Cons. Stato, Sez. III, 22 agosto 2018, n. 5023

1.”Tra il potere di cui all’art. 32, commi 1 e ss., d.l. n. 90/2014 e quello (generale) di autotutela di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990 non sono ravvisabili interferenze, di ordine strutturale e/o funzionale, atte a giustificare la tesi secondo cui l’esercizio (effettivo o potenziale) del primo esplichi efficacia ostativa all’esperimento del secondo. Occorre, infatti, osservare che le misure temporanee e straordinarie di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014 hanno ad oggetto “la completa esecuzione del contratto” aggiudicato ad una impresa “in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” alla stessa attribuibili, mentre l’annullamento d’ufficio incide sulla fonte genetica del rapporto di appalto, rimuovendola ab origine e con effetti retroattivi sui rapporti giuridici costituiti sulla base della stessa”.

2.”Le misure ex art. 32 d.l. n. 90/2014, secondo la logica tipica del sistema normativo finalizzato a frapporre un argine alla diffusione delle condotte criminali nel delicato settore dei pubblici appalti e a contenere i relativi effetti inquinanti sulla sua corretta gestione, assolvono ad una funzione di carattere 'preventivo'”.

3.”La tutela della concorrenza assume rilievo, ai fini dell’esercizio del potere di autotutela, sia in sé, quale valore da perseguire indipendentemente dai riflessi vantaggiosi che la sua corretta esplicazione produce per la P.A., sia per i benefici che essa produce sulla individuazione del migliore affidatario del servizio, sotto il profilo economico e qualitativo della prestazione che ne costituisce oggetto”.

4.”Una clausola del bando, astrattamente legittima, è suscettibile di giustificare il potere di autotutela ove, alla luce delle indagini penali, ne sia disvelato il carattere illecito, in quanto espressivo di condotte penalmente rilevanti”.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

(omissis)

 

FATTO e DIRITTO

La società oggi appellante (Servicedent s.r.l.), per effetto della deliberazione del Direttore Generale dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Vimercate n. 53 del 1° febbraio 2016, conseguiva l’aggiudicazione all’esito della procedura aperta per l’affidamento del servizio di Assistenza Specialistica di Odontoiatria da prestarsi presso diversi Centri Odontostomatologici e presso gli Ambulatori di Odontoiatria Speciale degli Ospedali di Carate Brianza e Limbiate, indetta con deliberazione n. 385 del 29 aprile 2015 del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate.

La delibera di aggiudicazione veniva annullata dal T.A.R. Lombardia mediante la sentenza n. 1226 del 23 giugno 2016, di accoglimento del ricorso proposto da Smart Dental Clinic s.r.l. (già Pentadent s.r.l.) avverso l’atto di indizione della gara, sulla scorta della mancata suddivisione in lotti dell’appalto e della omessa esternazione delle ragioni sottese a tale scelta: essa tuttavia riacquistava validità (ed efficacia) per effetto della riforma della sentenza suindicata, sancita dal giudice amministrativo di appello con la sentenza n. 272 del 23 gennaio 2017, sulla scorta del rilievo secondo cui “l’Amministrazione ha dato sufficiente giustificazione della sua

scelta, affermando l’opportunità di dare, per quanto possibile, la stessa qualità di servizio a tutti gli utenti, obiettivo facilitato dall’affidamento del contratto a un solo soggetto”.

Nelle more del giudizio, il Prefetto della Provincia di Monza e della Brianza, con il decreto prot. n. 28421 del 10 giugno 2016, dando seguito alla proposta del Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione prot. n. 86028 del 31 maggio 2016, in applicazione dell’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90 del 24 giugno 2014, convertito in l. n. 114 dell’11 agosto 2014, disponeva la misura della straordinaria e temporanea gestione della società Servicedent s.r.l. e la conseguente nomina di due amministratori, con i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione della suddetta impresa, “limitatamente alla completa esecuzione dell’appalto: 1. Servizio di assistenza specialistica di odontoiatria da prestarsi presso i centri odontostomatologici dell’Azienda ospedaliera di Desio e Vimercate, per un periodo di 60 mesi ed eventuale ricorso al rinnovo per ulteriori 24 mesi (CIG 624093674E) affidato alla Servicedent dall’Azienda Socio Sanitaria territoriale (ASST) di Vimercate”.

Il ricorso allo speciale potere contemplato dalla disposizione citata scaturiva, in particolare, dall’ordinanza di applicazione di misure cautelari in carcere per i reati di cui all’art. 416 c.p., 319 c.p., 321 e 353, commi 1 e 2, c.p. nei confronti di Maria Paola Antonia Canegrati, amministratore unico della Servicedent s.r.l., adottata in data 27 gennaio 2016 dal G.I.P. presso il Tribunale di Monza nell’ambito del proc. penale R.G.N.R. n. 15669/2013.

Dal decreto prefettizio si evince, tra l’altro, che “la signora Canegrati avrebbe ottenuto commesse pubbliche attraverso collaudate strategie corruttive, grazie ad una significativa rete di amicizie e conoscenze tra dirigenti sanitari ed al totale asservimento dei pubblici funzionari ai suoi interessi privati”…”l’ordinanza di applicazione delle misure cautelari in carcere ricostruisce l’attività illecita posta in essere ed individua gli elementi probatori attestanti che le suindicate procedure di affidamento sono state a tal punto alterate da risultare integralmente gestite da parte dell’affidatario, grazie ad un’ampia e diffusa collusione con una serie di persone”…”dalla connotazione particolarmente escludente di alcuni requisiti di partecipazione è deducibile che il bando di gara sia stato confezionato ad hoc, allo scopo di aggiudicare nuovamente il servizio alla Servicedent, già precedente affidataria. Osserva infatti la citata nota del Presidente dell’ANAC, a pag. 6, che “il bando di gara è palesemente lesivo dei diritti e degli interessi di eventuali concorrenti, sia sotto il profilo dei termini ristrettissimi da rispettare per la presentazione delle offerte, a fronte della complessità dell’oggetto dell’appalto che cumulava molteplici ed eterogenei servizi, sia per la mancata ragionevole suddivisione in lotti, sia per il requisito del fatturato elevatissimo richiesto – di 30 milioni di euro per di più per servizi resi nei confronti di pubbliche amministrazioni – sia, infine, per l’obbligatorietà del sopralluogo. L’impraticabilità della partecipazione di altri concorrenti si evince chiaramente anche dal fatto che il bando è stato pubblicato in G.U. in data 8 maggio 2014 e la richiesta di sopralluogo, a pena di inammissibilità, doveva essere effettuata nei tre giorni successivi, che si riducevano ad uno, tenuto conto che nei tre giorni era compreso anche il fine settimana”.

Con la deliberazione n. 794 del 28 luglio 2017, oggetto del presente giudizio, il Direttore Generale dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Vimercate ha quindi disposto l’annullamento in autotutela della predetta deliberazione (n. 53 del 1° febbraio 2016) di aggiudicazione alla società Servicedent s.r.l. del servizio suindicato.

Con l’appellata sentenza n. 217 del 26 gennaio 2018, il T.A.R. Lombardia ha respinto il ricorso proposto dalla società Servicedent s.r.l. avverso la citata deliberazione di autotutela: la sentenza reiettiva costituisce oggetto delle censure formulate con il presente appello, la cui fondatezza deve quindi essere verificata, insieme a quella delle contrapposte allegazioni della parte resistente.

Con il primo motivo di appello, la società soccombente in primo grado censura la sentenza appellata nella parte in cui ha respinto la censura con la quale essa, in persona dei commissari straordinari nominati ex art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, evidenziava che l’avvenuto commissariamento aveva privato la stazione appaltante del potere di autotutela, atteso che la valutazione dell’interesse pubblico allo stesso necessariamente sottesa era stata già effettuata a monte dall’A.N.A.C. e dal Prefetto, in chiave conservativa del rapporto di appalto, e non poteva essere rimessa in discussione dall’A.S.S.T. di Vimercate.

Il T.A.R., al fine di respingere la censura de qua, ha posto l’accento sul fatto che, in seguito alla delibera di aggiudicazione del servizio n. 53/2016, non è mai stato stipulato il conseguente contratto né è mai stata autorizzata l’esecuzione d’urgenza dello stesso, essendo l’attuale gestione da parte della società Servicedent s.r.l. imputabile alla proroga tecnica del contratto aggiudicato con la precedente deliberazione n. 699 del 17 ottobre 2010.

