Cons. Stato, Sez. VI, 11 giugno 2018 n. 3553

1. Secondo il Collegio deve essere rimessa alla Corte di Giustizia la questione se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, gli artt. 25 della Direttiva 2004/18 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e 71 della Direttiva 2014/24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, che non contemplano limitazioni relative alla quota subappaltatrice e al ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio euro unitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 118, commi 2 e 4, d.lgs n. 163/2006 (oggi art. 105 d.lgs n. 50/2016), secondo la quale il subappalto non può superare la quota del trenta per cento dell’importo complessivo e l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con un ribasso non superiore al venti per cento.

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 700 del 2018, proposto da

Tedeschi S.r.l. in proprio e quale Mandataria Rti, Consorzio Stabile Istant Service in proprio e quale Mandante Rti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Angelo Clarizia, Enzo Perrettini, Luca Albanese, Gaetano Zurlo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

C.M. Service S.r.l. non costituito in giudizio; 
C.M. Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Cardarelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.P. Da Palestrina 47; 
Università degli Studi di Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Bernardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Zebio n. 28; 

per la riforma

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 12511/2017, resa tra le parti, concernente Per l'annullamento:

a) del provvedimento n. 1443/2017, prot 27045, datato 12 aprile 2017, a firma del Direttore di Area Patrimonio e servizi economali con il quale l'Università degli Studi di Roma ha disposto aggiudicazione definitiva al RTI TEDESCHI SRL (mandataria) - CONSORZIO STABILE ISTANT SERVICE (mandante) della procedura di gara per l'affidamento del servizio di pulizia da espletarsi nei locali in uso dell'Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, presso la Città Universitaria e le sedi esterne, per la durata di cinque anni, per un importo complessivo di Euro a base d'asta di euro 46.300.968,40 oltre iva; b)per quanto occorra del verbale di aggiudicazione rep 229 del 13 gennaio 2017, dal quale è risultato aggiudicatario, in via provvisoria, il costituendo RTI TEDESCHI SRL - CONSORZIO STABILE ISTANT SERVICE per un importo complessivo di euro; c)di tutti verbali delle sedute nel corso della quali la Commissione di gara ha provveduto a valutare l'offerta formulata dal RTI TEDESCHI SRL - CONSORZIO STABILE ISTANT SERVICE, nonché di quelle in cui ha analizzato i giustificativi forniti dal RTI aggiudicatario per il sub procedimento della verifica dell'offerta anormalmente bassa ai sensi dell'art. 88 del Dlgs 163 del 2006, in relazione al quale la ricorrente si riserva di proporre successivi motivi aggiunti dal momento che la documentazione ad esso afferente è stata esibita in data 5 maggio 2017; d)di ogni atto connesso, presupposto e conseguente a quelli impugnati sub a) e sub b).

Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da C.M. SERVICE SRL il 2822018 :

sentenza del TAR Lazio – Roma, Se. III, n. 12511/2017 pubblicata in data 20.12.2017 e notificata in data 27.12.2017

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di C.M. Service S.r.l. e di Università degli Studi di Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2018 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Perrettini, Zurlo, Bernardi, e Lattanzi in delega di Cardarelli.;

1. Esposizione sommaria dell’oggetto della controversia e dei fatti rilevanti.

1.1. Con bando di gara pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea n. S249 del 24.12.2015, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ha indetto una procedura aperta per “l’affidamento del servizio di pulizia da espletarsi nei locali in uso dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza presso la città Universitaria e le sedi esterne”, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la durata di 5 anni e per un valore presunto posto a base di gara di Euro 46.300.968,40, al netto dell’IVA.

All’esito della procedura di gara, cui partecipavano 26 imprese, veniva disposta l’aggiudicazione definitiva, per un importo complessivo di euro 31.744.359,67 oltre IVA e oneri della sicurezza (per un ribasso del 30,74%), in favore del raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla società Tedeschi srl (mandataria) e dal Consorzio Stabile Instant Service.

