T.A.R. Lazio n. 8511 del 27.07.2018
Ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. 50/2016 è possibile, in sede di gara, non produrre la certificazione di qualità richiesta dalla normativa EN ISO 14000:2004 in materia ambientale qualora la stessa venga sostituita da prove documentali equivalenti che indichino le misure in concreto adottate in materia di gestione ambientale e provengano da organismi indipendenti.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8030 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Metalplex S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Santi Delia e Michele Bonetti, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. Santi Delia in Roma, via San Tommaso d'Aquino n. 47;
contro
Poste Italiane S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Napolitano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Trieste 16;
nei confronti
Castelli 2014 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Serena Fabiocchi, Alessandro Lolli e prof. Aristide Police, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, 11;
per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
del provvedimento di aggiudicazione della gara indetta da Poste Italiane per l'istituzione dell'Accordo Quadro per la fornitura, consegna e montaggio di arredi back office degli Uffici Postali e per i siti delle società del gruppo dislocati sul Territorio Nazionale divisa in due lotti di aggiudicazione non cumulabili (lotto n. 1 e lotto n. 2) conclusosi con l'aggiudicazione per il lotto 1 alla soc. S. Polo Lamiere ARMET SPA per Euro 2.423.188,00 e per il lotto 2, per Euro 2.919.769,00 in favore della Castelli 2014 srl, la cui aggiudicazione è qui contestata, pubblicata sul portale informatico in data 24 luglio 2017 e in pari data comunicata a mezzo pec alla ricorrente, nonché di ogni atto prodromico e successivo ivi compreso il provvedimento di ammissione alla gara della società Castelli2014 srl.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da METALPLEX S.P.A il 25 settembre 2017:
per l'annullamento
- del provvedimento di aggiudicazione della gara indetta da Poste Italiane per l'istituzione dell'Accordo Quadro per la fornitura, consegna e montaggio di arredi back office degli Uffici Postali e per i siti delle società del gruppo dislocati sul Territorio Nazionale divisa in due lotti di aggiudicazione non cumulabili (lotto n. 1 e lotto n. 2) conclusosi con l'aggiudicazione per il lotto 1 alla soc. S. Polo Lamiere ARMET SPA € 2.423.188,00 e per il lotto 2 per € 2.919.769,00 in favore della Castelli 2014 srl - la cui aggiudicazione è qui contestata - pubblicata sul portale informatico in data 24 luglio 2017 e in pari data comunicata a mezzo pec alla ricorrente, nonché di ogni atto prodromico e successivo ivi compreso il provvedimento di ammissione alla gara della società Castelli2014 srl.
- ove occorra del verbale della Commissione di gara di verifica delle giustificazioni sull'anomalia dell'offerta rassegnate da Castelli 2014 S.R.L. il 22 maggio 2017.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Poste Italiane S.p.A e di Castelli 2014 S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2018 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori: Avv. S. Delia, Avv. S. Napolitano e Avv. P.R. Molea, quest’utlimo in sostituzione dell'Avv. A. Police;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. - Con Bando di gara spedito alla GUUE in data 15.3.2017, Poste Italiane S.p.A. (d’ora in avanti, anche semplicemente “Poste”) ha indetto la procedura aperta in modalità telematica, per l’affidamento di un “Accordo Quadro per la fornitura, consegna e montaggio di arredi back office degli Uffici Postali e per i siti delle società del gruppo dislocati sul territorio nazionale”, suddiviso in due lotti non cumulabili, per l’importo complessivo di euro 9.758.146,00, al netto di oneri fiscali ed eventuali opzioni, di cui:
- Euro 4.388.989,00 per il Lotto 1;
- Euro 5.369.157,00 per il Lotto 2.
La durata dell’Accordo Quadro era fissata in 24 mesi prorogabili per ulteriori 12 mesi; il criterio di aggiudicazione prescelto era quello del minor prezzo (doc. 1 ric.).
Nella seduta pubblica del 3.5.2017 la Commissione ha proceduto all’apertura delle buste telematiche, constatando la completezza della documentazione amministrativa depositata dai concorrenti e, quindi, ha effettuato il sorteggio per la determinazione del criterio di calcolo ai sensi dell’art. 97 del d.lgs. 50/2016. In seduta riservata, la Commissione ha esaminato la documentazione amministrativa, tra gli altri, della società Castelli 2014 s.r.l. e della ricorrente dichiarando, per entrambe, la completezza e regolarità della documentazione pervenuta (doc. 10 ric.). La Stazione Appaltante ha invece proceduto all’esclusione della società Sint S.p.A.
Nella seduta del 16.5.2017, alla presenza (anche) dei delegati della società odierna ricorrente, la Commissione di gara ha aperto le buste economiche. Quanto al lotto 2 (la cui aggiudicazione è impugnata con il ricorso in esame) la graduatoria provvisoria ha visto collocarsi al primo posto la società Castelli 2014 s.r.l., che ha offerto il miglior ribasso, pari al 45,620%; la Metalplex s.p.a., invece, con il ribasso del 44,698%, si è classificata seconda; entrambe le offerte sono risultate anormalmente basse e sottoposte a verifica di anomalia. Nella stessa data del 16 maggio, la ricorrente ha formulato istanza di accesso agli atti, con specifico riguardo alle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara dalla società prima classificata. La Stazione appaltante ha però opposto il suo diniego, con la motivazione che la procedura di gara era ancora in corso (docc. nn. 3 e 3-bis).
All’esito della verifica dell’offerta aggiudicataria, la Commissione ha ritenuto congrui ed esaustivi i chiarimenti forniti dalla società Castelli 2014 e, pertanto, idonei a giustificare la composizione del prezzo offerto pari ad euro 2.919.769,00; pertanto la Commissione stessa ha proposto l’aggiudicazione dell’appalto alla Castelli 2014 S.r.l.
L’aggiudicazione è stata quindi comunicata ai concorrenti in data 24.7.2017 (doc. n. 11) ed il successivo 25 luglio la Metalplex ha presentato istanza di accesso agli atti, questa volta prontamente riscontrata dalla Stazione Appaltante (docc. nn. 3-ter e 4 ric).