Rileva quindi il T.A.R. che, in virtù del disposto di cui all’art. 32 d.l. n. 90/2014 (laddove prevede che “… l’ANAC … propone al Prefetto … di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto ovvero dell’accordo contrattuale o della concessione”), “risulta, dunque, mancante lo stesso presupposto della gestione commissariale ex art. 32 del d.l. n. 90/2014 con riferimento all’aggiudicazione del 2016, mentre tale commissariamento è pienamente giustificato in considerazione della proroga del precedente contratto”.

La sentenza appellata, ai fini reiettivi della censura in esame (incentrata, come si è detto, sulla asserita incompatibilità tra l’esercizio del potere ex art. 32 d.l. n. 90/2014 e quello di autotutela) e citando la giurisprudenza del giudice di appello, aggiunge che, in ogni caso, “la ratio della norma (art. 32 d.l. n. 90/2014: n.d.e.) non è quella di privare la stazione appaltante di ogni potere circa la risoluzione o la prosecuzione del rapporto una volta disposta la gestione straordinaria e temporanea dell'impresa…”, evidenziando che la permanenza della potestà autoritativa della stazione appaltante, anche ai fini della valutazione dell’interesse pubblico al mantenimento o meno dell’aggiudicazione, “deve ritenersi tanto più sussistente nella fattispecie all’esame del Collegio, in cui le indagini penali hanno fornito apporti sufficienti per ritenere ragionevolmente probabile la sussistenza degli elementi materiali di una turbativa d’asta, posta in essere da parte dell’aggiudicataria…”.

La società appellante, in chiave critica della sentenza appellata, sottolinea che essa erroneamente afferma che la misura della straordinaria e temporanea gestione è stata disposta non con riferimento all’appalto aggiudicato con la deliberazione n. 53/2016 (recante il CIG 624093674E), ma in relazione all’appalto aggiudicato nell’anno 2010 (avente il CIG 0419953C2A): l’errore in cui è incorso il giudice di primo grado sarebbe reso evidente dagli univoci riferimenti al primo contenuti nella proposta di adozione delle misure previste dall’art. 32 d.l. n. 90/2014, proveniente dal Presidente dell’A.N.A.C., nel conseguente decreto del Prefetto della Provincia di Monza e della Brianza del 10 giugno 2016 e nello stesso successivo decreto prefettizio prot. n. 12655 del 9 marzo 2018, di revoca della misura di straordinaria e temporanea gestione, adottato successivamente alla conclusione del giudizio di primo grado.

Deduce altresì la parte appellante che il contratto, conseguenziale alla delibera di aggiudicazione n. 53/2016, non è stato stipulato per ragioni da essa non dipendenti e che il presupposto applicativo delle misure straordinarie di gestione, previste dall’art. 32 d.l. n. 90/2014, è l’avvenuta aggiudicazione di un appalto, indipendentemente dalla sottoscrizione del relativo contratto.

Osserva inoltre la parte appellante che, allorché la valutazione prefettizia sulla sussistenza del prevalente interesse pubblico alla prosecuzione dell’appalto sia stata effettuata, l’Amministrazione appaltante non può più disporre la revoca dell’aggiudicazione o recedere dal contratto, come (asseritamente) statuito dal giudice di appello con le sentenze n. 1630 del 28 aprile 2016 e n. 3400 del 27 luglio 2016: essa sostiene sul punto che se la valutazione operata dal Prefetto deve ritenersi prevalente, alla stregua della citata giurisprudenza, nel caso in cui le misure straordinarie di gestione siano disposte in presenza di una informazione antimafia interdittiva, che obbliga le stazioni appaltanti a recedere dai contratti stipulati, ciò vale a maggior ragione negli altri casi previsti dall’art. 32, nei quali la prosecuzione o meno dell’appalto è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione.

Il motivo di appello, nei termini esposti sinteticamente illustrato, non è complessivamente meritevole di accoglimento.

Deve preliminarmente osservarsi che tra il potere di cui all’art. 32, commi 1 e ss., d.l. n. 90/2014 e quello (generale) di autotutela di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990 non sono ravvisabili interferenze, di ordine strutturale e/o funzionale, atte a giustificare la tesi secondo cui l’esercizio (effettivo o potenziale) del primo esplichi efficacia ostativa all’esperimento del secondo.

Dal primo punto di vista, infatti, deve osservarsi che le misure temporanee e straordinarie di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014 hanno ad oggetto “la completa esecuzione del contratto” aggiudicato ad una impresa “in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” alla stessa attribuibili, mentre l’annullamento d’ufficio incide sulla fonte genetica del rapporto di appalto, rimuovendola ab origine e con effetti retroattivi sui rapporti giuridici costituiti sulla base della stessa.

Dal secondo punto di vista, invece, deve sottolinearsi che diversi sono i presupposti costitutivi dei poteri de quibus, con il corollario che le valutazioni compiute dall’Amministrazione prefettizia, in sede applicativa delle misure temporanee e straordinarie di gestione dell’impresa, non intersecano né condizionano quelle spettanti alla stazione appaltante in vista dell’eventuale esercizio del potere di autotutela.

Ciò vale, in particolare, con riguardo all’apprezzamento dell’interesse pubblico alla conservazione ovvero, reciprocamente, alla dissoluzione del rapporto contrattuale: deve infatti evidenziarsi che se esula, dallo schema regolativo del potere ex art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, quale oggetto delle valutazioni propedeutiche al suo esercizio demandate all’Amministrazione prefettizia (ed a quella proponente l’adozione delle misure straordinarie), ogni considerazione dell’interesse pubblico cui è preordinato il contratto per la cui esecuzione viene disposta la misura temporanea e straordinaria di gestione, assumendo rilievo preminente la ponderazione della gravità dei fatti per i quali si procede in sede penale e la necessità di porre l’esecuzione del rapporto contrattuale al riparo da ogni ulteriore eventuale influsso criminale, ad opposta conclusione deve pervenirsi con riferimento alla potestà di autotutela, che può essere esercitata solo “sussistendo le ragioni di interesse pubblico” alla rimozione dell’atto originario (ergo, del rapporto contrattuale che sullo stesso si basa).

Ad ulteriore illustrazione delle condizioni di esercizio del potere ex art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, sotto il profilo esaminato, può evidenziarsi che l’interesse pubblico alla corretta esecuzione del rapporto contrattuale viene in rilievo, ai fini del suo esercizio, “in negativo”, perseguendo le misure da esso contemplate la finalità di “decontaminare” il rapporto contrattuale, nella sua fase esecutiva, dagli effetti perturbatori che la perdurante gestione dell’impresa da parte dei suoi amministratori ordinari, resisi responsabili delle “situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” costituenti il presupposto del suo esercizio, potrebbe produrre: all’adozione delle misure suindicate, quindi, non può ricondursi alcun effetto “sanante” delle patologie inficianti il provvedimento costitutivo del rapporto contrattuale (rectius, la legittimazione della stazione appaltante alla sottoscrizione del relativo contratto), tanto più se riconducibili a quelle stesse “situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” sulla scorta delle quali sia stato esercitato il potere contemplato dalla disposizione dianzi citata.

Coerentemente con l’illustrata trama regolativa del potere di commissariamento, il decreto prefettizio del 10 giugno 2016 dà atto, appunto, della sussistenza delle “esigenze cautelari tutelate dalla norma…atteso che persiste la possibilità di condizionamento nell’esecuzione degli appalti in questione e la necessità di salvaguardare gli interessi pubblici tutelati dalla nuova normativa, finalizzati a garantire che la prosecuzione di un appalto affidato illecitamente avvenga al riparo da ulteriori tentativi di condizionamento e senza che l’impresa ne tragga un ingiusto profitto, in quanto derivante da una condotta illecita”, nonché della “necessità di attivazione di un presidio attento e scrupoloso della fase esplicativa del servizio, anche in considerazione dei tempi molto lunghi di esecuzione previsti, che richiedono l’urgente e tempestiva attivazione delle misure di gestione straordinaria dell’impresa, a presidio della salvaguardia del corretto operato da parte della società per tutta la durata dell’esecuzione dei contratti”: nessun cenno, invece, viene in esso operato all’interesse pubblico che il rapporto di appalto è intrinsecamente preordinato a soddisfare, se non in relazione all’esigenza, coerente con la natura del potere ex art. 32 d.l. n. 90/2014, dello svolgimento del servizio con tutte le garanzie di salvaguardia della salute degli utenti, le quali sarebbero compromesse qualora la gestione dell’impresa avvenisse da parte degli amministratori ordinari della società, resisi responsabili delle “situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” che sono all’origine del suo esercizio.