1.2 Avverso tale esito proponeva ricorso giurisdizionale C.M. Service srl, - in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo RTI con l’Impresa Piemonte srl – quale seconda in graduatoria) deducendo i seguenti motivi:

a) in virtù di quanto rappresentato nei giustificativi forniti per la verifica dell’anomalia, l’offerta aggiudicataria è risultata essere incentrata sull’affidamento dei servizi di pulizia oggetto dell’appalto a cooperative sociali di tipo B (estranee al RTI), per una quota superiore al 30% dell’importo complessivo della commessa, con un ribasso sulle prestazioni affidate superiore al 20%, ciò in violazione dell’art.118 comma 2 e comma 4 del d.lgs 163 del 2006, circostanza che oltre a rappresentare una violazione di norma imperativa, rende non credibile ed irrealizzabile l’offerta presentata;

b) la stessa offerta non consente lo svolgimento di parte rilevante dei servizi affidati, impiegando addetti che, in ragione della loro ridotta esperienza e del conseguente inquadramento contrattuale (2° livello), non sono qualificati per prestare tutti i servizi di cui è composto l’appalto (vedi quelli per i quali sia imprescindibile utilizzo i piattaforme, scale, ponteggi ecc.)

c) nonostante avesse espressamente previsto che a sovraintendere all’esecuzione del servizio, vi fossero n. 5 “Referenti delle sedi esterne”, l’offerta aggiudicataria non ha previsto nell’organico deputato all’esecuzione dell’appalto addetti con un inquadramento contrattuale idoneo al coordinamento dell’attività del personale (minimo di 3° livello).

Manifesta inaffidabilità delle giustificazioni rese per il procedimento di verifica dell’anomalia (e con esse l’accoglimento che ne è conseguito) in quanto: a) l’analisi effettuata dall’Università è risultata essere fondata su valori economici derivanti da un errato utilizzo della nozione delle “ore teoriche” e di “ore lavorate” - categorie che non ammettono confusione - al solo fine di rappresentare l’assunzione di costi inferiori rispetto a quelli che effettivamente sono necessari per l’erogazione dei

servizi offerti in conformità alle prescrizioni di gara; b) a seguito dell'accesso effettuato il 23 maggio 2017 presso la Direzione Provinciale del Lavoro, è stato possibile accertare che il RTI Tedeschi aveva assunto “tutto il personale già impiegato presso la stazione appaltante Università degli Studi di Roma “la Sapienza” alle stesse condizioni contrattuali ex art.4 lettera a) del CCNL Multiservizi/servizi integrati CIR a decorrere del 18.04.2017”, comprensivo quindi del personale inquadrato nei livelli retributivi che offerta aggiudicataria non aveva in alcun modo previsto (ossia n. 47 addetti di 3°, n. 19 di 4° e n. 1 di 5° livello) e, soprattutto, per i quali non era stato fornito alcun giustificativo nel procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta.

Ne consegue che l'Università ha aggiudicato l’appalto al RTI Tedeschi avendo valutato condizioni economico – organizzative che, disvelando la violazione di norme imperative (in specie ex art.118 del Dlgs 163 del 2006), risultando essere, oltre che manifestamente inattendibili, radicalmente diverse da quelle indicate in offerta e da quelle che concretamente sarebbero state realizzate in fase esecutiva: sicché la stazione appaltante ha solo fittiziamente verificato la congruità e l'affidabilità dell’offerta aggiudicataria.

1.3. Con sentenza 125112017 l’adito Tar Lazio ha accolto le domante proposte dalla CM Servizi “con riguardo ai motivi n. 1 e n. 2 del ricorso (quest’ultimo da leggere anche in relazione al motivo n. 5 di cui all’atto per motivi aggiunti)”: in primo luogo per l’assenza di una attendibile disamina in concreto relativa alle caratteristiche che avrebbe avuto il massiccio ricorso, mediante subappalto, alle cooperative sociali di tipo B, il quale costituisce elemento imprescindibile dell’offerta aggiudicataria che le ha permesso di giustificare l’elevato ribasso che è riuscita ad offrire; in secondo luogo per la riconosciuta violazione dell’art. 118, comma 4°, d. lgs. 163/2006 in quanto la le prestazioni lavorative affidate in subappalto vengono retribuite con corrispettivi ribassati di oltre il venti per cento (29,9 %) rispetto a quelli praticati dal medesimo RTI nei confronti dei propri dipendenti diretti.

