T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, ordinanza n. 245 del 4 luglio 2018

La cd. interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede indi la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi – riscontrati nel caso di specie – in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose (o di criminalità organizzata) o di un possibile condizionamento da parte di queste (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018 n. 2343), tale da comportare una legittima restrizione della libertà di iniziativa economica, sub specie della capacità contrattuale con la pubblica amministrazione (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2018 n. 2231).

(1)     In senso conforme, Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018 n. 2343; Cons. St., sez. III, 13 aprile 2018 n. 2231; Cons. Stato, sez. III, 27 marzo 2018 n. 1901; Cons. Stato, sez. III, 6 marzo 2018, n. 1406; Cons. Stato, sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97; Cons. Stato, sez. III, 14 febbraio 2017, n. 670.

 

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 672 del 2018, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Bavaro e Salvatore Campanelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gabriele Bavaro in Bari, alla via Marchese di Montrone n. 106;

 

contro

Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Direzione Investigativa Antimafia di Bari, U.T.G. - Prefettura di Bari, Questura di Bari, Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza di Bari, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la stessa domiciliati in Bari, alla via Melo n. 97;

Comando Generale della Guardia di Finanza, non costituito in giudizio; 

per l’annullamento, previa sospensione dell'efficacia,

- del provvedimento interdittivo del Prefetto della Provincia di Bari prot. n. 14526/Area I OSP/ANT del 9.3.2018, notificato il 10.3.2018, con cui è stata disposta la “informazione antimafia interdittiva”, ai sensi dell'art. 91 del d.lgs. 159 del 2011 sull’erroneo ed illogico assunto secondo cui sussisterebbero a carico della società ricorrente “le situazioni di cui agli articoli 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.lgs. 6/09/2011 n. 159”;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale se lesivo della sfera giuridica della società ricorrente e, più precisamente ed ove occorra, della nota della Prefettura di Bari prot. n. 14709 del 12.3.2018 con cui è stato comunicato “l’avvio del procedimento volto alla attivazione delle misure di gestione ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014 convertito nella legge n. 114 del 2014”.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Direzione Investigativa Antimafia di Bari e dell’U.T.G. - Prefettura di Bari e della Questura di Bari e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza di Bari;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l’art. 55 del codice del processo amministrativo;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2018 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori avv. Gabriele Bavaro, per la ricorrente, e l’avv. dello Stato Isabella Piracci, per la difesa erariale;

 

-. Viste le censure della parte ricorrente dedotte avverso l’informativa interdittiva prefettizia gravata e preso atto del contenuto del motivato provvedimento dell’Amministrazione e dei documenti in atti, alla stregua della sommaria delibazione propria della sede cautelare, il ricorso proposto non evidenzia profili di fondatezza, sì da consentire un positivo apprezzamento sulla formulata istanza cautelare, avuto riguardo ai plurimi e circostanziati elementi inerenti ai rapporti sociali e familiari dei componenti e/o dei dipendenti della cooperativa ricorrente, subentrata a precedente cooperativa per la quale pure sussistevano i cd. precedenti sfavorevoli;

-. Preso atto che sono stati indicati, tra gli elementi fondanti la cd. interdittiva, non solo una serie di denunce qualificate e atti di polizia giudiziaria e di polizia di sicurezza, formulate da organi investigativi specializzati nel contrasto della criminalità organizzata, ma anche l’adozione di una serie di provvedimenti dell’A. G. competente, dai quali comunque emergono indizi tutti analiticamente rappresentati ed argomentati nel provvedimento dell’Autorità prefettizia, circa la rilevanza probante, dal punto di vista amministrativo, del provvedimento impugnato, avendo peraltro la giurisprudenza ritenuto che neppure i provvedimenti di assoluzione in sede penale possono ritenersi idonei ad escludere in via automatica la sussistenza del rischio di infiltrazione mafiosa, con conseguente legittimità della cd. interdittiva (Cons. St., sez. III, 27 marzo 2018 n. 1901).

