Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5704
1. L’errore professionale di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006 va limitato ai soli inadempimenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico; esulano pertanto dalla portata applicativa della predetta norma i fatti, anche illeciti, occorsi nella prodromica procedura di affidamento. Segnatamente, deve escludersi che ricorra il “grave errore professionale” previsto dal citato art. 38, comma 1, lett. f) nel caso di illecito anticoncorrenziale.
2. L’art. 80, comma 5, lett. c) del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50/2016, nella misura in cui pare attribuire un qualche rilievo all’illecito anticoncorrenziale, non risulta comunque estensibile in via retroattiva a procedure di affidamento ricadenti nell’alveo applicativo del previgente codice.
(1) Conformi: Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2017, n. 4973; Idem, 17 luglio 2017, n. 3505; Idem, 15 giugno 2017, n. 2934; Idem, 25 febbraio 2016, n. 771.
(2) Conforme: Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2017, n. 3505.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2483 del 2017, proposto da:
C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa, in persona del presidente del consiglio di gestione e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Cintioli, Gennaro Rocco Notarnicola e Aristide Police, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Colonna 32;
contro
Teknoservice s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Giuseppe Orofino, domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
nei confronti di
Consorzio Valorizzazione rifiuti 14 (Co.Va.R. 14), in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Gandino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Vetrò in Roma, via Luigi Bellotti Bon 10;
Cooperativa Lavoratori Ausiliari del Traffico L.A.T., Cooperativa Sociale P.G. Frassati di Produzione e Lavoro s.c.s. onlus, La Nuova Cooperativa soc. coop. sociale impresa sociale, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE, SEZIONE I, n. 428/2017, resa tra le parti, concernente la procedura di affidamento del servizio di igiene urbana per i cinque comuni compresi nel Consorzio valorizzazione dei rifiuti – Co.Va.R. 14
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’appello incidentale della Teknoservice s.r.l.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio Valorizzazione Rifiuti 14;
Vista l’ordinanza cautelare della Sezione 8 giugno 2017, n. 2350;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Police, Cintioli, Orofino e Gandino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, integrato da due atti di motivi aggiunti, la Teknoservice s.r.l. impugnava gli atti della procedura di affidamento del servizio di igiene urbana per cinque comuni compresi nel Consorzio Valorizzazione Rifiuti 14 - COVAR 14 (Beinasco, Bruino, Orbassano, Piossasco e Rivalta Torinese), indetta da quest’ultimo con bando pubblicato il 7 marzo 2016), e definitivamente aggiudicata all’esito della selezione mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base d’asta di € 14.619.849,25 al C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa (determinazione n. 185 del 17 giugno 2016).
La ricorrente, collocatasi al secondo posto della graduatoria finale, deduceva che l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per plurime ragioni.
2. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito accoglieva l’impugnazione ed in particolare giudicava fondate le censure con cui la Teknoservice aveva dedotto che l’aggiudicazione in favore del Consorzio controinteressato era carente di motivazione in ordine all’esistenza di un grave errore professionale ex art. 38, comma 1, lett. f), dell’allora vigente codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).
3. A questo riguardo, il Tribunale amministrativo, premessa la riconducibilità a tale causa ostativa dell’illecito antitrust, riteneva incongrua la motivazione a base dell’ammissione del CNS alla gara espressa dalla stazione appaltante adottata in seguito alla propria sospensiva (determinazione n. 324 del 26 ottobre 2016). In particolare, il giudice di primo grado statuiva che le ragioni addotte dall’amministrazione a conferma dell’ammissione alla gara del consorzio aggiudicatario si esponessero «a rilievi di pretestuosità e illogicità manifesta» dedotti dalla ricorrente. Ciò in considerazione del fatto che lo stesso CNS era stato sanzionato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (provvedimento in data 22 dicembre 2015, n. 25802) per un’intesa restrittiva della concorrenza commessa in occasione di una procedura di affidamento indetta dalla Consip s.p.a., con conferma (rectius: modifica della sola sanzione) in sede giurisdizionale (sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio – sede di Roma n. 10303 del 14 ottobre 2016, poi confermata in appello da questo Consiglio di Stato, con sentenza 20 febbraio 2017, n. 740, contro la quale pende ricorso per cassazione).