Ciò, del resto, si pone in linea con il fatto che è estranea, allo schema logico-normativo che impronta il potere de quo, l’alternativa conservativo-risolutoria, propria del potere di autotutela e con la quale si coordina e spiega, in relazione a quest’ultimo, la necessaria valutazione dell’interesse pubblico che il rapporto di “provvista” è diretto a soddisfare.

In una prospettiva di più ampio respiro, anzi, è plausibile, sul piano interpretativo, sostenere che le misure ex art. 32 d.l. n. 90/2014, secondo la logica tipica del sistema normativo finalizzato a frapporre un argine alla diffusione delle condotte criminali nel delicato settore dei pubblici appalti ed a contenere i relativi effetti inquinanti sulla sua corretta gestione, assolvano ad una funzione di carattere “preventivo”, mirando alla sterilizzazione delle conseguenze dannose di quelle condotte (le quali altrimenti, dopo aver minato la fase costitutiva del rapporto, si propagherebbero a quella strettamente esecutiva), nelle more di più approfonditi accertamenti in ordine alla incidenza dei riscontrati comportamenti illeciti sulla genesi del rapporto contrattuale (suscettibili di generare, appunto, l’adozione di più penetranti misure di autotutela).

Tanto premesso sul piano ricostruttivo, ed in coerenza con le osservazioni formulate, la censura di parte appellante, intesa a sostenere che l’adozione delle misure ex art. 32 d.l. n. 90/2014 avrebbe un effetto privativo, nei confronti della stazione appaltante, della potestà di autotutela non può che essere giudicata infondata: ciò che rende irrilevante la questione attinente all’oggetto (invero, peraltro, oggettivamente coincidente con il servizio aggiudicato con la deliberazione n. 53/2016, come evidenziato dalla parte appellante) delle misure temporanee e straordinarie di gestione adottate dal Prefetto con il decreto del 10 giugno 2016.

Né sono pertinenti, al fine di dimostrare l’erroneità della sentenza appellata, i rilievi della parte appellante laddove, al fine di dimostrare che l’esercizio del potere di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, consentito dal comma 9 anche nell’ipotesi di emissione di un’informativa antimafia interdittiva, inibirebbe l’esercizio dell’ordinario potere di autotutela, sottolinea che a tale conclusione il Consiglio di Stato è pervenuto in relazione alla fattispecie del recesso dal contratto stipulato, cui la stazione appaltante sarebbe tenuta, ex art. 94, comma 2, d.lvo n. 159 del 6 settembre 2011, nell’ipotesi in cui l’informativa interdittiva prefettizia sia stata emessa successivamente alla stipulazione del contratto: aggiungendo che, se ciò vale con riferimento al potere (vincolato) di recesso, a fortiori dovrebbe valere nell’ipotesi di esercizio dell’ordinario potere (discrezionale) di autotutela.

Basti osservare, in senso contrario alle deduzioni di parte appellante, che nella fattispecie menzionata i due poteri (quello conservativo, ex art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, e quello rescissorio, ex art. 94, comma 2, d.lvo n. 159/2011) traggono origine dalla stessa causa tipica, rappresentata dall’emissione di una informativa antimafia.

Ebbene, già l’omogeneità della fattispecie costitutiva dei due poteri esige che gli stessi siano esercitati secondo modalità coordinate ed in vista di esiti convergenti, essendo l’elemento di raccordo tra essi, a tal fine individuato dal legislatore, rappresentato dalla “urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzione e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici”: presupposto che, a differenza del caso in cui le misure straordinarie e temporanee di gestione siano adottate in costanza di (generiche) “situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali”, colora l’interesse pubblico all’esecuzione del rapporto contrattuale di un quid pluris, atto – si ripete, in tale limitata ipotesi – ad ostacolare effettivamente l’esercizio del potere generale di autotutela di cui è titolare la stazione appaltante.

Con ulteriore motivo, finalizzato ad inficiare la sentenza appellata laddove fa discendere “la permanenza della potestà autoritativa della stazione appaltante in merito alla valutazione dell’interesse pubblico al mantenimento o meno dell’aggiudicazione” dal fatto che “le indagini penali hanno fornito apporti sufficienti per ritenere ragionevolmente probabile la sussistenza degli elementi materiali di una turbativa d’asta, posta in essere da parte dell’aggiudicataria”, la parte appellante deduce che la sussistenza di “situazioni sintomatiche di condotte illecite è un presupposto delle misure di straordinaria e temporanea gestione”, la cui applicazione presuppone che l’Amministrazione, pur in presenza delle ipotizzate illegalità, reputi comunque prevalente l’interesse pubblico alla prosecuzione dell’appalto già aggiudicato.

La censura è infondata.

Come si è detto, all’esercizio del potere applicativo delle misure di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014 non è sottesa alcuna valutazione (in positivo) dell’interesse pubblico all’esecuzione del contratto, atteso che, in mancanza della loro adozione e salvo l’intervento di ulteriori fattori ostativi, esso comunque proseguirebbe a cura e sotto la responsabilità degli ordinari organi amministrativi dell’impresa aggiudicataria (essendo il potere de quo, si ripete, funzionale esclusivamente a garantire la prosecuzione del rapporto in condizioni di “sicurezza” rispetto ad eventuali ingerenze criminali).

Inoltre, il fatto che le “situazioni sintomatiche di condotte illecite” integrino il presupposto applicativo della misura de qua non impedisce di riconoscere nelle stesse una (concorrente) attitudine giustificativa del provvedimento di autotutela qualora, da quelle condotte e/o da altre concomitanti circostanze, sia desumibile, oltre ai profili di illegittimità (quindi di annullabilità) del provvedimento di aggiudicazione, l’interesse pubblico alla sua caducazione.

Con ulteriore motivo, la parte appellante si prefigge di dimostrare l’insussistenza dei profili di interesse pubblico posti dall’Amministrazione appellata a fondamento dell’impugnato provvedimento di autotutela, ovvero l’illogicità della valutazione compiuta al riguardo.

A tal fine, essa pone in evidenza che la A.S.S.T. di Vimercate, che fin dal mese di febbraio del 2016 era venuta a conoscenza delle indagini penali in corso e dell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Monza, per più di quattro mesi (ovvero fino alla pubblicazione della sentenza del T.A.R.), non ha ritenuto, nonostante la gravità delle ipotesi accusatorie, di revocare l’aggiudicazione in autotutela, avendo evidentemente valutato che

la revoca pregiudicasse l’interesse pubblico.

La deduzione non è condivisibile, ove si consideri che solo con l’adozione del decreto prefettizio del 10 giugno 2016, recante le misure di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, la stazione appaltante ha acquisito piena contezza della gravità dei fatti contestati e della loro incidenza sul procedimento formativo del contratto di appalto di cui si tratta.

A tanto deve aggiungersi che, ai fini dell’esercizio del potere di autotutela, l’Amministrazione ha espletato una articolata istruttoria, anche mediante l’acquisizione del parere pro veritate del prof. Aldo Travi (la cui data di acquisizione non risulta dagli atti depositati in giudizio), alla luce delle cui risultanze si è determinata all’adozione della deliberazione impugnata in primo grado, essendo pervenuta alla conclusione della sussistenza dei relativi presupposti legittimanti.

Quanto invece al periodo successivo alla sentenza del T.A.R. n. 1226 del 23 giugno 2016 e nelle more della pronuncia del Consiglio di Stato n. 272 del 23 gennaio 2017, in ordine al quale la stessa parte appellante non formula peraltro rilievi, è evidente che il mancato esercizio del potere di autotutela trova la sua spiegazione nel fatto che la prima aveva determinato la caducazione della delibera di aggiudicazione, la cui reviviscenza è derivata dalla riforma operatane dal giudice di appello, con la conseguente riemersione dell’esigenza di intervenire in autotutela sul rapporto da essa scaturente.

Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine alla deduzione con la quale viene evidenziato che la stazione appaltante non aveva proceduto alla revoca dell’aggiudicazione nemmeno a seguito della comunicazione di avvio del procedimento applicativo delle misure di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014, trasmessa nel mese di febbraio del 2016 dal Presidente dell’A.N.A.C.: come si è detto, infatti, è solo per effetto dell’adozione del provvedimento conclusivo prefettizio che la stazione appaltante ha potuto percepire, mediata da una qualificata valutazione di gravità di carattere amministrativo (e non solo penale), l’incidenza dei fatti oggetto di accertamento da parte del giudice penale sulla legittimità e sulla conformità all’interesse pubblico del procedimento di gara che aveva condotto all’aggiudicazione del servizio a favore della Servicedent s.r.l..