1.4. Se con appello principale l’aggiudicataria impugnava la decisione del Tar contestandone le relative conclusioni, con appello incidentale il raggruppamento secondo classificato riproponeva le censure non accolte in primo grado nonché la dedotta violazione del secondo comma del predetto art. 118, a fronte della rilevata inaffidabilità ed irrealizzabilità dell’offerta aggiudicataria perché fondata sull’affidamento in subappalto a cooperative sociali di tipo B ben oltre la quota del 30% del valore dell’appalto.

A fronte della statuizione di cui alla sentenza impugnata nonché dei conseguenti motivi di appello, la norma di cui all’art. 118 d.lgs. 1632006 diventa rilevante e decisiva ai fini della risoluzione della controversia in esame, sia con riferimento al limite del trenta per cento dettato dal comma secondo, sia relativamente al limite del venti per cento di cui al comma quarto. Infatti, oggetto della controversia è l’ammissibilità e sostenibilità dell’offerta, risultata aggiudicataria, il cui forte ribasso – che ha consentito l’aggiudicazione – è stato ottenuto attraverso un meccanismo che ha comportato la previsione di affidamento in subappalto di una parte delle attività da svolgere superiore al limite del 30 %, con riconocimento in favore delle imprese subappaltatrici di un compenso inferiore di oltre il 20 % rispetto a quanto praticato in favore dei propri dipendenti in base all’offerta.

2. Il contenuto delle disposizioni nazionali rilevanti nel caso di specie.

2.1. Nella presente fattispecie vengono in rilievo, pertanto, le seguenti disposizioni dell’art. 118 del decreto legislativo n. 163 del 2006: “2. La stazione appaltante è tenuta ad indicare nel progetto e nel bando di gara le singole prestazioni e, per i lavori, la categoria prevalente con il relativo importo, nonché le ulteriori categorie, relative a tutte le altre lavorazioni previste in progetto, anch'esse con il relativo importo. Tutte le prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo. Per i lavori, per quanto riguarda la categoria prevalente, con il regolamento, è definita la quota parte subappaltabile, in misura eventualmente diversificata a seconda delle categorie medesime, ma in ogni caso non superiore al trenta per cento. Per i servizi e le forniture, tale quota è riferita all'importo complessivo del contratto…..”; “4. L'affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento. ….”.

2.2. Le limitazioni quantitative al subappalto sono state introdotte per la prima volta nell’ordinamento dall’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55, recante “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”, ossia nell’ambito di una disciplina molto rigorosa con la quale, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 218 del 5 maggio 1993, si intendeva perseguire, tra l’altro, la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza, coinvolgente interessi ed esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo; ed effettivamente, il particolare rigore che ha caratterizzato fin dall’origine la disciplina nazionale del subappalto trova origine nella consapevolezza che tale strumento, soprattutto laddove resti confinato alla fase esecutiva dell’appalto e sfugga a ogni controllo amministrativo, può ben prestarsi ad essere utilizzato fraudolentemente, per eludere le regole di gara e acquisire commesse pubbliche indebitamente, nell’ambito di contesti criminali.

La citata previsione dell’art. 18 della l. n. 55/1990 è poi confluita nelle varie leggi che si sono succedute in materia di appalti pubblici (prima nell’art. 34 della legge 11 febbraio 1994 n. 109, poi nell’art. 118 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 ed attualmente nell’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016, nel testo del codice entrato in vigore in epoca successiva all’avvio della gara oggetto di controversia, soggetta quindi alla disciplina del predetto art. 118).

