cost. n. 229/2010 la disposizione in commento (comma 2 bis) non supera indenne il sindacato di costituzionalità alla stregua del principio costituzionale di ragionevolezza.

Invero, - diversamente dalla fattispecie oggetto della citata sentenza della Corte costituzionale - la previsione in commento non “… si inserisce, in modo coerente, nel sistema processuale …”, in quanto, come in precedenza evidenziato, introduce una ipotesi di “giurisdizione amministrativa oggettiva” (e cioè avente funzione di oggettiva verifica, di carattere generale, del rispetto della legalità dell’azione amministrativa, con onere di impugnazione ex lege posto a carico di un privato, pur in mancanza di una utilità concreta ed attuale soggettivamente intesa) eccentrica e distonica rispetto ad un sistema di giustizia amministrativa tradizionalmente e costituzionalmente impostato sulla giurisdizione / giustizia di diritto “soggettivo” e sul “potere” ex art. 24, comma 1 Cost. (non già sul “dovere” / onere), in capo all’attore di “… agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

Ad analoghe conclusioni si perviene anche alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 44/2016 e n. 121/2016, che, nel ribadire l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali con il solo limite della manifesta irragionevolezza, esclude la legittimità costituzionale della imposizione di oneri ovvero della introduzione di modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale.

Ritiene questo Collegio che nel caso di specie sia configurabile l’ipotesi della impossibilità ovvero estrema difficoltà per l’esercizio del diritto di difesa e lo svolgimento dell’attività processuale, in quanto - come visto in precedenza - l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni ex comma 2 bis senza alcuna utilità per l’operatore economico nel momento in cui detto onere è imposto dall’ordinamento, in combinato disposto con la previsione del gravoso contributo unificato in materia di rito degli appalti ex art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002, indubbiamente comportano una grave compressione del diritto costituzionale di difesa ex art. 24 Cost., con ciò realizzando quella manifesta irragionevolezza (rilevante ai fini di cui all’art. 3, comma 1 Cost.) che certamente costituisce un limite alla discrezionalità del legislatore in materia di conformazione degli istituti processuali (ivi compresi termini di decadenza e preclusioni processuali).

3.4. - Inoltre, la necessità, alla stregua della previsione dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm., di proporre plurimi ricorsi avverso le singole ammissioni si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3, comma 1 Cost., con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (ex artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost.), con il principio del giusto processo (ex art. 111, comma 1 Cost.) e con il principio della ragionevole durata del processo (ex art. 111, comma 2 Cost.), poiché il meccanismo processuale delineato dal legislatore del 2016 determina inevitabilmente il proliferare di azioni giurisdizionali avverso plurime ammissioni relativamente alla stessa procedura di gara in violazione dei principi di economia processuale e concentrazione.

Conseguentemente, o si concretizza l’eventualità di una “ingiusta” (alla stregua delle argomentazioni in precedenza esposte) declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi (come la società La Cascina Global Service) ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria (ipotesi ricorrente nel caso di specie laddove si desse applicazione all’art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm.), ovvero, all’opposto, il contenzioso in materia di ammissioni alle gare pubbliche corre il serio rischio di trasformarsi in una “guerra” di tutti (gli ammessi) contro tutti, se i partecipanti alla gara propongono tempestivamente ricorso avverso le ammissioni alla stregua del citato comma 2 bis (come avvenuto nella fattispecie concreta oggetto di rimessione alla Corte costituzionale di cui all’ordinanza di questo T.A.R. n. 903 del 20.6.2018).

A ciò poi si aggiunge la necessità non solo di impugnare tempestivamente l’ammissione di tutti i soggetti partecipanti alla procedura di gara, ma successivamente anche di proporre un separato giudizio avverso l’aggiudicazione definitiva, come ritenuto dal Consiglio di Stato, Sez. V con ordinanza n. 1059 del 14.3.2017, con ulteriore aggravio per la parte in termini di corresponsione di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002.

3.5. - Infine, per quanto concerne il contrasto con le norme interposte (rilevanti ai fini di cui all’art. 117, comma 1 Cost.) rappresentate dai citati artt. 6 e 13 della CEDU, si deve in primo luogo evidenziare che questo T.A.R., così come ogni giudice comune, non può autonomamente disapplicare la norma interna che ritenga incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, diversamente da quanto previsto per il diritto dell’Unione Europea a partire dalle sentenze della Corte di Giustizia Simmenthal del 1978 e della Corte Cost. n. 170/1984 (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 4.3.2015, n. 2).