Nessun concreto profilo di contraddittorietà nell’azione dell’Amministrazione appellata può poi essere riconosciuto nel fatto che essa, con le delibere n. 223 e n. 655 del 2016, ha disposto la

prosecuzione del servizio da parte della appellante e, nel giudizio di appello da quest’ultima proposto avverso la sentenza del T.A.R. n. 1226/2016, ha continuato a difendere la legittimità del proprio operato in sede di gara.

Quanto al primo elemento, infatti, deve osservarsi che dalla delibera n. 223/2016 si evince chiaramente che la stazione appaltante si è limitata a disporre la proroga del precedente rapporto contrattuale, sospendendo gli effetti della delibera di aggiudicazione n. 53/2016, nelle more del giudizio pendente dinanzi al T.A.R., al fine esclusivo di prevenire il “rilevante impatto sociale che si avrebbe nell’interrompere il servizio attualmente erogato con il conseguente grave pregiudizio dell’utenza”, facendo espressamente salvo, nei confronti della suddetta delibera, l’esercizio del potere di autotutela, nella dichiarata consapevolezza che “le indagini penali e amministrative potrebbero comportare effetti sulla procedura stessa”.

Analoghi rilievi devono poi svolgersi con riferimento alla delibera n. 655/2016, con la quale viene disposta l’ulteriore proroga del pregresso rapporto contrattuale, nelle more della predisposizione della nuova gara per la scelta dell’affidatario del servizio de quo: basti osservare che essa non implica né sottende alcuna valutazione di rispondenza all’interesse pubblico dell’aggiudicazione disposta con la delibera n. 53/2016, risultando questa annullata dal T.A.R., alla data dell’adozione della predetta delibera n. 655/2016, con la sentenza n. 1226/2016.

Per quanto concerne invece la difesa che la stazione appaltante avrebbe svolto della legittimità del suo operato, sfociato nell’adozione della delibera di aggiudicazione n. 53/2016, nell’ambito del giudizio di appello proposto avverso la citata sentenza del T.A.R., deve osservarsi che lo stesso giudice di secondo grado, con la sentenza n. 272/2017, ha evidenziato che “la presente controversia riguarda uno specifico aspetto della normativa di gara (ovvero la legittimità della scelta di non suddividere in lotti l’appalto: n.d.e.) e deve essere decisa verificando la sua specifica conformità alla normativa applicabile. I fatti di rilevanza penale dedotti dall’appellata non possono, in altri termini, essere dedotti per affermare la totale nullità della procedura”: sì che solo in relazione al suddetto profilo, costituente l’oggetto esclusivo della controversia e non interferente con il presente thema decidendum, si è sviluppata l’attività difensiva della stazione appaltante.

Deduce ancora la parte appellante che l’Azienda appellata si era auto-vincolata, con la delibera n. 223/2016, a non esercitare l’eventuale autotutela successivamente alla pronuncia del T.A.R. sul ricorso della Smart Dental Clinic: riserva che, sostiene la società appellante, sarebbe divenuta priva di effetti con la pubblicazione della sentenza n. 1226 del 23 giugno 2016 e, in ogni caso, dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha riconosciuto la legittimità dell’aggiudicazione, con la conseguente erroneità del passaggio della delibera impugnata in primo grado, laddove la A.S.S.T. di Vimercate dichiara di annullare l’aggiudicazione a scioglimento della “riserva relativa all’esercizio del potere di autotutela contenuta nel provvedimento n. 223 del 23 marzo 2016”.

La doglianza non è meritevole di accoglimento.

In primo luogo, il provvedimento di autotutela impugnato rinviene la sua fonte legittimante primaria nelle disposizioni di legge che ne disciplinano i presupposti applicativi: sì che nessun debito può ravvisarsi a carico dell’Amministrazione, ai fini del suo legittimo esercizio, nei confronti di eventuali pregresse “riserve” formulate dall’Amministrazione con i suoi atti antecedenti.

Inoltre, la pubblicazione della sentenza del T.A.R., a conclusione del giudizio instaurato dalla Smart Dental Clinic, viene espressamente indicata, nella delibera n. 223/2016, come termine ultimo della proroga del servizio a favore della società appellante, non certo della riserva di esercizio del potere di autotutela, in ordine al quale non viene fissato da essa alcun rigido limite temporale.

Con ulteriore motivo, la parte appellante censura la sentenza appellata laddove ha ritenuto che, a legittimare l’esercizio del potere di autotutela, sarebbe anche la tutela dei potenziali concorrenti: essa deduce sul punto che, come sancito dal giudice di appello (Sez. IV, ordinanza n. 4089 del 16 settembre), l’art. 32 d.l. n. 90/2014 attribuisce “natura del tutto recessiva…all’interesse a subentrare nella commessa delle altre imprese partecipanti alla gara, le quali evidentemente potranno far valere le proprie ragioni in altre e diverse sedi”; inoltre, come affermato dalla stessa Amministrazione con la delibera n. 655/2016, “le condizioni economiche attualmente praticate da Servicedent srl (sconto del 28% sulle tariffe) risultano vantaggiose e in linea, anzi migliori, rispetto a quelle che dall’indagine effettuata il mercato si è dichiarato disponibile a praticare”, ciò che varrebbe anche ad escludere il danno economico che, a dire del T.A.R., la stazione appaltante avrebbe subito ove non avesse annullato l’aggiudicazione.

La censura non è meritevole di accoglimento.

Deve premettersi che la delibera impugnata pone ampiamente in evidenza i profili anticoncorrenziali che hanno caratterizzato lo svolgimento della gara, conclusasi con l’aggiudicazione oggetto di autotutela, laddove richiama la Relazione Conclusiva del 30 giugno 2016 della Commissione d’inchiesta nominata con Decreto del Segretario Generale della Presidenza della Giunta Regionale della Lombardia n. 984 del 16 febbraio 2016, sulle procedure amministrative poste in essere dalle Aziende sanitarie pubbliche coinvolte nelle indagini della Procura di Monza, tra le quali appunto la ex A.O. di Desio e Vimercate, nella parte in cui si afferma che emergono “anomalie presenti in tutte le procedure osservate (gara 2004-2009; 2009-2015, 2015-2010 n.d.r.) concernenti la presenza nel capitolato di gara, nel bando di condizioni relative ai necessari requisiti tecnici ed economici eccessivamente ed irragionevolmente restrittive il che è probabilmente causa della scarsa partecipazione (sempre una sola offerta) altri concorrenti”.

Ebbene, in primo luogo, ai fini dell’esercizio del potere di autotutela, non assume rilievo la natura degli interessi che il legislatore ha inteso tutelare dettando le disposizioni contenute nell’art. 32 d.l. n. 90/2014: trattasi, come si è detto, di poteri diversi, soggettivamente ed oggettivamente, oltre che posti al servizio di finalità non sovrapponibili.

Il fatto, quindi, che la norma citata non attribuisca immediato e/o preminente rilievo all’interesse delle altre imprese a subentrare nella commessa, preoccupandosi esclusivamente dell’esigenza di assicurare la sua esecuzione, da parte dell’impresa aggiudicataria, in condizioni di “sicurezza”, dal punto di vista della tutela della legalità e della neutralizzazione delle influenze criminali sulla gestione del rapporto di appalto, non esclude che la stazione appaltante possa nondimeno ritenere che la permanenza di quel rapporto, anche alla luce delle modalità con le quali si è svolto il propedeutico procedimento di gara, pregiudichi alcuno degli (altri) interessi pubblici affidati alla sua cura: ciò che vale anche con riguardo all’esigenza di tutela della concorrenza, la quale assume rilievo, ai fini dell’esercizio del potere di autotutela, sia in sé, quale valore da perseguire indipendentemente dai riflessi vantaggiosi che la sua corretta esplicazione produce per la P.A., sia per i benefici che essa produce sulla individuazione del migliore affidatario del servizio, sotto il profilo economico e qualitativo della prestazione che ne costituisce oggetto.

Peraltro, è dirimente osservare, la tutela della concorrenza non viene in rilievo, nella fattispecie in esame, sub specie di generica possibilità offerta alle imprese non aggiudicatarie di concorrere all’affidamento, una volta rimossa l’aggiudicazione già disposta a favore della società appellante, ma come specifico elemento distorsivo che l’assenza di un corretto confronto concorrenziale ha prodotto nell’ambito della precedente gara, dimostrando l’illegittimità dei relativi esiti e, nel contempo, l’inidoneità degli stessi a realizzare correttamente il pubblico interesse perseguito dalla stazione appaltante.

