Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 aprile 2018, n. 3
L’interdittiva antimafia, comportando incapacità ex lege, preclude all’imprenditore la titolarità della posizione soggettiva che lo renderebbe idoneo a ricevere somme dovutegli dalla Pubblica Amministrazione a titolo risarcitorio;
l’art. 67, comma 1, let. g) del Codice delle leggi antimafia non può che essere interpretato se non nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A.;
la mancata corresponsione delle somme di denaro non è dovuta ad una modifica del giudicato, ma proprio alla incapacità della persona fisica o giuridica di riceverle;
l’interdittiva antimafia non incide sull’obbligazione dell’Amministrazione, ma sulla “idoneità” dell’imprenditore ad essere titolare dei diritti di credito.
Consiglio di Stato
Adunanza plenaria
Sentenza 6 aprile 2018, n. 3
Presidente: Pajno - Estensore: Forlenza
FATTO
1.1. La V Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 28 agosto 2017, n. 4078, ha rimesso a questa Adunanza Plenaria la questione concernente la possibilità di erogare da parte di una pubblica amministrazione somme di danaro, spettanti a titolo di risarcimento del danno, in favore di un soggetto che sia stato attinto - prima della definizione del giudizio risarcitorio - da un'informativa interdittiva antimafia, conosciuta solo successivamente alla formazione del giudicato e taciuta dal soggetto stesso, ovvero se il giudicato favorevole, comunque formatosi, obblighi in ogni caso l'amministrazione a darvi corso e a corrispondere, quindi, la somma accertata come spettante
Nel caso di specie, la società Nabav, attuale ricorrente in sede di ottemperanza, aveva partecipato ad una gara di appalto indetta dal Comune di Torraca ed aveva ottenuto, all'esito di un complesso contenzioso, una favorevole pronuncia risarcitoria.
La società ricorre, quindi, perché venga disposta l'ottemperanza alla sentenza di questo Consiglio di Stato, sez. V, 11 febbraio 2014, n. 644, con la quale è stata pronunciata la condanna del Comune di Torraca a corrispondere alla predetta società la somma di euro 123.005,03, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento danni per l'illegittima mancata aggiudicazione dell'appalto relativo all'esecuzione di lavori di bonifica di un costone roccioso.
1.2. È da aggiungere - ai fini della completa cognizione della res iudicanda - che in data 19 luglio 2013 la Nabav era destinataria di una informativa interdittiva antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 3, e 91, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 (cd. Codice delle leggi antimafia) e tale circostanza era resa nota dalla Prefettura di Caserta solo con nota 2 febbraio 2015, dopo che il Comune di Torraca si era attivato al fine di provvedere al pagamento reso necessario dalla pubblicazione della citata sentenza n. 644/2014.
L'esistenza dell'informativa interdittiva era stata posta dal Comune di Torraca a fondamento del ricorso per revocazione, proposto avverso la sentenza n. 644/2014, poi respinto da questo Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza 16 marzo 2016, n. 1078.
Secondo tale sentenza:
"il provvedimento interdittivo antimafia a carico della Nabav Costruzioni, il quale nel caso di specie riveste il ruolo di documento sconosciuto al Comune perché non esibito dall'interessata e dunque costituirebbe la ragione della revocazione, è stato emesso il 19 luglio 2013, quindi in data sì antecedente alle sentenze 26 settembre 2013, n. 1956 e 11 febbraio 2014, n. 644, che però sono pronunce di esecuzione, o più sostanzialmente di attuazione di un giudicato risalente al 2011, che dunque deve restare intangibile rispetto ad un provvedimento particolarmente grave e tra l'altro confermato nella sua legittimità dal giudice amministrativo in primo e secondo grado, ma sempre successivo a ciò che in uno Stato di diritto non può essere più messo in discussione, fatte salve le ragioni di revocazione che nel caso di specie non sussistono per evidenti ragioni temporali oppure non sono state evocate nel giudizio.