Infatti, nonostante taluni orientamenti giurisprudenziali e dottrinari di segno contrario, il Giudice delle Leggi ha più volte chiarito come sulle norme interne contrastanti con le norme pattizie internazionali, ivi compresa la CEDU, spetti esclusivamente alla stessa Corte costituzionale il sindacato di costituzionalità accentrato (cfr. Corte cost., n. 348/2007 e n. 349/2007; n. 39/2008; nn. 311 e 317 del 2009; nn. 138 e 187 del 2010; nn. 1, 80, 113, 236, 303, del 2011).

Le norme della CEDU, così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, assumono rilevanza nell’ordinamento italiano quali “norme interposte”. Alla CEDU è riconosciuta un’efficacia intermedia tra legge e Costituzione, volta ad integrare il parametro di cui all’art. 117, comma 1 Cost. che vincola il legislatore nazionale, statale e regionale, a conformarsi agli obblighi internazionali assunti dallo Stato.

Tale posizione non muta anche a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che all’art. 6, par. 2 (del nuovo Trattato sull’Unione Europea) prevede una adesione dell’Unione Europea alla Convenzione CEDU. Anche tale innovazione (peraltro non ancora avvenuta) non ha “comportato un mutamento della collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti, tale da rendere ormai inattuale la concezione delle norme interposte” (Corte cost. n. 80/2011).

Di conseguenza, qualsiasi giudice, allorché si trovi a decidere di un contrasto tra la CEDU e una norma di legge interna, sarà tenuto a sollevare un’apposita questione di legittimità costituzionale.

Rimane salva l’interpretazione “conforme alla Convenzione EDU”, e quindi conforme agli impegni internazionali assunti dall’Italia, delle norme interne in contestazione. Tale interpretazione, anzi, si rende doverosa per il giudice che, prima di sollevare un’eventuale questione di legittimità, è tenuto ad interpretare la disposizione nazionale in modo conforme a Costituzione (ex multis, Corte cost., 24 luglio 2009, n. 239, punto 3 del considerato in diritto).

Nel caso ora in esame, risulta esservi una tensione (non sanabile neanche con una interpretazione “conforme alla Convenzione EDU”, stante il chiaro ed inequivoco tenore della contestata norma processuale di cui all’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm.) tra la norma processuale interna che impone l’onere di immediata impugnazione di un atto (l’ammissione) privo di immediata lesività (onere, la cui violazione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria) ed il diritto fondamentale ad un giusto ed effettivo processo desumibile dagli artt. 6 e 13 della CEDU.

Analogamente a quanto evidenziato al precedente paragrafo 3.2 con riferimento al corrispondente principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, il principio sottostante al combinato disposto degli artt. 6 e 13 della CEDU, di effettività del ricorso a fronte della violazione di un diritto, inevitabilmente implica la libertà - tanto più rilevante alla luce dei costi di accesso alla giustizia amministrativa - del soggetto (nel caso di specie l’impresa ricorrente La Cascina) di autodeterminarsi in ordine alla concretezza ed attualità dell’interesse ad agire (contro le altrui ammissioni alla gara de qua), e quindi la libertà di stabilire autonomamente senza coartazione alcuna (anche da parte del “legislatore” e quindi, in caso di inerzia rispetto alla impugnazione delle ammissioni, senza incorrere nella sanzione processuale della inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva, discendente nella fattispecie in esame dalla applicazione dell’art. 120, comma 2 bis, secondo inciso cod. proc. amm.) se l’azione giurisdizionale risponde ad un proprio effettivo interesse, ovvero di decidere di astenersi dall’agire in giudizio, se detto interesse non dovesse essere ritenuto sussistente, come accade appunto nell’ipotesi del provvedimento di ammissione, rispetto al quale non è dato sapere (nel momento in cui detto provvedimento viene adottato) se il soggetto ammesso potrà mai essere aggiudicatario, ovvero se si collocherà in una posizione della graduatoria finale, tale da non poter mai ambire all’aggiudicazione quand’anche fosse dimostrata l’illegittima presenza in graduatoria di soggetti in posizione migliore rispetto alla propria.

4. - Conclusivamente il Collegio, per le ragioni sopra esposte, solleva questione di costituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lettera b) dlgs n. 50/2016), limitatamente all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2 e 117, comma 1 della Costituzione e 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recepita con legge 4 agosto 1955, n. 848, nella parte in cui onera l’impresa partecipante alla gara ad impugnare immediatamente le ammissioni delle altre imprese partecipanti alla stessa gara, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo della disposizione (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”) e laddove comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria.

La previsione (art. 120, comma 2 bis cod. proc. amm.), per risultare conforme alle citate norme costituzionali, deve essere depurata dai periodi indicati (primo e secondo) per quanto concerne l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni, al fine di considerare ammissibile l’impugnazione della aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di gravare il provvedimento di ammissione dell’aggiudicataria e di consentire l’operatività del tradizionale orientamento in forza del quale un atto amministrativo deve essere immediatamente contestato in sede giurisdizionale solo se immediatamente lesivo (e tale non può essere considerato l’atto di ammissione per quanto in precedenza esposto).