Deve solo osservarsi, per concludere sul punto, che l’interesse all’aggiudicazione del servizio sulla scorta dello svolgimento di un corretto confronto concorrenziale non può ritenersi escluso alla luce del carattere vantaggioso delle condizioni economiche offerte dalla società appellante, ed applicate dalla stazione appaltante già in sede di proroga del precedente rapporto contrattuale: invero, a prescindere dal fatto che non può escludersi che un adeguato confronto concorrenziale consenta all’Amministrazione di acquisire risultati ancora più convenienti (non essendo sufficiente a smentire tale conclusione il fatto che il prezzo offerto dalla società appellante sia in linea con l’indagine di mercato effettuata dalla stazione appaltante, avendo essa ad oggetto l’esecuzione del servizio nelle more della rinnovazione della gara), esso è apprezzabile anche sul piano qualitativo dell’offerta e, quindi, della migliore realizzazione dell’interesse finale degli utenti.

Tale ultimo profilo viene appunto posto in rilievo dalla delibera impugnata laddove, nella individuazione dell’interesse pubblico giustificativo della misura di autotutela, fa leva “sulla opportunità di rinnovazione della gara secondo criteri che aprano al mercato attraverso la suddivisione in più lotti (oggi, tra l’altro, necessaria per effetto della costituzione delle due ASST di Monza e di Vimercate) e la conseguente riscrittura dei requisiti di ammissione riducendo il fatturato richiesto e riconoscendo il fatturato specifico maturato anche in strutture private si apre la sfera dei potenziali offerenti e aggiudicatari con auspicabili ricadute positive soprattutto sui livelli qualitativi del servizio”.

A tale riguardo, sostiene la parte appellante che la sentenza appellata è errata anche laddove ravvisa una ulteriore ragione giustificativa dell’autotutela nella protezione degli utenti del servizio, del cui interesse si era già fatto carico il Prefetto della Provincia di Monza e della Brianza allorché, nel giustificare l’applicazione delle misure temporanee e straordinarie di gestione, aveva evidenziato la delicatezza dell’appalto in questione in quanto “correlato alla garanzia e alla tutela della salute”.

Il rilievo non è idoneo ad inficiare la correttezza argomentativa della sentenza appellata.

La tutela degli interessi degli utenti del servizio costituisce infatti, sotto diversi profili, l’obiettivo comune del decreto prefettizio di applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014 e dell’impugnato provvedimento di autotutela, ed il fatto che esso fosse stato considerato in sede di esercizio del potere di nomina degli amministratori straordinari, nell’ottica della neutralizzazione delle ingerenze criminali, non precludeva alla stazione appaltante di porlo in evidenza ai fini della rimozione dell’aggiudicazione disposta a favore della società appellante: come si è detto, infatti, le misure ex art. 32 d.l. n. 90/2014 si propongono di garantire gli utenti dall’influenza dei fattori criminali sull’esecuzione del servizio, neutralizzando i potenziali pericoli che essi potrebbero produrre per la salute dei cittadini, mentre il potere di autotutela si basa su una valutazione più ampia ed approfondita delle condizioni alle quali il servizio è stato aggiudicato (anche) per effetto dell’influenza di quei fattori e della loro negatività per l’ottimale tutela degli utenti, e comunque sulla possibilità di ottenere condizioni migliori di erogazione del servizio una volta rinnovato il procedimento di gara.

E’ quindi evidente che la tutela dell’interesse degli utenti viene garantita dal potere di autotutela ad un livello diverso rispetto a quello che viene in rilievo ai fini dell’applicazione delle misure ex art. 32 d.l. n. 90/2014: un livello di tutela che queste ultime, non incidendo in senso migliorativo sulle condizioni di aggiudicazione del servizio ma limitandosi a prevenire l’influenza criminale sulla sua esecuzione, non è chiaramente idoneo ad assicurare.

Assume ancora la parte appellante, con riferimento al punto in cui la sentenza appellata evoca, quale ragione giustificativa del potere di autotutela, il danno all’immagine dell’Azienda appellata, che esso non si sarebbe sicuramente prodotto durante la esecuzione del servizio in regime di amministrazione straordinaria.

La censura non è condivisibile.

Il danno all’immagine, che l’esercizio del potere di autotutela si prefigge di neutralizzare, è insito nell’aggiudicazione del servizio secondo modalità non trasparenti e non rispettose dei principi di concorrenza ed imparzialità: sì che esso, lungi dall’essere eliminato per effetto dell’esecuzione del servizio mediante l’intervento degli amministratori di nomina prefettizia, non può che ritenersi accresciuto dal fatto che, nella percezione dei cittadini, l’intervento pubblico nella gestione dell’impresa sarebbe inteso come una forma di avallo delle illegalità consumatesi nella fase propedeutica all’aggiudicazione.

Allega ancora la parte appellante che il T.A.R. non ha esaminato compiutamente le censure contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, intese a contestare sotto più profili la conformità del provvedimento impugnato allo schema legittimante di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990: in particolare, essa richiama la censura con la quale veniva lamentato che l’Azienda appellata avrebbe individuato le ragioni di interesse pubblico nel “ripristino della legalità dell’azione amministrativa”, notoriamente insufficiente a giustificare l’annullamento in autotutela, senza peraltro considerare che il ripristino della legalità è stato attuato con la nomina degli amministratori straordinari da parte del Prefetto.

La censura non è meritevole di accoglimento.

Come si evince dal provvedimento impugnato, le ragioni della sua adozione travalicano la mera esigenza di ripristino della legalità, ed attengono dichiaratamente: 1) alla opportunità di rinnovazione della gara secondo criteri che aprano al mercato attraverso la suddivisione in più lotti e la conseguente riscrittura dei requisiti di ammissione, riducendo il fatturato richiesto e riconoscendo il fatturato specifico maturato anche in strutture private, con la conseguente apertura della sfera dei potenziali offerenti e aggiudicatari, con auspicabili ricadute positive soprattutto sui livelli qualitativi del servizio; 2) alla necessità di riscrivere il Capitolato Tecnico e i Tariffari alla luce dei rilievi critici della Componente Tecnica della Commissione d’inchiesta e delle indicazioni regionali da ultimo fornite con la D.G.R. n. 6006/2016, riguardanti, tra l’altro, le modalità erogative del servizio; 3) all’esigenza di porre a presidio dei relativi obblighi adeguate misure contrattuali (penali); 4) alla necessità di riscrivere gli atti di gara (bando e contratto), attenendosi alle Linee Guida regionali e alle disposizioni di legge nazionali (art. 15, comma 13 lett. e) d.l. 6 luglio 2012 n. 95 convertito nella legge n. 135 del 7 agosto 2012 e D.G.R. n. X/4702 del 29 dicembre 2015), secondo cui nell’affidamento di contratti misti (global service) comprendenti lavori, servizi e forniture (quale quello in considerazione) le stazioni appaltanti devono specificare l’esatto ammontare delle singole prestazioni richieste e l’incidenza percentuale delle diverse categorie relativamente all’importo complessivo dell’appalto, rispondendo tale prescrizione, del tutto disattesa nel caso de quo, all’interesse “di buona amministrazione della s.a. e a quello degli stessi operatori economici”.

Deduce ancora la parte appellante che, tra i motivi posti a fondamento del provvedimento impugnato, la A.S.S.T. appellata poneva l’”incidenza causale” dei “fatti evidenziati nell’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Monza sul rapporto fiduciario che deve caratterizzare la relazione tra

la stazione appaltante e l’operatore economico”, aggiungendo che “non può essere comunque, considerata adeguata misura di self-cleaningvolta a recuperare l’elemento fiduciario la nomina degli Amministratori prefettizi, neppure alla luce del nuovo art. 80 comma 7 del D. Lg. 50/2016 e smi, in quanto l’adozione delle misure di self-cleaning deve essere intervenuta entro il

termine fissato per la presentazione delle offerte”.

Osserva al riguardo la società appellante che, a seguito dell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Monza, l’assemblea della Servicedent s.r.l. aveva deliberato la nomina di un nuovo consiglio di amministrazione, che ha avviato una revisione della struttura organizzativa e dei controlli interni della società, aggiungendo che la nomina degli amministratori straordinari da parte del Prefetto ha superato la questione della fiduciarietà del rapporto tra stazione appaltante e soggetto aggiudicatario, rappresentando un elemento di totale discontinuità rispetto alla precedente gestione imprenditoriale.