2. La Metalplex S.p.A., con ricorso notificato il 23.8.2017 (depositato in pari data), ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione menzionato, relativamente al Lotto n. 2.
Questi i motivi di gravame:
I^ MOTIVO: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 120 d.lgs. n. 50 del 2016 e della lex specialis di gara; eccesso di potere per difetto di istruttoria e illogicità manifesta; omessa motivazione in ordine al provvedimento di ammissione alla gara: con il primo motivo di ricorso, la società Metalplex S.p.A. censura l’ammissione in gara dell’aggiudicatario per violazione degli artt. 87 e 120 del D.Lgs. 50/2016; violazione della lex specialis di gara ed eccesso di potere nelle sue forme sintomatiche”: secondo la ricorrente, infatti, l’aggiudicataria Castelli 2014 S.r.l. doveva essere esclusa perché priva della certificazione EN ISO 14000:2004 e, comunque, per non avere dimostrato di avere adottato, ai sensi dell’art. 87 d.lgs. n. 50/2016, misure equivalenti a quanto richiesto dalla normativa in materia di gestione ambientale; non a caso, osserva la difesa della Metalplex, altra impresa (la Sint) è stata esclusa dalla gara in esame proprio per la mancanza di tale certificazione; si sottolinea inoltre nel ricorso che, per essere ammessa ad un esame di equivalenza, la concorrente avrebbe dovuto provare la propria impossibilità ad ottenere il certificato nei tempi di partecipazione alla gara; Castelli 2014, viceversa, ammette (quanto meno implicitamente) di non avere ancora ottenuto l’AUA (Autorizzazione Unica Ambientale), quale requisito necessario per ottenere il certificato ISO 14001; tuttavia, osserva la ricorrente, questa mancanza non deriva da una impossibilità oggettiva ma da una inadeguatezza soggettiva della ricorrente, il che escluderebbe l’accesso alle prove equivalenti alla certificazione eccezionalmente ammesse dal comma 2 dell’art. 87 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; in ogni caso, oggettivamente, la società aggiudicataria non potrebbe vantare una condizione “equivalente” a quanto viene preteso dall’azienda per conseguire la certificazione “de qua” in quanto: vi è stata, rispetto al precedente assetto produttivo, una modifica dell’impianto di produzione, sicché la certificazione rilasciata a suo tempo alla dante causa (nelle more fallita) della controinteressata, oltre che non più valida, non sarebbe più indicativa di alcunché; l’ISO di cui si chiede il rilascio non sarebbe un rinnovo ma nuova certificazione; non vi sarebbe alcuna analisi o prova dimostrativa dell’equivalenza in concreto per quanto concernente le emissioni in atmosfera, l’analisi dello scarico delle acque civili e industriali, il trattamento dei rifiuti ecc.; la Commissione di gara comunque non avrebbe svolto alcuna attività istruttoria sull’equivalenza, avendo accettato in modo pedissequo quanto genericamente dichiarato in merito da un consulente della Castelli 2014, mediante una relazione che non può né considerarsi equivalente, né sostituirsi ai certificati che debbono essere rilasciati dagli apposti organismi accreditati;
II^ MOTIVO: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di buon andamento dell’azione amministrativa”: la società aggiudicataria non avrebbe dichiarato i precedenti penali del sig. Enzo Pavan, legale rappresentante della società stessa; questi sarebbe amministratore di società che sono fallite e avrebbe inoltre commesso fatti illegittimi seppur non penalmente rilevanti come il mancato pagamento di stipendi.
Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso sia Poste Italiane S.p.a. che la società aggiudicataria (e controinteressata) Castelli 2014 S.r.l., le quali, nelle rispettive ampie memorie, oltre a dedurre l’infondatezza delle censure e ad insistere per il rigetto del ricorso nel merito, ne eccepiscono preliminarmente la tardività, in quanto la prescrizione processuale introdotta dall’art. 120, co. 2 bis, c.p.a. - che, come noto, impone l’impugnazione immediata del provvedimento di esclusione dalla procedura di affidamento e delle ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali, con conseguente irricevibilità del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione nel quale si sollevino censure contro l’ammissione – imponeva l’impugnazione immediata (senza possibilità di attendere la successiva aggiudicazione) dell’ammissione della Castelli 2014 alla gara, entro il termine perentorio di gg. 30 dall’adozione della determinazione di ammissione da parte del seggio di gara; non inciderebbe, viceversa, sulla tempestività del ricorso la circostanza che Poste non avrebbe provveduto alla pubblicazione del provvedimento di ammissione alla gara dei concorrenti con le modalità previste dall’art. 29, D.lgs. n. 50/2016; anche a prescindere dalla pubblicazione del provvedimento di ammissione, non vi sarebbe dubbio sulla circostanza che la Metalplex fosse perfettamente a conoscenza di esso, perlomeno, a far data dal 16.5.2017, giorno in cui, non solo i rappresentanti della ricorrente Metalplex erano presenti all’ammissione in gara dell’odierna controinteressata (cfr. doc. n. 10 ric.), ma soprattutto data in cui la ricorrente ha richiesto alla Stazione appaltante l’accesso e l’estrazione di copia degli atti e delle dichiarazioni rese dalla Castelli 2014 per la partecipazione alla gara (doc. n. 3 ric.), mostrando così di avere avuto piena cognizione dell’avvenuta ammissione alla gara dell’aggiudicataria e del suo posizionamento quale “prima” nella graduatoria redatta dalla Commissione di gara; in altri termini, le parti intimate affermano che la prima domanda di accesso della Metalplex alla documentazione prodotta dalla contro-interessata implica la piena cognizione dell’immediata e concreta portata lesiva degli atti ostensibili.
La controinteressata Castelli 2014 ha anche proposto ricorso incidentale avverso l’art. 18 del Capitolato Speciale ove interpretata nel senso in cui si ritenga che esso richieda la verifica di una organizzazione corrispondente a quella prescritta dalla norma ISO 14001 già in sede di aggiudicazione e non in sede di successiva verifica dei requisiti.