Né è possibile procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in esame, stante l’inequivoco tenore della stessa che impone l’onere di immediata impugnazione dell’atto di ammissione pena l’incorrere nella preclusione sopra descritta e comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria.

5. - Alla luce delle considerazioni che precedono è sospesa ogni decisione sulla predetta controversia, dovendo la questione essere demandata al giudizio della Corte costituzionale.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Terza Sezione, visti gli artt. 79, comma 1 cod. proc. amm., 134 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, riservata ogni altra pronuncia in rito, nel merito e sulle spese, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo cod. proc. amm. (comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lettera b) dlgs n. 50/2016), limitatamente all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, nella parte in cui onera l’impresa partecipante alla gara ad impugnare immediatamente le ammissioni delle altre imprese partecipanti alla stessa gara, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo della disposizione (“L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”) e laddove comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2 e 117, comma 1 della Costituzione e 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recepita con legge 4 agosto 1955, n. 848, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.

Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.

 

Guida alla lettura                                                                                   

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. era già stata sollevata dal Tar Bari con la precedente ordinanza della sez. III, 20 giugno 2018, n. 903  (alle cui motivazioni si rinvia) con riferimento all’ipotesi di impugnativa proposta da una concorrente ammessa alla gara avverso l’ammissione di altra concorrente, in un momento antecedente all’ aggiudicazione definitiva che, in quel caso, non risultava essere stata adottata.

Differente invece la fattispecie all’esame del Tar Bari nell’ordinanza in commento. Nel caso di specie, infatti, l’impresa ricorrete aveva impugnato direttamente l’aggiudicazione definitiva intervenuta a favore di altra impresa, a cui si contestava il mancato possesso dei necessari requisiti di partecipazione alla gara, avendo omesso l’impugnazione dell’ammissione dell’aggiudicataria, in violazione di quanto disposto dal comma 2 bis dell’art. 120 cpa, che impone invece l’impugnativa immediata delle ammissioni degli altri concorrenti a pena di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva. Di qui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma censurata.

Il Collegio ritiene altresì sussistente la non manifesta infondatezza della questione sull’assunto che le disposizioni censurate violino le norme di cui agli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2 e 117, comma 1, della Costituzione, nonché gli artt. 6 e 13 della Cedu.

In particolare e più nel dettaglio, secondo il Tar Bari l’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. sarebbe costituzionalmente illegittimo per i seguenti motivi:

1)  Violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost. Il Tar Bari ritiene che l’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo, c.p.a. - limitatamente alla parte che impone l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni -, si ponga in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost. in quanto impone la necessità di impugnare, nel termine decadenziale di trenta giorni, decorrente dalla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante ai sensi dell’art. 29, comma 1 d.lgs n. 50/2016, un atto per sua natura non immediatamente lesivo, quale appunto l’ammissione alla gara, pena altrimenti l’incorrere nella preclusione di cui al secondo periodo (“l’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”), con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria.

Attraverso simili disposizioni, secondo i giudici pugliesi, viene stabilito ex lege che esclusioni ed ammissioni sono atti endoprocedimentali dotati di immediata lesività e che quindi, conseguentemente, debbano essere oggetto di immediata impugnazione.

L’onere di immediata impugnazione dell’ammissione di tutti gli operatori economici diviene, pertanto, a partire dalla novella legislativa del 2016. condizione di ammissibilità della futura impugnazione del provvedimento di aggiudicazione anche in carenza di un’effettiva lesione ed utilità concreta.

Non solo. A parere del Tar pugliese, il censurato art. 120, comma 2 bis, primo e secondo inciso c.p.a., nella parte in cui contempla l’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, introduce - a ben vedere - una ipotesi di “giurisdizione amministrativa oggettiva”, avente funzione di oggettiva verifica, di carattere generale, del rispetto della legalità dell’azione amministrativa (che già la decisione del Cons. Stato, sez. III, 1.9.2014, n. 4449, aveva escluso possa ritenersi ammissibile) eccentrica rispetto ad un sistema di giustizia amministrativa tradizionalmente impostato sulla giurisdizione/giustizia di diritto “soggettivo” e sul “potere” di agire in giudizio a difesa dei propri diritti e interessi legittimi ex art. 24, comma 1 Cost. e non già sul “dovere” di esperire un’azione giurisdizionale, inteso come onere di immediata impugnazione (peraltro anche economicamente gravoso precisa poi il Tar, come si dirà subito appresso) pena altrimenti l’incorrere in una preclusione processuale, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria.