2.3. Con ordinanza n. 148 del 19.1.2018 il Tar Lombardia ha proposto una analoga questione pregiudiziale, in ordine alla nuova disciplina del subappalto – che peraltro sul punto riprende il tenore del predetto art. 118- chiedendo alla Corte di Giustizia di fornire risposta al dubbio relativo alla possibile violazione dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e di proporzionalità, nonché dell’art. 71, Direttiva 2014/24/UE, che non prevede alcun limite per il subappalto, da parte della disciplina codicistica che invece prevede lo stringente limite del 30% senza eccezioni di sorta.

Il Collegio, quale Giudice di ultima istanza, deve sollevare analoga questione sulla omologa disposizione previgente, contenuta nell’art. 118 comma 2 e relativa al predetto limite del trenta per cento per l’affidamento in subappalto, estendendola anche alla ulteriore limitazione, contenuta nell’art. 118 comma 4 riprodotto (in una formulazione che peraltro appare ripresa anche dalla norma contenuta nel nuovo codice degli appalti, ex art. 105 comma 14 d.lgs. 502017).

3. Il diritto dell’Unione Europea.

3.1. La disciplina europea vigente del subappalto è contenuta nell’art. 71 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici.

Dal tenore letterale della norma, l’art. 71 se per un verso consente l’introduzione di previsioni più restrittive sotto diversi aspetti, per un altro verso non contempla alcun limite quantitativo al subappalto.

Analogamente, la previgente disciplina di cui alla direttiva 2004/18 stabiliva a propria volta all’art. 25, intitolato «subappalto», quanto segue: «nel capitolato d'oneri l'amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all'offerente di indicare, nella sua offerta, le parti dell'appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti. Tale comunicazione lascia impregiudicata la questione della responsabilità dell'operatore economico principale».

In termini più generali rilevano altresì gli artt. 49 e 56 del TFUE.

L’art. 49 stabilisce: “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”.

L’art. 56 prevede: “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione”.

3.2. In materia di limiti al subappalto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è già pronunciata, con riferimento alle previgenti direttive 2004/17 e 2004/18.

3.2.1. Con la sentenza del 5 aprile 2017 della Quinta sezione, causa C-298/15, Borta UAB, la Corte di Giustizia ha dichiarato che “gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione di una normativa nazionale, come l’articolo 24, paragrafo 5, della Lietuvos Respublikos viešuju pirkimu istatymas (legge lituana relativa agli appalti pubblici), che prevede che, in caso di ricorso a subappaltatori per l’esecuzione di un appalto di lavori, l’aggiudicatario è tenuto a realizzare esso stesso l’opera principale, definita come tale dall’ente aggiudicatore”.

In tale occasione, la Corte ha statuito, ai punti 47-50, che:

- “gli articoli 49 e 56 TFUE ostano a ogni misura nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla nazionalità, sia in grado di vietare, di ostacolare o di rendere meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (sentenze del 27 ottobre 2005, Contse e a., C-234/03, EU:C:2005:644, punto 25; del 23 dicembre 2009, Serrantoni e Consorzio stabile edili, C-376/08, EU:C:2009:808, punto 41, e dell’8 settembre 2016, Politanò, C-225/15, EU:C:2016:645, punto 37)”;

- “per quanto riguarda gli appalti pubblici, è interesse dell’Unione che l’apertura di un bando di gara alla concorrenza sia la più ampia possibile” e “il ricorso al subappalto, che può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di tale obiettivo”;

- “una disposizione nazionale, come l’articolo 24, paragrafo 5, della legge relativa agli appalti pubblici, può ostacolare, scoraggiare o rendere meno attraente la partecipazione di operatori economici con sede in altri Stati membri alla procedura di gara o all’esecuzione di un appalto pubblico come quello di cui trattasi nel procedimento principale, poiché essa impedisce a tali operatori sia di subappaltare a terzi tutto o parte delle opere qualificate come «principali» dall’ente aggiudicatore, sia di proporre i loro servizi in quanto subappaltatori per tale parte dei lavori”; tale disposizione, pertanto, “costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi”.