Successivamente, con atto per motivi aggiunti notificato alle parti già costituite in data 22.9.2017 e depositato il giorno 25 successivo, la Metalplex, sulla base del documento denominato “relazione tecnica AUA” (depositata dalla società controinteressata in sede di costituzione in giudizio), dei bilanci 2015 e 2016 della società stessa e della dichiarazione resa in sede di giustificazione dell’offerta anomala, ha eccepito che, ai fini della fornitura a Poste, una quota pari al 55% dei beni finiti verrà acquistato dalla Castelli presso terzi; ciò integrerebbe una fattispecie di sostanziale subappalto, illegittimo perché non dichiarato in sede di gara come peraltro espressamente richiedeva il punto 7.2 lett. I del Capitolato Speciale. Vi sarebbe pertanto violazione della suddetta disposizione della “lex specialis”, nonché violazione degli artt. 105 e 120 del d.lgs. n. 50 del 2016 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e illogicità manifesta, in quanto la S.A. non ha rilevato che il subappalto, nei fatti programmato dalla Castelli, supera la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto. Nella specie, peraltro, non sarebbe stata affidata un’attività specifica nell’ambito dell’ unitaria prestazione oggetto di appalto, ma la stessa prestazione principale a cui l’affidatario era personalmente obbligato; dai requisiti di capacità professionale e tecnica di cui all’art. 7.2 lett. l) del C.S.O. si ricaverebbe che il fornitore, al di là della possibilità di ricorrere al subappalto nel limite percentuale di cui all’art. 105 del Codice Appalti, avrebbe dovuto produrre il bene, non solo rivenderlo acquistandolo presso terzi, altrimenti non si spiegherebbe la prescrizione di requisiti di partecipazione in cui la capacità tecnica e quella professionale, ivi compresa la certificazione ISO di cui sopra, sono riferite all’attività di produzione dei beni oggetto della commessa.
In esito alla camera di consiglio del 18 ottobre 2017, con ordinanza n. 5501 del 20.10.2017 la Sezione ha così statuito:
“RITENUTO che non emergono ragioni di particolare urgenza, per la Stazione Appaltante, per la conclusione immediata dell’Accordo Quadro in oggetto;
RITENUTO che, pertanto, le contrapposte ragioni delle parti possano trovare più adeguato e opportuno esame (ivi comprese quelle afferenti alla verifica della tempestività del gravame contestata sia dalla società resistente che dalla contro-interessata) mediante la sollecita fissazione dell’udienza di merito per la definizione dell’intera controversia;
CONSIDERATO che, al solo fine di mantenere la res adhuc integra, appare opportuno disporre la sospensione degli effetti degli atti impugnati, fissando la pubblica udienza per la trattazione di merito al giorno 9 maggio 2018, ore di rito; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), sospende gli effetti del provvedimento di aggiudicazione e fissa la pubblica udienza per la discussione del merito al giorno 9 maggio 2018, ore di rito.”.
In vista della pubblica udienza le parti costituite hanno tutte depositato documentazione integrativa, ampie memorie illustrative e note di replica.
Quindi, alla pubblica udienza del 9 maggio 2018, dopo ampia discussione tra i difensori presenti, il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione.
DIRITTO
1. Sulla giurisdizione del G.A.
In punto di giurisdizione il Collegio rileva “ex officio” che Poste Italiane S.p.a. opera nel settore speciale dei servizi postali come definito dall’art. 120 del d.lgs. n. 50 del 2016. In base ai principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 1 agosto 2011, n. 16, si opera una distinzione con riferimento ai settori di cui agli attuali artt. 115-120 d.lgs. n. 50 del 2016 (tra i quali i “servizi postali”), in passato definiti “esclusi”, ma successivamente sottoposti ad una disciplina apposita, di analogo tenore pubblicistico, in rapporto alla quale i settori stessi sono attualmente definiti “speciali”.
Nella citata sentenza la disciplina di natura pubblicistica (oggi, in parte contenuta nel Titolo VI, Capo I, Sez. I d.lgs. n. 50 del 2016 e in parte richiamata dall’art. 114 mediante rinvio ad altre disposizioni del Codice Appalti) è ritenuta applicabile, o meno, in funzione sia della natura giuridica del soggetto che pone in essere l’affidamento, sia dell’oggetto dell’affidamento stesso: il primo, infatti, deve essere un soggetto obbligato al rispetto delle procedure in questione, in base al diritto comunitario o interno, il secondo deve risultare riferibile all’ambito delle attività ricomprese nei settori speciali, come regolamentate dal codice degli appalti (ovvero, prima dal d.lgs.12 aprile 2006, n. 163, poi dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, quest’ultimo in attuazione delle direttive 2014/23, 2014/24 e 2014/25 UE, abrogatrici delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, che si riferivano, rispettivamente, agli appalti nei settori ordinari e speciali) (vedi TAR Lazio, III, 30 novembre 2017, n. 11842).
Il nuovo Codice, in ogni caso, non contiene modifiche, per quanto qui interessa, sui temi di fondo affrontati nella medesima sentenza n. 16 del 2011, la quale ha escluso la giurisdizione del giudice amministrativo per i contratti, conclusi da imprese pubbliche per prestazioni estranee “agli scopi e all’oggetto del codice e delle direttive comunitarie”. Le imprese in questione, infatti, sono assoggettate alle procedure ad evidenza pubblica solo se operanti nei settori speciali e nei limiti delle attività a questi connesse, mentre non possono ritenersi vincolate dal medesimo codice per appalti “estranei”, ovvero “aggiudicati per scopi diversi dalle loro attività nei settori speciali”, non sussistendo in tal caso alcuna delle ragioni, che giustificano la sottoposizione di tutta l’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni a regole peculiari, limitative della piena autonomia negoziale.
Orbene - anche a prescindere dalla problematica connessa possibilità di Poste Italiane S.p.a. come organismo di diritto pubblico (su cui vedi Cons. Stato A.P. , nn. 12, 13, 14, 15 e 16 del 2016) - poiché l’oggetto dell’Accordo Quadro per l’aggiudicazione del quale è stata indetta la procedura all’odierno vaglio concerne testualmente la fornitura e il montaggio di arredi per il Back office degli uffici postali e per i siti delle società del gruppo dislocati sul territorio nazionale (punto II.1.4) del Bando); poiché i beni in questione appaiono strumentali e strettamente inerenti all’erogazione del servizio postale, non gestibile logisticamente senza che la struttura aziendale disponga di dotazioni strumentali e di arredi adeguati, all’interno dei singoli uffici postali; il Collegio ritiene che l’appalto in esame sia riconducibile ai settori speciali e alla disciplina di cui agli artt. 114-120 Codice Appalti, alla luce delle (ancora attuali) coordinate ermeneutiche di cui alla citata Adunanza Plenaria n. 14 del 2011.
Pertanto, nel caso di specie, l’assoggettamento della scelta del contraente a disposizioni di evidenza pubblica non è conseguente all’assunzione di un mero auto-vincolo da parte di Poste ma a all’applicazione di principi pubblicistici cogenti, da cui consegue il riconoscimento della “potestas judicandi” in capo a questo Giudice Amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1).
2. Sulla tempestività del ricorso e dei successivi motivi aggiunti.
2.1. Ciò chiarito in merito alla giurisdizione, per ragioni di priorità logico-giuridica, il Collegio è tenuto in primo luogo a verificare la fondatezza delle eccezioni di rito articolate dall’ente resistente e dalla controinteressata, relativamente alla tardività della notifica del ricorso rispetto al termine breve di gg. 30 (di cui agli artt.. 119 e 120 c.p.a.), ove si ritenga applicabile alla specie il comma 2-bis dell’art. 120 cit. (c.d. rito super-speciale) e si faccia decorrere il termine dalla data del 16.5.2017, data in cui si è svolta la seduta pubblica nella quale erano presenti i due rappresentanti della Metalplex che hanno potuto avere cognizione dell’ammissione della contro-interessata; in ogni caso, sottolinea Poste, in tale data è stata proposta la prima istanza di accesso (non riscontrata) della Metaplex che, presentandola, ha dimostrato di avere avuto “illo tempore” piena cognizione dell’avvenuta ammissione (anche) della Castelli 2014 S.r.l..
2.2. Il Collegio ritiene che le eccezioni di tardività del gravame siano infondate per le ragioni già ampiamente evidenziate dalla sentenza di questa stessa Sezione del 9 maggio 2017, n. 5545 (e dalla giurisprudenza ivi richiamata), i cui argomenti ben si attagliano anche alla questione all’odierno vaglio.
“In primis” depone in senso sfavorevole alla declaratoria di inammissibilità del ricorso lo stesso dato testuale di cui al comma 2-bis dell’art. 120 cit. secondo cui il termine di trenta giorni decorre “dalla sua (riferita al provvedimento che determina le ammissioni, ndr) pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’art. 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione, della legge 28 gennaio 2016, n. 11.”. Lo specifico riferimento ad un “dies a quo”, eccezionalmente riferito ad una pubblicazione sul profilo del committente e non ad una comunicazione individuale, pubblicazione peraltro doverosa, induce l’impresa interessata ad un legittimo affidamento circa la data a partire dalla quale, soltanto, potrà decorrere il termine per impugnare l’ammissione di altra concorrente.
Di regola, pertanto, è alla predetta data di pubblicazione che si riferisce il “dies a quo”. La pubblicazione sembra poter trovare un momento cognitivo equivalente, ai fini della decorrenza del termine impugnatorio, soltanto in una comunicazione o notificazione individuale del provvedimento, purché completa di ogni elemento utile a farne apprezzare la lesività da parte di un operatore di normale diligenza.
Ora, nel caso di specie, tale comunicazione individuale (nei confronti della ricorrente) del provvedimento di ammissione della futura aggiudicataria alla successiva fase della gara, non vi è stata. D’altro canto, la mera presenza dei due delegati della Metalplex alla seduta pubblica del 16.5.2016, seppur ha consentito all’impresa oggi ricorrente di apprendere la notizia dell’avvenuta ammissione (propria e delle altre concorrenti) al proseguimento della procedura selettiva, non ha certo permesso alla ricorrente di poterne rilevare, neanche in via astratta o approssimativa, la possibile illegittimità, la cui verifica, dipendendo dalla mancanza di un requisito di capacità tecnica (sotto i plurimi profili denunziati con il primo motivo di ricorso), non poteva prescindere da una approfondita disamina della documentazione amministrativa proveniente dalla controinteressata, adempimento impossibile in sede di seduta pubblica e che, viceversa, postulava l’esauriente e completo esercizio del diritto di accesso agli atti di gara, il quale, nella specie, è stato espressamente negato da Poste con la nota del 17.5.2017 in atti (doc. 3-bis ric.) e dalla medesima consentito invece il successivo 4.8.2017 (doc. 4-bis ric.).
Pertanto, è da quest’ultima data che deve farsi decorrere il termine breve per il ricorso anche avverso l’ammissione oltre che avverso l’aggiudicazione, in quanto, a meno di non voler imporre alla società un ricorso “al buio” (“quod non”), non può ritenersi che il termine ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a. fosse nella specie già decorso al momento della proposizione del gravame per cui è causa (per un recente precedente conforme sul punto cfr. TAR Molise, 28 aprile 2017, n. 150 ove si è affermato il principio secondo cui la nuova regola processuale del consolidamento dell’ammissione di un concorrente alla gara pubblica, conseguente alla mancata tempestiva impugnazione della stessa ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a., aggiunto dall’art. 204, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, presuppone che ci sia stata pubblicità degli atti di gara, occorrendo che ai candidati sia garantito il pieno e tempestivo accesso alla documentazione, non potendo altrimenti decorrere il termine per impugnare un atto, quale l’ammissione di un altro operatore, privo di diretta lesività e la cui piena conoscenza postula la verifica dei presupposti su cui si fonda).