La censura non è meritevole di positivo apprezzamento.

Il provvedimento impugnato, nel sottolineare l’incidenza della vicenda penale sul rapporto fiduciario che la stazione appaltante deve intrattenere con l’impresa aggiudicataria, ha riguardo ad un profilo (inerente alla illegittimità della delibera di aggiudicazione e ai presupposti della instaurazione del conseguente rapporto contrattuale) sulla cui sussistenza, in quanto coevo al provvedimento di aggiudicazione, non possono avere effetto postumo né le decisioni organizzative che hanno successivamente condotto alla revisione dell’assetto amministrativo della società appellante (in quanto inidonee a rimuovere, sub specie di misure di self-cleaning, la corrispondente causa ostativa alla partecipazione), né, per la stessa ragione, il subentro nella gestione imprenditoriale degli amministratori di nomina prefettizia.

Come si evince infatti dalla delibera impugnata, “la gravità dei delitti contestati (associazione a delinquere, corruzione turbata libertà degli incanti) al legale rappresentante della Servicedent s.r.l. assume rilevante pregnanza ai fini della configurazione del grave errore professionale ex art. 38 lett. f) ove si consideri, tra l’altro, che i fatti al vaglio del giudice penale riguardano condotte plurime e sistematiche che coinvolgono non solo due procedure indette dalla ex Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate ma una pluralità di procedure analoghe riguardanti diverse Aziende Ospedaliere Lombarde”.

Deduce ancora la parte appellante che, con la delibera impugnata, l’Azienda appellata ha ravvisato l’“opportunità di rinnovazione della gara secondo criteri che aprano al mercato attraverso la suddivisione in più lotti (oggi, tra l’altro, necessaria per effetto della costituzione

delle due Asst di Monza e di Vimercate) e la conseguente riscrittura dei requisiti di

ammissione”, e lamenta che sulla legittimità del lotto unico e dei requisiti di ammissione si è già

pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 272/2017, per cui una eventuale rinnovazione della gara avverrebbe in violazione del giudicato.

La censura non può essere accolta.

Il fatto che il giudice amministrativo abbia riconosciuto la legittimità della scelta di non suddividere in lotti l’appalto de quo, alla luce dei motivi esternati illo tempore dalla stazione appaltante, non preclude alla stessa di preferire, secondo valutazioni di opportunità non incise da quelle (di legittimità) poste a fondamento della sentenza citata, la rinnovazione della gara secondo parametri ispirati ad un maggior favor partecipationis: ciò tanto più in quanto la scelta suindicata, pur conforme come si è detto a profili di stretta legittimità, dalle indagini espletate in sede penale è risultata contaminata da motivazioni di carattere illecito, funzionali a favorire la società appellante (motivazioni che lo stesso giudice di appello, con la sentenza n. 272/2017, ha affermato esulare dai limiti della sua cognizione, necessariamente ancorata ai motivi di illegittimità dedotti in primo grado).

In ogni caso, la delibera impugnata pone in evidenza profili di illegittimità della procedura de qua ulteriori rispetto a quelli presi in esame dal giudice amministrativo: in essa si legge infatti che “l’introduzione di clausole irragionevolmente restrittive della concorrenza” si è manifestata, oltre che nella “assegnazione in un unico lotto, nonostante la possibile articolazione dell’appalto in più lotti” e nella conseguente richiesta “come requisito di partecipazione un fatturato rilevante”, nel fatto che esso doveva essere “costituito esclusivamente dal fatturato maturato servizi analoghi a favore di soggetti pubblici, escludendo immotivatamente la rilevanza del fatturato specifico maturato presso strutture private”.

Non vi è dubbio, in conclusione, che una clausola del bando, astrattamente legittima, sia suscettibile di giustificare il potere di autotutela ove, alla luce delle indagini penali, ne sia disvelato il carattere illecito, in quanto espressivo di condotte penalmente rilevanti.

Deduce ancora sul punto la parte appellante che tutti gli aspetti presi in esame dalla A.S.S.T., ai

fini dell’annullamento dell’aggiudicazione, erano stati già valutati dall’ANAC e dalla Prefettura, che avevano tuttavia ritenuto prevalente l’interesse pubblico alla prosecuzione dell’appalto, con le garanzie assicurate dalle misure previste dall’art. 32 del d.l. n. 90/2014.

Il rilievo non è condivisibile.

Come si è detto, i profili di interesse pubblico suscettibili di legittimare l’esercizio del potere di autotutela – con particolare riguardo a quelli posti concretamente a fondamento del provvedimento di annullamento impugnato in primo grado – sono estranei all’ambito delle valutazioni funzionali all’esercizio del potere ex art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014: ciò vale anche in relazione alla valutazione del predicato “interesse pubblico alla prosecuzione dell’appalto”, la quale deve considerarsi, prima ancora che estranea, inconferente rispetto alla struttura tipica del potere suindicato, dalla quale - come già a più riprese sottolineato - esula ogni decisione in ordine all’an della prosecuzione del rapporto, inerendo essa esclusivamente alla esigenza di corredarla del “presidio di legalità” rappresentato dalla nomina degli amministratori straordinari.

Con ulteriore motivo di censura, la parte appellante contesta la delibera impugnata in primo grado laddove l’Azienda ha rappresentato la “necessità di riscrivere il Capitolato Tecnico e i Tariffari alla luce dei rilievi critici della Componente Tecnica della Commissione d’inchiesta richiamata ai punti

precedenti e delle indicazioni regionali da ultimo fornite con la D.G.R. n. 6006/2016, riguardanti, tra l’altro, le modalità erogative del servizio”.

Osserva al riguardo la parte appellante che l’allegato 1 (“Appropriatezza delle prestazioni di odontoiatria”) della D.G.R. n. X/6006 del 19 dicembre 2016 non riguarda “le modalità erogative del servizio”, contenendo indicazioni relative all’esercizio dei poteri di controllo a normazione invariata, che trovano espressamente applicazione “anche nell’ambito delle verifiche per (…) il mantenimento dei contratti dei «service» odontoiatrici”.

Né, essa prosegue, l’interesse pubblico potrebbe essere ravvisato in relazione alle sopravvenute

disposizioni regionali in materia tariffaria, atteso che la disciplina applicabile all’appalto in questione regola espressamente l’ipotesi della sopravvenienza di modifiche tariffarie nel corso dell’esecuzione del contratto: ai sensi dell’art. 5, lett. c del capitolato speciale, infatti, “nel rispetto dell’uniformità delle tariffe richieste all’utenza, l’Azienda Ospedaliera si riserva la facoltà a proprio insindacabile giudizio, per tutta la durata del contratto, di variare le tariffe del Tariffario Solventi

Aziendale vigente: l’Aggiudicatario dovrà adeguarsi a tali modifiche senza alcun onere aggiuntivo a carico dell’Azienda Ospedaliera”, mentre, più in generale, l’art. 5, lett. b del capitolato speciale, che disciplina “Normativa e procedure operative di riferimento”, stabilisce che “qualunque modifica intervenga nella normativa di riferimento, in quanto applicabile, comporterà l’adeguamento nei termini da parte dell’Aggiudicatario, previo accordo con l’Azienda Ospedaliera”.

La censura non può essere accolta.

Dalla delibera impugnata si evince inveri che le carenze degli atti di gara, sulla base dei quali è stata adottata l’annullata delibera di aggiudicazione, non attengono a profili di mera inadeguatezza rispetto alle disposizioni sopravvenute: basti osservare che essa richiama la Relazione Tecnica avente ad oggetto le modalità erogative del servizio odontoiatrico nei centri oggetto di indagine penale della Commissione di inchiesta precitata, allegata alla medesima Relazione conclusiva, in cui sono state evidenziate numerose criticità, tra le quali l’assenza di un nomenclatore univoco per prestazioni SSR/Solvenza, case mix prestazioni improntato alla rendicontazione di prestazioni già ricomprese all’interno delle attività core, potenziale dirottabilità dell’utente con diritto di accedere alle cure in SSR verso la strada della solvenza ecc..

