Gli interrogativi che circondano la tematica relativa all’affidamento degli incarichi legali da parte delle pubbliche Amministrazioni sono ancora parecchi.
La questione controversa attiene, in particolare, all’individuazione delle modalità di conferimento degli incarichi di difesa in giudizio e di assistenza e si discute se, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti, i servizi legali in questione possano formare oggetto di affidamento diretto ovvero debba, invece, darsi luogo ad una vera e propria procedura comparativa.
Il tema è di particolare attualità stante la radicale inversione di tendenza operata dall’Anac -con lo schema di “Linee Guida per l’affidamento dei servizi legali- rispetto al diritto vivente formatosi sotto la vigenza del d. lgs. n. 163/2006.
La normativa previgente, come noto, operava una distinzione di massima - cristallizzata nella pronuncia n. 2730/2012 del Consiglio di Stato - tra singolo incarico di patrocinio legale, oggetto di affidamento diretto in quanto ascrivibile al più ampio genus dei contratti d’opera intellettuale, da un lato, e prestazioni di durata di tipo prettamente consulenziale rese mediante una struttura organizzativa complessa, qualificabili quali veri e propri appalti di servizi, dall’altro.
Senonché, all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, anche i singoli incarichi di rappresentanza in giudizio sono stati inspiegabilmente ricondotti nell’alveo dell’evidenza pubblica, richiedendo l’ANAC che pure per questi ultimi l’affidamento avvenga a seguito dell’espletamento di una procedura comparativa, nel rispetto del criterio di rotazione, tra professionisti iscritti in appositi elenchi pubblici ed in possesso dei medesimi requisiti di partecipazione richiesti agli appaltatori dall’art. 80, d. lgs. n. 50/2016.
L’esclusione del carattere fiduciario dell’affidamento degli incarichi di patrocinio legale troverebbe il proprio fondamento, secondo l’opinabile ricostruzione posta in essere dall’Autorità, nel dato normativo rinvenibile dal combinato disposto di cui agli artt. 4 e 17, co. 1, lett. d), d. lgs. n. 50/2016, oltre che nell’avvenuto superamento da parte del diritto europeo - di cui le norme codicistiche appena menzionate costituiscono il precipitato - della distinzione tra contratto di prestazione d’opera intellettuale e appalto.
Il citato art. 17, in particolare, esclude dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici l’affidamento di specifici servizi legali, tra cui la rappresentanza in giudizio, la consulenza legale prestata in pendenza o in vista dell’instaurazione di un procedimento giurisdizionale e l’assistenza connessa, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri (come, ad esempio, la redazione di un parere pro veritate).
L’affidamento di tali incarichi legali, in quanto esclusi dal campo dell’evidenza pubblica, dovrebbe in ogni caso avvenire, ai sensi dell’art. 4, d. lgs. n. 50/2016, “nel rispetto dei principi economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica”.
La ricostruzione normativa operata dall’Autorità di settore nel citato documento di consultazione incorre, tuttavia, in un salto logico: dall’applicazione dei soli principi previsti per i c.d. “contratti esclusi” vengono ricavate delle regole minime che finiscono, in realtà, per delineare una vera e propria procedura di gara.
Nonostante la bocciatura ricevuta dal Consiglio di Stato con il parere n. 2109/2017, la posizione espressa dall’ANAC nella bozza di Linee Guida in materia di affidamento dei servizi legali ha, tuttavia, ricevuto l’avallo della giurisprudenza contabile.
Quest’ultima, preoccupata evidentemente dalla sacrosanta esigenza di garantire il miglior utilizzo delle risorse pubbliche, ha confermato l’impostazione pubblicistica propugnata dall’Autorità di vigilanza, puntualizzando come alla luce dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 50/2016 anche il singolo incarico di patrocinio legale debba essere qualificato in termini di appalto di servizi.
Ad avviso della Corte dei Conti, “tale interpretazione pare preferibile tenuto conto di come l’art. 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto più ampia di quella rinvenibile nel nostro codice”. Di qui la necessità di assicurare la “massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla scelta del contraente… sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nell’individuazione della «rosa» dei soggetti selezionati, dell’importanza della causa e del compenso prevedibile” (cfr. deliberazione n. 4/2018/VSGO del 16.01.2018).
Il Giudice contabile precisa altresì che “detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza” e che solo “qualora vi siano ragioni di urgenza, motivate e non derivanti da un’inerzia dell’Ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all’affidamento diretto degli incarichi” (cfr. deliberazione n. 4/2018 cit.).
Le perplessità evidenziate dagli altri soggetti a vario titolo coinvolti dalla regolamentazione delle modalità di conferimento degli incarichi in questione non sono mancate. E a giusta ragione.
Primo fra tutti il Consiglio Nazionale Forense, a cui è stato richiesto dal Consiglio di Stato di esprimere un parere sullo schema di Linee Guida “quale ente pubblico di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana”.
I rilievi critici vertono, in particolare, sull’erroneità di entrambi i presupposti sulla scorta dei quali l’ANAC perviene all’esclusione del carattere fiduciario dell’affidamento degli incarichi legali da parte delle pubbliche Amministrazioni.
Anzitutto, ad avviso della massima istituzione forense non può certo rintracciarsi nel diritto europeo l’asserito superamento della distinzione tra appalto e contratto d’opera professionale ex art. 2230 c.c.
È, invero, la stessa direttiva 24/2014/UE, al considerando n. 25, a chiarire che taluni specifici incarichi, quali la rappresentanza in giudizio, l’assistenza ad essa collegata e i servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri, “sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti, come può succedere ad esempio per la designazione dei pubblici ministeri in taluni Stati membri. Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva”.
In altri termini, contrariamente a quanto affermato dall’ANAC, il dato letterale delle direttive trasposte nel nuovo codice dei contratti pubblici, ponendo una disciplina più “liberale” rispetto al passato, è inequivocabile nell’individuare alcune specifiche tipologie di servizi legali che non rientrano nel campo dell’evidenza pubblica. E ciò in quanto, come rilevato dal CNF nel citato parere del 15.12.2017, “nel dettare la nuova disciplina, evidentemente, il legislatore europeo ha voluto chiarire proprio quella stessa esigenza che alla prassi era sempre stata manifesta, ossia il fatto che alcuni rapporti tra amministrazione ed avvocato sono ineliminabilmente contrassegnati dall’intuitus personae e dal tratto fiduciario, sicchè sono necessariamente aperti alla scelta diretta e non possono essere irrigiditi nell’insieme di regole che, anche nella versione più alleggerita che si voglia immaginare, formano il corpo dei c.d. procedimenti ad evidenza pubblica”.
Né possono desumersi argomenti di segno contrario dal mero collegamento tra l’art. 17, co. 1, lett. d) e l’art. 4, d. lgs. n. 50/2016.
È ancora una volta l’interpretazione letterale a venire in soccorso: la disciplina posta dal citato art. 4 con riferimento ai c.d. “contratti esclusi” corrisponde, come è noto, al dettato normativo di cui al previgente art. 27, d. lgs. n. 163/2006, il quale, in realtà, recava una previsione ancora più restrittiva di quella attuale, prevedendo che l’affidamento avvenisse non solo nel rispetto dei principi generali, ma che fosse altresì “preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto”.
Del resto, diversamente opinando, la disciplina introdotta dalle Linee Guida si esporrebbe ad un duplice contrasto normativo.
Anzitutto, gli artt. 4 e 17, ove interpretati nel senso voluto dall’Autorità, si porrebbero in aperta contraddizione con la fonte primaria rappresentata dal medesimo d. lgs. n. 50/2016, che, in materia di servizi legali, prevede un c.d. doppio binario: accanto a quelli (di difesa in giudizio, di assistenza legale o di consulenza connessa all’esercizio di pubblici poteri) completamente avulsi dall’ambito di applicazione del codice, il legislatore del 2016 ha previsto un’ulteriore tipologia di servizi legali “nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’art. 17, co. 1, lett. d)”, i quali, ai sensi del combinato disposto di cui all’Allegato IX e degli artt. 140 ss., sono sottoposti ad un regime procedimentale di evidenza pubblica semplificato.
Peraltro, l’indistinta previsione, paventata dall’ANAC con il sostegno della giurisprudenza contabile, dell’affidamento di tutti gli incarichi professionali mediante procedura comparativa - oltre a determinare un sostanziale superamento della riferita distinzione di regime tra i servizi legali tout court esclusi dall’evidenza pubblica e quelli soggetti ad un procedimento di gara semplificato - esporrebbe il d. lgs. n. 50/2016 anche a censure di illegittimità costituzionale, finendo per introdurre livelli di regolazione superiori rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive (che, come si è detto, prevedono oggi una disciplina meno vincolistica sul piano procedimentale), in aperto contrasto con il divieto di gold plating sancito dall’art. 1, co. 1, lett. a), delle legge delega.
Va rilevato, invero, come la ratio di una disciplina differenziata per determinati servizi legali - quali, appunto, quelli di difesa in giudizio e connessi - rispetto agli incarichi di consulenza stabili nel tempo e di natura tendenzialmente impersonale, debba essere rintracciata proprio nelle peculiarità del contratto di patrocinio legale.
Quest’ultimo si differenzia, infatti, dal generico contratto di mandato in ragione della particolare autonomia che caratterizza tale forma di rappresentanza tecnica, della maggiore responsabilizzazione del mandatario e della conseguente ampiezza dei poteri che la legge stessa conferisce al rappresentante, abilitato a porre in essere per conto della parte assistita tutti gli atti processuali, fatta eccezione per quelli che comportano la disposizione del diritto controverso.
L’accentuazione dell’intuitus personae che ne deriva vale, pertanto, a distinguere nettamente l’attività posta in essere dal difensore tanto da quella dell’appaltatore quanto da quella posta in essere in esecuzione di un mero contratto d’opera professionale, implicando, ai sensi degli artt. 24 Cost. e 1, co. 2, lett. b), della legge professionale n. 247/2012, la tutela dell’effettività dei diritti.
È nuovamente il CNF a rilevare, in proposito, che “l’avvocato chiamato alla rappresentanza del suo assistito opera in quel campo che consiste nella amministrazione della giustizia e che rimane profondamente distinto da quello che invece è interessato dall’esecuzione di un appalto. L’avvocato che assume la rappresentanza in giudizio dà vita, insieme al giudice, al processo, concorre alla tutela dei diritti, contribuisce ineliminabilmente a dar vita allo Stato di diritto. Questo non può non distinguerlo da un appaltatore”. In altri termini, “quando all’avvocato si chiede una «idea» per lo sviluppo della difesa in giudizio con l’autonomia tipica che al mandatario con rappresentanza è lasciata, non si acquista un bene fungibile suscettibile di «rotazione» o di «estrazione a sorte», bensì un prodotto che è prescelto sulla base di uno spiccatissimo intuitus personae e di una fiducia il cui spessore è commisurato, tra l’altro, alla responsabilità professionale di cui l’avvocato si fa carico” (cfr. parere del 15.12.2017 cit.).
In definitiva, una lettura sistematica delle disposizioni del d. lgs. n. 50/2016 consente di rilevare come il legislatore della riforma, con il richiamo all’art. 4, lungi dal voler delineare una vera e propria procedura comparativa, abbia semplicemente inteso invocare il rispetto dei principi generali che regolano l’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione, senza per ciò solo mettere in discussione il carattere diretto e fiduciario dell’affidamento.
Una soluzione di tale tenore non esclude, ovviamente, che in determinate circostanze l’Amministrazione possa - e non certo debba - procedere all’affidamento di un incarico professionale all’esito di una comparazione tra più profili professionali e/o preventivi (da svolgersi, ad esempio, nelle forme più snelle di un beauty contest), tutte le volte in cui, trattandosi di un contenzioso seriale o comunque oggetto di precedenti univoci, non venga in rilievo il carattere strettamente fiduciario della prestazione richiesta.
Diversi sono, dunque, gli spunti di riflessione forniti tanto dalla posizione espressa dal CNF, quanto, su un piano diametralmente opposto, dagli ultimi pronunciamenti della Corte dei conti.
Soltanto l’ANAC, in sede di adozione del testo definitivo delle Linee Guida, potrà esprimere l’ultima parola sul punto, ponendo (finalmente) fine alle incertezze interpretative che hanno alimentato il confronto dottrinale e giurisprudenziale che ormai da tempo interessa la tematica relativa all’affidamento di incarichi professionali da parte delle pubbliche Amministrazioni.