La conclusione del Collegio appare coerente, peraltro, rispetto ad alcuni pertinenti principi affermati dalla Corte di Giustizia CE, che, con la decisione della V Sezione, 8 maggio 2014 (in causa C-161/13), ha affermato che «ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni» (punto 37) e che «una possibilità, come quella prevista dall’articolo 43 del decreto legislativo n. 104/2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell’ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell’appalto non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell’appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso» (punto 40). La stessa Corte di Giustizia ha anche affermato che, «in applicazione del principio della certezza del diritto, in caso di irregolarità asseritamente commesse prima della decisione di aggiudicazione dell’appalto, un offerente è legittimato a proporre un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione soltanto entro il termine specifico previsto a tal fine dal diritto nazionale, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto di ricorso, conformemente al diritto dell’Unione» (vedi TAR Lazio, sez. III, 13 dicembre 2016, n. 12390).
I principi surrichiamati, seppur affermati nella vigenza del “vecchio” Codice Appalti, meritano di essere riaffermati anche nel nuovo contesto codicistico, con riguardo alle esigenze di tutela che debbono comunque essere riconosciute al partecipante alla gara e che non possono essere completamente sacrificate a tutto favore delle contrapposte esigenze accelleratorie sottese al rito “super speciale” di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a..
Ugualmente ammissibile è il ricorso per motivi aggiunti che risulta notificato in data 22.9.2017 e che è pertanto tempestivo ove si consideri come “dies a quo” sempre la data di accesso ai documenti e si tenga conto del periodo di sospensione feriale del termine nel mese di agosto.
Per quanto precede, il ricorso al pari dei motivi aggiunti sono ricevibili e ammissibili.
3. Sul primo motivo di ricorso.
Venendo all’esame del primo motivo il Collegio osserva:
- è provato (e, invero, incontestato) che la Castelli 2014 S.r.l. non ha prodotto in gara la certificazione della gestione ambientale in corso di validità EN – ISO 14001-2004 e ss.mm.ii., prescritta dal punto III.1.3), lett. g) del Bando di gara (doc. 1 ric.) il quale espressamente la riferiva al settore merceologico EA:23;
- essa, infatti, non disponendo, alla scadenza del termine di partecipazione, di tale certificazione, si è limitata a presentare in sede di gara una relazione (o dichiarazione) a firma di un perito chimico incaricato dalla stessa ricorrente (doc. 5 ric.) ove si legge che:
- la Castelli 2014 ha acquistato i beni e i magazzini della Castelli S.p.a. quando quest’ultima era ormai fallita;
- la società acquirente ha mantenuto “la medesima tipologia di lavoro e i medesimi luoghi produttivi” della dante causa la quale aveva a suo tempo ottenuto il certificato di gestione ambientale secondo la norma EN ISO 14001:2004;
- alla data della dichiarazione (13.4.2017) la Castelli 2014, partecipante alla gara in oggetto, aveva sottoscritto apposito contratto (risalente invero al 26.6.2016) con la società DNV GL per ottenere il “rinnovo di Certificato di Gestione Ambientale”, il quale però non era stato ancora ottenuto “per motivi non imputabili all’operatore economico”;
- nella gestione degli aspetti di salute dei lavoratori e di sicurezza nei luoghi di lavoro nulla era cambiato rispetto al precedente certificato di qualità; nella gestione degli aspetti di tutela ambientale, ai sensi del d.lgs. 152/2006, nulla era cambiato rispetto al precedente certificato di qualità e “… il sistema è mantenuto secondo le procedure previste dal precedente Certificato”.
Nella medesima nota del 13.4.2017 (doc. 5 ric.) il tecnico incaricato dalla società ricorrente specifica anche che la Castelli 2014 S.r.l. “in data 2016” (senza che nel documento sia indicata una data precisa) aveva chiesto al SUAP del Comune di San Giovanni in Persiceto (competente con riferimento alla ubicazione delle strutture produttive) la “voltura delle autorizzazioni ambientali già in essere” e che era in corso la pratica di aggiornamento delle autorizzazioni esistenti tramite Autorizzazione Unica Ambientale (c.d. AUA) “a seguito di modificazioni delle linee produttive nel sito produttivo…”.
Deve aggiungersi che la controinteressata, nel costituirsi in giudizio, ha prodotto un documento denominato “relazione tecnica AUA” (doc. 2 controint.), priva di intestazione e di sottoscrizione, nel quale si afferma che l’organico dell’azienda sarebbe stato notevolmente ridimensionato (da oltre 140 a 29 dipendenti circa) e che, per le emissioni in atmosfera, la Castelli 2014 non necessiterebbe più di alcuna autorizzazione in quanto “le emissioni dell’attuale azienda non si trovano più nelle condizioni di essere in regime di autorizzazione secondo l’art. 269 comma 8 del D. Lgs 152/2006 bensì operano secondo l’art. 272 comma 2 del predetto Decreto e specificamente ricade nelle seguenti attività elencate nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta….”; inoltre sarebbero state dismesse “alcune lavorazioni”.
Infine, con la produzione documentale del 18 aprile 2018 (in prossimità della pubblica udienza) la Castelli 2014 ha dimostrato di avere ottenuto in data 1.2.2018 l’AUA rilasciata dall’ARPAE Emilia-Romagna (con prescrizioni, le quali però non risultano documentate, doc. 19 dep. 18.4.2018) e il certificato di qualità ISO 14001:2015, rilasciato dalla DNV GL in data 11 aprile 2018, nel quale si specifica che si tratta di certificato di prima emissione (vedi doc. 22 Castelli).
Alla luce delle suddette evidenze documentali il Collegio ritiene condivisibile quanto dedotto da parte ricorrente nel primo motivo di gravame. Il primo elemento di fatto che si trae da quanto sopra esposto è che, al momento della presentazione della domanda, l’aggiudicataria era in realtà priva sia della certificazione ISO 14001, che dell’Autorizzazione Unica Ambientale, come confermato da quanto successivamente documentato dalla stessa ricorrente in ordine al rilascio della prima solo nell’aprile del 2018 e della seconda nel febbraio dello stesso anno (quando, si ricorda, il termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara era scaduto il 19.4.2017, ai sensi del punto IV.2.2 del bando).