Nella delibera impugnata si afferma inoltre la sussistenza dell’interesse pubblico derivante dalla “necessità di riscrivere il Capitolato Tecnico e i Tariffari alla luce dei rilievi critici della Componente Tecnica della Commissione d’inchiesta richiamata ai punti precedenti e delle indicazioni regionali da ultimo fornite con la D.G.R. n. 6006/2016, riguardanti, tra l’altro, le modalità erogative del servizio imponendo l’obbligo all’operatore economico aggiudicatario di attenersi alle buone prassi cliniche relative alla branca specifica di Odontoiatria declinate nel sub-allegato 1.a al provvedimento di Giunta tra i quali gli accertamenti anamnestici e diagnostici minimi per ogni paziente (tra cui l’odontogramma che documenti lo stato dentale di arrivo del paziente nella struttura sanitaria, biopsia e istologico post-operatorio per tumori e cisti, ecc.)”: profili, questi, non limitati ai controlli sulla corretta esecuzione del servizio ovvero ai profili tariffari dello stesso, eventualmente suscettibili di essere disciplinati a posteriori ed in via etero-integrativa.

Quanto poi al punto della delibera impugnata in cui si afferma altresì la “necessità di riscrivere gli atti di gara (bando e contratto [recte: capitolato]) attenendosi alle Linee Guida regionali e alle disposizioni di legge nazionali (art. 15, comma 13 lett. e) D.L. 6 luglio 2012 n. 95 convertito nella Legge n. 135 del 7 agosto 2012 e D.G.R. n. X/4702 del 29 dicembre 2015), secondo cui nell’affidamento di contratti misti (global service) comprendenti lavori, servizi e forniture (quale quello in considerazione) le stazioni appaltanti devono specificare l’esatto ammontare delle singole prestazioni richieste e l’incidenza percentuale delle diverse categorie relativamente all’importo complessivo dell’appalto”, deduce la parte appellante che la normativa citata dall’Azienda è anteriore all’indizione della gara aggiudicata alla Servicedent, per cui ogni eventuale difformità dalla disciplina vigente era unicamente imputabile alla stazione appaltante.

La doglianza non è meritevole di accoglimento: basti osservare che l’imputabilità della carenza/irregolarità degli atti di gara alla stazione appaltante non costituisce un valido motivo per negare la sussistenza dell’interesse pubblico alla loro rinnovazione, dopo averli opportunamente emendati.

Lamenta ancora la parte appellante che la delibera impugnata in primo grado non prende in considerazione l’interesse degli utenti del servizio, posto per contro dal Prefetto della Provincia di Monza e della Brianza a fondamento dell’adozione delle misure temporanee e straordinarie di gestione.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Come si è detto, l’interesse degli utenti è preso in considerazione dal Prefetto sotto il profilo dell’esigenza di evitare che l’esecuzione del servizio da parte degli organi ordinari di amministrazione della società appellante possa presentare profili di rischio per la salute dei cittadini: sfugge invece all’ottica valutativa del Prefetto l’interesse alla corretta esecuzione del servizio medesimo sotto tutti gli ulteriori profili, in coerenza con i già analizzati contenuti e finalità del potere di cui all’art. 32, comma 1, lett. b) d.l. n. 90/2014.

In ogni caso, non è irragionevole che, nell’ambito della complessiva valutazione degli interessi concorrenti, l’Amministrazione abbia attribuito rilievo preminente a quelli inerenti alla necessità di espletare una nuova gara immune dagli illustrati condizionamenti anticoncorrenziali: del resto, l’annullamento dell’aggiudicazione non comporta alcun sacrificio per l’interesse degli utenti, che può essere soddisfatto, in via provvisoria, mediante adeguate misure (compresa la proroga del servizio precedentemente svolto dalla appellante), ed in via definitiva mediante la rinnovazione della gara.

La parte appellante censura quindi la deliberazione di annullamento nella parte in cui considera recessivo l’interesse di cui essa è titolare, “sia in quanto l’annullamento pregiudica un soggetto che ha dato corso ad una condotta illecita nei confronti della amministrazione sia in quanto all’aggiudicazione definitiva non è seguita la stipula del contratto”.

Essa oppone che l’annullamento ha pregiudicato in realtà un soggetto “pubblico”, per effetto dell’adozione delle misure organizzative di cui all’art. 32 d.l. n. 90/2014, mentre la mancata stipulazione del contratto è imputabile esclusivamente all’Azienda appellata, che non vi ha provveduto neppure dopo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 272 del 23 gennaio 2017.

Il suddetto motivo di appello non può essere accolto.

Dal primo punto di vista, infatti, la natura privatistica del soggetto destinatario del provvedimento impugnato non può ritenersi venuta meno per effetto della investitura degli amministratori straordinari, la ratio del cui intervento non è la trasfigurazione in chiave pubblicistica del rapporto contrattuale, ma l’assicurazione del suo svolgimento in condizioni di immunità dall’influenza criminale.

Quanto al secondo aspetto, invece, a prescindere dalla rilevanza oggettiva della circostanza allegata al fine di ritenere o meno consolidato l’affidamento della parte appellante, deve osservarsi che la mancata stipulazione del contratto è in realtà dipesa, prima, dalla pendenza del giudizio conclusosi solo con la citata sentenza di appello, e successivamente a questa, dall’adozione dell’impugnato provvedimento di autotutela.

Lamenta infine la parte appellante che l’annullamento è intervenuto con una tempistica non

ragionevole e in violazione del legittimo affidamento della Servicedent s.r.l.: in particolare, la A.S.S.T. di Vimercate non ha annullato l’aggiudicazione nei quattro mesi e mezzo intercorsi tra il momento in cui ha avuto conoscenza delle indagini penali (metà febbraio 2016) e la

pubblicazione della sentenza del T.A.R. che ha annullato l’aggiudicazione (23 giugno 2016), quindi, nel giudizio di appello, proposto dalla Servicedent dopo la nomina degli amministratori straordinari da parte del Prefetto, l’Azienda ha difeso la legittimità dell’aggiudicazione, e solo in data 28 luglio 2017 (quattro giorni prima della scadenza del termine di diciotto mesi) ha provveduto all’annullamento in autotutela.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Quanto al lasso temporale intercorso tra la notizia delle indagini penali e la pubblicazione della sentenza n. 1226/2016, il suo decorso senza che venisse esercitato il potere di autotutela trova spiegazione nel fatto che l’apprezzamento della gravità dei fatti, e della loro incidenza sul procedimento di gara conclusosi con l’aggiudicazione a favore della società appellante, è potuto avvenire, come già si è detto, solo per effetto dell’adozione del decreto prefettizio del 10 giugno 2016.

Quanto invece all’attività difensiva esplicata dalla Azienda nel giudizio di appello proposto dalla Servicedent avverso la sentenza di primo grado, come si è detto, la stessa è stata incentrata sull’oggetto precipuo della controversia, dal quale esulavano le circostanze che hanno determinato l’annullamento della delibera di aggiudicazione n. 53/2016.

Deve solo osservarsi, per concludere, che la parte appellante non formula specifiche censure al fine di contestare la delibera impugnata nella parte in cui, con valenza giustificativa autonoma della sua adozione (come sottolineato anche dalla sentenza appellata), richiamata la “Dichiarazione d’impegno a un comportamento di correttezza e buona fede per l’affidamento del servizio ambulatoriale di odontoiatria da prestarsi presso i centri odontostomatologici dell’A.O. di Desio e Vimercate”, sottoscritta da Servicedent s.r.l. in occasione della gara aggiudicata con provvedimento n. 669 del 17 giugno 2010, nonché il “Patto di integrità in materia di contratti pubblici regionali”, approvato con D.G.E. 30 gennaio 2014, n. X/1299, allegato agli atti della gara aggiudicata con provvedimento n. 53 del 1 febbraio 2016 ed accettato dall’unico concorrente all’atto della presentazione dell’offerta con modalità telematica, ha evidenziato che “dall’ordinanza del GIP del Tribunale di Monza emergono fatti che integrano gli estremi della violazione sia della Dichiarazione d’impegno che del Patto di integrità sopra richiamati” e che “ai sensi dell’art. 4 del Patto di integrità la violazione deve essere dichiarata all’esito di un adeguato contraddittorio con l’operatore economico e comporta, ai sensi del comma 2 lett. b), la revoca dell’aggiudicazione, la risoluzione di diritto del contratto eventualmente sottoscritto, e l’incameramento della cauzione definitiva”: circostanza che integra anche una autonoma, sebbene assorbita dalle considerazioni svolte in merito alla infondatezza delle censure formulate, causa di inammissibilità del presente appello.

L’appello, in conclusione, deve essere respinto e la parte appellante condannata alla refusione delle spese a favore dell’Azienda appellata, nella complessiva misura di € 4.000,00, restando a suo carico il contributo unificato da essa versato, potendo disporsi la compensazione delle spese nei confronti delle altri parti del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante alla refusione delle spese a favore dell’Azienda appellata, nella complessiva misura di € 4.000,00, restando a suo carico il contributo unificato da essa versato, compensandole nei confronti delle altri parti del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Giorgio Calderoni, Consigliere

Solveig Cogliani, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore

 

 

 

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Con la decisione in oggetto, il Consiglio di Stato esamina e confronta l'art. 32 del DL n. 90 del 2014, relativo all'applicazione di misure straordinarie e temporanee per la gestione di imprese aggiudicatarie di un contratto pubblico coinvolte nella commissione di illeciti, e l'annullamento d'ufficio di cui all'art. 21-nonies L. n. 241/1990.

In particolare, il nodo giuridico da sciogliere attiene al rapporto tra i due citati strumenti: ci si chiede, infatti, se l'esercizio del potere di cui al richiamato art. 32 del DL n. 90 del 2014 possa spiegare un effetto impeditivo rispetto al potere di annullamento dell'aggiudicazione.

Al fine di risolvere il quesito posto, appare utile dare brevemente conto dei presupposti applicativi del potere ex art. 32 del DL n. 90 del 2014.

L'art. 32 del DL n. 90 del 2014 – rubricato “Misure di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell'ambito della prevenzione della corruzione”- fa parte di una serie di strumenti introdotti dal Legislatore al fine di assicurare un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici. Nello specifico, la norma in questione, rafforzando il ruolo del Presidente Anac, intende impedire che eventuali indagini relative a casi di corruzione possano bloccare la realizzazione di opere pubbliche.

I poteri attribuiti al Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione sono, in particolare, uno di tipo informativo, nei confronti del procuratore della Repubblica, e un altro di tipo propositivo, nei confronti del Prefetto. Ne consegue, quindi, che i soggetti coinvolti nel procedimento descritto dalla disposizione de qua sono tre: il Presidente Anac, il procuratore della Repubblica e il Prefetto.

Tanto chiarito, occorre rilevare che i poteri del Presidente Anac si basano su due presupposti alternativi: il primo, relativo al fatto che “l'autorita'  giudiziaria  proceda  per  i delitti di cui agli articoli 317 c.p., 318 c.p.,  319  c.p.,  319-bis c.p., 319-ter c.p., 319-quater c.p., 320 c.p.,  322,  c.p.,  322-bis, c.p. 346-bis, c.p., 353 c.p. e 353-bis c.p.”, il secondo, a cui ricorrere in subordine rispetto al primo, attiene, invece, alla “...presenza  di rilevate situazioni  anomale  e  comunque  sintomatiche  di  condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un'impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione  di  opere  pubbliche,  servizi  o forniture”. Si precisa, poi, che il potere di proporre al prefetto l'adozione di specifiche misure richiede un accertamento di “fatti gravi”.

Tanto ulteriormente precisato, con riguardo al potere propositivo nei confronti del Prefetto, è utile chiarire che lo stesso può esplicarsi, in alternativa, nell' “ordinare la rinnovazione degli organi sociali  mediante  la sostituzione del soggetto coinvolto e, ove l'impresa  non  si  adegui nei termini stabiliti, di provvedere alla straordinaria e  temporanea gestione  dell'impresa  appaltatrice  limitatamente   alla   completa esecuzione del contratto d'appalto”, oppure nel “provvedere direttamente  alla  straordinaria  e  temporanea gestione  dell'impresa  appaltatrice  limitatamente   alla   completa esecuzione del contratto di appalto. Si prevede, poi, che il Prefetto, accertata la sussistenza dei richiesti presupposti e  valutata  la  particolare  gravita'  dei  fatti  oggetto dell'indagine, intima all'impresa  di  provvedere  al  rinnovo  degli organi sociali sostituendo il soggetto coinvolto e ove l'impresa  non si adegui nel termine di trenta giorni, ovvero nei  casi  piu'  gravi, provvede nei dieci giorni successivi con decreto alla nomina di uno o piu' amministratori, in numero  comunque  non  superiore  a  tre,  in possesso dei requisiti di professionalita' e onorabilita'”.

Tanto brevemente osservato in ordine ai presupposti applicativi di cui all'art. 32 del DL n. 90/2014, è possibile esaminare il rapporto esistente con il potere di autotutela ex art. 21-nonies L. n. 241/1990.

A tal riguardo, è necessario, in primo luogo, osservare che il richiamato articolo 32 non si pone in termini di contrapposizione con il generale potere di autotutela di cui all'art. 21-nonies L. n. 241/1990. In tal senso si pronuncia il Consesso amministrativo, nella annotata decisione, affermando che “non sono ravvisabili interferenze di ordine strutturale e/o funzionale, atte a giustificare la tesi secondo cui l’esercizio (effettivo o potenziale) del primo esplichi efficacia ostativa all’esperimento del secondo”.

In proposito, il Collegio individua i principali punti di differenza tra i due poteri in esame: a) i due poteri in questione incidono su atti diversi, poiché mentre l'art. 32 si riferisce alla “completa esecuzione del contratto” aggiudicato ad una impresa “in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” alla stessa attribuibili, l’annullamento d’ufficio spiega i suoi effetti sulla fonte genetica del rapporto di appalto, rimuovendola ab origine e con effetti retroattivi sui rapporti giuridici costituiti sulla base della stessa; b) la diversità dei presupposti e delle valutazioni sottesi all'esercizio dei due poteri in esame, in quanto l'art. 32 esula da ogni considerazione in ordine all’interesse pubblico cui è preordinato il contratto per la cui esecuzione viene disposta la misura temporanea e straordinaria di gestione, mentre tale valutazione è posta a fondamento dell'esercizio del potere di autotutela ex art. 21-nonies; c) il carattere “preventivo” del potere di cui all'art. 32, con il conseguente obiettivo di “sterilizzazione delle conseguenze dannose di quelle condotte”.

Da tale esame comparato, emerge, dunque, che il potere di cui all'art. 32 DL n. 90/2014 non presenta carattere “privativo” rispetto al potere di autotutela ex art. 21-nonies L.n. 241/1990.

Ad ulteriore sostegno di tale conclusione, la Sezione osserva che le situazioni sintomatiche di condotte illecite, oltre a rappresentare il presupposto applicativo della misura ex art. 32 dl n. 90/2014, possono contribuire anche a giustificare l'annullamento della gara in autotutela ove dalle medesime condotte si possa dedurre    l'interesse pubblico alla caducazione.

Fatte tali considerazioni, il Consiglio di Stato osserva anche come, pur non essendo il citato art. 32 diretto a garantire un immediato interesse delle altre imprese a subentrare alla procedura, in quanto lo scopo principale della norma consiste    nell'esigenza di assicurare l'esecuzione del contratto “al riparo” dalle influenze criminali, ciò non toglie che la stazione appaltante possa ravvisare nella permanenza del rapporto giuridico, sorto a seguito di una procedura di gara potenzialmente influenzata da condotte illecite, un pregiudizio per gli altri interessi pubblici affidati alla sua cura, primo fra tutti l'interesse alla tutela della concorrenza. Tale ultimo, infatti, appare funzionale non solo all'esercizio del potere di autotutela, ma integra un valore giuridico di per sé, la cui corretta applicazione produce molteplici effetti vantaggiosi, sia dal punto di vista strettamente economico, che dal punto di vista della qualità della prestazione offerta. Per di più, con riferimento alle ipotesi in cui la procedura di gara sia stata caratterizzata da situazioni sintomatiche di condotte illecite, la tutela della concorrenza non rileva quale “generica possibilità offerta alle imprese non aggiudicatarie di concorrere all’affidamento, una volta rimossa l’aggiudicazione già disposta a favore della società appellante”, ma appare come l'elemento idoneo, se tutelato, ad impedire gli effetti distorsivi derivanti da un confronto viziato.

Da ultimo, in aggiunta a quanto fin qui rilevato, è, inoltre, utile osservare che le disposizioni esaminate tendono anche a garantire, sotto prospettive differenti, l'interesse degli utenti al servizio. In particolare, l'art. 32 del DL n. 90/2014 mira a tutelare gli utenti dall’influenza dei fattori criminali sull’esecuzione del servizio, mentre il potere di autotutela si fonda su una valutazione più approfondita delle condizioni alle quali il servizio è stato aggiudicato (anche) per effetto dell’influenza di quei fattori e della loro negatività per l’ottimale tutela degli utenti, e comunque sulla possibilità di ottenere condizioni migliori di erogazione del servizio una volta rinnovato il procedimento di gara.