4. Per la riforma della pronuncia di primo grado il CNS ha proposto appello.
5. Si è costituita per resistere l’originaria ricorrente Teknoservice, con appello incidentale contenente gli altri motivi della propria impugnazione respinti o dichiarati irricevibili dal giudice di primo grado.
6. Aderisce invece all’appello principale il Consorzio Valorizzazione Rifiuti – COVAR 14.
DIRITTO
1. Con il primo motivo d’appello il CNS censura la sentenza del Tribunale amministrativo laddove il giudice di primo grado ha affermato che un illecito anticoncorrenziale possa integrare una fattispecie di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale ostativo alla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici ai sensi della lett. f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006. In contrario l’aggiudicatario richiama la giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione alla disposizione ora richiamata, che afferma in modo costante che ai fini di questa causa di esclusione rilevano i soli errori commessi nell’esecuzione di contratti pubblici (sono tra l’altro richiamati i precedenti di questo Consiglio di Stato di cui alle sentenze 19 agosto 2015, n. 3950 e della VI Sezione 1 giugno 2012, n. 3282).
2. Con il secondo motivo d’appello il CNS lamenta che nel ritenere pretestuosa e manifestamente illogica la motivazione con cui il consorzio COVAR ha confermato la propria partecipazione alla gara, una volta esaminata la rilevanza della sanzione comminatale dall’Autorità garante per la concorrente e per il mercato, in esecuzione dell’ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo del Piemonte (ordinanza del 28 luglio 2016, n. 275), lo stesso giudice di primo grado avrebbe esorbitato dai limiti del sindacato ad esso spettante nei confronti delle valutazioni discrezionali riservate alla stazione appaltante circa l’affidabilità dell’operatore economico in relazione alla causa di esclusione di cui al più volte citato art. 38, comma 1, lett. f), del previgente codice dei contratti pubblici.
3. I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Deve innanzitutto essere data continuità all’incontrastato indirizzo di questo Consiglio di Stato che circoscrive l’errore professionale di cui alla lettera f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 ai soli inadempimenti e condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico, e che per contro esclude dal campo applicativo della norma i fatti, anche illeciti, occorsi nella prodromica procedura di affidamento (da ultimo: Cons. Stato, V, 30 ottobre 2017, n. 4973, 15 giugno 2017, n. 2934; in precedenza: Cons. Stato, V, 4 agosto 2016, n. 3542, 25 febbraio 2016, n. 771, 21 luglio 2015, n. 3595, alcune delle quali richiamate dal CNS).
Come specificato nei precedenti in questione, la delimitazione della fattispecie in esame alle sole condotte commesse nella fase di esecuzione di contratti pubblici si giustifica sulla base di ragioni di tipicità e tassatività della causa ostativa, e dunque per le correlate ragioni di certezza vantate dagli operatori economici in ordine ai presupposti che consentono loro di concorrere all’affidamento di commesse pubbliche (sulle esigenze di certezza nel settore dei contratti pubblici ed in particolare con riguardo alle cause di esclusione dalle relative procedure di affidamento si rinvia alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 2 giugno 2016, C-27/15).
4. Nella medesima linea interpretativa, questo Consiglio di Stato ha escluso che gli estremi del grave errore professionale possano essere ricavati da procedimenti penali nei confronti di esponenti dell’impresa concorrente, per i rischi di sovrapposizione tra la causa ostativa di cui alla lettera f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 con quella autonoma prevista dalla lettera c) della medesima disposizione e dunque anche in questo caso in violazione del principio di tassatività della cause di esclusione (Cons. Stato, VI, 2 gennaio 2017, n. 1).
La giurisprudenza amministrativa ha inoltre precisato che la finalità dell’ipotesi contemplata dalla lettera f) è di consentire alla stazione appaltante di valutare la rilevanza del comportamento tenuto dall’impresa nell’esercizio della sua attività professionale in vista della corretta esecuzione dell’appalto da affidare; nell’ambito di questo indirizzo si precisa che il giudizio demandato all’amministrazione non ha carattere sanzionatorio ma fiduciario (ex multis Cons. Stato, IV, 11 luglio 2016, n. 3070; V, 13 luglio 2017, n. 3444, 20 febbraio 2017, n. 742, 11 aprile 2016, n. 1412, 18 giugno 2015, n. 3107, 15 giugno 2015, n. 2928, 23 marzo 2015, n. 1567, 3 dicembre 2014, n. 5973; VI, 1 settembre 2017, n. 4161).
5. Da ultimo – come sottolineato negli scritti conclusionali – questa Sezione ha escluso che ricorra il «grave errore professionale» previsto dall’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 l’illecito anticoncorrenziali (sentenza 17 aprile 2017, n. 3505).
Nella medesima ottica del principio di determinatezza delle cause di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici poc’anzi richiamato, in quest’ultimo precedente si è in particolare affermato che la disciplina di cui al previgente codice dei contratti pubblici «come pure (la) legge n. 287 del 1990, con riguardo alle sanzioni pecuniarie irrogate dall’A.G.C.M., non prevede alcuna sanzione accessoria rilevante in termini di esclusione dalla gara».
Per le ragioni sinora esposte – e condivise da questo collegio - al principio in questione deve essere data continuità nel presente giudizio.
6. L’opposta tesi propugnata dall’originaria ricorrente Teknoservice e fatta invece propria dal giudice di primo grado conduce ad estendere il campo di applicazione della norma in esame ad ipotesi ad essa non riconducibili.
Quest’ultima si suddivide in due ipotesi, consistenti nella «grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara» e nel «errore grave nell’esercizio della loro attività professionale», che tuttavia hanno un nucleo comune, incentrato sullo svolgimento dell’attività di impresa sulla capacità tecnica e correttezza esecutiva manifestata dall’operatore economico nello svolgimento di quest’ultima.
7. Esulano quindi dal perimetro applicativo della norma i fatti illeciti commessi al di fuori dell’esecuzione di rapporti contrattuali, a qualsiasi titolo sanzionati dall’ordinamento. Tali ipotesi risultano infatti incompatibili sul piano letterale e logico con la nozione di «errore» impiegata nella lettera f), nel contesto di una disposizione che per altre cause ostative, relative a fatti lesivi di interessi generali e non circoscritti alla sfera imprenditoriale, impiega invece le espressioni «gravi infrazioni» (lett. e) o «violazioni gravi» (lett. “g” e “i”); o ancora «hanno violato il divieto» (lett. d).
8. In contrario rispetto a quanto finora rilevato non induce il richiamo, operato dal giudice di primo grado, alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 18 dicembre 2014, C-470/13.
E’ infatti vero che con questa pronuncia il giudice europeo ha stabilito che nell’ipotesi di «errore grave» commesso «nell’esercizio dell’attività professionale» previsto dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) «un’infrazione alle regole della concorrenza, in particolare qualora tale infrazione sia stata sanzionata con un’ammenda» (§ 35). Tuttavia, è altrettanto vero – come sottolinea il CNS – che la pronuncia è stata resa in un giudizio sorto su un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità con il diritto euro-unitario di previsioni legislative di uno Stato membro dell’Unione che attribuivano espressa rilevanza all’infrazione al diritto della concorrenza ai fini della partecipazione al procedure di affidamento di contratti pubblici. La questione esaminata dalla Corte di giustizia era dunque se potesse essere ricondotta alla nozione utilizzata dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE la fattispecie prevista dalla legislazione ungherese in materia di contratti pubblici, la quale consente alle amministrazioni aggiudicatrici di impedire la partecipazione a procedure di affidamento agli operatori economici che hanno commesso «un’infrazione connessa alla propria attività economica e professionale, e constatata con decisione giurisdizionale passata in giudicato al massimo cinque anni prima».