Essendo ciò pacifico – essendo cioè pacifico che al momento di partecipare alla gara e per tutta la durata di essa la Castelli 2014 era priva della certificazione di qualità sulla gestione ambientale di qualità EN ISO espressamente prescritta dalla “lex specialis” - il Collegio è chiamato ad accertare se sia stata legittima oppure no la determinazione della Commissione di gara di ritenere come integrato il requisito attraverso le “prove documentali” prodotte dalla aggiudicataria, in via alternativa rispetto al certificato mancante, partendo dalla considerazione che la stazione appaltante può anche accettare altre prove documentali delle misure di gestione ambientale, purché gli operatori economici che se ne avvalgano dimostrino che tali misure sono “equivalenti a quelle richieste nel quadro del sistema o della norma di gestione ambientale applicabile”.
Infatti l’art. 87, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 così testualmente recita: “1. Qualora richiedano la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare che l'operatore economico soddisfa determinate norme di garanzia della qualità, compresa l'accessibilità per le persone con disabilità, le stazioni appaltanti si riferiscono ai sistemi di garanzia della qualità basati sulle serie di norme europee in materia, certificati da organismi accreditati. Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Esse ammettono parimenti altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, qualora gli operatori economici interessati non avessero la possibilità di ottenere tali certificati entro i termini richiesti per motivi non imputabili agli stessi operatori economici, a condizione che gli operatori economici dimostrino che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste.
2. Le stazioni appaltanti, quando richiedono la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare il rispetto da parte dell'operatore economico di determinati sistemi o di norme di gestione ambientale, fanno riferimento al sistema dell'Unione di ecogestione e audit (EMAS) o a altri sistemi di gestione ambientale nella misura in cui sono conformi all'articolo 45 del regolamento (CE) n. 1221/2009 o ancora ad altre norme di gestione ambientale fondate su norme europee o internazionali in materia, certificate da organismi accreditati per lo specifico scopo, ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio. Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Qualora gli operatori economici abbiano dimostrato di non avere accesso a tali certificati o di non avere la possibilità di ottenerli entro i termini richiesti per motivi loro non imputabili, la stazione appaltante accetta anche altre prove documentali delle misure di gestione ambientale, purché gli operatori economici dimostrino che tali misure sono equivalenti a quelle richieste nel quadro del sistema o della norma di gestione ambientale applicabile”.
Risulta dalla disposizione appena citata che i certificati appartenenti alla specie richiesta dalla lex specialis e riconducibili alla categoria contemplata dallo stesso art. 87 cit. possono provenire esclusivamente da “organismi indipendenti per attestare il rispetto da parte dell'operatore economico di determinati sistemi o di norme di gestione ambientale” i quali “fanno riferimento al sistema dell'Unione di ecogestione e audit (EMAS) o a altri sistemi di gestione ambientale nella misura in cui sono conformi all'articolo 45 del regolamento (CE) n. 1221/2009….”.
Laddove, come accaduto nella specie, l’operatore economico non sia in grado di esibire siffatti certificati può ovviare a ciò (sempreché tale impossibilità non sia allo stesso imputabile), esclusivamente attraverso “prove documentali delle misure di gestione ambientale” adottate, delle quali dimostrare l’equivalenza “….a quelle richieste nel quadro del sistema o della norma di gestione ambientale applicabile”.
Ora, a ben vedere, la dichiarazione descritta nella superiore narrativa in fatto (doc. 5 ric.), ha la struttura e il contenuto propri di una sorta di “certificazione” piuttosto che integrare “prova documentale” rappresentativa di una serie di specifiche misure tecniche di gestione ambientale conformi agli standard richiesti. Si tratta cioè di una dichiarazione (sottoscritta da un tecnico incaricato dalla stessa Castelli 2014) la quale, nel suo contenuto più rilevante, attesta la conformità degli “aspetti di tutela ambientale secondo il D.Lgs. 152/2006 e ss.mm.” alle procedure previste dal “precedente Certificato” che, per quanto si può evincere dal contesto complessivo della dichiarazione, dovrebbe essere quello a suo tempo conseguito dalla Castelli S.p.a. (dante causa della odierna controinteressata).
Ad avviso del Collegio siffatta dichiarazione, da un lato, di certo non è riconducibile alla categoria dei “certificati” idonei ed ammessi dall’art. 87 cit., per la semplice ragione di non provenire da un organismo accreditato da Accredia e abilitato a certificare sistemi di gestione ai sensi della normativa ISO 14001 bensì da un semplice professionista privato, incaricato dallo stesso soggetto interessato; dall’altro la dichiarazione stessa non può però neanche integrare il concetto di “prova equivalente”, stante la genericità del suo contenuto dal momento che essa si limita ad affermare una (presunta) conformità dell’azienda alla norma ISO 14001, facendo riferimento in genere ai processi di gestione ambientale applicati dalla Castelli 2014 e menzionando “per relationem”, in modo alquanto generico, le procedure “già previste dal precedente Certificato” che sarebbero oggi seguite anche dall’aggiudicataria.
Ciò non appare conforme a quanto prescritto dal comma 2 dell’art. 87 cit. che, non a caso, parla di non di “dichiarazioni” ma di “prove” (documentali) che debbono avere ad oggetto le “misure di gestione ambientale” in concreto implementate dall’azienda, profilo fattualmente e tecnicamente assai complesso su cui nulla è dato evincere dal documento in questione, che, nella sostanza, non è comunque una prova dell’adozione di misure idonee e adeguate ma una mera e generica dichiarazione di un terzo non abilitato ad emettere le certificazioni in esame.
Peraltro la stessa dichiarazione contiene un elemento di intrinseca contraddittorietà nel momento in cui attesta l’identità del sistema di gestione ambientale in atto rispetto a quello già certificato in capo alla Castelli S.p.a. (dante causa dell’odierna controinteressata) quando, nel contempo, si ammettono “modificazioni alle linee produttive nel sito produttivo di S. Giovanni Persiceto”.
