Consiglio di Stato, sez. III, 15.05.2018, n. 2881

Il danno da perdita di chance è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito in quanto o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora le spetterà il risarcimento del lucro cessante, ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance

La sola illegittimità di un atto della amministrazione, pur non fornendo elementi inconfutabili nel senso della sussistenza di una condotta colposa da parte dell'amministrazione, nondimeno fornisce rilevanti elementi nel senso di una presunzione relativa di colpa per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione delle regole dell'agere amministrativo ad essa imposte.

La colpa della pubblica amministrazione viene individuata, dunque, nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione (cfr.

Conformi: Cass. Sez. III, 13.10.2016 n. 2063;Consiglio di Stato, sez. III, 30/07/2013, n. 4020.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8582 del 2017, proposto da 
Pasquale Iadanza, rappresentato e difeso dagli avvocati Ornella Nucci, Gianluca Iorio, con domicilio eletto presso lo studio Serafino Conforti in Roma, via Cassia, 75; 

contro

Regione Calabria non costituito in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 04210/2017, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2018 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Ornella Nucci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1. - Con il presente gravame il medico appellante, che ha ottenuto il convenzionamento con il servizio sanitario nazionale per la medicina generale nel maggio 2011 solo a conclusione di una vicenda giurisdizionale durata oltre 10 anni, impugna in parte qua la sentenza con cui il Tar Lazio non ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale per c.d. danno emergente e lucro cessante.

2. - La sentenza impugnata ha rilevato che la parte ricorrente non avrebbe svolto alcun percorso asseverativo con riguardo alla circostanza relativa alla spettanza del bene della vita “ove la procedura selettiva si fosse svolta e conclusa, con applicazione dei criteri distillati dal giudice amministrativo, nei tempi ordinari. In altre parole, parte ricorrente – la quale ha sicuramente conseguito il bene della vita nel 2011 mediante l’allegazione di una delle zone carenti pubblicate nel 2010 – non ha né dedotto in modo circostanziato né tantomeno provato che eguale risultato avrebbe senz’altro conseguito, secondo la graduatoria dell’epoca, ove la procedura di assegnazione si fosse svolta secondo le regole già nel 2006 o quantomeno si fosse conclusa nel periodo circoscritto per l’emersione di un comportamento imputabile dell’amministrazione. In difetto di assolvimento di tale onere probatorio, gravante sulla parte ricorrente, non può essere accolta la domanda risarcitoria con riguardo al danno patrimoniale (per danno emergente e lucro cessante) dalla stessa preteso e ragguagliato al compendio stipendiale che avrebbe conseguito ove fosse stata nominata medico convenzionato fin dal 2006 o quantomeno dal 2009”.

3. - L’appello è affidato alla denuncia della violazione dei principi di diritto e giurisprudenziali in materia di elementi costitutivi della responsabilità da attività illegittima della P.A ed al motivo di erronea valutazione e travisamento dei fatti.

4. - L’Amministrazione Regionale non si è costituita in giudizio.

5. - Alla Pubblica Udienza del 19 aprile 2018, l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è fondato in parte.

1.1. - Per l’appellante, le motivazioni addotte dal TAR a sostegno del rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali sarebbero non condivisibili, atteso che, invece, la prova che il giudice di prime cure ha erroneamente escluso, risulterebbe documentalmente dagli atti, ma sarebbe stata sottovalutata.

In particolare, l’appellante ritiene che:

a) i semestri di riferimento - relativamente ai quali, solo dietro l’impulso del Commissario ad Acta, sono state individuate e bandite le c.d. “zone carenti” - sono quelli del I e II semestre 2007, I e II semestre 2008 e I e II semestre 2009, che sarebbero, comunque, stati individuati alla stessa maniera e nella stessa misura se fossero state correttamente individuate tempestivamente;

b) essendo rimasta assolutamente invariata la graduatoria unica nella quale, già dal 2006, risultava utilmente inserito, avrebbe avuto diritto, sin da allora, all’assegnazione;

Il Commissario ad acta, infatti, nel momento in cui ha assegnato le individuate zone carenti, ha utilizzato quella identica graduatoria esistente al 2006, in relazione alla quale il ricorrente occupava la medesima posizione occupata nel 2011 (All. n. 16) ed avrebbe, dunque, avuto diritto a vedersi assegnata la postazione bandita, ove la Regione avesse correttamente formulato l’art. 12.2 in tema di rapporto ottimale medico/assistiti e, per l’effetto, le competenti diramazioni territoriali avessero individuato e bandito le precitate zone carenti.

Tali particolari e documentate circostanze non potevano e non dovevano essere ignorate dal giudice di primo grado, il quale, invece, avrebbe dovuto valorizzarle come parametri di riferimento per ritenere dimostrata la sussistenza del lamentato danno patrimoniale.

In applicazione del principio di causalità giuridica, se la Regione avesse correttamente formulato l’art. 12.2 in tema di rapporto ottimale medico/assistiti e, per l’effetto, le competenti diramazioni territoriali avessero individuato e bandito le precitate zone carenti tempestivamente, il ricorrente avrebbe conseguito il bene della vita anelato, data l’utile collocazione in graduatoria.

Evidente quindi il nesso di causalità immediata e diretta ai sensi dell’art. 1223 c.c. .

La presente vicenda sostanziale ha avuto inizio nel 2006 e l’articolato iter processuale si è concluso soltanto nel maggio 2010, grazie all’insediamento del Commissario ad Acta, la cui nomina, resasi necessaria dopo la persistente e ingiustificabile mancata ottemperanza, ha consentito di individuare e bandire oltre 250 “zone carenti”, una delle quali assegnata all’odierno appellante.

La Regione Calabria, in altri termini, di fronte all’imperativo obbligo di dare esecuzione al giudicato che annullava la D.G.R. 580 dell’8 agosto 2006 (sentenza TAR Lazio, sez. III bis, n. 9909 del 26.9.2007, confermata da C.d.S., Sez. V, n. 241 del 20.1.2009), ha piegato il perseguimento del pubblico interesse – che si sarebbe dovuto concretizzare, nel caso di specie, oltre che nella tutela dei numerosi medici le cui legittime aspettative erano state frustrate per molti anni e dei cittadini calabresi a poter liberamente operare la scelta del medico costituzionalmente garantita, anche nell’ottemperare ad un preciso ordine derivante da un provvedimento giurisdizionale – a primariamente “sterilizzare”, attraverso illegittime metodiche di calcolo, la inevitabile portata dirompente del “nuovo” articolo 12.2 ed, in subordine, a rimandare il più possibile, nel tempo, la introduzione di una nuova norma, che avrebbe garantito l’accesso di tanti medici aventi diritto al convenzionamento nell’ambito dell’assistenza primaria.

La condotta illegittima e illecita della Regione Calabria, afferma l’appellante, ha determinato un “danno ingiusto” sotto il profilo della lesione di posizioni giuridicamente tutelate.

Lo stesso primo giudice (pag. 10 sentenza gravata) avrebbe riconosciuto che:

-- sarebbe emersa chiaramente la sussistenza, quantomeno in termini di colpa grave, dell’indispensabile elemento psicologico, così come il nesso eziologico tra la condotta violativa del giudicato posto in essere e il danno ingiusto;

-- già per l’ambito territoriale di Cosenza si sarebbe dovuto fare corretta applicazione della “regula iuris” fissata dal giudice;

Il rapporto già in atto tra il medico iscritto nella relativa graduatoria e l’amministrazione sanitaria pubblica nel suo complesso, giustificherebbe se non l’adesione alla discussa categoria del “contatto sociale qualificato” (pure utilizzata recentemente dalla Corte di Cassazione,), quanto meno la correttezza della qualificazione della responsabilità della P.A. come “speciale”; mentre, nella responsabilità extracontrattuale, difetta un preesistente rapporto giuridico tra il danneggiato e l’autore dell’illecito.

Al contrario, invece, la responsabilità della P.A. derivante dalla lesione di un interesse legittimo si inserisce necessariamente all’interno del rapporto già instaurato tra P.A. e privato, che si svolge secondo le regole predefinite di un percorso procedimentalizzato.

L’illegittima formulazione dell’art. 12.2 e la dolosa, ritardata ottemperanza del giudicato, successivamente, hanno impedito (ergo: interrotto) l’attivazione di quel procedimento a formazione progressiva, costituito dalla individuazione delle zone carenti, dalla loro messa al bando e dalla conseguente assegnazione per cui il ricorrente ha dovuto attendere ben cinque anni prima di poter, finalmente, diventare medico di famiglia.

In conseguenza, l’appellante chiede la liquidazione del danno, comprensivo tanto del c.d. danno emergente che del lucro cessante, pari al corrispettivo che un medico convenzionato avrebbe percepito nel periodo in contestazione, anche parametrato allo stipendio medio di un MMG con un numero di assistiti pari a 650, sulla scorta di quella stessa CTP versata in atti, che il TAR ha pure valorizzato per la quantificazione del diverso danno da perdita di chance.

1.2. - Con un ulteriore profilo, l’appellante lamenta che la sentenza di primo grado non avrebbe colto nel segno neppure nella parte in cui afferma che “…la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria può essere ravvisata dal marzo 2009 e, cioè, dal momento della costituzione in mora della Regione per l’ottemperanza alla sentenza conformativa di secondo grado” (pag. 9 sentenza impugnata), dato che la condotta causativa dei lamentati danni avrebbe avuto origine, non solo e non tanto in un provvedimento illegittimo, quanto da una complessiva condotta illecita a formazione progressiva.

2. - L’assunto merita adesione nei sensi e nei limiti che seguono.

2.2. - Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale per c.d. lucro cessante e danno emergente per la ritenuta mancanza di prova certa circa il sicuro conseguimento del bene della vita ove la procedura di individuazione delle aree carenti si fosse svolta tempestivamente, in ottemperanza al giudicato, tuttavia ritenendo la sussistenza di apprezzabili possibilità di conseguimento del medesimo bene e, quindi, riconoscendo al ricorrente il risarcimento del danno da perdita di "chance".

Come è noto, i due tipi di danno sono alternativi: il danno da perdita di chance è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito in quanto o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora le spetterà il risarcimento del lucro cessante, ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance (Cass. Sez. III, 13.10.2016 n. 20630).

2.3. - Invece, ad avviso del Collegio, che condivide la prospettazione contenuta in appello, la prova del diritto del ricorrente all’assegnazione è rappresentata dall’inserimento utile nella graduatoria del 2006, alla quale ha attinto il Commissario ad acta per la nomina nel 2011, una volta correttamente individuate le zone carenti, unico elemento della sequenza procedimentale che andava completato con l’applicazione della nuova formulazione dell’art. 12.2 sul ‘rapporto ottimale’.

Peraltro, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria (elemento psicologico, nesso di causalità, danno ingiusto) è già affermata dall’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado.

Pertanto, il ricorrente, avendone fornito la prova, ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno e non del danno da perdita di chance.

2.4. - Quanto all’ulteriore profilo di appello, concernente il momento a decorrere dal quale si può ritenere la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, la sentenza appellata correttamente esclude l’elemento soggettivo nel comportamento regionale, quantomeno fino alla sentenza d’appello del gennaio 2009, perché, come afferma la sentenza di questo Consiglio di Stato, Sez. V, n. 241 del 20.1.2009 (punto 4.1.3) a conclusione della vicenda concernente la legittimità della D.G.R. n. 580/2006 che recepisce l’Accordo integrativo regionale, la norma di cui all’art.12.2 sul ‘rapporto ottimale “medico/assistiti” era sicuramente di “disagevole lettura”.

L’illegittimità dell’atto, che ha condotto all’annullamento, non fa emergere, dunque, quel profilo di colpevolezza nel comportamento dell’Amministrazione che necessita ai fini della configurazione di responsabilità risarcitoria.

2.4.1. - Per inciso, va ricordato che l'art. 30, co. 2, c.p.a. ha introdotto nell'ordinamento l'azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto da illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, individuando il presupposto alla base dell'azione risarcitoria per danni da attività provvedimentale, nella illegittimità dell'atto e nel mancato esercizio di quella obbligatoria; il successivo comma 3 fa esplicito riferimento all'elemento soggettivo dell'illecito, quale dolo o colpa, per la quantificazione del danno.

Tale previsione era stata acquisita già in via interpretativa nella giurisprudenza anteriore all'entrata in vigore del c.p.a., laddove era evidenziato che la sola illegittimità di un atto della amministrazione, pur non fornendo elementi inconfutabili nel senso della sussistenza di una condotta colposa da parte dell'amministrazione, nondimeno fornisce rilevanti elementi nel senso di una presunzione relativa di colpa per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione delle regole dell'agere amministrativo ad essa imposte.

La colpa della pubblica amministrazione viene individuata, dunque, nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 30/07/2013, n. 4020).

Viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Per la configurabilità della colpa dell'Amministrazione, in altri termini, occorre avere riguardo al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità. E, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell'Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l'azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell'imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell'errore scusabile (cfr. ex multis Cons. St., sez. IV., 31 marzo 2015, n. 1683; 28/07/2015, n. 3707).

2.4.2. - Facendo applicazione dei richiamati principi nel caso in esame, l’elemento psicologico e il nesso di causalità si ravvisano solo a decorrere dal marzo 2009, ovvero dalla messa in mora dell’Amministrazione regionale a seguito della sentenza definitiva di annullamento della D.G.R. n. 580/2006 ( C.d.S., sez. V, n. 241/2009) che, pur annullando la norma regionale concernente il ‘rapporto ottimale’, dava atto, tuttavia, della difficoltà interpretativa della normativa risultante dall’accordo integrativo regionale, così da escludere la configurabilità di colpa a carico dell’Amministrazione stessa.

Il comportamento colposo causativo del danno, peraltro, può ravvisarsi solo fino al 7 maggio 2010, data della nota dirigenziale con cui la Regione ha invitato le ASL a provvedere secondo i giusti criteri alla ricognizione delle zone carenti; mentre i tempi successivi del procedimento sono imputabili alle singole ASL, non evocate in giudizio, come ritenuto dal primo giudice.

2.5. - Il risarcimento del danno patrimoniale da c.d. mancato guadagno esclude, come già detto, il risarcimento del danno da perdita di chance, il cui importo liquidato dal primo giudice, pertanto, deve ritenersi non dovuto.

2.6. - In merito al “quantum”, il danno va liquidato equitativamente, non essendo possibile un calcolo neppure presuntivo del numero di scelte che avrebbe potuto conseguire il medico se tempestivamente nominato.

A tal fine, appare ragionevole assumere a base di calcolo la retribuzione indicata dal Consulente di parte in primo grado, pari ad euro 2.171 mensili (importo ottenuto moltiplicando la quota pari a euro 3,34 spettante per ogni assistito nella regione Calabria per un carico verosimile pari a 650 assistiti), da corrispondersi per mesi 15 (periodo marzo 2009/ maggio 2010, durante il quale si è ravvisata la sussistenza della responsabilità della Regione), per un importo complessivo di euro 32.565,00, oltre interessi e rivalutazione come per legge.

Occorre tener conto che l’Amministrazione non si è costituita in appello e non ha dedotto la realizzazione di vantaggi patrimoniali conseguiti nel periodo considerato dal ricorrente, il che non consente l’applicazione del c.d. principio della “compensatio lucri cum damno” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,16 gennaio 2017, n. 100).

3. - In conclusione, in parziale accoglimento dell’appello, va dichiarato il diritto del ricorrente al risarcimento del danno patrimoniale (per danno emergente e lucro cessante) da liquidarsi equitativamente nella misura complessiva di euro 32.565,00, oltre interessi e rivalutazione come per legge, con conseguente condanna della Regione Calabria al pagamento delle somme dovute.

4. - Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2.500,00 oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie in parte l 'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto del ricorrente al risarcimento del danno da liquidarsi equitativamente nella misura complessiva di euro 32.565,00, oltre interessi e rivalutazione come per legge e condanna la Regione Calabria al pagamento delle somme dovute.

Condanna la Regione alle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 2.500,00 oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere

Giorgio Calderoni, Consigliere

GUIDA ALLA LETTURA

Nella sentenza in commento si controverte in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria a carico della P.A.. Il ricorrente, in particolare, impugna la sentenza resa dal TAR nella parte in cui non ha riconosciuto allo stesso il risarcimento del danno patrimoniale per danno emergente e lucro cessante per il periodo antecedente al conseguimento del bene della vita, sul presupposto dell’asserita illegittimità del comportamento tenuto dalla P.A.

Secondo la tesi sostenuta dai Giudici di primo grado, il ricorrente non ha fornito al riguardo alcun elemento probatorio, non ha cioè dedotto in modo circostanziato né tantomeno provato che, ove l’Amministrazione avesse agito correttamente sin dall’inizio, il bene della vita gli sarebbe spettato ugualmente. La sentenza di primo grado riconosce invece il danno da perdita di chance, ritenendo sussistenti apprezzabili possibilità di conseguimento del bene medesimo. Come è noto, i due tipi di danno sono alternativi: il danno da perdita di chance è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito in quanto o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora le spetterà il risarcimento del lucro cessante, ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance (Cass. Sez. III, 13.10.2016 n. 20630).

Tuttavia, il Consiglio di Stato ritiene di non aderire a tale impostazione ritenendo che la prova della spettanza del bene della vita ( ossia nella specie la prova del diritto del ricorrente alla nomina/assegnazione quale medico di base) fosse ben presente agli atti, essendo costituita dall’inserimento utile del ricorrente nella graduatoria risalente a ben cinque anni prima rispetto al momento (2011) in cui egli è stato effettivamente nominato, grazie all’insediamento del Commissario ad acta.

Pertanto, il ricorrente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno e non del danno da perdita di chance.

Con riferimento agli ulteriori elementi della fattispecie risarcitoria, il Consiglio di Stato ricorda che l'art. 30, co. 2, c.p.a. ha introdotto nell'ordinamento l'azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto da illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, individuando il presupposto alla base dell'azione risarcitoria per danni da attività provvedimentale, nella illegittimità dell'atto e nel mancato esercizio di quella obbligatoria; il successivo comma 3 fa esplicito riferimento all'elemento soggettivo dell'illecito, quale dolo o colpa, per la quantificazione del danno.

Come è noto, tale previsione era stata acquisita già in via interpretativa nella giurisprudenza anteriore all'entrata in vigore del c.p.a., laddove era evidenziato che la sola illegittimità di un atto della amministrazione, pur non fornendo elementi inconfutabili nel senso della sussistenza di una condotta colposa da parte dell'amministrazione, nondimeno fornisce rilevanti elementi nel senso di una presunzione relativa di colpa per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione delle regole dell'agere amministrativo ad essa imposte.

La colpa della pubblica amministrazione viene individuata, dunque, nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 30/07/2013, n. 4020).

Viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Per la configurabilità della colpa dell'Amministrazione, in altri termini, occorre avere riguardo al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità. E, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell'Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l'azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell'imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell'errore scusabile (cfr. ex multis Cons. St., sez. IV., 31 marzo 2015, n. 1683; 28/07/2015, n. 3707).

(Facendo dunque applicazione dei richiamati principi nel caso in esame, il C.d.S. ritiene che: l’elemento psicologico e il nesso di causalità si ravvisano solo a decorrere dal marzo 2009, ovvero dalla messa in mora dell’Amministrazione regionale a seguito della sentenza definitiva di annullamento della D.G.R. n. 580/2006 ( C.d.S., sez. V, n. 241/2009) che, pur annullando tale norma regionale, dava atto, tuttavia, della difficoltà interpretativa della normativa risultante dall’accordo integrativo regionale, così da escludere la configurabilità di colpa a carico dell’Amministrazione stessa.

Il comportamento colposo causativo del danno, peraltro, può ravvisarsi solo fino al 7 maggio 2010, data della nota dirigenziale con cui la Regione ha invitato le ASL a provvedere secondo i giusti criteri alla ricognizione delle zone carenti; mentre i tempi successivi del procedimento sono imputabili alle singole ASL, non evocate in giudizio, come ritenuto dal primo giudice).