Un simile onere di immediata impugnazione giurisdizionale delle ammissioni si pone infatti in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall’art. 100 c.p.c. (ed applicabile anche al processo amministrativo in forza del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a.) della necessità, quale condizione dell’azione, della esistenza di un interesse ad agire concreto ed attuale al ricorso in corrispondenza di una lesione effettiva di detto interesse.

Come copiosa giurisprudenza amministrativa ha sempre affermato (che il Tar puntualmente riporta), l’interesse a ricorrere deve essere caratterizzato dai predicati della personalità (il risultato di vantaggio deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente), dell’attualità (l’interesse deve sussistere al momento del ricorso, non essendo sufficiente a sorreggere quest’ultimo l’eventualità o l’ipotesi di una lesione) e della concretezza (l’interesse a ricorrere va valutato con riferimento ad un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del ricorrente).

Inoltre, precisa ulteriormente il Collegio pugliese, il concetto stesso di “tutela degli interessi legittimi”, esplicitamente indicato dagli artt. 24, 103 e 113 Cost., implica necessariamente i menzionati caratteri della personalità, attualità e concretezza del sostrato processuale della posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio (i.e. interesse legittimo) poiché solamente il titolare della predetta posizione giuridica soggettiva è l’unico soggetto dell’ordinamento che può valutare autonomamente l’utilità che gli potrà arrecare il giudizio che, eventualmente, andrà ad introdurre e non può essere invece una legge dello Stato ad imporgli la “doverosità” (intesa nel senso di “onere” da assolvere per evitare il formarsi di una preclusione processuale) di un’azione giurisdizionale priva di alcun vantaggio sul piano soggettivo, almeno nel momento in cui deve essere esperita in base al censurato dato normativo (ovvero al momento di pubblicazione dei provvedimenti di ammissione/esclusione dei concorrenti).

Invero, la citata disposizione del codice del processo amministrativo, nell’imporre la necessità, pena l’incorrere nella preclusione di cui allo stesso comma 2 bis, secondo inciso, della immediata contestazione in sede giurisdizionale delle ammissioni (con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria), sostanzialmente onera l’impresa partecipante alla gara ad impugnare immediatamente le ammissioni di altri soggetti partecipanti a prescindere da ogni concreta ed effettiva utilità, dal momento che siffatta impugnazione potrebbe rivelarsi poi inutile allorchè la stessa impresa ricorrente dovesse venire successivamente a conoscenza dell’aggiudicazione definitiva della gara in proprio favore ovvero, all’opposto, della propria collocazione in graduatoria in posizione talmente deteriore da non ritenere più utile alcuna contestazione.

E’, infatti, evidente che al momento della ammissione delle ditte in gara la posizione delle concorrenti è neutra o meglio indifferenziata in quanto solo potenzialmente lesiva.

Il bene della vita cui aspira la concorrente in gara è l’aggiudicazione dell’appalto sicché il suo interesse a contestare l’ammissione (pur illegittima) delle altre concorrenti si concretizza solo alla fine della procedura allorquando la posizione in graduatoria cristallizzata dal provvedimento di aggiudicazione definitiva determina quel grado di differenziazione idoneo a radicare l’interesse al ricorso.

Il contrasto con le menzionate norme costituzionali che sanciscono il principio della effettività della tutela giurisdizionale appare poi, secondo il Tar, ancora più netto se si considera che l’impugnazione in materia di appalti pubblici (e quindi anche del provvedimento di ammissione di cui al comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a.) è soggetta ad un contributo unificato per cui sono stati previsti importi piuttosto elevati dall’art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002 (importi che, a seconda dei casi, vanno dai 2000 ai 6000 euro).

2)  Manifesta irragionevolezza e sproporzionalità della norma censurata.

A parere del Tar pugliese, la contestata disposizione di cui all’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., nella parte in cui contempla l’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione e comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria, si palesa, altresì, irrazionale e irragionevole alla stregua dell’art. 3, comma 1 Cost. (oltre che degli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost.) in forza di un’ulteriore considerazione che secondo i giudici amministrativi ne mette ulteriormente in risalto il contrasto con il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale anche sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.

Il legislatore al terzo inciso del comma 2 bis ha, infatti, considerato inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, sostanzialmente riconfermando la regola generale tradizionale della inammissibilità dell’impugnazione giurisdizionale rivolta avverso atti endoprocedimentali non immediatamente lesivi, regola che è invece irragionevolmente derogata dai primi due periodi del comma 2 bis con riferimento ad un atto endoprocedimentale quale l’ammissione che, pur essendo privo di immediata lesività dal punto di vista del concorrente, viene evidentemente ritenuto dal legislatore lesivo dell’interesse generale alla anticipata ed incontestata formazione della platea dei concorrenti, sicchè della tutela di questo interesse pubblico generale si deve fare quindi carico lo stesso concorrente, anche se detto interesse pubblico potrebbe non coincidere mai con un interesse del partecipante alla gara, personale, concreto ed attuale al conseguimento del bene della vita (rectius aggiudicazione della gara).