3.2.2. In precedenza, con la sentenza del 14 luglio 2016 della Terza sezione, C-406/14, Wroclaw, la Corte di Giustizia ha dichiarato che “la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (CE) n. 2083/2005 della Commissione, del 19 dicembre 2005, deve essere interpretata nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non è autorizzata ad imporre, mediante una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori, che il futuro aggiudicatario esegua una determinata percentuale dei lavori oggetto di detto appalto avvalendosi di risorse proprie”.

Ai punti 33-36 della sentenza in questione la Corte ha precisato che:

- “l’articolo 48, paragrafo 3, di tale direttiva – prevedendo la facoltà per gli offerenti di provare che, facendo affidamento sulle capacità di soggetti terzi, essi soddisfano i livelli minimi di capacità tecniche e professionali stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice, a condizione di dimostrare che, qualora l’appalto venga loro aggiudicato, disporranno effettivamente delle risorse necessarie per la sua esecuzione, risorse che non appartengono loro personalmente – sancisce la possibilità per gli offerenti di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto, e ciò, in linea di principio, in modo illimitato”;

- “tuttavia, qualora i documenti dell’appalto impongano agli offerenti di indicare, nelle offerte, le parti dell’appalto che essi hanno eventualmente l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti, conformemente all’articolo 25, primo comma, della direttiva 2004/18, l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per quanto riguarda l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il ricorso a subappaltatori quando non sia stata in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario (v., in tal senso, sentenza del 18 marzo 2004, Siemens e ARGE Telekom, C‑314/01, EU:C:2004:159, punto 45)”;

- una clausola “che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe” “risulta incompatibile con la direttiva 2004/18”;

- “una clausola del genere, anche supponendo che costituisca una condizione di esecuzione dell’appalto ai sensi dell’articolo 26 della direttiva 2004/18, non può essere ammessa ai sensi di detto articolo, in forza della formulazione stessa di quest’ultimo, giacché essa è contraria all’articolo 48, paragrafo 3, di tale direttiva, e quindi al diritto dell’Unione”.

4. I motivi del rinvio pregiudiziale.

4.1 A fronte del non coincidente tenore delle disposizioni nazionali in materia di subappalto e il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, impone al Collegio, quale giudice di ultima istanza, di disporre il rinvio pregiudiziale dell’art. 118 commi 2 e 4 del previgente codice dei contratti pubblici, rispetto ai principi e alle regole ricavabili dagli articoli 49 e 56 TFUE nonché dalla direttiva 2004/18.

La previsione dei limiti generali dettati dai due commi dell’art. 118 in questione (contenenti rispettivamente un limite generale del 30 % per il subappalto, con riferimento all’importo complessivo del contratto, impedendo agli operatori economici di subappaltare a terzi una parte cospicua delle opere, pari al 70 %, nonché un limite del 20 % al ribasso da applicare ai subappaltatori), può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici, così ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e precludendo, peraltro, agli stessi acquirenti pubblici l’opportunità di ricevere offerte più numerose e diversificate; tale limite, non previsto dalla direttiva 2004/18, impone una restrizione alla facoltà di ricorrere al subappalto per una parte del contratto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favore per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.

4.2. Le ragioni della norma nazionale emerse in sede consultiva,

In termini di completezza occorre ricordare come in sede consultiva il Consiglio di Stato abbia evidenziato le ragioni della disciplina limitativa del subappalto.

In particolare, nel parere n. 855/2016 reso sul progetto di nuovo codice dei contratti pubblici, l’organo consultivo ha osservato che il legislatore nazionale potrebbe porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, in quanto giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro. Nello stesso parere il Consiglio di Stato ha anche affermato, in termini più generali, che “il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE”.

