Cons. Stato, Sez. III, 14 settembre 2018, n. 5410

1. Il condizionamento mafioso, che porta all’interdittiva, può derivare dalla presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi; il condizionamento mafioso si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non ermergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa; le imprese possono effettuare liberamente le assunzioni quando non intendono avere rapporto con le pubbliche amministrazioni: ove intendano avere, invece, tali rapporti devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1770 del 2018, proposto da

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Adolfo Mutarelli, Francesco Mutarelli, Mario Ettore Verino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Mario Ettore Verino in Roma, via Barnaba Tortolini n. 13;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Massimo Lacatena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli, n. 29;

Città Metropolitana di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Massimo Maurizio Marsico, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto come in atti;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’informativa antimafia del Prefetto di Napoli;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, della Regione Campania, della Città Metropolitana di Napoli e della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 luglio 2018 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l’Avv. Adolfo Mutarelli e l'Avvocato dello Stato Alberto Giua;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Nel 2014 la società -OMISSIS-., operativa nel settore del trasporto pubblico locale, veniva attinta da informativa antimafia emessa dal Prefetto di Napoli (confermativa di una precedente interdittiva del 2013) avverso cui la società proponeva ricorso, respinto con sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, n. -OMISSIS-.

In sintesi, il giudizio prognostico di contaminazione criminale ritenuto legittimo nella predetta pronuncia si fondava sulla contestazione di circostanze denotative di cointeressenze economiche tra la famiglia -OMISSIS-(in particolare, -OMISSIS--OMISSIS-che deteneva il 50% del capitale sociale) e soggetti affiliati ad associazioni criminose di tipo camorristico (-OMISSIS-), oltre che sulla presenza tra i dipendenti della -OMISSIS- di due esponenti del clan campano -OMISSIS-(i fratelli -OMISSIS-), condannati per associazione di tipo mafioso ed autori, peraltro, di estorsione in danno della medesima ricorrente.

2. - Con decreti prefettizi prot. n. -OMISSIS-del 25 febbraio 2015 e n. -OMISSIS-del 23 marzo 2015 veniva disposta, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014 (convertito dalla L. n. 114/2014) la misura della straordinaria e temporanea gestione della -OMISSIS-, successivamente prorogata, relativamente a specifici contratti di trasporto pubblico regionale e provinciale, con la nomina di amministratori di nomina prefettizia.

3. - Nel 2015 la società ricorrente avanzava istanza di aggiornamento ex art. 91, comma 5, del D.Lgs. n. 159/2011, integrata con ulteriore domanda nel 2016.

3.1 - Nello specifico, con la prima richiesta del 15 ottobre 2015, la -OMISSIS- evidenziava le seguenti sopravvenienze che, a suo giudizio, avrebbero denotato l’assenza o quantomeno l’elisione del rischio di contaminazione criminale:

- il Tribunale di Prato, con decreto del 21 marzo 2013 di rigetto della misura di prevenzione personale nei confronti di -OMISSIS-, avrebbe accertato l’avvenuta disarticolazione dell’omonimo clan e la mancanza di pericolosità sociale attuale del prevenuto;

- l’amministrazione prefettizia avrebbe erroneamente ravvisato elementi di collegamento tra il clan --OMISSIS-operativo in Toscana ed il clan -OMISSIS- presente nei Comuni campani di -OMISSIS-e -OMISSIS-, trattandosi viceversa di formazioni criminali autonome e non comunicanti;

- la Corte di Cassazione, con sentenza n. -OMISSIS-del 10 giugno 2015, aveva annullato con rinvio la pronuncia della Corte d’Appello di Firenze di confisca di quote della -OMISSIS- (società riferibile alla famiglia di -OMISSIS--OMISSIS-, titolare del 50% della società -OMISSIS-, ma ritenuta nella disponibilità diretta di -OMISSIS-, in quanto si rendeva intestataria fittizia di un immobile destinato ad ospitare un locale notturno “-OMISSIS-” gestita dal pregiudicato): ciò dimostrerebbe l’insussistenza del collegamento affaristico malavitoso tra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-;

- la -OMISSIS- aveva licenziato i dipendenti-OMISSIS-ritenuti sodali al clan -OMISSIS-recidendo in tal modo ogni collegamento con la locale associazione criminale.

3.2 - Con successiva integrazione del 1° giugno 2016 alla suddetta istanza di aggiornamento, la società rappresentava che sarebbe radicalmente mutato l’assetto societario e l’amministrazione della -OMISSIS- con inserimento di nuove figure alla guida dell’azienda in sostituzione di soggetti ritenuti permeabili all’influenza criminale e, in particolare:

- -OMISSIS--OMISSIS-aveva dismesso ogni partecipazione nella -OMISSIS- S.p.a. e non ricoprendo alcun incarico di gestione, avendo dismesso la propria quota pari al 50% della proprietà della -OMISSIS- in favore della -OMISSIS-. la quale deteneva ora il 100% del capitale sociale;

- il capitale della -OMISSIS-., prima detenuto da -OMISSIS--OMISSIS-(figlia di -OMISSIS--OMISSIS-), -OMISSIS-(marito di -OMISSIS--OMISSIS-e genero di -OMISSIS--OMISSIS-) e -OMISSIS-, era ora così ripartito: -OMISSIS-(96,2%), -OMISSIS-(1,8%), -OMISSIS-(2%);

- le quote della -OMISSIS-. (ritenuta ulteriore elemento di collegamento tra la -OMISSIS- ed -OMISSIS--OMISSIS-), di cui in passato -OMISSIS- deteneva il 60%, -OMISSIS--OMISSIS-il 20% e -OMISSIS-il 20%, erano ora ripartite come segue: -OMISSIS- s.p.a. deteneva l’80% (avendo acquisito le quote di -OMISSIS--OMISSIS-), mentre il residuo 20% restava nella titolarità di -OMISSIS-;

- erano stati dismessi i locali di -OMISSIS-presso i quali era domiciliato -OMISSIS--OMISSIS-ed avevano sede unità operative di -OMISSIS- s.p.a. e -OMISSIS-.;

- l’amministrazione della -OMISSIS-, prima facente capo ad -OMISSIS--OMISSIS-, figlia di -OMISSIS--OMISSIS-, ora era stata affidata al dott. -OMISSIS- che in passato aveva ricoperto incarichi di amministratore giudiziario di beni sequestrati alla criminalità organizzata, mentre la gestione della società -OMISSIS-era stata affidata al dott. -OMISSIS-, in sostituzione di -OMISSIS--OMISSIS-;

- i dipendenti -OMISSIS-ed -OMISSIS-erano stati licenziati con provvedimenti conseguenti alle sentenze di cond-OMISSIS-per associazione di tipo mafioso.

4. - A riscontro di tali istanze di aggiornamento, con informativa antimafia emessa dal Prefetto di Napoli il 7 dicembre 2016 - oggetto del presente giudizio - è stata confermata la prognosi interdittiva in danno della -OMISSIS- s.p.a.

4.1 - Quanto alla prima istanza di aggiornamento, il Prefetto ha ritenuto che le osservazioni ivi formulate coincidevano con le doglianze prodotte in giudizio in sede di impugnazione dei provvedimenti interdittivi e di commissariamento della società, che erano state respinte dal TAR Campania con la sentenza n. -OMISSIS- confermando, quindi, la legittimità dei provvedimenti assunti.

Ha quindi precisato, in sintesi, che i presupposti posti a base dell’istanza di aggiornamento non trovavano riscontro, in quanto:

- dalle pronunce del giudice penale non si evinceva l’insussistenza della disarticolazione del clan;

- vi era stato un mero annullamento con rinvio della confisca con successiva adozione di un nuovo decreto da parte della Corte di Appello dal quale si evinceva l’esistenza di ottimi rapporti amicali e di affari tra -OMISSIS-ed -OMISSIS-;

- significativo sarebbe stato il licenziamento tardivo dei dipendenti -OMISSIS-ed -OMISSIS-; quest’ultimo svolgeva incarichi di fiducia dovendo consegnare le somme estorte all’impresa, che – peraltro – non aveva mai denunciato l’estorsione;

- era ancora pendente il giudizio penale nei confronti di -OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-n. -OMISSIS-per i reati 110 c.p. 12 quinquies, c. 1, D.Lgs. 306/92 con l’aggravante di cui all’art. 7 l. 203/91.

4.2 - Con riferimento alla seconda istanza di aggiornamento del 1° giugno 2016 relativa ai mutamenti dell’assetto societario, alla dismissione delle sedi secondarie e alla rinnovata amministrazione della società, ha ritenuto il Prefetto che non fossero idonei ad escludere il pericolo di condizionamento mafioso poiché nei riscontri effettuati dalla Forze dell’Ordine era emerso l’attuale interesse della famiglia -OMISSIS-alla gestione della società, come puntualmente indicato nelle pagg. 6-9 del provvedimento interdittivo (v. infra).

5. - Con il ricorso di primo grado, proposto dinanzi al TAR per la Campania, sede di Napoli, la società -OMISSIS- ha impugnato tale ultimo provvedimento confermativo e i sottostanti atti istruttori, tra i quali i verbali GIA, i verbali delle riunioni tecniche di coordinamento con le Forze di Polizia e con la Direzione Investigativa Antimafia e gli ulteriori atti istruttori richiamati nell’epigrafe del ricorso deducendo censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto distinti profili.

Ha impugnato, inoltre, il decreto prefettizio del 27 dicembre 2016 con cui è stata ulteriormente prorogata fino al 31 dicembre 2017 la gestione straordinaria e temporanea della medesima società ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014 con avvicendamento, a partire dal 19 gennaio 2017, degli amministratori prefettizi.

5.1 - Nel giudizio di primo grado sono stati acquisiti in via istruttoria tutti gli atti del procedimento.

5.2 - Si sono costituite in giudizio la Regione Campania e la Città Metropolitana di Napoli oltre all’UTG - Prefettura di Napoli unitamente al Ministero dell’Interno.

6. - Con la sentenza n. 5166 del 2017 il ricorso è stato respinto.

7. - Avverso tale decisione la società ricorrente ha proposto appello, limitatamente al capo di sentenza che aveva respinto l’impugnazione avverso l’interdittiva antimafia del 7 dicembre 2016, chiedendone la riforma.

7.1 - Si sono costituite in giudizio sia l’UTG – Prefettura di Napoli ed il Ministero dell’Interno che la Regione Campania e la Città Metropolitana di Napoli.

Le parti hanno depositato scritti difensivi a sostegno della rispettive tesi.

8. - All’udienza pubblica del 26 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

9. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

10. - Prima di passare ad esaminare il merito dell’appello, è opportuno richiamare, sinteticamente, taluni principi espressi dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):

- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata» (tali norme riproducono principi già contenuti nella normativa precedente, applicabile alla fattispecie in esame);

- quanto alla ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

- ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

- pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto -OMISSIS-oprio congiunto;

- nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una «influenza reciproca» di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;

- una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione;

- hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:

- non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del «più probabile che non» - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4708; Cons. Stato n. 3057/10; 1559/10; 3491/09);

- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011; Cons. Stato, n. 2783 del 2004; Cons. Stato, n. 4135 del 2006);

- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001);

- tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260 del 2010);

- gli elementi raccolti ai fini dell’interdittiva antimafia non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento a carico dell’impresa attenzionata da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, 07-11-2017, n. 5143).

11. - Occorre poi tener conto che il provvedimento impugnato segue due precedenti informative datate 30 luglio 2013 e 17 settembre 2014, che sono state ritenute immune da vizi di legittimità in sede giurisdizionale.

A questo proposito giustamente l’Amministrazione appellata ha richiamato i principi espressi da questa Sezione con la sentenza n. 4121/2016 secondo cui, la sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore, impone all’Amministrazione di verificare nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.

L’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, infatti, permane inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo.

In pratica, l’aggiornamento e la conseguente liberatoria antimafia presuppongono elementi sopravvenuti oggettivamente capaci di rendere irrilevanti e di rendere, essi sì, inefficace il significato indiziario degli elementi sintomatici valorizzati dall’originaria informativa anche dopo la scadenza del termine annuale.

12. - Nel caso di specie, ritiene il Collegio che la valutazione resa dalla Prefettura circa la persistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa sia immune dai vizi dedotti.

Nessuna delle doglianze proposte con l’atto di appello risulta, infatti, convincente.

12.1 - Si appalesa infondata la doglianza dedotta nel secondo motivo di appello, relativa all’erroneità della ricostruzione del provvedimento di confisca dell’immobile dell’ -OMISSIS-per le quote di -OMISSIS--OMISSIS-e di -OMISSIS--OMISSIS-: secondo l’appellante, infatti, il TAR non avrebbe tenuto conto del doppio annullamento da parte della Corte di Cassazione delle sentenze della Corte di Appello di Firenze, per non aver accertato la illecita provenienza del danaro.

12.2 - Occorre innanzitutto rilevare che la legittimità dell’atto va verificata alla stregua degli elementi esistenti al momento della sua adozione: gli elementi sopravvenuti possono essere rappresentati all’Amministrazione proponendo apposita istanza di aggiornamento, ma non possono assumere rilievo ai della presente pronuncia che deve valutare la logicità e ragionevolezza della decisione assunta dal Prefetto, alla stregua del “principio del più probabile che non”, alla stregua degli elementi fattuali al momento esistenti.

Ne consegue l’irrilevanza, ai fini della presente decisione, della sentenza della Corte di Cassazione n. -OMISSIS-che ha nuovamente annullato, con rinvio, la decisione della Corte di Appello.

12.3 - In ogni caso, pur demandando alla valutazione dell’Amministrazione di tale fatto sopravvenuto, non può non evidenziarsi che l’annullamento con rinvio non fa venir meno il dato fattuale costituito alla contiguità dei componenti della famiglia -OMISSIS-con il -OMISSIS-, i cui rapporti di affari e non sono stati ritenuti dalla Prefettura come indicativi del rischio di permeabilità e di condizionamento da parte della criminalità organizzata, come puntualmente indicato nello stesso provvedimento impugnato.

12.4 - Lo stesso deve ritenersi con riferimento all’assoluzione della signora -OMISSIS--OMISSIS-, disposta da parte del GIP di Firenze in data 30 marzo 2018 in relazione al procedimento RG -OMISSIS-: tale fatto sopravvenuto deve essere valutato dalla Prefettura al fine di verificare se esso, da solo o unitamente ad eventuali altri elementi sopravvenuti, possa assumere una rilevanza tale da costituire una cesura rispetto al precedente assetto, tanto da giustificare il venir meno del rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Come già rilevato, infatti, il giudice amministrativo non può sostituirsi all’Amministrazione, dovendosi limitare ad esercitare un sindacato estrinseco sugli atti da essa adottati, e certamente, non può giudicare la legittimità dell’atto impugnato alla stregua di nuovi elementi successivamente sopravvenuti.

12.5 - In ogni caso, pur riservando ogni valutazione alla Amministrazione competente, resta il fatto che analogo provvedimento non è stato adottato nei confronti di -OMISSIS--OMISSIS-, anch’esso parte dello stesso procedimento (come peraltro riconosciuto dalla stessa appellante nella propria memoria).

12.6 - Queste considerazioni sono sufficienti a superare i rilievi svolti con il primo profilo del secondo motivo di appello, relativo al provvedimento di confisca.

Il successivo profilo, afferente alla presenza tra i dipendenti della società di appartenenti alla “famiglia” -OMISSIS-sarà esaminato in seguito.

13. – Il terzo motivo di appello, relativo al tardivo licenziamento dei dipendenti -OMISSIS-e -OMISSIS-, affiliati - anche con ruoli di rilievo - al clan -OMISSIS-, avvenuto a distanza di 12 e 8 anni dalla sospensione, non appare convincente: non appaiono ragionevoli le motivazioni addotte nelle difese dell’appellante per tale differimento, se confrontate con i rischi connessi al mantenimento del rapporto di lavoro con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata per una società che intrattiene rapporti con la P.A.

Nella sentenza n. -OMISSIS-la Sezione ha infatti ritenuto che:

- il condizionamento mafioso può derivare anche dalla presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi;

- il condizionamento mafioso si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non ermergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa;

- le imprese possono effettuare liberamente le assunzioni quando non intendono avere rapporto con le pubbliche amministrazioni: ove intendano avere, invece, tali rapporti devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata.

Inoltre, se si considera per di più che nel frattempo tali soggetti si sono resi pure protagonisti di episodi estorsivi in danno della stessa società -OMISSIS-, l’interpretazione prefettizia del ritardo nel loro licenziamento come indice di assoggettamento alla criminalità organizzata risulta logica e ragionevole, ed è stata giustamente condivisa dal TAR.

La doglianza va, dunque, respinta.

14. - Prima di passare ad esaminare le restanti censure è opportuno rilevare che nessuno degli elementi addotti dalla -OMISSIS- è in grado di confutare la logicità e ragionevolezza delle valutazioni rese dalla Prefettura di Napoli in merito alla prima istanza di aggiornamento, atteso che la tesi della società secondo cui il -OMISSIS- si sarebbe disarticolato è stata smentita dall’ordinanza del Tribunale di Pistoia in data 21 aprile 2015 emessa nei confronti dei figli di -OMISSIS- per il reato, tra l’altro, di cui all’art. 12 quinquies del D.L. n. 306/92.

Le restanti doglianze si riferiscono, infatti, alla seconda istanza di aggiornamento, presentata dopo il mutamento dell’assetto societario (con la fuoriuscita dalla società di -OMISSIS--OMISSIS-e di -OMISSIS--OMISSIS-), la dismissione delle sedi secondarie e la rinnovata amministrazione della società, elementi ritenuti non sufficienti dal Prefetto di Napoli che ha ritenuto ancora attuale l’interesse della famiglia -OMISSIS-alla gestione della società.

15. - Con il primo motivo di appello l’appellante lamenta, in estrema sintesi, l’erroneità della sentenza di primo grado per aver ritenuto sussistente la contiguità dell’intera famiglia -OMISSIS-al -OMISSIS-, trascurando che solo due di essi (-OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-) erano stati rinviati a giudizio per il reato di cui all’art. 12 quinquies del D.L. n. 306/92 con l’aggravante di cui all’art. 7 della L. n 203/1991.

Ha infatti dedotto che in base all’art. 4 del D.Lgs. 159/11 il singolo può essere indiziato di appartenenza a organizzazioni criminali di stampo mafioso solo se condannato o almeno sottoposto a giudizio per il reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p., ovvero per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Gli elementi addotti dal Prefetto per desumere il rischio di permeabilità mafiosa (relativi ai due soli soggetti del nucleo familiare) non potrebbero giustificare il giudizio di rischio di condizionamento mafioso della maggioranza dei membri della stessa famiglia che non hanno precedenti penali, né carichi pendenti e nemmeno una diffida di P.S.

In questo modo il Prefetto avrebbe ingiustificatamente ed irragionevolmente appesantito il quadro indiziario su cui si fondavano le informative.

Tenuto conto che i soggetti “in contatto” con la criminalità organizzata erano costituiti da -OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-, la Prefettura avrebbe dovuto fornire idonei elementi dai quali desumere che costoro fossero ancora in contatto con gli esponenti del sodalizio criminale, e che potessero ancora incidere sulle scelte fondamentali della società interdetta.

Secondo l’appellante, in definitiva, la Prefettura avrebbe illegittimamente esteso all’intera famiglia -OMISSIS-i rilievi prognostici negativi relativi ai due soggetti (-OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-) ormai fuoriusciti dalla compagine societaria, trasformando un’azienda a conduzione familiare in un’azienda a asserita regìa camorristica.

Gli elementi di contatto indicati dal Prefetto sarebbero fondati su errori di fatto (la presenza di -OMISSIS--OMISSIS-presso i locali dell’azienda sarebbe frutto di omonimia, essendo presente in loco l’Arch. -OMISSIS--OMISSIS-, soggetto del tutto diverso), né potrebbero assumere il rilievo attribuito loro dal Prefetto (trattandosi di una intervista e della mera denunzia dello smarrimento dei documenti di circolazione di un’autovettura delle -OMISSIS-).

Il primo giudice, inoltre, avrebbe svalutato le numerose dichiarazioni rese dai dipendenti dell’appellante pur essendo idonee a fugare ogni dubbio in ordine all’estraneità di -OMISSIS--OMISSIS-dalla gestione della società.

16. - La doglianza non può trovare accoglimento.

Occorre considerare, infatti, che la società l’appellante si caratterizza per essere una società a conduzione familiare (come frequentemente avviene in Italia); tale caratteristica, come ha correttamente rilevato la difesa dell’Amministrazione, assume particolare rilievo nell’ambito della prevenzione antimafia poiché proprio quando dietro la singola realtà d’impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso (come appunto nel caso di specie) è statisticamente più facile che coloro i quali sono apparentemente al di fuori delle singole realtà aziendali possono curarne (o continuare a curarne la gestione) e, comunque interferire in quest’ultima facendo leva sui più stretti congiunti.

E’ altrettanto noto che proprio il nucleo familiare “allargato”, ma unito nel curare gli “affari” di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell’economia tanto è vero che in tempi recenti l’Adunanza Plenaria, riprendendo la giurisprudenza della Sezione ha ribadito “che - quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose - l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto -OMISSIS-oprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).” (Adunanza Plenaria sentenza 6 aprile 2018, n. 3 che richiama, a sua volta, i principi già espressi nella sentenza di questa Sezione n. 1743/2016 prima richiamata).

16.1 - La giurisprudenza della Sezione ha costantemente avallato – facendo applicazione del principio del più probabile che non – la valutazione resa dal Prefetto secondo cui il mero spostamento di quote sociali tra familiari, la sostituzioni degli amministratori per i quali vi era il dubbio di collusione con la criminalità organizzata, con familiari “puliti”, spesso giovani (e quindi figli, nipoti, loro coniugi) costituissero misure assunte al fine di eludere le misure di prevenzione antimafia.

Tali principi sono stati espressi sia nella sentenza n. 1743/2016 già richiamata, ma anche successivamente, costituendo una modalità tipica utilizzata dalle imprese una volta attinte dal provvedimento interdittivo.

Nel caso di specie, gli spostamenti di quote societarie sono intervenuti tra familiari; appartenenti alla famiglia hanno continuato a prestare attività lavorativa all’interno dell’impresa; lo stesso -OMISSIS--OMISSIS-ha fornito elementi dai quali desumere il suo persistente interessamento alle vicende della società, come può desumersi dalla vicenda relativa alla denuncia dello smarrimento dei documenti di un automezzo a distanza di un anno dalla dismissione di ruoli all’interno della società, o della intervista giornalistica resa in seguito alle polemiche divampate quando la Regione aveva deciso di non revocare le concessioni in seguito all’interdittiva antimafia.

Dalla stessa documentazione allegata all’istanza di aggiornamento dell’informativa si evince la volontà di concentrare il controllo della -OMISSIS- (e per il tramite di quest’ultima della -OMISSIS-.) in mano di -OMISSIS-, marito di -OMISSIS--OMISSIS-, che era succeduta al padre -OMISSIS-nella carica di amministratore della -OMISSIS-, mantenuta fin quando non era intervenuta l’informativa.

Per di più il -OMISSIS-, che già era titolare di una partecipazione in -OMISSIS-, aveva acquisito il pacchetto di maggioranza della predetta Società per effetto di donazione da parte della moglie.

Orbene, anche a non voler considerare la circostanza rilevante ai sensi dell’art. 84, lett. e) del D.Lgs.vo 159/2011, tale circostanza è chiaramente indicativa della volontà della famiglia -OMISSIS-di ovviare all’impossibilità di mantenere la titolarità del capitale della Società per via dell’informativa, trasferendola ad una delle persone ad essa più vicine e fidate attraverso la quale potevano continuare a curarne la gestione (e lo stesso è a dirsi per le -OMISSIS-, visto che le quote di tale società in precedenza di -OMISSIS--OMISSIS-e di altri suoi familiari erano state rilevate dalla -OMISSIS-, controllata e amministrata dallo stesso -OMISSIS-).

16.2 - Se si considerano tali presupposti, ragionevolmente il Prefetto ha assegnato rilievo alla presenza, seppur saltuaria, della ex amministratrice -OMISSIS--OMISSIS-negli uffici della Società, e alla sua presenza unitamente al marito a bordo di una vettura di proprietà dell’appellante.

Tali elementi confermano che la famiglia -OMISSIS-si era solo apparentemente e formalmente defilata ma, nella sostanza, era fermamente decisa a continuare ad occuparsi delle sorti della -OMISSIS-; ipotesi questa confermata dalla presenza di diversi suoi componenti nell’ambito della stessa con ruoli anche importanti che in alcuni casi i Commissari hanno dovuto loro togliere, come nel caso del demansionamento di -OMISSIS--OMISSIS-(figlio di -OMISSIS-già entrato in contatto con il -OMISSIS-).

16.3 - Tenuto conto di tali presupposti, la dichiarazione resa dagli amministratori straordinari prefettizi in data 7 dicembre 2016, secondo cui “mai alcuno anche tra i familiari della proprietà ha condizionato le scelte e gli indirizzi dell’Amministrazione della Società” e che nessun contatto vi era stato tra la struttura amministrativa della società e -OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-, non assume rilievo dirimente: data la situazione prima descritta nella quale si evince “una continuità con il passato della vita dell’impresa”, ragionevolmente può ritenersi sussistente l’attualità del pericolo una volta venuto meno l’argine costituito dalla presenza dei Commissari Straordinari.

17. - Ne consegue l’infondatezza del primo, parte del secondo, e quarto motivo di appello, anche alla luce dei principi evincibili dalla giurisprudenza in precedenza richiamata.

18. - Quanto alle spese del grado di appello, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti in considerazione della particolarità e complessità della fattispecie sottoposta a disamina.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese del grado di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche indicate nella sentenza.

 

 

 

Guida alla lettura

Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato torna a fare il punto sulla interdittiva antimafia ripercorrendo quelle che sono le sue peculiarità. Si ricorda brevemente che l’interdittiva antimafia è volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese  e del corretto andamento della Pubblica Amministrazione.

Il Prefetto, a cui spetta la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, opera una valutazione del quadro probatorio nella più ampia discrezionalità di apprezzamento e ciò comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento

Laddove l’autorità prefettizia rilevi, sulla base degli elementi emersi nel corso del procedimento, che l’imprenditore non risulta affidabile e non merita la fiducia delle Istituzioni, seppur dotato dei necessari mezzi economici e di una adeguata organizzazione, procede ad escluderlo dalla titolarità di rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione. In particolare si rammenta, sotto il profilo probatorio, che la certezza ottenuta al di là di ogni ragionevole dubbio non appartiene al sistema delle informative antimafia che al contrario abbracciano il criterio del “più probabile che non”. Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato da dati di comune esperienza e possono rilevare anche elementi non penalmente rilevanti o che non sono oggetto di procedimento o di processi penali.

Non si tratta dunque di provvedimenti lato sensu sanzionatori ma, al contrario, la finalità a cui rispondono è prettamente anticipatoria - prevenire un grave pericolo che può derivare dalla stipula di contratti con soggetti in odor di mafia-.

Nella sentenza in esame la Sezione esamina i rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati o contigui di associazioni mafiose. La pubblica amministrazione può attribuire rilievo a tali rapporti laddove, la relazione per le caratteristiche che presenta seguendo la logica del “più probabile che non” lascia presupporre che le decisioni dell’impresa siano condizionate, anche indirettamente, dalla mafia.

In particolare, rileva il Consiglio, che nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione, in contrasto con i principi costituzionali, che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.

La sentenza merita attenzione in particolare per il rilievo che attribuisce alla presenza anche di un solo dipendente infiltrato nella compagine societaria che intende tessere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.

Per il Collegio l’interdittiva antimafia può derivare anche in presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società ma figurano solo come meri dipendenti: la mafia si può servire, per controllare o guidare dall’esterno un’impresa, di un solo dipendente “infiltrato”, nonostante non emergano specifici riscontri sull’influenza delle scelte dell’impresa.