Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 maggio 2018, n. 2907

Il danno da perdita di chance presuppone una rilevante probabilità del risultato utile frustrata dall’agire illegittimo dell’amministrazione, non identificabile nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, bensì nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile, se non addirittura la prova certa di una probabilità di successo almeno pari al cinquanta per cento o quella che l’interessato si sarebbe effettivamente aggiudicato il bene della vita cui aspirava (Cons. St., sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1403; id., sez. V, 27 dicembre 2017, n. 6088; id., sez. V, 25 febbraio 2016, n. 762; id., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4822.)”.

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Il Consiglio di Stato, in merito alle domande risarcitorie (danno emergente e lucro cessante) proposte dalla ricorrente, conferma la decisione del TAR, motivando altresì il rigetto di tali istanze nel modo seguente:

  1. quando il Giudice Amministrativo annulla (in tal caso per vizi della procedura) un provvedimento ma fa salva la riedizione del potere, il quale può essere esercitato in maniera libera (ossia senza alcun vincolo dal punto di vista del risultato: c.d. “giudicato conformativo”), tale annullamento non può mai costituire fonte di una obbligazione risarcitoria in quanto quest’ultima si può configurare solo in presenza di un c.d. “giudicato di spettanza”, ossia solo quando il Giudice abbia accertato il diritto del ricorrente al conseguimento del bene della vita ed abbia quindi imposto alla PA il contenuto da dare al provvedimento oggetto della suddetta riedizione. E’ solo in tale secondo caso che – ove venga riscontrata, in sede di riedizione del potere, l’impossibilità e/o la mancata esecuzione del giudicato – potrà essere riconosciuto il diritto al risarcimento (art. 112 comma 3 D.lgs. 104/2010).

Nel caso di specie, il TAR ha annullato, per difetto di motivazione, la delibera con la quale il Comune ha deciso di abbandonare la partecipazione al programma nazionale di edilizia, obbligando lo stesso Ente ad esplicitare la motivazione di tale provvedimento, ossia ad integrarne il contenuto in modo congruo, ma senza imporre al medesimo l’adozione di un provvedimento di contenuto diverso (che, in tal caso, avrebbe significato la ripresa di tutto quanto il procedimento di partecipazione, e quindi, in teoria, l’invio della proposta della ricorrente al Ministero ai fini della definitiva approvazione).

 

  1. Non è fondato il richiamo della ricorrente alla norma dell’avviso pubblico la quale stabiliva, a carico del Comune, un’obbligazione risarcitoria nel caso in cui “non si dovesse dar corso alla procedura di approvazione o la stessa procedura di approvazione non si dovesse concludere in modo positivo”.

Il Consiglio di Stato motiva tale infondatezza con il fatto che, in base al medesimo avviso, la proposta di intervento poteva considerarsi “approvata” non già con il semplice recepimento da parte del Comune, bensì soltanto con la (appunto) “approvazione” da parte del Ministero (ed annessa concessione del finanziamento)

 

  1. Non possono ritenersi applicabili i principi civilistici di correttezza e buona fede fondanti la responsabilità precontrattuale in quanto, nel caso di specie, non si è in presenza di una “procedura ad evidenza pubblica” propriamente detta; e comunque non risultano integrati, a tal fine, i presupposti indicati dallo stesso Consiglio di Stato nella sentenza Ad. Plen. N. 5/2018, ossia:
  • Lesione di un legittimo affidamento, la quale, per potere essere riconosciuta, deve derivare da una condotta della PA complessivamente (ossia a prescindere dai singoli provvedimenti) contraria ai doveri di lealtà e correttezza;
  • Onere della prova, a carico del privato, sia del “danno – evento” (ossia la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale) sia del “danno – conseguenza” (ossia la perdita economica subìta a causa di scelte negoziali illecitamente condizionate), sia del nesso causale tra tali danni e l’operato della PA

Ciascuna delle motivazioni addotte dal Consiglio di Stato merita un’analisi critica, concentrata su ciascuno dei tre punti sopra elencati.

  1. Nel caso di specie, si è effettivamente trattato di un “giudicato confermativo”: il TAR ha imposto al Comune soltanto di adottare un nuovo provvedimento che motivasse congruamente il provvedimento precedente (la delibera con la quale il Comune aveva stabilito di interrompere la procedura), ma non ha, contestualmente, accertato il diritto della ricorrente alla spettanza del bene della vita (ossia all’ammissione della proposta) in quanto il conseguimento di tale bene era comunque rimesso alla valutazione discrezionale del Ministero.

Alla stregua di tale orientamento, quindi, l’annullamento, in sede giurisdizionale, del provvedimento, può determinare l’insorgere di una pretesa risarcitoria solo quando sia stata contestualmente accertata la spettanza del bene della vita.

Ora, simile orientamento, se può apparire fondato per negare il diritto al risarcimento del “lucro cessante” (la cui sussistenza è ontologicamente connessa all’accertamento della spettanza del bene), risulta meno invocabile al fine di giustificare il rigetto dell’istanza risarcitoria avente ad oggetto il “danno emergente” (anche questo negato dalla sentenza in commento).