Nel successivo parere n. 782/2017, reso sul progetto di decreto correttivo al codice, l’organo consultivo, dopo aver dato atto della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui il diritto europeo non consente agli Stati membri di porre limiti quantitativi al subappalto, e chiarito che tale giurisprudenza eurounitaria si è formata in relazione alla previgente direttiva 2004/18, si è espresso nei seguenti termini: “la nuova direttiva 2014/24 consente agli Stati membri di dettare una più restrittiva disciplina del subappalto, rispetto alla maggiore libertà del subappalto nella previgente direttiva. Le direttive del 2014, rispetto alle precedenti del 2004, per la prima volta includono nella disciplina del subappalto finalità che finora erano state specifiche della legislazione italiana, ossia una maggiore trasparenza e la tutela giuslavoristica. È vero che nemmeno le nuove direttive, al pari delle previgenti, contemplano espressamente limiti quantitativi al subappalto, salva la possibilità per la stazione appaltante di esigere di conoscere preventivamente i nomi dei subappaltatori e la facoltà per gli Stati membri di imporre norme di tutela giuslavoristica. Tuttavia, la complessiva disciplina delle nuove direttive, più attente, in tema di subappalto, ai temi della trasparenza e della tutela del lavoro, in una con l’ulteriore obiettivo, complessivamente perseguito dalle direttive, della tutela delle micro, piccole e medie imprese, può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo. Esse vanno infatti vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici”.

, nel parere n. 782/2017 ha osservato che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, vanno vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici.

In quest’ottica, l’obiettivo di assicurare l’integrità dei contratti pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità potrebbe giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

4. 3 Ulteriori ragioni che giustificano l’introduzione delle predette soglie.

Oltre a quanto evidenziato in sede consultiva, sussistono ulteriori motivi posti a fondamento dell’introduzione delle soglie in questione.

Per un verso, relativamente all’eliminazione del limite del 20 % per il possibile ribasso rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione, emerge il rischio del dare vita a forme occulte di dumping salariale, da cui potrebbe scaturire un effetto anticoncorrenziale.

Per un altro verso, relativamente all’eliminazione del limite del 30 % per la parte di servizi subappaltabili, emerge la possibilità di avere aggiudicazioni nel quale l’adempimento è posto a rischio per la conseguente difficoltà di valutare la sostenibilità - e quindi la non anomalia – dell’offerta; come avvenuto nel caso di specie.

In tale contesto è possibile inquadrare la ratio sottesa ai limiti in esame sulla scorta della generale indicazione contenuta nella stessa giurisprudenza europea sopra richiamata, secondo cui una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi “può essere giustificata qualora essa persegua un obiettivo legittimo di interesse pubblico e purché rispetti il principio di proporzionalità, vale a dire, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto è necessario a tal fine” (sentenza del 5 aprile 2017, causa C-298/15, cit., al punto 51, che richiama le sentenze del 27 ottobre 2005, Contse e a., C-234/03, EU:C:2005:644, punto 25, nonché del 23 dicembre 2009, Serrantoni e Consorzio stabile edili, C-376/08, EU:C:2009:808, punto 44)”.

4.5. La questione interpretativa pregiudiziale di seguito posta, come evidenziato nella esposizione di fatto, risulta dirimente ai fini della decisione del ricorso.

Invero, qualora dovesse ritenersi che il diritto eurounitario non ammette le limitazioni quantitative al subappalto, previste dall’art. 118 commi 2 e 4 d.lgs. 1632006il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza di accoglimento dell’appello e conseguente, in riforma della sentenza impugnata, rigetto del ricorso della seconda classificata.

Per contro, nel caso in cui si dovesse accogliere l’opzione ermeneutica secondo la quale il diritto dell’Unione Europea non osta all’applicazione della norma in questione, il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza di rigetto dell’appello.