-. Considerato che la cd. interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede indi la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi – riscontrati nel caso di specie – in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose (o di criminalità organizzata) o di un possibile condizionamento da parte di queste (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018 n. 2343), tale da comportare una legittima restrizione della libertà di iniziativa economica, sub specie della capacità contrattuale con la pubblica amministrazione (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2018 n. 2231).

-. Ritenuto pertanto che, nella loro valenza complessiva, ai fini propri preventivi della speciale disciplina in materia antimafia (d.lgs n. 159 del 2011 s.m.i), gli indizi raccolti e motivati consentono di ritenere prima facie immune da vizi il provvedimento impugnato e concretamente ancora attuale il pericolo di cd. infiltrazione mafiosa (Cons. St., sez. III, 4 maggio 2018 n. 2655);

-. Ritenuto, infine, di compensare le spese di giudizio, per la particolarità della materia;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), respinge l’istanza cautelare nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità del ricorrente, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppina Adamo, Presidente

Giacinta Serlenga, Consigliere

Lorenzo Ieva, Referendario, Estensore

 

 

Guida alla lettura 

In materia di informative antimafia, in passato la giurisprudenza amministrativa aveva distinto tre tipologie di informativa: l’informazione tipica ricognitiva di cause di per sé interdittive (ex art. 4, comma 4, d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490), l’informazione tipica accertativa, relativa ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, avente efficacia interdittiva automatica (ex art. 10, comma 7, d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252) e l’informativa antimafia atipica o supplementare, quest’ultima nata dalla prassi e successivamente ricondotta al disposto dell’art. 1-septies del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, non era immediatamente interdittiva in quanto fondata sull’accertamento di elementi che, pur indicanti il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità mafiosa, non raggiungevano la soglia di gravità richiesta per le informative tipiche. Dopo un lungo periodo di valorizzazione della figura “atipica”, sono poi intervenute una serie di pronunce del Consiglio di Stato in cui si è evidenziata la necessità che gli indizi del rischio di coinvolgimento con la criminalità organizzata non dovessero fondarsi su meri sospetti o congetture prive di riscontri fattuali, come era accaduto in quei casi in cui il Prefetto aveva dato peso ad elementi inerenti a vicende rivelatesi poi, in sede processuale, estranee rispetto al rischio di infiltrazione mafiosa: basti pensare, ad esempio, alle fattispecie in cui erano state annullate in sede giurisdizionale informative atipiche prefettizie basate esclusivamente su sospettati collegamenti, non accuratamente argomentati, tra la ditta sospettata e la ditta già destinataria di interdittiva antimafia oppure fondate esclusivamente su denunce mai sfociate in procedimenti penali.

Alla luce di tali criticità, il Codice antimafia ha quindi escluso dal novero dei provvedimenti prefettizi la discussa tipologia, cosicché l’accertamento prefettizio, oggi, può avere solo esito binario, caducatorio o liberatorio. Quanto invece alla tipologia dei provvedimenti interdittivi, si assiste attualmente ad una bipartizione tra comunicazioni e informazioni antimafia, laddove le prime consistono nella “attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67” (i.e. l’applicazione in via definitiva di una misura di prevenzione ovvero la condanna per i delitti indicati dall’art. 51, comma 3 bis c.p.p. passata in giudicato ovvero confermata in appello), mentre le secondo possono tanto assumere un contenuto siffatto quanto attestare “la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4”. 

Più nello specifico, l’art. 84, comma 4, stabilisce che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte: dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti indicati dal medesimo art. 84 (lett. a)); dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione (lett. b)); dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale in determinate condizioni (lett. c)); dagli accertamenti disposti dal Prefetto, anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno e dagli accertamenti da effettuarsi in altra Provincia a cura dei Prefetti competenti su richiesta del Prefetto procedente ai sensi della lettera d) (lett. d) e lett. e)); in caso di sostituzioni “anomale”, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), che denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia (lett. f)).