Nella Legge 241/90, ai fini della proponibilità di una domanda risarcitoria, è sufficiente che la PA non abbia rispettato (anche solo colposamente) il termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis comma 1). Ciò in quanto, evidentemente, un provvedimento, per quanto di accoglimento dell’istanza del privato, se viene emesso tardivamente, non dà a quest’ultimo l’utilità sperata, arrecandogli quindi un danno. Pertanto: la pretesa risarcitoria del privato, se viene considerata legittima anche solo in presenza della violazione del termine finale del procedimento, a maggior ragione dovrà essere ritenuta tale (“danno emergente”) nel caso in cui sia stata giudizialmente accertata l’illegittimità del provvedimento, a prescindere dall’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio.

 

  1. Il Consiglio di Stato evidenzia che, secondo quanto previsto dall’avviso pubblico, l’approvazione della proposta di intervento era costituita soltanto dal parere del Ministero, e non anche dal recepimento da parte del Comune: quindi, il fatto che poi quest’ultimo abbia deciso di interrompere il procedimento, non è idoneo a fondare una pretesa risarcitoria in quanto, quand’anche il Comune avesse portato a termine il procedimento stesso, la proposta avrebbe comunque potuto non essere accolta dal Ministero.

Sul punto va osservato che la delibera con cui il Comune ha deciso di non dare più corso all’intera procedura di partecipazione al programma nazionale di edilizia, si è sostanziata essenzialmente in una “revoca degli atti della procedura”.

La revoca, in base all’art. 21 quinquies comma 2 della Legge 241/90, può avere ad oggetto non solo il “provvedimento” ma anche gli “atti endoprocedimentali”.

La “revoca”, in tal caso, è stata determinata da una nuova valutazione dell’interesse pubblico originariamente assunto a base dell’avviso pubblico indirizzato ai privati, la quale ha indotto il Comune a non proseguire il procedimento.

La norma sopra citata prevede a carico della PA, nel caso del provvedimento di revoca, una obbligazione indennitaria, a prescindere dall’accertamento della illegittimità del medesimo: essa non stabilisce che l’obbligo di indennizzo sorge solo nel caso in cui sia stato accertato, p. es., il difetto di motivazione; tale obbligo viene a sussistere anche quando lo stesso provvedimento sia stato congruamente motivato, e ciò evidentemente in quanto la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, per quanto effettuata con tutti i crismi della chiarezza e della trasparenza, può aver frustrato posizioni giuridiche soggettive riconosciute comunque dall’ordinamento come meritevoli di tutela (art. 21 quinquies comma 1: “Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo”).

Se così è, allora, la revoca dell’atto amministrativo, ove sia stata riconosciuta dal Giudice – ciò che è accaduto nel caso di specie – come illegittima (difetto di motivazione), dovrà necessariamente determinare l’insorgere, in favore del privato danneggiato, del diritto ad un ristoro patrimoniale ben più sostanzioso di un semplice “indennizzo”: e ciò a causa della oggettiva diversità delle situazioni in quanto, se così non fosse, la revoca genererebbe, in capo alla PA, lo stesso tipo di obbligazione pecuniaria, sia nel caso in cui sia stata legittima sia nell’ipotesi in cui non lo sia stata.

Il Consiglio di Stato, quindi, ha, curiosamente, omesso di considerare che la revoca (immotivata, e perciò viziata e quindi annullata dal Giudice) degli atti da parte del Comune ha – illegittimamente – impedito alla ricorrente di veder soddisfatto il proprio interesse legittimo alla valutazione della proposta da essa presentata, e ciò ha determinato, come diretta conseguenza, l’impossibilità per il Ministero di verificare l’idoneità della stessa ai fini del relativo finanziamento.

La condotta del Comune ha quindi – illegittimamente (difetto di motivazione) – troncato fin dall’inizio ogni astratta possibilità per la ricorrente di (quanto meno) poter far approdare la propria proposta all’Ente (Ministero) preposto alla decisione finale: tale condotta, pertanto, ha, in modo illegittimo, eliminato fin dall’inizio ogni “chance” della ricorrente, sia pur solo teorica, di conseguire l’interesse per il quale quest’ultima si era determinata a partecipare alla procedura.   

 

  1. Il Consiglio di Stato afferma che la procedura avente ad oggetto l’acquisizione di proposte relative ad interventi di riqualificazione urbana (c.d. “contratti di quartiere II”), da inviare poi al Ministero Infrastrutture e Trasporti per la concessione del finanziamento, secondo le indicazioni contenute nel bando approvato con decreto Ministeriale del 21/11/2003, emanato ai sensi dell’art. 4 comma 3 della Legge 21/2001, non è, tecnicamente, una “procedura ad evidenza pubblica”, e pertanto non sussiste “l’obbligo di interpretare gli atti costitutivi di una procedura di evidenza pubblica secondo buona fede”.

In primo luogo, la suddetta procedura, siccome doveva articolarsi in varie fasi (ossia: indizione di un avviso pubblico, presentazione della proposta, valutazione da parte del Comune e, in caso di approvazione da parte di quest’ultimo, trasmissione della proposta stessa al Ministero Infrastrutture e Trasporti ai fini della decisione finale), richiama la “procedura competitiva con negoziazione” – disciplinata dall’art. 62 del D.lgs. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici) – la quale si articola in queste fasi:

  • Avviso di indizione di gara;
  • Presentazione delle domande di partecipazione;
  • Valutazione di tali domande da parte della PA;
  • Gli operatori economici, le cui domande siano state valutate positivamente, presentano un’offerta iniziale, che costituisce la base per la successiva negoziazione.