In altri termini è mancata del tutto, sia nel corso della procedura di affidamento, sia nella presente causa, la produzione di documentazione idonea a dimostrare l’equivalenza in concreto dei sistemi di gestione ambientale (e di sicurezza) rispetto a quanto richiesto dalla norma ISO, dal momento che avrebbero potuto integrare semmai “prova documentale equivalente” ai sensi dell’art. 87, comma 2, Codice Appalti, eventuali analisi di emissione dei gas in atmosfera, rapporti sullo scarico delle acque civili e industriali, descrizioni del trattamento dei rifiuti ordinari e tossici e della loro conformità alle leggi in materia ecc..
Non giova, peraltro, alla dimostrazione della pretesa continuità con il precedente assetto di gestione e del rispetto delle norme ISO 14001 e costituisce semmai elemento da valutare a sfavore della Castelli la duplice circostanza che sia il certificato ottenuto nell’aprile 2018, sia l’AUA rilasciata dall’ARPAE Emilia-Romagna nel precedente mese di febbraio non costituiscono, invero, rinnovo dei rispettivi titoli già posseduti dalla fallita Castelli S.p.a., bensì, rispettivamente, un nuovo certificato e una nuova autorizzazione che producono soltanto “ex novo” e per il futuro i loro rispettivi effetti.
Ciò conferma che, alla scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione (19.4.2017), la Castelli 2014 S.r.l., non solo era priva della certificazione di qualità (di cui, come visto, non ha saputo fornire prove equivalenti), ma, in modo ancor più radicale, era priva dell’Autorizzazione Unica Ambientale necessaria per poter espletare l’attività dedotta in appalto ed ottenuta soltanto nel febbraio del 2018.
Sempre in senso contrario alla continuità del requisito nella successione (da Castelli S.p.a. a Castelli 2014 s.r.l.) della titolarità dell’azienda depone altresì quanto documentato da parte ricorrente in merito alla perdita della certificazione ISO da parte della Castelli S.p.a., prima del suo fallimento (dichiarato con decreto del giudice fallimentare del 15.7.2014): dalla visura camerale prodotta dalla Metalplex (doc. 14 ric.) non risultano certificazioni di qualità ambientale esistenti o in corso di validità in capo alla “Castelli S.p.a. in liquidazione”, condizione che ha preceduto il fallimento e che risale al 13.12.2013, data della messa in liquidazione della dante causa “de qua”.
Inoltre, lo stesso contratto per la certificazione dei sistemi di gestione sottoscritto tra la società controinteressata e la DNV – GL (ente certificatore) in data 22.6.2016 non parla di “rinnovo” ma di rilascio di una nuova certificazione (doc. 5 bis ric.).
In definitiva, per tutto quanto precede, deve concludersi che con i documenti prodotti in giudizio il 18.4.2018, la Castelli 2014 dimostra la sua attuale conformità alla ISO 14001 ma, nel contempo, esclude la sua conformità alla normativa tecnica al momento della presentazione dell’offerta. E’ emerso in particolare che il ritardo nell’ottenimento della certificazione è dipeso dalla mancanza dell’Autorizzazione Unica Ambientale, essenziale non solo per il rilascio del certificato ISO ma per la stessa legittimazione della società all’esercizio delle attività contrattuali. Tale titolo era certamente assente nel momento decisivo della presentazione dell’offerta (e anche alla successiva scadenza del termine di partecipazione).
Per le ragioni che precedono il primo motivo merita di essere accolto.
4. E’ invece infondato il secondo motivo di ricorso con cui la Metalplex contesta l’ammissione alla gara della Castelli 2014 e la conseguente aggiudicazione a suo favore, per violazione dell’art. 80 d.lgs. n. 50/2016, assumendo che il legale rappresentante della società avrebbe “omesso di dichiarare i procedimenti penali e le condanne”. La censura - peraltro “ab origine” articolata in forma dubitativa e perplessa - si rivela destituita di ogni fondamento in quanto Poste Italiane ha ampiamente documentato l’assenza di annotazioni pregiudizievoli riferibili alla persona del sig. Enzo Pavan, a seguito della consultazione del Casellario Giudiziale, così come dell’Anagrafe delle sanzioni amministrative, della Banca dati ANAC, dell’Agenzia Entrate, dell’Agenzia Regionale per il Lavoro dell’Emilia – Romagna, dell’INPS e dell’INAIL (cfr. docc. 18,19, 20, 21, 22, 23 e 24). Va esclusa, pertanto, la sussistenza di ogni ipotesi di causa di esclusione riconducibile all’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016. Quanto ai presunti collegamenti della Castelli 2014 con un “intrico di società liquidate o fallite”, si tratta di società rispetto alle quali l’eventuale carenza dei requisiti ex art. 80 cit. in capo ai relativi amministratori è irrilevante in quanto la società Gelmino International s.r.l. è socio di minoranza della Castelli 2015, mentre le società GPR Interni e Fosam S.p.a. non rivestono neanche la qualità di soci della aggiudicataria (vedi doc. 25 res.).
Il motivo va dunque respinto.
5. Sui motivi aggiunti.
Quanto ai motivi aggiunti – ove si assume che l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa in quanto non avrebbe dichiarato la propria volontà di subappaltare, pur avendo di fatto “confessato” di dover ricorrere a terzi non identificati per l’acquisto di oltre il 55% dei beni finiti il che integrerebbe una fattispecie di sostanziale subappalto – il Collegio osserva quanto segue:
- nella specie si ha a che fare con un accordo quadro per la fornitura, la consegna e il montaggio di arredi per il Back Office degli Uffici postali e per i siti delle Società del Gruppo dislocati sul territorio nazionale (vedi punto II.2.1 del Bando): in nessun passaggio è previsto che tali arredi siano necessariamente prodotti dall’aggiudicatario;
- non può certo essere attribuito valore dirimente all’art. 105, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 che, indipendentemente dal testo di riferimento (quello originario o quello modificato dall'art. 69, 1° comma 1, lett. a) del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56), si limita a prevedere l’obbligo dell’aggiudicatario di eseguire direttamente la prestazione anche di fornitura posta a base dell’appalto e non richiede per nulla che lo stesso ne sia anche produttore (è quanto recentemente affermato da TAR Toscana, sez. II, 29.1.2018, n. 141);
- l’appaltatore, come osservato dalla difesa della controinteressata (memoria conclusionale pag. 10), è il soggetto che provvede a rifornire l’Amministrazione ma ciò non significa che debba produrre in prima persona i beni né, conseguentemente, che debba esservi dichiarazione di subappalto laddove si acquisti parte dei beni da fornire presso ditte terze;
- queste ultime, peraltro, eseguirebbero una mera fornitura senza posa in opera di componenti metallici, del cui trasporto, consegna e montaggio è responsabile la stessa aggiudicataria;
- non trova pertanto applicazione la previsione di cui all’art. 105 d.lgs. n. 50/2016, invocata dalla società ricorrente la quale, per la configurazione del subappalto, si riferisce semmai ai soli contratti di fornitura e posa in opera e ai c.d. “noli a caldo” e non invece alle forniture pure e semplici (vedi comma 2, art. 105 cit.).
Si ritengono gli argomenti che precedono sufficienti per escludere la fondatezza delle doglianze di cui ai motivi aggiunti proposti dalla Metalplex S.p.a.
6. Sul ricorso incidentale della Castelli 2014.
Infondato è anche il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata avverso l’art. 18 del Capitolato Speciale d’Oneri “ove interpretato nel senso in cui si ritenga che richiede una verifica di un’organizzazione analoga all’ISO 14001 in sede di aggiudicazione e non in sede di verifica dei requisiti”. Invero, come sottolineato dalla stessa S.A. nella propria memoria di fase cautelare, l’aggiudicazione disposta da Poste Italiane a favore della Castelli 2014 era sospensivamente condizionata all’esito positivo della verifica delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 in sede di offerta (doc. n. 11 res.). Ciò denota una netta differenziazione, ben nota e applicata da Poste, tra fase dichiarativa e successiva fase della verifica del possesso effettivo dei requisiti dichiarati, sicché va anche escluso che la S.A. abbia interpretato la clausola nel significato a cui la ricorrente incidentale subordinava la proposizione del gravame.
Quanto alla valenza che assume invece la locuzione “prove documentali” ai sensi dell’art. 87, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, essa sta ad indicare in ogni caso un concetto ontologicamente diverso, il quale postula un “quid pluris” rispetto ad una mera dichiarazione di scienza quale quella del professionista incaricato dalla società partecipante. Al riguardo si richiama integralmente quanto sopra esposto e argomentato ai fini dell’accoglimento del primo motivo di gravame.
7. Conclusivamente il ricorso si rivela fondato sulla base delle censure articolate nel primo motivo. Ciò determina l’annullamento dell’atto di aggiudicazione relativo al lotto 2 in favore della società Castelli 2014 s.r.l.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto di aggiudicazione impugnato;
respinge, invece, i motivi aggiunti della stessa ricorrente ed il ricorso incidentale della Castelli 2014.
Condanna alla refusione delle spese processuali in favore della ricorrente Metalplex S.p.a.:
la resistente Poste Italiane S.p.a. nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00);
la controinteressata Castelli 2014 S.r.l nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00);
da entrambe sono dovuti, sulle rispettive somme debitorie, l’Iva, la Cassa Avvocati e gli ulteriori oneri di legge mentre grava solo su Poste Italiane il rimborso del contributo unificato già anticipato dalla società ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Gabriella De Michele, Presidente
Silvio Lomazzi, Consigliere
Claudio Vallorani, Referendario, Estensore
Guida alla lettura
I giudici amministrativi, con la sentenza n. 8511 del 27 luglio 2018, si sono pronunciati sul ricorso presentato da un operatore commerciale contro Poste Italiane S.p.A. e nei confronti dell’operatore commerciale risultato vincitore della gara per chiedere l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione della stessa con cui la stazione appaltante e cioè Poste Italiane S.p.a. mirava all’istituzione di un accordo quadro per la fornitura, consegna e montaggio di arredi back office delle sedi distribuite su tutto il territorio nazionale.
Tra i motivi di ricorso principalmente addotti dalla società ricorrente vi era quello secondo il quale l’aggiudicataria dell’appalto era priva della certificazione EN ISO 14000:2004 e non aveva prodotto, in alternativa, documentazione equivalente così come disposto dal legislatore in materia ambientale.
La società aggiudicataria, effettivamente, al momento della presentazione della domanda e alla scadenza dei termini di partecipazione alla gara non produceva la documentazione di qualità ambientale richiesta, ma al contrario allegava alla domanda una relazione di un perito chimico dalla stessa incaricato con la quale si dichiarava che il mancato possesso della certificazione non dipendeva da motivi addebitabili alla società e che questa si era regolarmente adoperata per ottenerla e che, inoltre, non vi erano stati cambiamenti rispetto al precedente certificato di qualità.
L’art. 87, co. 1 e 2 , d.lgs. n. 50/2016 acconsente a che gli operatori economici impossibilitati, per motivi ad essi non imputabili, ad ottenere la documentazione necessaria nei termini richiesti, presentino «altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità (…) a condizione che (…) dimostrino che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste». Nello specifico si parla di «prove documentali delle misure di gestione ambientale». Inoltre, la stessa norma prevede che ciò sia possibile qualora la certificazione provenga esclusivamente da organismi indipendenti.
A detta dei giudici amministrativi di prime cure quella presentata dalla società aggiudicataria sarebbe più una certificazione che una prova documentale e quindi da una parte «non è riconducibile alla categoria dei certificati idonei ed ammessi dall’art. 87 cit., per la semplice ragione di non provenire da un organismo accreditato (…) bensì da un semplice professionista privato incaricato dallo stesso soggetto interessato», dall’altra «non può però neanche integrare il concetto di “prova equivalente” stante la genericità del suo contenuto».
Per tale motivo la documentazione prodotta, non indicando le misure concretamente adottate dalla società in materia di gestione ambientale, non può essere equiparabile alle prove documentali richieste dalla legge.
Sulla base di tali motivazioni il T.A.R. Lazio ha accolto il ricorso e annullato l’atto di aggiudicazione impugnato.