Né può avere rilievo il fatto che le indagini che hanno portato al provvedimento prefettizio interdittivo del 19 luglio 2013 sono iniziate nel 2007, poiché nel periodo intercorrente tra il 2007 ed il luglio 2013 non è scaturita alcuna realtà giuridica impeditiva della partecipazione alla gara della Nabav oppure del riconoscimento delle sue ragioni che, si ripete, vanno rinvenute nelle sentenze 26 settembre 2013, n. 1956 e 16 agosto 2011, n. 4787.
Quanto alla possibilità di accordi transattivi tra il Comune di Torraca e la Nabav Costruzioni non se ne intravede spazio, vista la regola di cui all'art. 67 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 che impedisce alle pubbliche amministrazioni di trattare con soggetti colpiti da interdittiva; il fatto di corrispondere una cifra inferiore a quella al tempo determinata da questo Consiglio di Stato rientra nella discrezionalità amministrativa del Comune ed eventualmente può essere autorizzata dal tribunale ordinario competente ai sensi del comma 3 dell'art. 67 predetto, ove il tribunale stesso ravvisi ragioni di gravità delle quali questo Collegio giudicante non può entrare (...)".
1.3. A seguito di quanto esposto, l'ordinanza di rimessione rileva come il Comune di Torraca sollevi il problema della effettiva eseguibilità della sentenza, pur munita di forza di giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c., essendo emerso a carico dell'impresa vittoriosa in giudizio (ed attuale ricorrente) una informativa interdittiva sfavorevole ed in presenza della preclusione di cui all'art. 67, comma 1, lett. g), del Codice delle leggi antimafia (in base al quale "le persone alle quali viene applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: ... g) contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali".
2.1. La Sezione rimettente, precisato che "non vi è alcuna controversia in ordine all'an della pretesa risarcitoria in quanto tale", ritiene che la questione vada sottoposta all'Adunanza Plenaria "trattandosi di questione della massima importanza e che può dar luogo anche a contrasti di giurisprudenza".
L'ordinanza precisa, in particolare:
- non assume alcun rilievo preclusivo la sentenza n. 1078/2016, di rigetto del ricorso per revocazione, poiché "pur avendo quella sentenza affermato il principio della sostanziale intangibilità del giudicato risarcitorio rispetto all'interdittiva antimafia del luglio 2013, la sua valenza non può che restare ragionevolmente limitata all'accertamento o meno del dedotto vizio revocatorio (nel caso in esame il ricorso era stato proposto ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 1 - dolo processuale di una parte nei confronti dell'altra - e n. 3 - rinvenimento di documenti decisivi che non era stato possibile produrre in giudizio per causa di forza maggiore)";
- non rileva, ai fini della presente controversia, la risalenza nel tempo dell'informativa antimafia, posto che - in disparte il fatto che "nel corso dell'udienza di discussione le parti hanno confermato l'attuale vigenza di quella misura interdittiva" - "il decorso del termine annuale non priva di validità (o di efficaci) l'interdittiva, in quanto l'amministrazione è tenuta ad emettere una informativa liberatoria nei confronti dell'impresa solo laddove sopraggiungano elementi nuovi, capaci di smentire o, comunque, di superare gli elementi che hanno giustificato l'emissione del provvedimento interdittivo" (cfr. C.d.S., sez. III, n. 4121/2016).
2.2. Tanto precisato, la Sezione rimettente espone che la questione controversa involge almeno due questioni interpretative:
"i) se la previsione di cui al comma 1, lett. g), dell'art. 67 del 'Codice delle leggi antimafia' possa essere intesa anche nel senso di precludere il versamento in favore dell'impresa di somme dovute a titolo risarcitorio in relazione a una vicenda sorta dall'affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto;
ii) se osti a tale prospettazione il generale principio dell'intangibilità della cosa giudicata".
2.2.1. Quanto alla prima questione, si afferma che
"la problematica risiede nel fatto che la previsione normativa espressamente richiama "altre erogazioni dello stesso tipo", concetto generale ed al tempo stesso generico che non consente di stabilire con ragionevole certezza se vi rientri anche un credito di natura risarcitorio, definitivamente accertato in sede giurisdizionale (nel caso di specie conseguenza dell'illegittima mancata aggiudicazione di un appalto).
Mentre un'interpretazione di carattere letterale (compatibile con il carattere evidentemente afflittivo della disposizione in esame) condurrebbe ad escludere che il risarcimento del danno presenti una eadem ratio rispetto "[ai] contributi, finanziamenti o mutui agevolati" di cui è menzione nell'ambito della stessa lett. g), dall'altra parte un'interpretazione logico-sistematica (capace di valorizzare la funzione dalla norma e l'obiettivo con essa perseguito di contrasto a fenomeni di criminalità su base associativa) dovrebbe condurre a ritenere che il 'catalogo' delle ipotesi di cui alla lett. g) sia 'aperto' e che la locuzione "altre erogazioni dello stesso tipo", lungi dal 'chiudere' l'elencazione, presenti piuttosto una valenza - per così dire - 'pan-tipizzante', volta ad impedire nella sostanza l'erogazione di qualunque utilità di fonte pubblica in favore dell'impresa in odore di condizionamento malavitoso, a prescindere dalla fonte e dal tipo di tale utilità".
A tal fine, viene richiamato quanto già affermato da questa Adunanza Plenaria, con la propria decisione 5 giugno 2012, n. 9, la quale, analizzando l'art. 4 d.lgs. n. 490/1994 (coincidente con il vigente art. 67 del Codice delle leggi antimafia), ha affermato - in riferimento alla esclusione di "contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate" - che "l'ampia clausola di salvaguardia contenuta nella citata prescrizione è idonea a ricomprendervi quelle ... in cui la matrice indennitaria sia più immediatamente percepibile rispetto a quella compensativa sottesa ad ogni altra tipologia di erogazione". D'altra parte, "non si vede perché nella suddetta ratio dovrebbero rientrare unicamente le erogazioni dirette ad arricchirlo (l'imprenditore colpito da interdittiva, ndr) e non anche quelle dirette a parzialmente compensarlo di una perdita subita sussistendo per entrambe il pericolo che l'esborso di matrice pubblicistica giovi ad un'impresa soggetta ad infiltrazioni criminali".
Giova osservare che la Sezione rimettente ritiene che "gli argomenti indicati dall'Adunanza Plenaria al fine di estendere la portata preclusiva dell'art. 67 alle erogazioni aventi matrice indennitaria, ben possono essere utilizzati ... al fine di precludere altresì le erogazioni pubbliche, ancorché aventi carattere risarcitorio".
2.2.2. Quanto alla seconda questione, secondo l'ordinanza "occorre stabilire se il giudicato formale, in qualsiasi modo formatosi, impedisca in ogni caso all'amministrazione di sottrarsi agli obblighi da esso nascente di corrispondere una somma di denaro a titolo risarcitorio ad un soggetto attinto da un'informativa interdittiva antimafia mai entrata nella dialettica processuale, anche se precedente alla formazione del giudicato, oppure se le finalità e la ratio dell'informativa interdittiva antimafia diano vita ad una situazione di incapacità legale ex lege (tendenzialmente temporanea e capace di venir meno con un successivo provvedimento dell'autorità prefettizia) che produca corrispondente sospensione temporanea dell'obbligo per l'amministrazione di eseguire quel giudicato".
3. La ricorrente società Nabav Costruzioni ed il Comune di Torraca hanno depositato memorie, anche al fine della decisione da assumersi da parte di questa Adunanza Plenaria.
All'udienza di discussione in Camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
4. L'Adunanza Plenaria ritiene che la questione ad essa sottoposta trovi soluzione nella definizione in termini di "incapacità" ex lege dell'effetto derivante dalla interdittiva antimafia sulla persona (fisica o giuridica) da essa considerata, di modo che il ricorso per l'ottemperanza è da dichiararsi, conseguentemente, inammissibile.
4.1. Come è noto, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare che l'interdittiva antimafia è provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un'ottica di bilanciamento tra la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall'art. 41 Cost.
Come è stato puntualmente affermato, l'interdittiva antimafia costituisce "una misura volta - ad un tempo - alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione" (C.d.S., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).
Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione e si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall'art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche (C.d.S., sez. III, 31 dicembre 2014, n. 6465).
A tali fini, il provvedimento esclude che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come "affidabile") e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero ancora (come ricorre nel caso di specie) essere destinatario di "contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate".
4.2. Orbene, il provvedimento di cd. "interdittiva antimafia" determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (C.d.S., sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3247).
Si tratta di una incapacità giuridica prevista dalla legge a garanzia di valori costituzionalmente garantiti e conseguente all'adozione di un provvedimento adottato all'esito di un procedimento normativamente tipizzato e nei confronti del quale vi è previsione delle indispensabili garanzie di tutela giurisdizionale del soggetto di esso destinatario. Essa è:
- parziale, in quanto limitata ai rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione, ed anche nei confronti di questa limitatamente a quelli di natura contrattuale, ovvero intercorrenti con esercizio di poteri provvedimentali, e comunque ai precisi casi espressamente indicati dalla legge (art. 67 d.lgs. n. 159/2011);
- tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell'autorità amministrativa competente (il Prefetto).
In tali sensi e, in particolare, in relazione al riconosciuto carattere "parziale" dell'incapacità, l'art. 67 d.lgs. n. 159/2011 ne circoscrive il "perimetro", definendo le tipologie di rapporti giuridici in ordine ai quali il soggetto, colpito della misura, non può acquistare o perde la titolarità di posizioni giuridiche soggettive e, dunque, l'esercizio delle facoltà e dei poteri ad esse connessi.
5. Così ricostruito l'effetto prodotto dall'interdittiva antimafia sul soggetto di essa destinatario (in linea con l'ipotesi interpretativa da ultimo rappresentata dall'ordinanza di rimessione), anche la previsione di cui al comma 1, lett. g), dell'art. 67 del 'Codice delle leggi antimafia', una volta correttamente interpretata, costituisce anch'essa delimitazione dell'ambito della incapacità ex lege - come innanzi definita - nei confronti della Pubblica amministrazione e con riferimento ai rapporti con questa intercorrenti nell'ambito dell'attività imprenditoriale.
5.1. Orbene, questa Adunanza Plenaria ritiene che tale disposizione debba essere intesa nel senso di precludere all'imprenditore (persona fisica o giuridica) la titolarità della posizione soggettiva che lo renderebbe idoneo a ricevere somme dovutegli dalla Pubblica Amministrazione a titolo risarcitorio in relazione (come nel caso di specie) ad una vicenda sorta dall'affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto.
5.1.1. Questa Adunanza Plenaria ritiene - anche sulla scorta della propria precedente decisione n. 9 del 2012 - che l'espressione usata dal legislatore nell'articolo da ultimo citato e concernente il divieto di ottenere (o meglio, l'incapacità a poter ottenere), da parte del soggetto colpito dall'interdittiva antimafia, "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali", ricomprenda anche l'impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa.
Come già affermato dalla richiamata sentenza n. 9 del 2012, "l'ampia clausola di salvaguardia contenuta nella citata prescrizione è idonea a ricomprendervi quelle ... in cui la matrice indennitaria sia più immediatamente percepibile rispetto a quella compensativa sottesa ad ogni altra tipologia di erogazione". D'altra parte, "non si vede perché nella suddetta ratio dovrebbero rientrare unicamente le erogazioni dirette ad arricchirlo (l'imprenditore colpito da interdittiva) e non anche quelle dirette a parzialmente compensarlo di una perdita subita sussistendo per entrambe il pericolo che l'esborso di matrice pubblicistica giovi ad un'impresa soggetta ad infiltrazioni criminali".
Se è pur vero - come nota la ricorrente - che la precedente decisione di questa Adunanza Plenaria si riferisce specificamente ad erogazioni di matrice "indennitaria" e non "risarcitoria" (pag. 6 memoria cit.), è altrettanto vero che si è ivi affermato (e si intende ribadire nella presente sede) come la finalità del legislatore è, in generale, quella di evitare ogni "esborso di matrice pubblicistica" in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali.
In sostanza - ed è questa la ratio della norma - il legislatore intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della Pubblica Amministrazione in favore di tali soggetti, di modo che l'art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia non può che essere interpretato se non nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A.
E tale finalità - in linea con quanto innanzi affermato in ordine agli effetti della interdittiva antimafia - è perseguita dal legislatore per il tramite di una tendenzialmente (temporanea) perdita, per l'imprenditore, della possibilità di essere titolare, nei confronti della Pubblica Amministrazione, delle posizioni giuridiche riferite alle ipotesi puntualmente indicate nell'art. 67 cit.
5.1.2. A fronte di quanto esposto, non può assumere rilievo in senso contrario l'argomento che sembrerebbe potersi trarre dalla disposizione citata, laddove, oltre al divieto di disporre "contributi, finanziamenti e mutui agevolati" (casi specificamente indicati), si ricomprendono nel divieto (in senso, per così dire, più "generale") anche "altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate".
L'argomento sostenuto dalla ricorrente (v. pagg. 6-7 memoria cit.) - e che fa leva sull'espressione "dello stesso tipo" che indicherebbe una riconducibilità delle erogazioni al genus delle "provvidenze" e quindi escluderebbe le somme da corrispondersi a titolo di risarcimento - appare, come spesso nelle interpretazioni meramente letterali, poco persuasivo, essendo facilmente controvertibile.
Ed infatti, alla ricostruzione interpretativa ora riportata, ben può opporsi che gli istituti espressamente contemplati dal legislatore (contributi, finanziamenti, mutui agevolati) rientrano tutti nella più ampia categoria delle obbligazioni pecuniarie pubbliche, di modo che lo "stesso tipo" entro il quale rientrano le "altre erogazioni" interdette, ben può essere inteso come il genus delle obbligazioni pecuniarie poste a carico della Pubblica Amministrazione, quale che ne sia la fonte e la causa.
5.2. L'avere inquadrato l'effetto prodotto dall'interdittiva antimafia in termini di "incapacità" rende possibile comprendere come non assuma rilievo, nel caso di specie, il problema della "intangibilità del giudicato".
Ed infatti, se il soggetto destinatario dell'interdittiva antimafia ha una particolare forma di incapacità ex lege, come innanzi ricostruita, il problema non è più rappresentato dalla intangibilità (o meno) del giudicato che sarebbe "vulnerato" dalla ritenuta impossibilità per la Pubblica amministrazione di corrispondere le somme al cui pagamento è stata condannata con la sentenza passata in giudicato. E ciò perché l'impossibilità di erogazione non consegue ad una "incisione" del giudicato, per così dire "sterilizzandone" gli effetti, bensì consegue alla incapacità del soggetto (che astrattamente sarebbe) titolare del diritto da esso nascente a percepire quanto spettantegli.
In altri termini, l'effetto dell'interdittiva non è quello di "liberare" la Pubblica Amministrazione dalle obbligazioni (risarcitorie) per essa derivanti dall'accertamento e condanna contenuti nella sentenza passata in giudicato; così come essa non incide sulla sussistenza del diritto di credito definitivamente accertato, né sull'actio judicati, una volta che tale diritto possa essere fatto valere da parte di chi ne ha la titolarità.
Infatti, l'obbligazione risarcitoria della Pubblica Amministrazione, definitivamente accertata in sede giudiziaria, resta intatta ed indiscutibile; né può ipotizzarsi alcuna incisione del provvedimento amministrativo (e dei suoi effetti) sul giudicato.
L'interdittiva antimafia, dunque, non incide sull'obbligazione dell'Amministrazione, bensì sulla "idoneità" dell'imprenditore ad essere titolare (ovvero a persistere nella titolarità) del diritto di credito.
Il soggetto colpito dalla misura interdittiva, che pure potrebbe astrattamente essere titolare dei diritti riconosciutigli dalla sentenza passata in giudicato, risulta tuttavia essere, per ragioni diverse ed esterne, incapace ad assumere o a mantenere (per il tempo di durata degli effetti dell'interdittiva) la titolarità non già dei soli diritti accertati con la sentenza, ma, più in generale, di tutte le posizioni giuridiche comunque riconducibili all'ambito delineato dall'art. 67 del Codice delle leggi antimafia.
E, da ultimo, l'inidoneità ad essere (temporaneamente) titolare del diritto non può che comportare anche l'impossibilità di farlo valere nei confronti del debitore, in particolare postulando la tutela del credito in sede giurisdizionale.
Viceversa, una volta che venga meno l'incapacità determinata dall'interdittiva, quel diritto di credito, riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato, "rientra" pienamente nel patrimonio giuridico del soggetto, con tutte le facoltà ed i poteri allo stesso connessi, ivi compresa l'actio iudicati dal quale era temporaneamente uscito, e ciò non in quanto una "causa esterna" (il provvedimento di interdittiva antimafia) ha inciso sul giudicato, ma in quanto il soggetto che è stato da questo identificato come il titolare dei diritti ivi accertati torna ad essere idoneo alla titolarità dei medesimi.
Né la titolarità del diritto ovvero la concreta possibilità di farlo valere, una volta "recuperata" la piena capacità giuridica, potrebbero risultare compromessi, posto che, come è noto, ai sensi dell'art. 2935 c.c. "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere".
5.3. A maggior ragione, dunque, nel caso di specie non assume alcuna rilevanza quanto affermato da questo stesso Consiglio di Stato con la sentenza n. 1078 del 2016, resa nel giudizio di revocazione ed alla quale si riporta la ricorrente (v., in particolare, pag. 4 memoria depositata in data 8 novembre 2017).
Ed infatti, per un verso - come già affermato dall'ordinanza di rimessione - la valenza di detta sentenza "non può che restare ragionevolmente limitata all'accertamento della sussistenza o meno del dedotto vizio revocatorio"; per altro verso, le ragioni sin qui esposte chiariscono l'estraneità del principio di "intangibilità del giudicato" - che questa Adunanza Plenaria intende riaffermare nella sua consistenza - alla presente controversia.
6. In conclusione, l'Adunanza Plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
a) "il provvedimento di cd. "interdittiva antimafia" determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto - persona fisica o giuridica - è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159";
b) l'art. 67, comma 1, lett. g), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere, da parte del soggetto colpito dall'interdittiva antimafia, "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali", ricomprende anche l'impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa".
7. Alla luce di tutte le considerazioni sin qui esposte, il ricorso, in presenza di un evidente difetto di condizioni dell'azione - titolo e legittimazione ad agire - in capo alla ricorrente (C.d.S., Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9, ed in senso conforme, Cass. civ., sez. un., 22 aprile 2013, n. 9685), deve essere dichiarato inammissibile.
Stante la natura, novità e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da Nabav Costruzioni s.r.l. (n. 7844/2016 r.g.), lo dichiara inammissibile.
Compensa tra le parti le spese ed onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata, a seguito di rimessione da parte della V Sezione, sulla possibilità di erogare denaro da parte della PA a titolo risarcitorio nei confronti di persona fisica o giuridica che sia stata colpita da un’interdittiva antimafia prima della definizione del giudizio risarcitorio e quando di questa si sia avuta conoscenza solo successivamente alla formazione del giudicato perchè tenuta nascosta dal diretto interessato.
Le questioni principalmente sollevate con la rimessione sono state sostanzialmente due ovvero se quanto previsto dall’art. 67, co. 1, let. g) del Codice delle leggi antimafia possa essere interpretato nel senso che comprende anche la preclusione del versamento di danaro da corrispondere a titolo di risarcimento del danno derivante dalla partecipazione ad una gara d’appalto e se tale soluzione possa in qualche modo impattare con il princìpio di intangibilità del giudicato.
In relazione al primo dubbio sollevato, la Sezione V evidenzia come da una parte la disposizione di cui all’art. 67, co. 1, let. g) risulti generica lì dove fa riferimento ad “altre erogazioni dello stesso tipo”, da un’altra una interpretazione letterale escluderebbe la comprensione anche del risarcimento del danno. Infine, un’interpretazione logico-sistematica la ricomprenderebbe in quanto l’elenco di cui alla let. g) ha <<una valenza – per così dire – “pan-tipizzante”, volta ad impedire nella sostanza l’erogazione di qualunque utilità di fonte pubblica in favore dell’impresa in odore di condizionamento malavitoso, a prescindere dalla fonte e dal tipo di tale utilità>>.
In riferimento al secondo quesito, invece, la V Sezione si domanda se <<il giudicato, in qualsiasi modo formatosi, impedisca in ogni caso all’Amministrazione di sottrarsi agli obblighi da esso nascente di corrispondere una somma di denaro a titolo risarcitorio ad un soggetto attinto da un’informativa interdittiva antimafia mai entrata nella dialettica processuale, anche se precedente alla formazione del giudicato, oppure se le finalità e la ratio di questa diano vita ad una situazione di incapacità ex lege (tendenzialmente temporanea e capace di venir meno con un successivo provvedimento dell’autorità prefettizia) che produca corrispondente sospensione temporanea dell’obbligo per l’amministrazione di eseguire quel giudicato>>.
L’Adunanza Plenaria afferma che l’interdittiva antimafia comporta l’incapacità ex lege della persona fisica o giuridica con conseguente inammissibilità dell’ottemperanza.
Nel ribadire la natura di provvedimento amministrativo dell’interdittiva, la sua finalità cautelare e preventiva e la mancanza di fiducia da parte delle istituzioni che essa determina, i giudici amministrativi ricordano come la stessa produca una <<particolare forma di incapacità giuridica e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (…) che determinano (…) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione>>.
Tanto premesso l’Adunanza Plenaria specifica come l’interdittiva sia:
- <<parziale>> in quanto riguarda solo i rapporti di natura contrattuale sorti con la Pubblica Amministrazione inerenti l’esercizio di poteri provvedimentali e con riguardo ai casi indicati in maniera espressa dalla legge;
- <<tendenzialmente temporanea>> in quanto può essere rimossa da un provvedimento amministrativo del Prefetto intervenuto successivamente.
Descritta e delineata in questo modo l’interdittiva e i suoi effetti, l’Adunanza Plenaria stabilisce che la disposizione normativa <<debba essere intesa nel senso di precludere all’imprenditore (persona fisica o giuridica) la titolarità della posizione soggettiva che lo renderebbe idoneo a ricevere somme dovutegli dalla Pubblica Amministrazione a titolo risarcitorio in relazione (…) ad una vicenda sorta dall’affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto>>.
Pertanto i giudici amministrativi concludono con il far rientrare nell’art. 67, comma 1, let. g) anche l’impossibilità di ricevere somme di denaro derivanti da risarcimento danni legate all’attività imprenditoriale.
A nulla vale la contestazione mossa secondo cui il legislatore parla di erogazioni di natura indennitaria e non risarcitoria in quanto la finalità è quella di fare in modo che non vi sia concessione di denaro pubblico nei confronti di imprese infiltrate dalla criminalità organizzata.
Pertanto <<l’art. 67, comma 1, let. g) del Codice delle leggi antimafia non può che essere interpretato se non nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A.>>.
Quanto, infine, al principio di intangibilità del giudicato, l’Adunanza afferma che l’aver ricondotto l’interdittiva all’interno dell’alveo dell’incapacità risolve la problematica sollevata poichè la mancata corresponsione delle somme di denaro non è dovuta ad una modifica del giudicato, ma proprio alla incapacità della persona fisica o giuridica di riceverle.
Così <<l’interdittiva antimafia (…) non incide sull’obbligazione dell’Amministrazione, bensì sulla “idoneità” dell’imprenditore ad essere titolare (ovvero a persistere nella titolarità) dei diritti di credito. Il soggetto colpito dalla misura interdittiva, che pure potrebbe astrattamente essere titolare dei diritti riconosciutigli dalla sentenza passata in giudicato, risulta tuttavia essere, per ragioni diverse ed esterne, incapace ad assumere o a mantenere (per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva) la titolarità non già dei soli diritti accertati con la sentenza, ma, più in generale, di tutte le posizioni giuridiche comunque riconducibili all’ambito delineato dall’art. 67 del Codice delle leggi antimafia>>.
Così, una volta venuta meno l’incapacità derivante dall’interdittiva il titolare del credito potrà ritornare ad avanzare le sue pretese nei confronti del creditore, proprio sulla base <<dell’actio iudicati dal quale era temporaneamente uscito>> essendo diventato idoneo, così, ad essere titolare dei propri diritti.