5. Formulazione del quesito.

Sulla base di quanto sino ad ora osservato il Collegio formula il seguente quesito interpretativo:

“se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 25 della Direttiva 2004/18 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e 71 della Direttiva 2014//24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, che non contemplano limitazioni per quanto concerne la quota subappaltatrice ed il ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 118 commi 2 e 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del trenta per cento dell’importo complessivo del contratto e l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con un ribasso non superiore al venti per cento”.

6. Richiesta di applicazione del procedimento accelerato.

La sezione chiede l’applicazione del procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105, paragrafo 1, del Regolamento di procedura, alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia richiamate in motivazione in materia di subappalto, e tenuto conto: che la questione sottoposta al giudizio della Corte ha natura di questione di principio, poiché la norma limitativa del subappalto è di corrente applicazione; che la procedura di appalto oggetto della controversia è sostanzialmente condizionata dalla decisione della Corte di Giustizia; che l’appalto riguarda l’esecuzione di servizi ordinari e rilevanti per assicurare il regolare funzionamento dell’Università; che l’aggiudicazione conseguente alla sentenza di primo grado è attualmente sospesa all’esito del giudizio cautelare.

7. Sospensione del giudizio.

7.1 Ai sensi delle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” (2016/C 439/01, in G.U.U.E del 25 novembre 2016) della Corte di giustizia dell’Unione europea, si dispone che la Segreteria Tribunale trasmetta alla Cancelleria della Corte di giustizia, mediante plico raccomandato al seguente indirizzo Rue du Fort Niedergrunewald, L-2925 Lussemburgo, copia integrale del fascicolo di causa.

7.2 In applicazione dell’art. 79 cod. proc. amm. e del punto 23 delle Raccomandazioni, il presente giudizio rimane sospeso nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio e ogni ulteriore decisione, anche in ordine al regolamento delle spese processuali, è riservata alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),

rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione e, riservata ogni altra decisione, anche sulle spese, sospende il giudizio.

Dispone che il presente provvedimento, unitamente a copia degli atti di giudizio indicati in motivazione, sia trasmesso, a cura della Segreteria della Sezione, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Guida alla lettura

Il Consiglio di Stato con l’ordinanza in disamina ha ritenuto opportuno rimettere alla Corte di Giustizia la questione se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, gli artt. 25 della Direttiva 2004/18 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e 71 della Direttiva 2014/24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, che non contemplano limitazioni relative alla quota subappaltatrice e al ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio euro unitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 118, commi 2 e 4, d.lgs n. 163/2006 (oggi art. 105 d.lgs n. 50/2016), secondo la quale il subappalto non può superare la quota del trenta per cento dell’importo complessivo e l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con un ribasso non superiore al venti per cento.

In particolare, infatti, ad avviso dei Giudici di Palazzo Spada, la normativa nazionale sopra richiamata renderebbe più difficoltoso l’accesso  delle imprese agli appalti pubblici, specie di quelle di piccole e medie dimensioni, con conseguente compromissione dell’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

Ciò posto, per comprendere appieno le ragioni che hanno condotto il Collegio a rimettere la questione alla Corte di Giustizia, è opportuno ripercorrere brevemente la vicenda processuale.

L’Università La Sapienza di Roma indiceva una procedura aperta per l’affidamento del servizio di pulizia da espletarsi nei locali in uso dell’Università degli studio di Roma la Sapienza, da aggiudicarsi mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Il predetto appalto veniva aggiudicato ad una RTI per un importo complessivo di € 31.744.359, 67 per un ribasso del 30,74%.

Avverso tale aggiudicazione proponeva ricorso la seconda in graduatoria, deducendo che l’offerta aggiudicataria era essenzialmente basata sul subappalto a cooperative sociali per una quota superiore al 30% previsto dall’art. 118 commi 2 e 4 del D.lgs 163/2006 (oggi art. 105 D.lgs 50/2016), con un ribasso sulle prestazioni affidate superiore al 20%.

Il TAR adito accoglieva le doglianze della seconda in graduatoria.

La decisione veniva impugnata innanzi al Consiglio di Stato dalla prima classificata, e dalla seconda in graduatoria mediante appello incidentale.

Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sulla vicenda, ha ritenuto necessario, per la decisione, analizzare la compatibilità della normativa nazionale, in particolare dell’art. 118 commi 2 e 4 del D.lgs 163/2006 (oggi art. 105 del Dlgs 50/2016) con le direttive euro unitarie nn. 2004/18 e 2014/24.

Più precisamente, i Giudici di Palazzo Spada si interrogano circa la compatibilità delle limitazioni quantitative al subappalto previste dalla richiamata normativa nazionale, con i principi di libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, di cui alle Direttive richiamate, che non prevedono limitazioni quantitative.

In altri termini, la questione sollevata dal Consiglio di Stato è se le Direttive euro unitarie in materia di subappalto, che non prevedono limitazioni quantitative allo stesso, ostino ad una normativa nazionale che, al contrario, introduca delle restrizioni in tal senso.

Nel tentativo di fornire una risposta al quesito ritenuto dirimente ai fini della decisione, il Collegio traccia un excursus relativo alla introduzione di limitazioni quantitative al subappalto nell’ordinamento interno, introdotte a far data dalla legge n. 55/1990, con l’intento di fronteggiare una situazione di grave emergenza, coinvolgente interessi ed esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo.

Il Collegio dà, altresì, atto del fatto che la compatibilità della disposizione nazionale, con le richiamate normative euro unitarie, è stata oggetto di rimessione alla Corte di Giustizia da parte del TAR Lombardia.

Ciò chiarito, i Giudici di Palazzo Spada, nell’argomentare sulla necessità della rimessione della questione alla Corte di  Giustizia, evidenziano il contenuto della disciplina europea relativa al subappalto.

In particolare, la normativa di riferimento è contenuta nell’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE, che non contempla alcun limite quantitativo al subappalto.

In virtù della normativa richiamata, le restrizioni alla libertà di stabilimento vengono vietate.

Ciò perché, come sancito dal trattato sul funzionamento dell’UE e confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi garantiscono la mobilità delle imprese e dei professionisti dell’UE.

L’obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi è rappresentato dall’abolizione di ogni discriminazione basata sulla nazionalità, perseguito anche attraverso l’adozione di ogni misura volta a facilitarne l’esercizio, compresa l’armonizzazione delle norme nazionali di accesso o il loro riconoscimento reciproco.

Infatti, gli articoli 49 e 59 TFUE ostano ad ogni misura nazionale che sia in grado di vietare, di ostacolare o di rendere meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

La previsione contenuta nei commi 2 e 4 dell’art. 118 del D.lgs 163/2006, potrebbe porsi in contrasto con la normativa eurounitaria sopra richiamata, volta a consentire la più ampia concorrenza possibile, posto che vengono introdotte delle restrizioni non espressamente consentite dall’Unione Europea.

In virtù dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, pertanto, la previsione contenuta nell’art. 118 commi 2 e 4 del D.lgs n. 163/2006, dei limiti generali dettati dai due commi dell’art. 118 in questione (contenenti rispettivamente un limite generale del 30% per il subappalto, con riferimento all’importo complessivo del contratto, impedendo agli operatori economici di subappaltare una parte cospicua delle opere, pari al 70%, nonché un limite del 20% al ribasso da applicare ai subappaltatori), può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici, così ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e precludendo, agli stessi acquirenti pubblici l’opportunità di ricevere offerte più numerose e diversificate.

Tale limite, non previsto dalle direttive richiamate, comporta una restrizione della facoltà di ricorrere al subappalto per una parte del contratto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favore per l’accesso delle piccole e medie imprese.

In virtù delle motivazioni di cui sopra e delle criticità emerse circa la compatibilità della normativa nazionale con quella eurounitaria, i Giudici di Palazzo Spada, quali Giudici di ultima istanza hanno ritenuto doveroso rimettere la questione emersa alla Corte di Giustizia, dalla quale si attende lo scioglimento del nodo interpretativo in oggetto.