In sostanza, secondo il Tar, un interesse al ricorso meramente ipotetico viene irragionevolmente trasmutato dal legislatore del 2016 (art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo, c.p.a.) in un interesse concreto e attuale, introducendo una sorta di presunzione legale ed astratta di interesse al ricorso avverso le ammissioni (tuttavia in concreto non sussistente) e, corrispondentemente, di lesione di detto interesse, mentre analoga operazione è stata espressamente esclusa dal terzo inciso della disposizione in commento con riferimento a tutti gli “altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività”.

Pertanto, se si può certamente ritenere ragionevole l’esclusione dell’onere di immediata impugnazione degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, sancita dal terzo inciso dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., appare, viceversa, del tutto irragionevole la previsione di cui al primo e secondo periodo della disposizione in esame circa l’onere di immediata impugnazione del provvedimento di ammissione (con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria), che rientra invece nella categoria degli atti endoprocedimentali privi di immediata lesività, secondo la visione tradizionale della nozione di interesse ad agire.

Il Tar ritiene, inoltre, che il contrasto della disposizione in esame (comma 2 bis) con il richiamato principio costituzionale di ragionevolezza debba essere, altresì, analizzato alla luce del dictum di cui a Corte Cost. n. 241/2017.

Secondo il Collegio pugliese, il censurato comma 2 bis non passa indenne il test di proporzionalità formulato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 241 del 2017, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, attraverso la misura e le modalità di applicazione stabilite dal legislatore, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi.

Analogamente alla fattispecie definita da Corte Cost. n. 241/2017, il Tar Puglia ritiene che le conseguenze sfavorevoli ed oltremodo eccessive, derivanti dalla declaratoria di inammissibilità (alla stregua dell’art. 120, comma 2 bis c.p.a.) del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria, non siano adeguatamente bilanciate con l’interesse pubblico teso ad evitare l’abuso del processo e a deflazionare il contenzioso perché tale interesse si può ritenere già efficacemente realizzato grazie alla previsione - sufficiente a tale scopo - di cui all’art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002, con la quale si impongono importi elevati di contributo unificato in materia di rito degli appalti pubblici.

3)  Violazione dei principi del giusto processo e della durata ragionevole del processo di cui all’art. 111, commi 1 e 2, Cost., nonché del diritto ad un giusto ed equo processo ex artt. 6 e 13 Cedu.

Si è già detto che secondo il Tar, la norma censurata introduce una sorta di giudizio di “diritto oggettivo” che è contrario ai principi costituzionali di cui agli artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2 Cost. (in tema di effettività della tutela giurisdizionale), i quali plasmano il diritto di azione a mo’ di diritto azionabile unicamente dal titolare di un interesse personale, attuale e concreto e che nelle gare d’appalto può consistere nel conseguimento della aggiudicazione ovvero al più, quale modalità strumentale al perseguimento del medesimo fine, nella chance derivante dalla rinnovazione della gara.

Sicchè, il contrasto con i principi costituzionali si realizza nel momento in cui il legislatore attribuisce ad un soggetto privato (i.e. impresa partecipante alla gara) la tutela in via esclusiva di un interesse pubblico alla anticipata e non più contestabile formazione della platea dei concorrenti, interesse che potrebbe non coincidere mai con l’interesse privato e per attuare il quale vengono imposti al ricorrente esborsi economici ingenti che sono necessari per promuovere eventualmente anche plurimi e distinti ricorsi giurisdizionali avverso distinte ammissioni.

La censurata norma processuale potrebbe, quindi, avere un effetto dissuasivo con riferimento ad iniziative processuali notevolmente anticipate (e sensibilmente costose) rispetto al verificarsi della concreta lesione, così ulteriormente aggravando la violazione del principio costituzionale di tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), ovvero, all’opposto, un effetto di proliferazione dei ricorsi giurisdizionali, effetto evidentemente non compatibile con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2 Cost.

Per quanto attiene in particolare alla necessità, di fatto imposta dall’art. 120, comma 2 bis, primo e secondo periodo, c.p.a., di proporre plurimi ricorsi avverso le singole ammissioni degli altri concorrenti alla gara, essa si pone, ad avviso del Collegio, in evidente contrasto con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3, comma 1 Cost., con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (ex artt. 24, commi 1 e 2, 103, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 113, commi 1 e 2 Cost.), con il principio del giusto processo (ex art. 111, comma 1 Cost.) nonchè con il principio della ragionevole durata del processo (ex art. 111, comma 2 Cost.), poiché il meccanismo processuale delineato dal legislatore del 2016 determina inevitabilmente il proliferare di azioni giurisdizionali avverso plurime ammissioni relativamente alla stessa procedura di gara in violazione dei principi di economia processuale e concentrazione.