Pertanto, non si comprende bene sulla base di quale assunto la procedura oggetto della sentenza in commento non possa essere qualificata come “procedura ad evidenza pubblica” a tutti gli effetti, se l’atto di indizione è della stessa tipologia (avviso) e medesima è la scansione procedimentale (le domande vengono sottoposte ad un primo flirto di idoneità e poi divengono oggetto di un successivo confronto comparativo, al pari di quello che nel caso di specie sarebbe stato chiamato a fare il Ministero, se la procedura fosse continuata).

In secondo luogo, i c.d. “contratti di quartiere” – i quali ebbero inizio con la Legge 662/96 art. 2 comma 63 lett.b) su iniziativa del Ministero dei lavori pubblici per favorire l’integrazione territoriale e sociale delle zone in condizioni di degrado urbanistico ambientale – sono sostanzialmente dei programmi di rigenerazione urbana “partecipata”, ovvero aperta alle istanze ed alla collaborazione dei privati.

Nel D.lgs. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici), vi è un istituto – il c.d. “contratto di partenariato pubblico privato” – il quale è definito, dall’art. 3 comma 1 lett. eee), come “il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connessa all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell'operatore”. L’art. 181 comma 1 del D.lgs. 50/2016 stabilisce che “La scelta dell'operatore economico avviene con procedure ad evidenza pubblica”.

Pertanto, con l’espressione “procedura ad evidenza pubblica” si intende non soltanto quella caratterizzata da un rapporto in cui è esclusivamente la stazione appaltante a dettare le condizioni per la realizzazione dell’opera, ma anche quella contraddistinta dalla partecipazione del privato, come ad esempio la finanza di progetto (qui, ai sensi dell’art. 183 comma 10 lett. “c”, viene posto in approvazione il progetto definitivo approvato dal promotore).

In terzo luogo (ma non in ordine di importanza!), stupisce – e non poco – l’affermazione secondo cui l’obbligo della PA di interpretare gli atti di un procedimento amministrativo secondo criteri di correttezza e buona fede, sussisterebbe soltanto in relazione alle procedure ad evidenza pubblica: tali criteri, alla luce dell’art. 1 della Legge 241/90, costituiscono “principi generali dell’attività amministrativa”, che quindi, in quanto comuni a qualsiasi agire della Pubblica Amministrazione, debbono essere applicati anche alle procedure diverse dagli appalti (ed in ogni caso si è visto che la procedura oggetto della sentenza in commento non può non essere qualificata come “procedura ad evidenza pubblica”).

Il Consiglio di Stato afferma, infine, che, in ogni caso, non risultano essere presenti, ai fini della responsabilità precontrattuale della PA (e quindi, nel caso di specie, di una eventuale condanna del Comune al rimborso delle spese di progettazione), i presupposti previsti dalla sentenza Ad. Plen. 5/2018, quali:

● una condotta della PA che, nel suo complesso, sia stata contraria ai doveri di correttezza e lealtà;

● tale condotta deve essere stata colposa o dolosa;

● il privato deve provare il danno (sia sotto il profilo della sussistenza in sé della lesione sia sotto l’aspetto degli effetti da questa prodotti) nonché il nesso causale.

Anzitutto, che la condotta del Comune sia stata scorretta – a prescindere dall’annullamento per difetto di motivazione, in sede giurisdizionale, della delibera di revoca degli atti della procedura – lo ha riconosciuto anche il TAR, il quale ha affermato che il Comune “ben avrebbe potuto… invitare, in doverosa prospettiva collaborativa, alla modifica del progetto, per adeguarlo alle necessità ed agli indirizzi dell’Amministrazione…, non concretando il parere negativo espresso dalla Commissione ragione di immediata esclusione”.

Quanto all’onere, a carico della ricorrente, di dimostrare il “danno – evento”, il “danno – conseguenza” ed il “nesso causale”, al punto 2) della presente analisi si è evidenziato che, ai sensi dell’art. 21 quinquies della Legge 241/90, la revoca dell’atto amministrativo (in tal caso, la delibera con cui il Comune ha deciso di interrompere la procedura) determina, a carico della PA, una obbligazione indennitaria anche quando la stessa è stata posta in essere in modo legittimo. Di conseguenza – lo si ribadisce – la revoca stessa dovrà, fatalmente, condurre al riconoscimento, in favore del privato, di un diritto patrimoniale avente dimensione più risarcitoria che indennitaria nel caso in cui ne sia stata accertata dal Giudice la illegittimità, e quindi in questo secondo ordine di casi anche gli oneri probatori sopra citati dovrebbero subire, causa la diversità oggettiva delle fattispecie, un’attenuazione.

In conclusione, non si intende in questa sede affermare il diritto della ricorrente al risarcimento del danno da lucro cessante da essa richiesto, in quanto, effettivamente, non vi era comunque certezza in ordine al fatto che, se il procedimento avviato dal Comune fosse andato avanti, il Ministero avrebbe approvato la proposta in via definitiva e concesso il finanziamento e che quindi la ricorrente avrebbe senz’altro ottenuto l’utile che si era prefissata di conseguire dalla realizzazione delle opere.

Ma non ci può esimere dal riconoscere quanto meno spropositata, alla luce delle norme sopra richiamate, la decisione del Consiglio di Stato di non accordare alla ricorrente non soltanto il risarcimento del danno emergente, ma anche un’ulteriore ristoro patrimoniale.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7107 del 2012, proposto dal Consorzio Aracne s.c.a r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Fortunato, e con questi elettivamente domiciliato in Roma alla via XX Settembre n. 987E presso lo studio dell’avv. Guido Lenza, per mandato a margine dell’appello, nonché dall’avv. Antonio Marotta, per mandato a margine dell’atto di costituzione di ulteriore difensore;

contro

Comune di Battipaglia, in persona del Sindaco in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Lullo, e con questi elettivamente domiciliato in Battipaglia alla piazza Aldo Moro n. 1, per mandato a margine della memoria di costituzione nel giudizio d’appello, con indirizzo di posta elettronica certificata g.lullo@pec.comune.battipaglia.sa.it;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti

Società Cooperativa Madonna delle Grazie non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione 1^, n. 992 del 28 settembre 2012, resa tra le parti, nella parte in cui, pur accogliendo i ricorsi in primo grado riuniti nn. 2150/2004 e n.r. 3216/2004, ha ritenuto inammissibile, allo stato, la domanda risarcitoria con gli stessi proposta.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Battipaglia e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 marzo 2018 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi per l’avv. Marcello Fortunato per il Consorzio Aracne s.c.a r.l, l’avv. Giuseppe Lullo per il Comune di Battipaglia e l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.) Il Comune di Battipaglia, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 70 del 28 giugno 2004, ha ritenuto di promuovere una procedura tesa alla partecipazione al finanziamento di un programma innovativo di recupero urbano (denominato “contratti di quartiere II”), rientrante negli interventi e nei limiti delle risorse finanziarie di cui ai dd.mm. 27 dicembre 2001 n. 2522 e 2522 e secondo le indicazioni contenute nel bando approvato con d.m. 21 novembre 2003, emanati ai sensi della legge n. 21/2002.

1.1) Con la predetta delibera, dopo aver individuato la zona del programma innovativo (zona di Belvedere di sopra), ha demandato ai dirigenti comunali l’adozione di tutti i provvedimenti necessari e idonei, con approvazione di uno schema di avviso pubblico per acquisizione di manifestazioni d’interesse di proposte private d’intervento coerenti con gli obiettivi riqualificativi.

1.2) Alla procedura selettiva hanno presentato domanda di partecipazione in costituenda associazione temporanea d’imprese Consorzio Aracne s.c. a r.l., Battipaglia Sviluppo S.p.A., Cassa di Mutualità del Sannio s.c. a r.l. e Consorzio Habitat s.c. a r.l.

1.3) La costituenda associazione è stata esclusa dalla commissione all’uopo istituita sul rilievo che il bando, al punto 2), non prevedeva la partecipazione di associazioni temporanee d’impresa.

1.4) Con ricorso in primo grado n.r. 2150/2004 le predette imprese, in proprio e quali componenti dell’a.t.i. costituenda, hanno impugnato l’esclusione, deducendo in sintesi le seguenti censure:

1) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 in relazione all’art. 3 del bando di cui al d.m. n. 2521 del 27 dicembre 2001 e del d.m. 21 novembre 2003, degli artt. 3 e 41 Cost., dei principi generali in tema di procedure concorsuali - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, in relazione alla generale facoltà, per i soggetti ex se muniti di legittimazione alla partecipazione alle gare, di riunirsi in associazione temporanea, a prescindere da espresse previsioni del bando.

2) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 in relazione all’art. 3 del bando di cui al d.m. n. 2521 del 27 dicembre 2001 e del d.m. 21 novembre 2003, degli artt. 3 e 41 Cost., dei principi generali in tema di procedure concorsuali - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché essendo pacifica la qualificazione di ciascuna delle imprese ricorrenti ai sensi dell’art. 2 del bando, non può negarsi la loro ammissione nella forma dell’a.t.i. costituenda.

3) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 in relazione all’art. 3 del bando di cui al d.m. n. 2521 del 27 dicembre 2001 e del d.m. 21 novembre 2003, degli artt. 3 e 41 Cost., dei principi generali in tema di procedure concorsuali - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché in relazione al principio del favor partecipationis l’esclusione può essere disposta solo in presenza di clausola specifica ed espressa.

4) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 in relazione all’art. 3 del bando di cui al d.m. n. 2521 del 27 dicembre 2001 e del d.m. 21 novembre 2003, degli artt. 3 e 41 Cost., dei principi generali in tema di procedure concorsuali - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, in relazione all’illegittimità del bando se interpretabile nel senso che consenta l’esclusione.

1.4) Con ordinanza n. 1080 del 26 agosto 2004 il T.A.R., a conferma di decreto monocratico presidenziale n. 939 del 14 luglio 2017, accoglieva l’istanza cautelare, ai fini dell’esame della domanda, che veniva esclusa nuovamente in relazione alla ritenuta non completa corrispondenza della proposta progettuale alle finalità dell’avviso pubblico perché riguardante anche aree esterne sia alla perimetrazione allegata alla delibera di consiglio comunale n. 70/2004 che alla planimetria consegnata dall’Ufficio pianificazione territoriale.

1.5) Con primi e secondi motivi aggiunti al ricorso le ricorrenti hanno impugnato anche il nuovo provvedimento di esclusione, deducendo in sintesi:

5) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 d.m. 21 novembre 2003, avviso pubblico approvato con la deliberazione consiliare n. 70/2004 in relazione agli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, in relazione all’assoluta genericità della motivazione relativa alla pretesa non completa rispondenza della proposta progettuale alle finalità del bando e dell’avviso pubblico.

6) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 d.m. 21 novembre 2003, avviso pubblico approvato con la deliberazione consiliare n. 70/2004 in relazione agli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché al contrario la proposta progettuale è rispondente sia quanto a tipologia e categoria degli interventi, sia quanto alla sua perimetrazione, coincidente con quella contenuta nella deliberazione n. 70/2004 (secondo quanto può evincersi dal semplice raffronto tra le due planimetrie), non potendosi né dovendosi tener conto invece della planimetria consegnata ai concorrenti dall’ufficio comunale pianificazione territoriale che in quanto difforme è viziata sotto il profilo dell’incompetenza

7) Violazione di legge (art. 3 della legge n. 21/2001 d.m. 21 novembre 2003, avviso pubblico approvato con la deliberazione consiliare n. 70/2004 in relazione agli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché la reiterata esclusione palesa l’intento sviato che ha caratterizzato l’attività dell’amministrazione.

8) Violazione di legge (d.m. 21 novembre 2003, deliberazione consiliare n. 70/2004) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, ribadendosi che la perimetrazione è quella ricavabile dalla deliberazione consiliare.

9) Violazione di legge (d.m. 21 novembre 2003, deliberazione consiliare n. 70/2004) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché la perimetrazione di cui alla planimetria allegata alla deliberazione consiliare non è stata oggetto di alcuna specifica approvazione.

10) Violazione di legge (d.m. 21 novembre 2003, deliberazione consiliare n. 70/2004) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento - Violazione del giudicato di cui all’ordinanza n. 1080/2004, perché l’esame della proposta progettuale sarebbe dovuto avvenire in relazione alla perizia giurata prodotta in giudizio dalle ricorrenti.

11) Violazione di legge (d.m. 21 novembre 2003, deliberazione consiliare n. 70/2004) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché in presenza di due perimetrazioni divergenti la commissione avrebbe dovuto dar conto delle ragioni per cui attribuiva prevalenza all’una rispetto all’altra.

12) Violazione di legge (d.m. 21 novembre 2003, deliberazione consiliare n. 70/2004) - Eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto, difetto di istruttoria, erroneità, travisamento, sviamento, perché l’avviso pubblico consentiva all’amministrazione di indicare ai concorrenti modifiche delle proposte progettuali "secondo gli indirizzi dell'amministrazione".

1.7) Nel giudizio si è costituito il Comune di Battipaglia che ha dedotto l’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti.

1.6) Con deliberazione n. 103 del 30 settembre 2004 il Consiglio Comunale ha disposto di non approvare la proposta relativa al programma di riqualificazione urbana e sociale del comprensorio di Belvedere di sopra denominata “Contratto di quartiere II”.

1.7) Avverso tale determinazione il solo Consorzio Aracne s.c. a r.l. ha proposto il ricorso in primo grado n.r. 3216/2004, deducendone l’illegittimità sotto vari profili; il Comune di Battipaglia non si è costituito in giudizio.

1.8) Con ordinanza collegiale istruttoria n. 741 del 22 aprile 2011, il T.A.R. ha disposto consulenza tecnica d’ufficio per verificare “se sussista o meno corrispondenza tra il progetto prodotto dalla associazione temporanea ricorrente e la perimetrazione effettuata dal Consiglio comunale di Battipaglia in ordine al contratto di quartiere per cui è causa”.

2.) Con sentenza n. 992 del 28 settembre 2012, il T.A.R. ha deciso i ricorsi, già riuniti con ordinanza collegiale n. 197 del 21 settembre 2010.

2.1) Il T.A.R. ha testualmente ritenuto che:

4.- Ciò posto, nell’ordine logico delle questioni sottoposte all’attenzione del Collegio (ed affidate ai ricorsi principali ed ai relativi motivi aggiunti), assume carattere preliminare e pregiudiziale (con correlativa inversione dell’ordine cronologico) la delibazione di legittimità dell’atto conclusivo della procedura, con il quale, come si è osservato, l’intero programma di riqualificazione oggetto di controversia subiva un definitivo e generalizzato arresto procedimentale in forza della decisione assunta, a maggioranza, dal Consiglio comunale: e ciò in quanto – laddove la sottesa scelta amministrazione dovesse resistere alle avverse doglianze – l’intero apparato critico prospettato in relazione sia alla mancata ammissione che alla sfavorevole valutazione delle proposte formulate perderebbe di interesse, con consequenziale improcedibilità delle relative doglianze (e con gradata concentrazione della materia del contendere sulla succedanea domanda risarcitoria, in ordine alla quale non sarebbe, beninteso, irrilevante l’apprezzamento di idoneità della proposta, in ordine alla quale, tra l’altro, il Collegio ebbe a disporre, in prospettiva istruttoria, apposita consulenza tecnica).

Tanto premesso, nei confronti della delibera di consiglio comunale n. 103/2004 il Consorzio ricorrente lamenta, in particolare, violazione di legge (d.m. 21.11.2003 in relazione all’art. 3 della l. n. 241/1990, nonché dell’art. 97 Cost.) ed eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità manifesta, sviamento, violazione dei principi generali in tema di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa: in esito ad un complesso procedimento amministrativo, che aveva visto la partecipazione qualificata di numerosi privati e l’utilizzo di notevoli risorse economiche, la decisione di non partecipare alla successiva fase di competenza ministeriale non solo non era stata supportata da idonea motivazione, ma addirittura non era stata neppure preceduta da una effettiva discussione sull’argomento posto all’ordine del giorno.

La censura è fondata.

Invero, la deliberazione in questione risulta assunta all’esito della mera espressione di voto, complessivamente sfavorevole, della compagine consiliare, senza alcuna previa dichiarazione di voto. Oltretutto la stessa (che, pur concretando scelta politico-amministrativa fondamentale dell’Ente locale, non si sottrae, per la sua concreta incidenza sul procedimento evidenziale in corso, al generale obbligo di motivazione, se non altro per salvaguardia dei maturati affidamenti) si è limitata a respingere l’argomentata e favorevole proposta elaborata dall’Ufficio pianificazione del territorio e corredata dei relativi pareri parimenti favorevoli, senza esplicitare alcuna, sia pur minima, ragione giustificativa. In sostanza, non è dato intendere, neanche per relationem, quali siano state le concrete ragioni che abbiano spinto ad interrompere, in guisa obiettivamente incoerente, il procedimento finalizzato alla attuazione dei programmati interventi edificatori.

Per tal via, la delibera in questione deve essere senz’altro annullata, beninteso con salvezza delle successive e definitive determinazioni consiliari ad assumersi in via conformativa, peraltro con congruo ed adeguato supporto motivazionale.

5. - Per quanto concerne le doglianze inerenti il vaglio negativo della proposta progettuale, deve, allo stato, rilevarsene l’inammissibilità per carenza di interesse.

È, invero, la stessa parte ricorrente a lamentare – cogliendo, sul punto, nel segno – che tali proposte avrebbero dovuto essere in ogni caso sottoposte al Consiglio comunale, il quale ben avrebbe potuto (ove anche avesse ritenuto, recependo il parere della Commissione, non immediatamente approvabile la proposta) invitare, in doverosa prospettiva collaborativa, alla modifica del progetto, per adeguarlo alle necessità ed agli indirizzi dell’Amministrazione. Per tal via – non concretando il parere negativo espresso dalla Commissione ragione di immediata esclusione dalla procedura e non prefigurando, per l’effetto, arresto procedimentale immediatamente e definitivamente lesivo – ogni doglianza nei suoi confronti potrebbe essere utilmente formulata solo (una volta rimossa, nei sensi che precedono, la preclusiva deliberazione di chiusura del procedimento) all’esito della (ipoteticamente sfavorevole) valutazione dell’organo consiliare (una volta che – rinnovando, in ottemperanza alla presente statuizione, la propria determinazione circa le definitive sorti del programma per cui è causa – dovesse beninteso risolversi, mutando avviso, a proseguirne l’iter).

È parimenti evidente – ciò che vale bene ad evidenziare le ragioni di attuale irrilevanza delle proposte questioni – che se, per contro, l’Amministrazione dovesse, in guisa non illegittima e con adeguata motivazione, indursi a confermare il proprio risolutivo disinteresse alla coltivazione del procedimento, l’esame dei motivi di censura de quibus diventerebbe, in opposta direzione, definitivamente privo di rilievo (se non ai distinti fini dell’apprezzamento sub specie facti del comportamento amministrativo, nella pur ventilata prospettiva della responsabilità di matrice precontrattuale).

Vale, in ogni caso, la pena di soggiungere che – superata l’originaria perplessità in ordine alla impossibilità di partecipazione per le associazioni temporanee di imprese, che, invero, non aveva ragion d’essere una volta che l’accesso fosse garantito alle singole imprese in quanto tali – gli accertamenti effettuati in sede peritale (segnatamente con riguardo al grado di divergenza riscontrato tra la perimetrazione delle aree elaborata dal Comune e quella progettata da parte ricorrente) potranno prospetticamente fungere, se del caso, da utile spunto per il contraddittorio procedimentale.

6. - Quanto alla domanda risarcitoria proposta, deve statuirsene parimenti l’attuale inammissibilità, posto che solo all’esito della definizione del complessivo iter procedimentale sarà possibile verificare se il progetto del consorzio ricorrente potrà essere utilmente ammesso a finanziamento (o, se mai – nell’opposta ipotesi – sussistano i presupposti per il riconoscimento del danno in prospettiva extracontrattuale o, almeno, precontrattuale)”.

3.) Con appello spedito per la notificazione a mezzo del servizio postale raccomandato il 27 settembre 2012 e depositato il 9 ottobre 2012, il Consorzio Aracne s.c. a r.l. ha impugnato la sentenza, limitatamente alla statuizione di inammissibilità allo stato della domanda risarcitoria, deducendo, in sintesi, le seguenti censure:

1) Errore in iudicando (art. 3 legge n. 21/2002, d.m. 21 novembre 2003 in relazione all’art. 3 della legge n. 241/1999 - art. 97 Cost.) - Eccesso di potere (arbitrarietà, illogicità manifesta, sviamento) - Violazione dei principi generali in tema di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa

Il giudice amministrativo salernitano non ha considerato che, intervenuta la scadenza del 30 settembre 2004, ossia il termine entro il quale dovevano essere inoltrare al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti le proposte d’intervento da ammettere eventualmente a finanziamento, il danno si era ormai consolidato ed era irreversibile, onde si sarebbe dovuto senz’altro procedere alla sua liquidazione, non ponendosi ipotizzare alcuna successiva e diversa ulteriore determinazione da parte dell’amministrazione comunale.

In via devolutiva si ripropone quindi la domanda risarcitoria, oltre che i motivi del ricorso n.r. 2150/2004 e i relativi motivi aggiunti, contestando che possa avere rilievo preclusivo l’art. 6 comma 2 dell’avviso pubblico di selezione delle manifestazioni di interesse che, nell’escludere qualsivoglia pretesa economica, anche a titolo di rimborso spese, per i soggetti partecipanti alla selezione deve intendersi riferito alla “…mancata ammissione della proposta del privato per atto legittimo”, ciò che esula dal caso di specie.

Quanto al danno, da qualificare nei termini della responsabilità da contatto e da ricondurre al genus della responsabilità contrattuale, si chiede il risarcimento in relazione sia alle spese sostenute (indicate in “attività di consulenza urbanistica ed oneri di progettazione € 765.600,00”), sia alla perdita di chance (individuate nel “mancato utile, pari quanto meno al 20% dell'importo previsto per l'edilizia privata (€ 66.263.725,00) 13.252.745,00”) per un totale di € 14.018.345,00.

3.1) Il Comune di Battipaglia, con la memoria di costituzione in giudizio depositata il 17 marzo 2015, ha dedotto a sua volta l’infondatezza dell’appello, rilevando come:

- l’art. 6 comma 2 dell’avviso di selezione esclude in modo inequivoco ogni ristoro, anche relativo alle sole spese, non solo nel caso del “mancato inserimento delle proposte dell’operatore economico nel programma”, di bensì anche nel caso “delle proposte per le quali non viene dato corso all'approvazione” e “della mancata conclusione con esito positivo dell’intera procedura”, costituendo quest’ultima una sorta di “…clausola di salvaguardia dal contenuto particolarmente ampio da ricomprendere tutte le circostanze idonee a determinare la mancata conclusione della procedura”, ivi compresa la scadenza del termine perentorio del 30 settembre 2004, che, anche prescindendo dalla deliberazione consiliare impugnata individua una condizione “…che esclude qualsivoglia diritto per il Consorzio al risarcimento del danno ovvero alla restituzione delle spese sostenute”;

- non sussistono i presupposti per il riconoscimento del danno da perdita di chance, perché nel caso di specie la realizzazione del contratto di quartiere era subordinato alla eventuale e non certa ammissione del medesimo al finanziamento, e quindi si configurerebbe una “aspettativa di mero fatto”.

3.2) Con memoria difensiva depositata l’8 marzo 2018 il Consorzio Aracne s.c. a r.l. ha controdedotto che la clausola di cui all’art. 6 comma 2 dell’avviso pubblico “…è applicabile solo nell’ipotesi in cui la mancata ammissione della proposta del privato avvenga per atto legittimo ovvero per fatto non imputabile”, e quanto al danno ha richiamato la relazione tecnica depositata nel giudizio di primo grado, quantificandolo in complessivi € 16.174.961,84 (di cui € 15.014.808,83 pari al 50% dell’utile ritraibile; € 765.600,00 tra spese per la redazione del progetto preliminare -pari a € € 612.000,00 e spese per consulenza tecnico amministrativa -pari a € € 153.600,00- e €€ 394.553,01 per spese di gestione).

3.3) All’udienza pubblica del 29 marzo 2018 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

4.) L’appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico, onde deve essere rigettato, essendo infondate le domande risarcitorie proposte.

Preliminarmente il Collegio rileva che:

a) non sono stati impugnati i capi della decisione che: I) hanno individuato l’oggetto del giudizio e l’ordine logico delle questioni; II) hanno dichiarato l’inammissibilità dell’impugnativa della determinazione negativa assunta dalla Commissione incaricata della verifica di congruità delle proposte;

b) conseguentemente è inammissibile la riproposizione pura e semplice (da pagina 11 a pagina 34 del ricorso in appello) delle censure articolate con il ricorso di primo grado n.r.g. 2150/2014 e i connessi due atti di motivi aggiunti, stante la violazione del dovere di specificità del motivi di appello sancito dall’art. 101 c.p.a.

4.1) Quanto al riconoscimento del danno da perdita di chance, deve rammentarsi che esso, per costante giurisprudenza presuppone "una rilevante probabilità del risultato utile" frustrata dall’agire illegittimo dell'amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1403 ), non identificabile nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, bensì nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile (cfr. Sez. V, 27 dicembre 2017, n. 6088), se non addirittura -secondo più restrittivi indirizzi - la prova certa di una probabilità di successo almeno pari al cinquanta per cento (Sez. V, 25 febbraio 2016, n. 762) o quella che l’interessato si sarebbe effettivamente aggiudicato il bene della vita cui aspirava (Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4822).

Nel caso di specie, il conseguimento del bene della vita era affatto aleatorio perché condizionato:

a) all’inserimento dell’intervento nel programma di riqualificazione;

b) alla presentazione del programma di riqualificazione secondo le indicazioni del bando ministeriale ed entro il termine ivi indicato;

c) all’ammissione a finanziamento del programma di riqualificazione.

4.2) In ogni caso, l’annullamento di un provvedimento amministrativo, con salvezza del riesercizio, ad esito libero, del potere da parte della medesima amministrazione, non può mai fondare l’accoglimento di una domanda risarcitoria non venendo in rilievo un giudicato di spettanza (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, nn. 1615 del 2018, 826 del 2018 ivi i richiami applicativi dei principi elaborati sul punto dalla Plenaria n. 2 del 2017). Nella specie il T.a.r., con statuizione non impugnata, ha annullato per difetto di motivazione la delibera comunale che ha deciso di abbandonare la partecipazione al programma nazionale di edilizia sperimentale, onerando il comune di esplicitare le ragioni della sua scelta.

4.3.) Quanto al ristoro delle spese sostenute, l’avviso di selezione (mai impugnato in parte qua), all’art. 6, intitolato “Clausola di salvaguardia” - dopo aver precisato al primo comma che “Il presente avviso non costituisce offerta al pubblico ai sensi dell'art.1336 del C.C., non è impegnativo per l'amministrazione comunale e non è impegnativo per i soggetti che dovessero aderire all’invito, prima della formalizzazione dell'offerta, come stabilito nel precedente punto 5”- ha disposto al secondo e terzo comma che:

Nulla è dovuto dall’amministrazione comunale, anche a titolo di rimborso delle spese sostenute, ai soggetti proponenti le cui proposte non dovessero risultare inserite nel programma o per le quali non si dovesse dar corso alla procedura di approvazione, o la stessa procedura di approvazione non si dovesse concludere in senso positivo

Il recepimento delle proposte private d'intervento all'interno del programma non costituirà in ogni caso approvazione della proposta d'intervento, la cui effettiva attuabilità è condizionata alla positiva conclusione dell'intera procedura di approvazione e finanziamento del programma stesso”.

Orbene è evidente che se nemmeno il recepimento delle proposte nel programma costituisce approvazione della proposta d’intervento, e che la sua attuabilità è condizionata alla conclusione dell’intera procedura di approvazione e finanziamento del programma (ad opera dell’Amministrazione statale a ciò preposta), non può operarsi alcuna utile distinzione ai fini dell’esclusione di ogni forma di riconoscimento economico per le proposte private presentate, nemmeno nella forma di rimborso delle spese sostenute.

4.4.) Sotto tale angolazione non possono neppure trovare ingresso i principi elaborati dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, n. 2497 del 2016; sez. IV, n. 156 del 2013) circa la inefficacia di clausole del bando di gara che esonerino la p.a. da qualsiasi responsabilità precontrattuale e l’obbligo di interpretare gli atti costitutivi di una procedura di evidenza pubblica secondo buona fede: nella specie, infatti, non si è in presenza di una autentica procedura di evidenza pubblica e la clausola in esame non esonera preventivamente la p.a. dalla responsabilità civile a titolo di responsabilità precontrattuale.

Responsabilità che, in ogni caso – oltre a non essere stata espressamente allegata - non potrebbe ritenersi configurabile alla luce degli stringenti parametri individuati dalla Plenaria n. 5 del 2018; in particolare non si ravvisa l’affidamento incolpevole del soggetto coinvolto nelle trattative, relativamente al mancato rimborso delle spese di progettazione, e non è provato il danno patrimoniale (derivante dalla lesione della libertà di autodeterminazione negoziale) rappresentato dalle perdite economiche subite (a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate) diverse da quelle ritraibili a titolo di lucro cessante (c.d. interesse positivo, di cui non si ammette il ristoro).

5.) In conclusione l’appello in epigrafe, e le domande risarcitorie con esso riproposte, deve essere rigettato.

6.) La peculiarità e novità della vicenda integrano le eccezionali ragioni che, nondimeno, a mente del combinato disposto degli artt. 26 c.p.a. e 92 c.p.c, consentono di disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n.r. 7107 del 2012, come in epigrafe proposto, così provvede:

1) rigetta l’appello e le domande risarcitorie con esso riproposte:

2) dichiara compensate per intero tra le parti le spese del giudizio d’appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere