Relazione al convegno organizzato dall’Università degli studi di Catanzaro e dal T.A.R. Calabria, il 21 maggio 2018, sul tema “Appalto di servizi e gratuità della prestazione. A proposito di un recente dibattito giurisprudenziale.
1. La funzione economico-sociale dell’incarico tecnico-professionale.
Nel campo del diritto civile, l’incarico professionale costituisce l’oggetto di un contratto d’opera intellettuale, disciplinato dall’art. 2222 e segg. c.c., in base al quale l’assuntore svolge la prestazione affidatagli prevalentemente con il lavoro personale.
Proprio la prevalenza dell’apporto individuale rispetto a quello organizzato differenzia il contratto d’opera intellettuale dall’appalto che, a mente dell’art. 1655 c.c., è il «contratto con cui una parte assume, con l’organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro».
L’oggetto della prestazione è lo stesso in ambedue contratti, e si traduce nell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione col committente e con assunzione del rischio[1].
A distinguere a i due tipi contrattuali è, invece, la diversa qualità personale – di imprenditore commerciale o di professionista – del contraente esecutore, mentre la circostanza che questi si sia avvalso di collaboratori, occasionali o fissi, non può, di per sé, dimostrare la qualità di imprenditore, che presuppone l’utilizzo di una complessa organizzazione di fattori produttivi, incompatibile con la locatio operis[2].
Quanto esposto, subisce una digressione di non poco momento, con riferimento agli incarichi professionali soggetti alla regolamentazione del codice dei contratti pubblici, approvato con D.lgs. n. 50/2016.
Si tratta, principalmente, delle prestazioni di architettura, di ingegneria o di altra natura tecnica, come la direzione dei lavori, la direzione dell’esecuzione, il coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, il coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, il collaudo, le indagini e le attività di supporto, che l’art. 3, lett. vvvv), del codice definisce come «servizi riservati ad operatori economici esercenti una professione regolamentata ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2005/36/CE».
Identica condizione riguarda pure le prestazioni professionali legali qualificabili come «servizi legali», in base al combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. d), 140 e segg. e dell’allegato IX del codice dei contratti pubblici.
L’identificazione della prestazione professionale in termini di “servizio”, se non ne modifica l’oggetto (che resta un’opera intellettuale), incide sulla sua disciplina legale, posto che l’art. 157, comma 3, ne vieta l’affidamento «per mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse da quelle previste dal presente decreto», con ciò volendo significare che tale tipologia di incarichi può essere conferita esclusivamente a mezzo di procedure e contratti di appalto.
Questo determina una trasformazione della struttura e della funzione sociale dell’incarico, ben colta, principalmente, dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha affermato che le prestazioni professionali soggette alla disciplina del codice dei contratti pubblici (nella fattispecie, si trattava di prestazioni legali) devono ritenersi attratte alla nozione di appalto di servizi, sicché la qualità di “appaltatore” deve riconoscersi non solo a chi è tale secondo la nozione civilistica, ma anche al professionista che partecipa ad una gara pubblica per l’affidamento di un servizio di natura intellettuale; quanto, poi, allo specifico settore legale, l’ampiezza della nozione di appalto di servizi abbracciata dal codice è tale da ricomprendere tutti gli affidamenti pubblici, senza distinzione alcuna tra il conferimento di un singolo incarico e l’attribuzione, in termini generali, di una consulenza-difesa dell’ente per un determinato periodo di tempo[3].
Nel riformare tale ultimo arresto, il giudice d’appello ha tenuto separate le due fattispecie, specificando che il conferimento di un singolo incarico episodico, legato alla necessità contingente, non costituisce “appalto di servizi legali”, ma integra un “contatto d’opera intellettuale”, che esula dalla disciplina dell’evidenza pubblica, diversamente dall’incarico di consulenza e di assistenza a contenuto complesso, inserito in un quadro articolato di attività professionali organizzate sulla base dei bisogni dell’ente.
Ma, sulla problematica fondamentale, il Consiglio di Stato ha ribadito che la prestazione intellettuale, quando è qualificata dalla legge come “servizio”, costituisce l’oggetto di un contratto di appalto – caratterizzato, sotto il profilo dell’organizzazione, da un quid pluris di continuità e complessità – e non di un contratto d’opera intellettuale, quale species del genus “contratto di lavoro autonomo”.
Più in particolare, ha affermato che «il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richiede un elemento di specialità, per prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. L’affidamento di servizi legali è, a questa stregua, configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce»[4].
E della stessa opinione è la Corte dei conti, secondo cui «il confine fra contratto d’opera intellettuale e contratto d’appalto, sul piano civilistico individuabile in base al carattere intellettuale delle prestazioni oggetto del primo e in base al carattere imprenditoriale del soggetto esecutore del secondo, sfuma in relazione alla disciplina dei contratti pubblici… [che] adotta quindi una nozione ampia di appalto di servizi che comprende, dal punto di vista soggettivo, anche l’attività del professionista»[5].
D’altro canto, ai fini fiscali, gli introiti prodotti dalle società di avvocati di cui all’art. 4-bis della legge 31 dicembre 2012 n. 247, costituiscono reddito d’impresa e non reddito da lavoro autonomo[6].
Ciò in quanto, l’esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d’impresa, risultando «determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria, piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale» e sembrando «difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata, a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario»[7].
Sempre con riferimento alle prestazioni intellettuali forensi, va ricordato che, recentemente, il Consiglio di Stato ha sospeso l’adozione del parere sulle linee guida per l’affidamento dei servizi legali, di cui alla nota ANAC 3 agosto 2017 n. 98019, ponendo la questione che «la selezione del contraente deve essere necessariamente orientata all’individuazione del professionista più adatto allo svolgimento della prestazione richiesta, secondo criteri che tengano conto della difficoltà dell’incarico e delle competenze necessarie ad espletarlo. Vero è che, tuttavia, per espressa indicazione del codice dei contratti pubblici, i servizi legali di cui all’art. 17, comma 1, lett. d), sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni del codice, anche in ragione di una rilevante – anche se non esclusiva – componente fiduciaria delle scelte, che pure deve essere tenuta in considerazione. Peraltro, andrebbe anche verificata la compatibilità di una regolazione particolarmente stringente e dettagliata con il divieto di gold plating (art. 1 l. 28 gennaio 2016 n. 11, di delega per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014)» e sollecitando, in proposito, un apporto valutativo del CNF, del Ministero della Giustizia, del MIT e del Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri[8].
Mentre, ancor più recentemente, va registrata l’opinione secondo cui, anche la scelta del singolo legale da parte dell’ente pubblico, pur non qualificandosi come contratto d’appalto (e non necessitando, quindi, di una procedura comparativa di stampo concorsuale), deve ugualmente essere condotta nel rispetto dei princìpi generali dell’azione amministrativa, comportando la disposizione di risorse pubbliche[9].
2. La nozione di operatore economico.
Pur nell’indubbia complessità della materia – che coinvolge assieme l’ordinamento civile, amministrativo ed euro-unitario –, quel che appare maggiormente singolare è che la riqualificazione dell’incarico intellettuale in termini di appalto di servizi, nonostante operi esclusivamente in ipotesi di partecipazione ad una gara pubblica, non discende né dalla qualità pubblica dell’ente conferente, né dal fatto che la prestazione richiesta dal committente pubblico abbia connotazioni particolari, diverse da quelle della prestazione usualmente richiesta dal committente privato[10].
Essa deriva, invero, dal fatto che il professionista, partecipando all’incanto, assume la (ulteriore) qualità di “operatore economico”, che è il termine utilizzato a livello europeo, sin dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, per indicare i soggetti ammessi alle gare pubbliche.
Ora, la nozione di “operatore economico” non è sovrapponibile, perché più ampia, alla nozione nazionale di “imprenditore”, venendo ad identificare anche soggetti offerenti che: a) non perseguono un preminente scopo di lucro, b) non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa, c) non assicurano una presenza regolare sul mercato[11].
Ne consegue che essa ben può sussumere i professionisti che competono sul mercato degli appalti pubblici, i quali sono “operatori economici”, alla stessa stregua degli imprenditori e degli altri soggetti equiparati.
Tuttavia, secondo la posizione giurisprudenziale prevalente, condizione necessaria perché il professionista assuma la qualità di soggetto ammesso alla gara e, quindi, di “operatore economico”, ai sensi dell’art. 3, lett. vvvv), è che questi partecipi alla gara direttamente, ossia come concorrente e non come soggetto “indicato”, ai fini dell’avvalimento.
Infatti, la possibilità, per l’aggiudicatario privo dei requisiti di partecipazione per la parte relativa ai servizi di progettazione, di avvalersi di un progettista “indicato”, viene generalmente esclusa sulla considerazione che ciò non tutelerebbe gli interessi del committente pubblico, perché è soltanto il concorrente ad assumere l’obbligo contrattuale della progettazione, mentre l’ausiliario si limita ad obbligarsi, verso il concorrente e verso la stazione appaltante, a mettere a disposizione le risorse necessarie di cui è carente il concorrente, mediante apposita dichiarazione[12].
E lo stesso varrebbe, ovviamente, per l’ipotesi del subavvalimento, in cui è il progettista “indicato” a ricorrere ai requisiti posseduti da terzi[13].
Va tuttavia precisato, per un verso, che, con una più recente statuizione, il Consiglio di Stato ha affermato l’ammissibilità dell’avvalimento di un professionista esterno, da parte di un concorrente (in ispecie, una società tra professionisti), «che ne ha bisogno per integrare i requisiti di partecipazione richiesti dal bando… Tale forma di collaborazione consente ad un operatore, che sia privo di elementi esperenziali o requisiti economici, di partecipare alle procedure di gara e, d’altra parte, garantisce adeguatamente l’amministrazione, sia nella fase genetica, potendo verificare documentalmente l’effettività dell’impegno dell’ausiliaria, sia nella fase esecutiva, condividendo ausiliata ed ausiliaria la responsabilità nell’esecuzione dell’appalto»[14].
Per altro verso, che l’intera problematica è stata oggetto di rinvio pregiudiziale di compatibilità con l’art. 48 della direttiva 2004/18/CE, ad opera di due successive ordinanze di rimessione alla CGUE, nelle quali si è fatto presente come, viceversa, «secondo la giurisprudenza comunitaria (cfr., da ultimo, Corte di giustizia, 10 ottobre 2013, in C-94/12) l’istituto dell’avvalimento si applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in sede di gara»[15].
3. Funzione e forma del corrispettivo negli appalti pubblici di servizi.
La qualificazione dell’opera intellettuale come “servizio” determina non soltanto che l’affidamento dell’incarico può avvenire esclusivamente tramite una procedura ed un contratto d’appalto (e non già, quindi, senza evidenza pubblica e con un contratto di prestazione di opera), ma altresì che le norme sull’appalto operano anche nelle fasi successive della conclusione e della gestione del rapporto, in quanto l’art. 30 del codice dei contratti pubblici prescrive che, «per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, … alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile».
Sotto l’aspetto strutturale del negozio intercorrente tra la P.A. ed il professionista, tutto questo produce un mutamento aggiuntivo, poiché, ai sensi dell’art. 1655 c.c., l’appalto è un contratto avente causa esclusivamente onerosa, la cui controprestazione deve consistere esclusivamente «in denaro»[16].
Diversamente, il contratto d’opera intellettuale può essere eseguito a titolo sia oneroso che gratuito.
L’onerosità è infatti l’elemento normale, ma non essenziale dell’obbligazione del professionista, il quale, per esigere il pagamento, deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento dello stesso, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione[17].
Tale diversità dipende del fatto che, mentre l’appaltatore rende la prestazione attraverso un’organizzazione di impresa, l’obbligazione del professionista è prevalentemente personale.
D’altronde, dall’onerosità della prestazione, si fa discendere la serietà ed affidabilità della stessa, se è vero che, nel diritto vigente, «generalmente si ritiene… che l’affidamento vantato da colui che acquista a titolo gratuito sia meritevole di una minore tutela, rispetto a quello del contraente a titolo oneroso»[18].
Orbene, in base all’art. 1655 c.c., la funzione economico-sociale dell’appalto privato è rappresentata dall’organizzazione dei mezzi necessari e dalla gestione autonoma della prestazione, dietro un corrispettivo pecuniario; l’eventuale pattuizione di corrispettivi in facere o in natura fuoriesce dal tipo contrattuale[19].
Viceversa, in ambito pubblico, l’art. 3, lett. ii), del d.lgs. n. 50/2016 definisce sì l’appalto (e, di risulta, l’incarico professionale ad esso assimilato) quale contratto «a titolo oneroso», ma senza circoscrivere il campo dell’onerosità alle sole controprestazioni pecuniarie, «in denaro», come nel settore privato.
La previsione di una causa onerosa, ma non necessariamente agganciata ad un corrispettivo pecuniario, è un precipitato del recepimento della direttiva 93/37/CE, sugli appalti pubblici di lavori, in base alla quale «gli appalti pubblici di lavori sono contratti a titolo oneroso»[20].
Sul punto, infatti, la Corte di giustizia europea, dopo avere inquadrato come appalto di lavori una convenzione con cui il costruttore, a scomputo delle opere di urbanizzazione previste in lottizzazione, si è obbligato con il Comune di Milano a realizzare la struttura esterna di un teatro, ha ritenuto, nella fattispecie, «sussistente l’elemento relativo al carattere oneroso del contratto», essendo detta pattuizione «idonea ad assicurare l’effetto utile della direttiva».
In tal modo, nella materia dei contratti pubblici, la prestazione onerosa non pecuniaria diventa equiparabile, a livello funzionale, alla previsione di un esborso pecuniario[21].
Possono così rientrare nello schema tipico dell’appalto pubblico varie ipotesi contrattuali, il cui “prezzo” viene stabilito in natura, ovvero consiste in una contrapposta obbligazione di facere o di dare, come avviene nelle concessioni di lavori e di servizi, definite dall’art. 3, lett. uu) e vv), del codice dei contratti pubblici, come contratti d’appalto in cui la stazione appaltante riconosce al privato, a titolo di corrispettivo dell’affidamento, unicamente il diritto di gestire le opere od i servizi oggetto del contratto, ovvero tale diritto accompagnato da un prezzo in denaro.
Altra importante ipotesi derogatoria è poi costituita dall’appalto con corrispettivo immobiliare, di cui all’art. 191 D.lgs. n. 50/2016, che vede la sostituzione, integrale o parziale, del prezzo in denaro, con il trasferimento all’appaltatore «della proprietà di beni immobili appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice».
Trattandosi di un’evidente eccezione alla regola civilistica secondo cui il compenso dovuto all’appaltatore è necessariamente espresso in una somma di danaro, l’istituto è soggetto a stretta interpretazione, escludendosene l’estensione analogica, ad es. mediante la previsione del trasferimento di beni mobili (quali le opere provvisionali già esistenti sul cantiere), in favore dell’impresa aggiudicataria, a scomputo del corrispettivo dovuto dall’amministrazione per lo stato avanzamento riferito allo smontaggio delle strutture[22].
Dunque, per come sin qui illustrato, la causa onerosa che accomuna il settore privato e quello pubblico fa sì che il contratto d’appalto di servizi professionali non tolleri l’assenza di un corrispettivo a carico del committente.
Nell’eventualità, l’operazione si configura come un contratto atipico o come una donazione obbligatoria indiretta, ossia un negozio giuridico atipico che, pur non avendo la forma della donazione, è mosso da fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario[23] e che, come tutte le donazioni indirette, resta soggetta alle norme generali sulla riunione fittizia del donatum al relictum nella successione del disponente, sulla collazione e sull’azione di riduzione delle donazioni.
4. La determinazione del corrispettivo.
Quanto alla determinazione del corrispettivo, per le sole prestazioni professionali tecniche (quindi, non per i “servizi legali”), l’art. 24, comma 8, del codice del contratti pubblici rinvia ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l’approvazione di apposite tabelle, commisurate al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività richieste[24].
L’importo così risultante va utilizzato dalle stazioni appaltanti «quale criterio o base di riferimento, ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento».
Detto corrispettivo, sempre per le prestazioni professionali tecniche, dev’essere effettivo e non aleatorio.
Sotto il primo aspetto, il comma 8-ter stabilisce che, «nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria e architettura, la stazione appaltante non può prevedere quale corrispettivo forme di sponsorizzazione o di rimborso, ad eccezione dei contratti relativi ai beni culturali, secondo quanto previsto dall’art. 151».
Sotto il secondo, il comma 8-bis prescrive che «la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico-amministrative ad essa connesse» non può essere subordinata, dalla stazione appaltante, «all’ottenimento del finanziamento dell’opera progettata».
La mancanza, nel codice dei contratti pubblici, di previsioni analoghe alle precedenti, a vantaggio dei “servizi legali”, è oggi, almeno in parte, colmata dall’entrata in vigore dell’art. 19-quatordecies, comma 3, del d.l. 16 ottobre 2017 n. 148, convertito, con modifiche, dalla legge 4 dicembre 2017 n. 172, che ha esteso alla pubblica amministrazione «il principio dell’equo compenso, in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» (6 dicembre 2017)[25].
Secondo la legge, l’equo compenso, già operante nei rapporti tra professionisti e clienti c.d. forti (banche, assicurazioni, grandi imprese), è quello che risulta conforme ad un apposito decreto del Ministro della giustizia, in quanto proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto ed alle caratteristiche della prestazione.
Le clausole che prevedono compensi inferiori sono vessatorie e, dunque, nulle di diritto, mentre l’incarico resta valido.
Inoltre, con la stessa legge n. 172 del 2017, il diritto all’equo compenso nei rapporti con la P.A., inizialmente previsto per le sole professioni legali, è stato esteso a tutti i professionisti iscritti in ordini e collegi.
Proprio in ragione dell’impatto che la novella reca sulla disciplina dei servizi professionali regolati dal codice dei contratti pubblici, il Consiglio di Stato, in sede di parere sulle linee guida ANAC in tema di affidamento di servizi di architettura ed ingegneria, ha segnalato la necessità di un «coordinamento con la recente introduzione dell’obbligo di riconoscere alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dalla pubblica amministrazione un equo compenso»[26].
Detto opinamento del Consiglio di Stato impone all’interprete di rivedere, alla luce della normativa sull’equo compenso, taluni arresti giurisprudenziali in materia di incarichi professionali, che si sono consolidati negli anni.
Questo vale, anzitutto, con riferimento all’orientamento formatosi sull’offerta di un prezzo pari (o molto prossimo) a zero, la quale è inammissibile, perché da considerarsi alla stregua di una “mancata offerta”[27].
Tale arresto, trova sicuramente conferma nella nuova disciplina sull’equo compenso.
A diversa conclusione deve invece giungersi, con riguardo al correttivo apportato alla predetta regola, secondo cui, anche «un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, come nel caso di ricadute positive che possono discendere per l’impresa in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum, dall’essersi aggiudicata e dall’avere poi portato a termine un prestigioso appalto».
Pertanto, prima di configurare un’offerta economica complessivamente pari a zero, ma composta da più voci, in termini di mancata offerta, «è necessario ponderare, per comprendere se ci si trovi di fronte ad un’offerta affidabile e seria, l’offerta nel suo complesso»[28].
Tale arresto, invero, appare oggi difficilmente sostenibile, quanto alla materia degli incarichi professionali, alla luce della normativa sull’equo compenso.
Oltre a ciò, l’art. 24, comma 8-ter (prima) e la disciplina sull’equo compenso (dopo) hanno definitivamente spento un dibattito che si era acceso nel mondo delle professioni, sancendo l’impossibilità che, per il futuro, nei servizi di ingegneria e architettura, possano essere previsti, «a titolo di corrispettivo», forme di rimborso delle spese[29].
La querelle è sorta, a seguito di una decisione del giudice amministrativo, che ha giudicato legittima la scelta di un’amministrazione comunale di bandire – ovviamente, prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 56/2017 – una gara per l’affidamento di un incarico di progettazione, a fronte del solo rimborso spese[30].
La pronuncia muove dalla considerazione per cui «l’espressione “contratti a titolo oneroso” può assumere, per il contratto pubblico, un significato attenuato o in parte diverso rispetto all’accezione tradizionale e propria del mondo interprivato. In realtà, la ratio di mercato…, di garanzia della serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente, può essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto»[31].
Nella specie concreta, tali vantaggi sono individuati nel «potenziale ritorno di immagine per il professionista… che rappresenta un interesse economico, seppure mediato, che appare superare – alla luce della ricordata speciale ratio – il divieto di non onerosità dell’appalto pubblico, e consente una rilettura critica dell’asserita natura gratuita del contratto di redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro. L’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico, di cui qui si verte, una controprestazione contrattuale anche se a risultato aleatorio, in quanto l’eventuale mancato ritorno (positivo) di immagine (che è naturalmente collegato alla qualità dell’esecuzione della prestazione) non può dare luogo ad effetti risolutivi o risarcitori».
La decisione, contrastante con la prassi dell’ANAC[32] ed alquanto criticata in dottrina[33], deve, per l’appunto, ritenersi superata, con l’entrata in vigore sia del nuovo testo dell’art. 24 del codice dei contratti pubblici, sia della normativa sull’equo compenso.
Rimane forse un’ultima problematica aperta, che solo apparentemente esula dalle vicende relative ai professionisti, ma che comunque è bene menzionare, perché è oggetto di rinvio pregiudiziale alla CGUE.
Essa riguarda il contenzioso apertosi sulla concessione, da parte della Regione Veneto, di un finanziamento di scopo in favore di un ospedale religioso classificato, finalizzato alla realizzazione di uno specifico prodotto terapeutico, a fronte del quale il soggetto beneficiario si è impegnato a fornire lo stesso prodotto alle strutture sanitarie pubbliche che ne avessero fatto richiesta, senza ulteriore procedura di gara e dietro rimborso delle sole spese di trasporto[34].
Quel che va compreso è se, nel sinallagma “finanziamento regionale vs. fornitura gratuita ad aziende regionali”, sia ravvisabile un contratto pubblico d’appalto, sul presupposto che «l’esecutore della fornitura riceva un significativo vantaggio economico da parte di un’amministrazione pubblica, allorché sia ragionevole ritenere, che detto finanziamento sia finalizzato proprio alla realizzazione del servizio o della fornitura in favore di altre amministrazioni pubbliche», e se esso sia compatibile con la normativa europea.
Ebbene, ove un simile collegamento negoziale si riproponga all’interno di un rapporto tra un’amministrazione (finanziatrice) ed un professionista (beneficiario), a sua volta obbligatosi a rendere servizi intellettuali gratuiti, e sia da qualificare vuoi in termini di appalto di servizi, vuoi in termini di incarico di opera intellettuale, la domanda che ne seguirebbe è se esso sia coerente, o meno, con la normativa sull’equo compenso.
[1] Rosapepe, L’appalto, in AA.VV., Contratti d’impresa, Milano, 1993, 240.
[2] Cass. civ., Sez. II, 27 gennaio 1997 n. 819.
[3] T.A.R. Lazio, Latina, 20 luglio 2011 n. 604.
[4] Cons. Stato, Sez. V, 11 maggio 2012 n. 2730, che richiama AVCP, determinazione 7 luglio 2011 n. 4.
[5] Corte conti, Sez. contr. Lombardia, 15 maggio 2014 n. 178.
[6] Agenzia delle entrate, risoluzione su interpello 7 maggio 2018 n. 35/E.
[7] MEF, Direzione della legislazione tributaria e del federalismo fiscale, parere 19 dicembre 2017 n. 43619.
[8] Cons. Stato, Comm. spec., 6 ottobre 2017 n. 2109.
[9] T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 11 dicembre 2017 n. 1289, in relazione ad un avviso pubblico per l’affidamento di singoli incarichi di difesa in giudizio.
[10] Non a caso, il progettista pubblico e quello privato rispondono entrambi dinanzi al giudice ordinario dei danni cagionati al committente, stante la natura meramente privatistica del loro rapporto, a differenza del direttore dei lavori, che ne risponde dinanzi alla Corte dei conti, essendo legato alla P.A. da un vero e proprio rapporto di servizio (cfr. Cass. civ., Sez. un., 23 settembre 2016 n. 18691).
[11] CGCE, Sez. IV, 23 dicembre 2009, CoNisma, in C-305/08 e 18 dicembre 2007, Frigerio, in C-357/06.
[12] Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2016 n. 4881 e 13 marzo 2014 n. 1251.
[13] Cons. Stato, Sez. III, 1 ottobre 2012 n. 5161.
[14] Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2018 n. 2381.
[15] Cons. Stato, Sez. V, ord. 4 giugno 2015 n. 2737 (relativa ad un giudizio poi rinunziato) ed ord. 17 febbraio 2016 n. 636.
[16] Cass. civ., Sez. I, 5 agosto 1995 n. 8630.
[17] Cass. civ., Sez. II, 23 novembre 2016 n. 23893.
[18] Guerriero, Il (difficile) perimetro applicativo del negozio a titolo gratuito, in Iurisprudentia.it, 9 novembre 2017.
[19] Giannattasio, L’appalto, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1967, pag. 99.
[20] Caranta, I contratti pubblici, II ed., Torino, Giappichelli, 2012, 212 ss.; Dallari, Le opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione, in Mastragostino (a cura di), La collaborazione pubblico-privato e l’ordinamento amministrativo. Dinamiche e modelli di partenariato in base alle recenti riforme, Torino, Giappichelli, 2011, 415 ss.
[21] CGCE, Sez. VI, 12 luglio 2001, Bicocca, in C-399/98, § 76.
[22] ANAC, parere di precontenzioso 17 luglio 2013 n. 126.
[23] Giannattasio, op. loc. cit.
[24] Attualmente, è vigente il D.M. 17 giugno 2016.
[25] Carbone, L’equo compenso dei liberi professionisti: le novità della legge di bilancio 2018, in Il Quotidiano giuridico, 2018.
[26] Cons. Stato, Comm. Spec., 22 dicembre 2017 n. 2698.
[27] Cons. Stato, Sez. III, 1 marzo 2016 n. 1307; Sez. V, 16 luglio 2010 n. 4624; Sez. III, 15 gennaio 2013 n. 177; contra, tuttavia, Cons. Stato, Sez. VI, 17 settembre 2009 n. 5583.
[28] Cons. Stato, Sez. V, 30 ottobre 2017 n. 4978.
[29] La disposizione è stata introdotta con il D.lgs. 19 aprile 2017 n. 56.
[30] Marzano, Affidamento di incarico professionale senza corrispettivo: il potenziale ritorno di immagine per il professionista quale utilità economicamente apprezzabile in sostituzione del compenso, in Dir. amm. 2018, 168 ss.
[31] Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 2017 n. 4614.
[32] ANAC, determinazione 5 dicembre 2001 n. 24.
[33] Clarich, Appalti senza compenso. Sull’affidamento gratuito, il rischio sotto traccia di un rapporto di scambio, in Edilizia e territorio, Il Sole 24-Ore, 5 ottobre 2017.
[34] Cons. Stato, Sez. V, 4 ottobre 2017 n. 4631.