Per quanto attiene agli elementi rinvenuti dal Prefetto in sede di accertamento (lett. e)) essi devono possedere, quantomeno, un grado di qualificata probabilità.  E’ infatti principio ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa quello secondo cui il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’interdittiva prefettizia deve dar conto, in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole della effettiva sussistenza di tale rischio (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343, Cons. Stato, sez. III, n. 4657/2015; n. 1328/2016; n. 4295/2017).

La predetta regola causale del “più probabile che non” integra un criterio di giudizio di tipo empirico-induttivo, che ben può essere integrato da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso) e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Il precipitato applicativo di tale metodo probatorio fa sì che l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richieda la necessaria prova di un fatto, ma soltanto la presenza di una serie di indizi in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali - secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale - sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 2342/2011; n. 5019/2011; n. 254/2012; n. 1240/2012; n. 2678/2012; n. 1329/2013; sez. VI, n. 4119/2013; sez. III, n. 4414/2013; n. 4527/2015; n. 5437/2015; n. 1328/2016; n. 3333/2017).

L’ordinanza del T.A.R. Bari in commento fa applicazione di queste precise coordinate ermeneutiche nel valutare prima facie, in sede cautelare, la legittimità dell’informativa prefettizia impugnata, laddove rileva che, tra gli elementi fondanti la predetta informativa, sono stati indicati “non solo una serie di denunce qualificate e atti di polizia giudiziaria e di polizia di sicurezza, formulate da organi investigativi specializzati nel contrasto della criminalità organizzata, ma anche l’adozione di una serie di provvedimenti dell’A.G. competente, dai quali comunque emergono indizi tutti analiticamente rappresentati ed argomentati nel provvedimento dell’Autorità prefettizia, circa la rilevanza probante, dal punto di vista amministrativo, del provvedimento impugnato ..”. Il TAR ritiene pertanto che, nella loro valenza complessiva, ai fini preventivi propri della speciale disciplina in materia antimafia (d.lgs n. 159 del 2011 s.m.i), i plurimi e circostanziati indizi raccolti e motivati dall’Autorità prefettizia in ordine ai rapporti sociali e familiari intrattenuti dai componenti e/o dai dipendenti della cooperativa ricorrente, consentano di ritenere prima facie immune da vizi il provvedimento impugnato e concretamente ancora attuale il pericolo di cd. infiltrazione mafiosa, giustificando, per l’effetto, il rigetto dell’istanza cautelare avanzata dalla ricorrente.

Dal quadro giurisprudenziale sin qui ricostruito emerge quindi che, in definitiva, gli elementi fattuali ed indiziari che giustificano l’informativa antimafia e che il Prefetto deve valorizzare ai fini preventivi propri dell’istituto prescindono dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, tant’è che la giurisprudenza ha ritenuto che neppure i provvedimenti di assoluzione in sede penale possano ritenersi idonei ad escludere in via automatica la sussistenza del rischio di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, sez. III, 27 marzo 2018 n. 1901), come correttamente rilevato anche dal T.A.R. Bari nell’ordinanza in commento. Ciò che rileva, infatti, sono esclusivamente gli elementi circostanziali di fatto nel loro valore oggettivo, storico e sintomatico, perché rivelatori del collegamento tra l’impresa e gli ambienti mafiosi e quindi del probabile condizionamento che l’organizzazione mafiosa può esercitare sull’impresa, anche al di là e persino contro la volontà del singolo (Cons. Stato, sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97).

Ciò posto, in materia di informative antimafia, il problema successivo che immediatamente si pone è quello dell’intensità e dei limiti che incontra il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni operate dal Prefetto. In merito a tale questione, la giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato che la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude quindi la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, sez. III, n. 820 del 2018; n. 5130 del 2011; n. 2783 del 2004).

E’ ricorrente quindi da parte dei giudici amministrativi l’affermazione secondo cui l’ampia discrezionalità di apprezzamento dell’Autorità prefettizia in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. Stato n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2018 n. 2231; Cons. Stato, sez. III, 6 marzo 2018, n. 1406; Cons. Stato, sez. III, 14 febbraio 2017, n. 670). E nel quadro di tali coordinate ermeneutiche si inscrive anche l’ordinanza del T.A.R. Bari in commento.

Proprio l’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, nonché gli ampi e articolati strumenti di investigazione compendiati nei poteri di accesso e di accertamento che gli artt. 84 lettera d) e 93 del Codice antimafia attribuiscono al Prefetto, hanno indotto la giurisprudenza ad assimilare il giudizio compiuto dal Prefetto alle valutazioni della p.a. caratterizzate da discrezionalità tecnica. Ciò è avvenuto, tuttavia, non senza incertezze.

E’ ormai un dato acquisito a livello giurisprudenziale che la discrezionalità tecnica, caratterizzata dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità dell’esito della valutazione, sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere, sub specie di difetto di motivazione, di illogicità manifesta, di erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti. Numerose sono le pronunce in cui si rileva che il potenziamento dei mezzi istruttori utilizzabili dal giudice amministrativo ai fini del sindacato sulle valutazioni di stampo tecnico-specialistico, sancito dall’innesto della consulenza tecnica nel processo amministrativo, consente sicuramente il pieno e diretto accertamento dei fatti presi in esame dall’amministrazione, ma non la sostituzione del giudice amministrativo, per il tramite del consulente tecnico, ai giudizi di tipo tecnico formulati dall’amministrazione (v., Cons. Stato, sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6004).

In tema di informative antimafia, in effetti, non viene in rilievo alcun margine di apprezzamento e comparazione di interessi per l’amministrazione, vertendosi in un campo caratterizzato da margini di opinabilità delle valutazioni compiute dall’amministrazione in esito alle indagini svolte, ma in cui non entrano invece in gioco profili di opportunità attinenti al merito delle scelte amministrative. In questo senso si giustificherebbe quindi l’accostamento alla discrezionalità tecnica.

D’altro canto però, le conseguenze dell’informazione interdittiva sono rilevanti e incidono su diritti di rilievo costituzionale, attinenti alla libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., circostanza questa che suggerirebbe, forse, la necessità di un’attenta indagine sulla effettiva sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la misura di prevenzione.

Nonostante questo, la giurisprudenza rimane ferma nel considerare la valutazione del prefetto espressione di “ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati”. È ricorrente anche l’affermazione secondo cui “il sindacato in sede giurisdizionale si attesta nei limiti dell’assenza di eventuali vizi della funzione che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere quanto alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti e alla logicità delle conclusioni” (Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 2011, n. 5366); come è ricorrente anche in diverse pronunce l’ulteriore precisazione che “al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento”, il che si giustifica in ragione delle “peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca” che caratterizzano l’accertamento in questo particolare campo (v. da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2018 n. 2231). 

In definitiva, dalla motivazione delle sentenze sembra emergere una incertezza di fondo in ordine alla qualificazione della fattispecie, che resta sospesa tra discrezionalità amministrativa tout court - evocata anche dal riferimento all’esistenza di vizi della funzione amministrativa - e valutazioni tecniche riservate, incertezza che non può non riverberarsi anche, conseguentemente, sull’individuazione delle ragioni sottese alla riconosciuta esistenza di una riserva di valutazione a favore della prefettura. Appare invece chiaro, d’altro canto, che a circoscrivere i limiti del sindacato giurisdizionale siano soprattutto le esigenze di anticipazione della soglia di difesa sociale, spesso richiamate per giustificare la sufficienza di un quadro di rilevanza probatoria prevalentemente indiziario, meno rigoroso di quello richiesto in materia penale, e del quale il giudice amministrativo deve limitarsi a vagliare la logicità e la coerenza, nonchè la rilevanza dei fatti accertati.