Ad aggravare ulteriormente il quadro si aggiunge, altresì, la necessità non solo di impugnare tempestivamente l’ammissione di tutti i soggetti partecipanti alla procedura di gara, ma successivamente anche di proporre un separato giudizio avverso l’aggiudicazione definitiva, come ritenuto dal Consiglio di Stato, Sez. V con ordinanza n. 1059 del 14.3.2017, con ulteriore aggravio per la parte in termini di corresponsione di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, lett. d) d.p.r. n. 115/2002.

Infine, secondo il Tar pugliese, si deve ravvisare anche una evidente tensione tra la norma processuale interna che impone l’onere di immediata impugnazione di un atto (l’ammissione) privo di immediata lesività (onere, la cui violazione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva da parte di chi ha omesso di impugnare tempestivamente l’ammissione dell’aggiudicataria) ed il diritto fondamentale ad un giusto ed effettivo processo desumibile dagli artt. 6 e 13 della Cedu.

Afferma infatti il Collegio che, analogamente a quanto già evidenziato con riferimento al corrispondente principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, anche il principio sottostante al combinato disposto degli artt. 6 e 13 della Cedu, di effettività del ricorso a fronte della violazione di un diritto, implica inevitabilmente la libertà del soggetto ricorrente di autodeterminarsi in ordine alla concretezza ed attualità dell’interesse ad agire avverso le altrui ammissioni alla gara, e quindi la libertà di stabilire autonomamente senza coartazione alcuna (anche da parte del “legislatore” e quindi, in caso di inerzia rispetto alla impugnazione delle ammissioni, senza incorrere nella sanzione processuale della inammissibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione definitiva, discendente nella fattispecie in esame dalla applicazione dell’art. 120, comma 2 bis, secondo inciso c.p.a.) se l’azione giurisdizionale risponde ad un proprio effettivo interesse, ovvero di decidere di astenersi dall’agire in giudizio, se detto interesse non dovesse essere ritenuto sussistente, come accade appunto nell’ipotesi del provvedimento di ammissione, rispetto al quale non è dato sapere (nel momento in cui detto provvedimento viene adottato) se il soggetto ammesso potrà mai essere aggiudicatario, ovvero se si collocherà in una posizione della graduatoria finale, tale da non poter mai ambire all’aggiudicazione quand’anche fosse dimostrata l’illegittima presenza in graduatoria di soggetti in posizione migliore rispetto alla propria.

Ciò, per quanto attiene alle censure sollevate avverso l’art. 120, comma 2 bis, c.p.a.  Vi è però anche un ulteriore aspetto dell’ordinanza in commento che merita di essere evidenziato. Appaiono infatti interessanti i riferimenti che il Tar compie all’attuale quadro giurisprudenziale in tema di concretezza ed attualità dell’interesse a ricorrere, con particolare riguardo alle più recenti elaborazioni giurisprudenziali in materia di cd. interesse strumentale dell’impresa partecipante ad gara ad evidenza pubblica alla rinnovazione della procedura di gara, in esito all’accoglimento del ricorso proposto.

In particolare, il Collegio pugliese richiama la recente ordinanza n. 6 del 2018 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che ha rimesso alla Corte di Giustizia un quesito interpretativo in merito al rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente nell’ambito del rito degli appalti.

Come noto, la recente remissione operata dall’Adunanza Plenaria alla Corte di Giustizia trae origine dai contrasti giurisprudenziali insorti all’indomani della sentenza della Corte di Giustizia “Puligienica” del 2016, che aveva notevolmente ampliato l’ambito di rilevanza dell’interesse strumentale alla ripetizione della procedura di gara ritenendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’interesse a ricorrere, anche un’utilità meramente potenziale o eventuale ravvisabile nella possibilità che l’amministrazione decida di rinnovare la gara, anziché scorrere ulteriormente la graduatoria, allorchè l’accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale abbiano dimostrato l’illegittimità dell’ammissione sia del primo che del secondo concorrente in graduatoria.

Questa forte valorizzazione dell’interesse strumentale al ricorso strumentale operata con la sentenza Puligienica qualora fosse stata accolta in tutta la sua portata nel nostro ordinamento avrebbe comportato una connotazione in senso oggettivo della giurisdizione amministrativa in materia di appalti. Infatti, ammettere una nozione così lata di interesse al ricorso affermando, come sembra fare la Corte di Giustizia nella detta pronuncia, che ogni concorrente ha il legittimo interesse a che si accerti la legittimità delle procedure di evidenza pubblica, determina inevitabilmente uno snaturamento in senso oggettivo della giurisdizione amministrativa.

Per tale motivo, all’indomani di tale pronunciamento, si è affermato un orientamento della giurisprudenza amministrativa volto a dare un’interpretazione restrittiva del dictum del giudice europeo. Secondo tale indirizzo più restrittivo, nel caso di gare con più di due partecipanti, si dovrebbe valutare se i vizi delle offerte prospettati come motivi di ricorso possano dirsi comuni anche alle altre offerte rimaste estranee al giudizio, di modo che possa figurarsi, in concreto, un possibile intervento in autotutela dell’amministrazione idoneo a fondare l’interesse c.d. strumentale del ricorrente alla decisione del ricorso principale. In tal senso, già Consiglio di Stato, sez. III, 26 agosto 2016, n. 3708, aveva affermato che l’esame del ricorso principale è obbligatorio soltanto se l’accoglimento dello stesso produca, come effetto conformativo, un vantaggio, anche mediato e strumentale, per il ricorrente principale, “tale dovendosi intendere anche quello al successivo riesame, in via di autotutela, delle offerte affette dal medesimo vizio riscontrato con la sentenza di accoglimento: ma, nel caso di più di due imprese partecipanti alla gara delle quali solo due siano in giudizio, ciò potrebbe avvenire soltanto se fosse rimasto accertato che anche le offerte delle restanti imprese risultino affette dal medesimo vizio che aveva giustificato la statuizione di esclusione dalla procedura dell’offerente parte della controversia”.

Sviluppando ulteriormente tale impostazione, l’Adunanza Plenaria con l’ordinanza n. 6/2018 ritiene che l’accertamento della “comunanza del vizio” dedotto con il ricorso principale “dovrebbe avvenire nei confronti di offerte presentate da imprese non evocate” in giudizio “armonicamente con i principi della domanda (art. 112 c.p.c.) e dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) che “governano” il processo amministrativo, sicchè “spetterebbe pur sempre al ricorrente principale provare che i vizi ipotizzati con il proprio ricorso siano comuni anche alle altre offerte rimaste in gara e che, comunque, la ripetizione della procedura sia una evenienza concretamente ipotizzabile (esemplificativamente: provando appunto la sussistenza di motivi di esclusione identici a quelli contestati all’aggiudicatario, ovvero il dichiarato disinteresse allo scorrimento della graduatoria in capo alle ditte rimaste in gara, ovvero ancora l’impossibilità di ulteriore scorrimento, ovvero la dichiarazione dell’amministrazione della volontà di non assegnare l’appalto a concorrenti rimasti in gara per ragioni di non convenienza economica, ecc.)”.

In base a tali considerazioni, L’ordinanza manifesta quindi l’“auspicio” che la soluzione accolta dalla CGUE affidi “al Giudice il vaglio sulla concretezza dell’interesse alla riedizione della procedura azionato con il ricorso principale, ricorrendo agli istituti processuali del codice del processo amministrativo per consentire in tali evenienze il dispiegarsi del contraddittorio con le offerenti rimaste in gara e non evocate (armonicamente al principio di cui all’art. 2909 c.c. sui limiti soggettivi del giudicato, che si forma soltanto tra le parti processuali) e, insieme, per rendere effettiva e non ipotetica (in quanto rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante) l’evenienza della ripetizione della gara ove le censure contenute nel ricorso principale fossero reputate fondate e, soprattutto, fossero comuni alle offerenti rimaste in gara e potenziali beneficiarie dello scorrimento della graduatoria”.

In realtà, va detto che, a ben vedere, l’impatto della sentenza comunitaria Puligienica viene significativamente attenuato dalla disposizione di cui all’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. Stabilire infatti la regola secondo cui i vizi concernenti ammissioni ed esclusioni devono essere fatti valere immediatamente altrimenti non possono più essere fatti valere in seguito nemmeno con ricorso incidentale, ha l’effetto di ridurre, significativamente, il campo di applicazione della problematica dei ricorsi principali ed incidentali escludenti.

All’atto pratico, non sarebbe più possibile, ad esempio, che un secondo classificato contesti in via principale la partecipazione del primo classificato affermando che doveva essere escluso per carenza di requisiti di partecipazione ed impugnando per tali motivi l’aggiudicazione, così come  non sarebbe più, viceversa, possibile che un primo classificato contesti in via incidentale la partecipazione del secondo classificato-ricorrente principale per carenza di requisiti, essendo sia l’una che l’altra impugnativa precluse dalla norma di cui al comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a.

Il che, come detto, sembra far venir meno l’importanza pratica della questione ricorsi principali-ricorsi incidentali, salvo che, ovviamente, per il residuo contenzioso ancora in essere.

Anche sotto questo profilo, appare quindi rilevante e meritevole di essere dipanata al più presto la questione della legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a.

La circostanza che la predetta norma abbia di fatto snaturato l’interesse a ricorrere come tradizionalmente inteso, finendo per ancorarlo ad un sorta di “presunzione assoluta di lesività”, è stata peraltro ben colta dalla giurisprudenza già all’indomani della riforma, come l’ordinanza in commento non manca di rilevare.

Infatti, già T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 8 novembre, 2016, n. 1262, dopo aver sinteticamente richiamato i caratteri dell’interesse a ricorrere nel processo amministrativo, aveva sottolineato la netta conflittualità della suddetta novella con “il quadro giurisprudenziale, storicamente consolidatosi” in materia di interesse a ricorrere.

Anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 20 dicembre 2016, n. 5852, dopo aver evidenziato che la nuova disposizione costituisce un diretto precipitato della significativa rilevanza che l’interesse strumentale è man mano venuto assumendo nell’ambito del processo in materia di appalti pubblici (cfr. le sentenze della Corte di Giustizia UE, sez. X, 4 luglio 2013, in C-100/12, “Fastweb”; Id., Grande Sez., 5 aprile 2016, C-689/13, “Puligienica”, Id., sez. VIII, 10 maggio 2017, in C-131/16, “Archus”) e pur ricostruendo la neo introdotta “presunzione assoluta di lesività” come una sorta di “interesse alla legittima formazione della platea dei concorrenti ammessi alle successive fasi della procedura”, sul modello processuale del contenzioso elettorale di cui all’art. 129 c.p.a.”, segnalava però, al contempo, che un sistema così congegnato “potrebbe astrattamente far scivolare il contenzioso in materia di appalti verso un modello di giudizio di diritto oggettivo contrario agli artt. 24 e 113 Cost. ed escluso dalla giurisprudenza”.

Il Consiglio di Stato dal canto suo ha, invero, più volte ribadito che il processo amministrativo si basa pur sempre sul principio dispositivo in relazione all’ambito della domanda di parte e la giurisdizione amministrativa di legittimità rimane pur sempre una giurisdizione di tipo soggettivo, sia pure con aperture parziali alla giurisdizione di tipo oggettivo in precisi, limitati ambiti, tra le quali si colloca ad esempio la valutazione sostitutiva dell’interesse pubblico compiuta dal giudice in sede di giudizio cautelare (v. Ad. Plen. n. 4 del 13 aprile 2015).  A tale quadro si sono aggiunte di recente le ipotesi normative “eccezionali” di legittimazione ex lege al ricorso giurisdizionale di Autorità amministrative indipendenti, ovvero, segnatamente, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per quanto concerne l’impugnazione di atti amministrativi in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato ai sensi dell’art. 21 bis legge n. 287/1990 e l’Autorità Nazionale Anticorruzione con riguardo alla impugnazione di provvedimenti amministrativi viziati da gravi violazioni del codice degli appalti pubblici di cui all’art. 211 d.lgs n. 50/2016.

La più recente giurisprudenza amministrativa (cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, sez. I, 7.12.2017, n. 1521; Cons. Stato, sez. VI, 30.4.2018, n. 2583; Cons. Stato, sez. V, 30.4.2014, n. 2246; Cons. Stato, sez. V, 15.5.2017, n. 2294) nell’escludere qualsiasi contrasto delle suddette previsioni eccezionali (come tali, non estensibili oltre i casi da esse espressamente considerati) con gli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., ha affermato che trattasi, a ben vedere, di disposizioni speciali che, lungi dall’introdurre un’ipotesi di giurisdizione amministrativa di “diritto oggettivo” in cui l’azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, contemplano una legittimazione straordinaria a proporre ricorso giurisdizionale dinanzi al g.a. di un soggetto pubblico (quale è l’Autorità amministrativa indipendente), in qualità di ente esponenziale di un interesse “qualificato e differenziato” al corretto funzionamento del mercato e quindi giuridicamente rilevante ed idoneo a fondare situazioni giuridiche soggettive.

Rimane quindi fermo, in via generale, che nel nostro ordinamento il ricorso al giudice amministrativo si configura come ricorso nell’interesse di una parte e mai come ricorso volto al rispetto formale delle regole, a prescindere da ogni interesse, salvo i casi, appena descritti (art. 21 bis legge n. 287/1990 e art. 211 d.lgs n. 50/2016), in cui il rispetto delle regole venga demandato ad una autorità pubblica (rispettivamente AGCM e ANAC), riconoscendo coerentemente alla stessa una legittimazione, comunque eccezionale e straordinaria, a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo.