Consiglio di Stato, Sez. V, 2 febbraio 2018, n. 691
1. Occorre considerare che sulla questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato, con la sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-178/16, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’art. 45, paragrafo 2, comma 1, lett. c), d) e g), della direttiva 2004/18/CE, nonché i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che consente all’amministrazione aggiudicatrice : - di tenere conto, secondo le condizioni da essa stabilite, di una condanna penale a carico dell’amministratore di un’impresa offerente, anche se detta condanna non è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa, qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le sue funzioni nell’anno precedente la pubblicazione del bando di gara d’appalto pubblico; - e di escludere tale impresa dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione di appalto in questione con la motivazione che, omettendo di dichiarare detta condanna non ancora definitiva, l’impresa non si è effettivamente e completamente dissociata dalla condotta del suddetto amministratore.
2. La escussione della cauzione provvisoria si caratterizza come garanzia del rispetto del patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà ed affidabilità dell’offerta (Cons. Stato, Ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 34).
L’escussione si caratterizza dunque per il fatto di conseguire alla mancata prova del possesso dei requisiti di partecipazione dichiarati con la presentazione dell’offerta. L’incameramento della cauzione costituisce dunque una conseguenza automatica del provvedimento di esclusione per il riscontro del difetto dei requisiti dichiarati e non richiede la prova della colpa del concorrente nel rendere le dichiarazioni, né impone o consente alla stazione appaltante di valutare discrezionalmente il caso concreto al fine di procedere o meno all’applicazione della misura (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 28 dicembre 2017, n. 6148; 28 agosto 2017, n. 4086).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6703 del 2016, proposto da:
AVR s.p.a. in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo R.T.I. con Impresa Sangalli Giancarlo & C s.r.l. e Teorema s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Boifava, Francesco Vagnucci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Vagnucci in Roma, piazza San Bernardo, 101;
contro
Ambito di Raccolta Ottimale ARO Ta/2 della Provincia di Taranto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Misserini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Ufficio Comune di Aro Ta/2, Comune di Martina Franca, Comune di Crispiano, Comune di Laterza, Comune di Mottola, Comune di Palagianello, Comune di Statte, non costituiti in giudizio;
nei confronti di
Monteco s.r.l., in proprio e quale capogruppo del R.T.I. formato con Ciclat Ambiente società cooperativa e Consorzio nazionale cooperative di produzione e lavoro “Ciro Menotti” s.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giampaolo Maria Cogo, Eugenio Mele, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Maria Cogo in Roma, via Antonio Bertoloni, 1/E, nonché dagli avvocati Federico Massa, Domenico Mastrolia, con domicilio eletto presso lo studio Nicola Lais in Roma, via C.Monteverdi 20;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 01318/2016, resa tra le parti, concernente affidamento del servizio igiene urbana.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ambito di Raccolta Ottimale ARO Ta/2 Provincia di Taranto e del R.T.I. Monteco s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2017 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Maurizio Boifava, Francesco Vagnucci, Giuseppe Missserini, Giampaolo M. Cogo, Feerico Massa, Domenico Mastrolia ed Eugenio Mele;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Il R.T.I. con mandataria la AVR s.p.a. ha interposto appello avverso la sentenza 1 agosto 2016, n. 1318 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con la quale è stato respinto il suo ricorso contro la determina dirigenziale 6 maggio 2016, n. 150 che lo ha escluso dalla procedura aperta per l’affidamento dell’”appalto dei servizi di igiene urbana e realizzazione di alcune strutture di servizio nei Comuni ricadenti nell’ambito dell’ARO-Ambito di raccolta ottimale n. 2 della Provincia di Taranto” in ragione della mancanza del requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, richiesto a pena di esclusione.
Nella procedura di gara, indetta in data 1 dicembre 2014 dall’ARO n. 2/TA, avente sede presso il Comune di Martina Franca, il raggruppamento appellante era risultato aggiudicatario provvisorio; tale aggiudicazione è poi stata annullata con il provvedimento gravato in primo grado, che ha anche proceduto all’escussione della cauzione provvisoria ed alla contestuale aggiudicazione al R.T.I. Monteco s.r.l.
Le impese partecipanti al costituendo raggruppamento appellante hanno prodotto la documentazione amministrativa di rito, all’interno della quale il presidente del C.d’A. della mandante impresa Sangalli, tramite dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ha dichiarato che in data 11 dicembre 2013 sono cessati dalla carica alcuni procuratori (Patrizia Annamaria Sangalli, Gianpietro Zanini, Giorgio Giuseppe Sangalli, Daniela Sangalli), con decorrenza 13 dicembre 2013 il responsabile tecnico Daniela Sangalli, con decorrenza 11 marzo 2014 il direttore tecnico Fortunato Deleidi e dal 7 aprile 2014 il socio di maggioranza Giancarlo Sangalli, mentre dal 7 agosto 2014 è cessato dalla carica il responsabile tecnico Fortunato Deleidi. Nella dichiarazione è stato altresì precisato che nei confronti dei signori Patrizia Annamaria Sangalli, Gianpietro Zanini, Giorgio Giancarlo Sangalli, Daniela Sangalli e Fortunato Deleidi è stata pronunciata in data 26 gennaio 2015 dal G.U.P. del Tribunale di Monza sentenza ex art. 444 Cod. proc. pen., nei confronti della quale è in corso di proposizione ricorso in Cassazione.
Il provvedimento di esclusione del raggruppamento appellante è motivato nella considerazione che la ditta non ha provato la piena e completa dissociazione nei confronti del direttore tecnico, che non è stato estromesso dalla compagine societaria, non è stato licenziato, né è stata intrapresa l’azione risarcitoria nei suoi confronti; l’esclusione è stata dunque disposta «per mancanza del requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006».
2. - La sentenza qui appellata ha respinto il ricorso principale, nell’assunto che risulta effettivamente carente in capo al R.T.I. AVR il requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, sia in ragione della sentenza di condanna adottata dal Tribunale di Monza, nel frattempo divenuta irrevocabile, per un reato grave incidente sulla moralità professionale (turbata libertà degli incanti) nei confronti dell’ing. Fortunato Deleidi (direttore tecnico della Sangalli Giancarlo & C. s.r.l., cessato dalla carica nell’anno precedente la data di pubblicazione del bando di gara), sia in ragione dell’evidente inadeguatezza della prova dell’intervenuta effettiva e completa dissociazione della mandante Sangalli s.r.l. dalla condotta penalmente sanzionata del predetto ing. Deleidi; conseguenzialmente ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale escludente esperito dal R.T.I. Monteco s.r.l.
3. - Con l’appello il R.T.I. AVR s.p.a. censura la sentenza impugnata nell’assunto dell’idoneità delle misure di dissociazione assunte dalla Sangalli nei confronti dei propri ex amministratori e direttori tecnici interessati da vicende penali ed anche allegando che l’ing. Deleidi è rimasto nel ruolo di direttore operativo della società solamente nel periodo 28 gennaio 2014-24 febbraio 2014, data in cui il nuovo amministratore gli ha revocato tutti gli incarichi. In via subordinata ha dedotto l’illegittimità comunitaria dell’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, nella misura in cui pone obblighi dichiarativi a carico dei concorrenti a procedure di evidenza pubblica anche in relazione ai soggetti apicali cessati dalla carica nell’anno antecedente la pubblicazione del bando in ordine all’assenza di sentenze definitive di condanna, rimettendo alla stazione appaltante la valutazione sulla integrazione della condotta dissociativa.
4. - Si è costituito in resistenza l’A.R.O. n. 2/TA eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito dell’appello.
Si è costituito in resistenza anche il R.T.I. Monteco s.r.l. che ha altresì esperito appello incidentale condizionato riproponendo i motivi del ricorso incidentale escludente di primo grado non esaminati dalla sentenza di primo grado.
5.- All’udienza pubblica dell’11maggio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Il primo motivo dell’appello principale deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insussistente, in capo al raggruppamento AVR s.p.a., il requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006 in ragione della sentenza di condanna riportata dal direttore tecnico della mandante Sangalli s.r.l., cessato dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, e dell’inadeguatezza della prova dell’intervenuta effettiva e completa dissociazione della stessa società dalla condotta penalmente sanzionata serbata dall’ing. Deleidi. Assume in particolare l’appellante che il Deleidi ha mantenuto il ruolo di direttore operativo per il limitato periodo 28 gennaio 2014-24 febbraio 2014 e che, nel provvedimento di esclusione impugnato in primo grado, ha rilievo marginale il profilo del carattere meramente simbolico dell’indennità di risarcimento richiestagli (invero ammontante a circa euro 15.000,00) come trattamento di favore; in ogni caso nel settembre 2014 si è avuta la risoluzione del contratto di collaborazione professionale, e ciò costituisce la massima forma dissociativa.
Il motivo, essenzialmente riconducibile allo scrutinio dei requisiti della dissociazione dell’impresa dalla condotta penalmente sanzionata, può essere esaminato unitamente al terzo, con il quale si censura il provvedimento di esclusione laddove ha rilevato una contraddittorietà tra quanto dichiarato da AVR in sede di presentazione dell’offerta per la partecipazione alla gara e quanto allegato nelle successive memorie partecipative in ordine agli atti di dissociazione della società.
I motivi, tra loro complementari, sono infondati.
Procedendo per ordine, va anzitutto rilevato che la Sangalli s.r.l., con la delibera dell’Amministratore Unico in data 24 febbraio 2014, si è limitata a revocare all’ing. Deleidi la nomina di direttore tecnico, mantenendogli quella di direttore operativo.
Il successivo verbale dell’assemblea ordinaria del 26 gennaio 2015 dà atto che «per quanto attiene alle persone per le quali i reati contestati rivestono minore gravità, quali l’ing. Deleidi, il geom. Zanini e la sig.ra Milanesi, sono già stati raggiunti separati accordi informali attraverso i quali i sunnominati hanno concordato di corrispondere alla società un’indennità risarcitoria sotto forma di mensilità di retribuzione/compenso».
Solamente nel settembre 2014 è intervenuta la risoluzione del rapporto di collaborazione professionale con l’ing. Deleidi, a distanza dunque di ben sette mesi dalla misura cautelare degli arresti domiciliari cui lo stesso è stato sottoposto.
I tre passaggi ora evidenziati, sia in relazione al loro contenuto, che alla tempistica seguita, esprimono un valore indiziario il quale dà ragione del fatto che non vi sia stata da parte della società Sangalli una completa ed effettiva dissociazione, come richiesto dalla legge, quanto piuttosto il tentativo di continuare ad avvalersi dell’ing. Deleidi, al di là di ogni profilo di contraddittorietà tra la documentazione di gara presentata dall’appellante.
E’ opportuno a questo punto chiarire come non sia ravvisabile una ultrapetizione della sentenza rispetto al provvedimento gravato con riguardo all’entità del risarcimento del danno, che in sede giudiziale l’appellante ha quantificato in euro quindicimila, in quanto, a bene considerare, la determina n. 150 del 2016 fa riferimento all’indennità risarcitoria sotto forma di mensilità di retribuzione/compenso. Anche ad ammettere che l’importo sia quello indicato dall’appellante, appare difficile affermarne la congruità con la dimensione aziendale dell’impresa Sangalli e con la rilevanza anche solo della gara, con importo posta a base d’asta pari ad euro 97.000.000,00, e soprattutto in relazione alla gravità del fatto di reato contestato al Deleidi (turbata libertà degli incanti), che ha portato, oltre ad un significativo danno di immagine per la società, a gravi conseguenze sia sul piano delle procedure di gara, che su quello amministrativo.
Quanto all’invocato soccorso istruttorio sull’omissione dichiarativa in ordine alle misure dissociative adottate dalla Sangalli, è sufficiente rilevare che non si tratta di un’irregolarità sanabile, ma disvelatrice della carenza sostanziale di un requisito di ordine generale di partecipazione, come correttamente rilevato dalla sentenza di prime cure.
2. - Con il secondo motivo si deduce poi l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha disatteso la censura di illegittimità comunitaria (implicante il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia) dell’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2016, il quale pone a carico dei concorrenti obblighi dichiarativi sull’assenza di sentenze definitive di condanna, correlandovi una causa di esclusione dalla gara, ove l’impresa non dimostri che vi sia stata la dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata, e dunque, per tale via, attribuendo all’Amministrazione la valutazione discrezionale sull’integrazione della condotta dissociativa.
Anche tale motivo è infondato.
Allega l’appellante che con l’ordinanza 21 marzo 2016, n. 1160 questo Consiglio di Stato, VI, ha sottoposto alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale interpretativa «se osti alla corretta applicazione dell’art. 45, paragrafi 2, lettere c) e g), e 3, lett. a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 e dei principi di diritto europeo della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, di parità di trattamento, di proporzionalità e di trasparenza, di divieto di aggravio del procedimento e di massima apertura alla concorrenza del mercato degli appalti pubblici, nonché di tassatività e determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, una normativa nazionale, quale quella dell’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni, nella parte in cui estende il contenuto dell’ivi previsto obbligo dichiarativo sull’assenza di sentenze definitive di condanna (comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti), per i reati ivi indicati, ai soggetti titolari di cariche nell’ambito di imprese concorrenti, cessati dalla carica nell’anno antecedente la pubblicazione del bando, e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l’impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di tali soggetti, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione sull’integrazione della condotta dissociativa che consente alla stazione appaltante di introdurre, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara :
(i) oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile (e, quindi, per definizione, di esito incerto), non previsti dalla legge neppure in ordine ai soggetti in carica;
(ii) oneri di dissociazione spontanea, indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) ed alla fase della procedura in cui devono essere assolti;
(iii) oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, se non con richiamo alla clausola generale della buona fede».
Chiede dunque, data la sovrapponibilità, almeno parziale, delle fattispecie, un’analoga rimessione alla Corte di Giustizia, o, quanto meno, la sospensione c.d. “impropria” del giudizio ai sensi dell’art. 79, comma 1, Cod. proc. amm. in attesa della pronuncia del giudice europeo.
Occorre considerare che sulla questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato, con la sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-178/16, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’art. 45, paragrafo 2, comma 1, lett. c), d) e g), della direttiva 2004/18/CE, nonché i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che consente all’amministrazione aggiudicatrice : - di tenere conto, secondo le condizioni da essa stabilite, di una condanna penale a carico dell’amministratore di un’impresa offerente, anche se detta condanna non è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa, qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le sue funzioni nell’anno precedente la pubblicazione del bando di gara d’appalto pubblico; - e di escludere tale impresa dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione di appalto in questione con la motivazione che, omettendo di dichiarare detta condanna non ancora definitiva, l’impresa non si è effettivamente e completamente dissociata dalla condotta del suddetto amministratore.
Con riguardo a quanto più propriamente rileva in questa sede, la Corte di Giustizia ha affermato che lo Stato membro ha «il diritto di determinare le condizioni di tale dissociazione e di richiedere, come avviene nel diritto italiano, che l’impresa offerente informi l’amministrazione aggiudicatrice della condanna subita da un suo amministratore, anche se tale condanna non è ancora definitiva» (punto 41); ha altresì statuito che «l’impresa offerente, che deve soddisfare tali condizioni, può presentare tutte le prove che, a suo avviso, dimostrano una siffatta dissociazione» (punto 42), aggiungendo infine che «se detta dissociazione non può essere dimostrata in modo tale da convincere l’amministrazione aggiudicatrice, ne consegue necessariamente che si applica la causa di esclusione» (punto 43).
Ritiene il Collegio che in tale modo la Corte di Giustizia abbia confermato la legittimità comunitaria di una norma, quale l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, che pone a carico dei concorrenti obblighi dichiarativi sull’assenza di sentenze definitive di condanna, correlandovi una causa di esclusione dalla gara, ove l’impresa non riesca adeguatamente a dimostrare che vi sia stata la dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata, rimettendo, in definitiva, all’Amministrazione la valutazione discrezionale sull’integrazione della condotta dissociativa.
3. - Il quarto motivo di appello censura poi, essenzialmente per vizio motivazionale, la statuizione di rigetto del motivo concernente l’escussione della cauzione provvisoria.
Il motivo è infondato.
La escussione della cauzione provvisoria si caratterizza come garanzia del rispetto del patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà ed affidabilità dell’offerta (Cons. Stato, Ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 34).
L’escussione si caratterizza dunque per il fatto di conseguire alla mancata prova del possesso dei requisiti di partecipazione dichiarati con la presentazione dell’offerta. L’incameramento della cauzione costituisce dunque una conseguenza automatica del provvedimento di esclusione per il riscontro del difetto dei requisiti dichiarati e non richiede la prova della colpa del concorrente nel rendere le dichiarazioni, né impone o consente alla stazione appaltante di valutare discrezionalmente il caso concreto al fine di procedere o meno all’applicazione della misura (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 28 dicembre 2017, n. 6148; 28 agosto 2017, n. 4086).
4. - La reiezione dell’appello principale rende improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse l’appello incidentale condizionato del raggruppamento Monteco s.r.l.
5. - In conclusione, alla stregua di quanto esposto, l’appello principale deve essere respinto in ragione dell’infondatezza dei motivi dedotti, mentre l’appello incidentale va dichiarato improcedibile.
Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale condizionato.
Condanna il R.T.I. AVR s.p.a. alla rifusione, in favore delle parti appellate, delle spese di giudizio, liquidate in euro quattromila/00 (4.000,00) per ciascuna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato risponde ai seguenti quesiti:
- se possieda i requisiti di moralità professionale una impresa concorrente che rimuova un suo dipendente, condannato in sede penale, dal ruolo di direttore tecnico, ma lo confermi nel ruolo di direttore operativo. In particolare, il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa si chiede se, nell'ipotesi descritta, l'impresa concorrente: abbia o meno manifestato la volontà di dissociarsi dalla condotta criminosa serbata dal suo dipendente; e se, conseguentemente, essa meriti di essere ammessa alla gara o di esserne esclusa;
- se sia conciliabile con il diritto dell'Unione europea il potere della stazione appaltante di escludere discrezionalmente dalla gara l'operatore che non abbia adeguatamente provato di essersi dissociato dal suo dipendente condannato;
- se l'escussione della cauzione provvisoria costituisca esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione oppure una conseguenza automatica dell'esclusione dell'impresa dalla gara.
Al primo quesito il Consiglio risponde negativamente, con un'argomentazione che può così essere riassunta. Si rifletta infatti su questo. Un'impresa che apprenda che un suo dipendente è stato condannato penalmente, anche con sentenza non definitiva, e che perciò voglia interrompere ogni rapporto di collaborazione professionale instaurato con esso, si adopera fattivamente affinché ciò avvenga. L'impresa che voglia liberarsi di un dipendente condannato per un reato, cioè, risolve il rapporto di lavoro che la lega a quel dipendente. Una simile decisione manifesterebbe, ragionevolmente, la volontà dell'impresa in questione di dissociarsi dal dipendente condannato, e, conseguentemente, dalla condotta criminosa ad esso ascritta, e accertata giudizialmente. Ciò permetterebbe a quell'impresa di rivendicare la propria estraneità ai fatti illeciti commessi dal dipendente, e contestualmente la propria affidabilità morale e professionale. L'impresa concorrente che continui a giovarsi delle prestazioni professionali di un dipendente condannato penalmente, viceversa, dimostra, verosimilmente, di non volersene dissociare. Ne consegue, plausibilmente, l'inadeguatezza morale dell'impresa a partecipare alla gara, dunque la legittimità dell'esclusione disposta dalla stazione appaltante.
Compatibile, poi, con i principi sovranazionali di parità di trattamento e di proporzionalità è il potere della stazione appaltante di valutare discrezionalmente, e cioè indiziariamente, se l'impresa concorrente si sia concretamente dissociata dalla condotta delittuosa realizzata da un suo dipendente. Prevale, in questa ipotesi, l'interesse ad escludere dalle procedure di affidamento soggetti che, in forza di informazioni indiziarie ma probabilisticamente fondate, non appaiano moralmente idonei ad eseguire commesse pubbliche. Ricorda infatti il Consiglio di Stato: "Occorre considerare che sulla questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato, con la sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-178/16, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’art. 45, paragrafo 2, comma 1, lett. c), d) e g), della direttiva 2004/18/CE, nonché i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che consente all’amministrazione aggiudicatrice : - di tenere conto, secondo le condizioni da essa stabilite, di una condanna penale a carico dell’amministratore di un’impresa offerente, anche se detta condanna non è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa, qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le sue funzioni nell’anno precedente la pubblicazione del bando di gara d’appalto pubblico; - e di escludere tale impresa dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione di appalto in questione con la motivazione che, omettendo di dichiarare detta condanna non ancora definitiva, l’impresa non si è effettivamente e completamente dissociata dalla condotta del suddetto amministratore".
La pronuncia in commento ribadisce infine l'orientamento giurisprudenziale che qualifica l'escussione della cauzione provvisoria come una conseguenza automatica dell'esclusione di un'impresa dalla gara. Lo scopo della cauzione è infatti garantire la serietà e l'affidabilità delle offerte. Essa opera infatti come una sanzione patrimoniale per gli operatori economici incapaci di onorare gli impegni assunti con l'amministrazione, che quindi incamera, senza restituirla, la cauzione da quelli versata, al fine di recuperare i costi inutilmente sostenuti per l'organizzazione della gara: "La escussione della cauzione provvisoria si caratterizza come garanzia del rispetto del patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà ed affidabilità dell’offerta (Cons. Stato, Ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 34).
L’escussione si caratterizza dunque per il fatto di conseguire alla mancata prova del possesso dei requisiti di partecipazione dichiarati con la presentazione dell’offerta. L’incameramento della cauzione costituisce dunque una conseguenza automatica del provvedimento di esclusione per il riscontro del difetto dei requisiti dichiarati e non richiede la prova della colpa del concorrente nel rendere le dichiarazioni, né impone o consente alla stazione appaltante di valutare discrezionalmente il caso concreto al fine di procedere o meno all’applicazione della misura (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 28 dicembre 2017, n. 6148; 28 agosto 2017, n. 4086)".