9. Invece, nel caso di specie questa “interposizione” legislativa interna difetta.
Se infatti nel caso esaminato dal giudice europeo si verteva su una causa ostativa incentrata sull’«infrazione connessa alla propria attività economica e professionale», espressamente prevista dalla legge nazionale, nel caso di specie l’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 si limita per contro a riprodurre la formulazione normativa della direttiva europea, attraverso la nozione di «errore professionale», non ulteriormente specificata.
La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che l’illecito anticoncorrenziale, rientrante nella causa di esclusione prevista dal legislatore interno, sia a sua volta riconducibile alla fattispecie dell’errore grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale prevista dalla direttiva. Ciò nell’ambito di un giudizio di conformità del diritto interno rispetto allo strumento normativo sovranazionale finalizzato ad armonizzare le legislazioni degli Stati aderenti all’Unione europea, condotto secondo il tipico approccio “funzionale” che contraddistingue il diritto di quest’ultima, ovvero incentrato sulla verifica della corretta attuazione sul piano interno delle finalità perseguite a livello europeo.
10. Nel caso del previgente codice dei contratti pubblici manca invece il presupposto normativo “interno” e cioè l’opzione espressa del legislatore nazionale nel senso di declinare la nozione europea nel senso di ricondurvi anche l’illecito antitrust.
A fronte di ciò l’indagine deve essere affidata ai comuni criteri di interpretativi delle leggi, sanciti dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi).
11. A questo specifico riguardo, la differente formulazione della norma italiana rispetto a quella ungherese esaminata dalla Corte di giustizia ha carattere sostanziale: quest’ultima si riferisce a violazioni di legge commesse nell’ambito dell’attività di impresa ed a vantaggio di questa; la seconda, nel limitarsi ad impiegare il concetto di «grave errore professionale», deve invece ritenersi limitataad inadempimenti di obblighi assunti dall’impresa stessa nei propri rapporti contrattuali.
Quindi, va evidenziato che le intese restrittive della concorrenza non possono essere ricondotte all’attività professionale dell’impresa, ma costituiscono fatti illeciti commessi appunto a vantaggio di quest’ultima, in violazione delle norme a tutela del fisiologico esplicarsi delle attività economiche.
12. Pertanto, de iure condito – e più precisamente secondo il diritto vigente all’epoca dei fatti di causa – gli assunti della Teknoservice non possono quindi essere condivisi, come peraltro ha precisato questa Sezione nella sopra citata sentenza 17 aprile 2017, n. 3505, sulla base del raffronto con l’attuale codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Infatti, premesso che l’art. 80, comma 5, lett. c), di quest’ultimo testo normativo include nei «gravi illeciti professionali» anche «il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio», come pure il fornire «informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», nel precedente in esame si è evidenziato che questa previsione ha carattere innovativo rispetto a quella del previgente codice e che la stessa non è pertanto estensibile in via retroattiva a procedure di affidamento soggette a quest’ultimo.
Alle medesime conclusioni deve quindi giungersi per la gara oggetto del presente giudizio, anch’essa bandita prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016.
13. Va poi sottolineato che anche in occasione del parere reso da questo Consiglio di Stato sulle Linee guida ANAC n. 6 (Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice) si è evidenziato che la nozione di illecito professionale accolta da quest’ultima disposizione «abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, come si riteneva nella disciplina previgente [Cons. St., V, 21.7.2015 n. 3595], ma anche in fase di gara» (parere della Commissione speciale 3 novembre 2016 n. 2286).
14. Palesemente inconferente è invece l’ulteriore precedente della Corte di giustizia richiamato dal giudice di primo grado, e cioè la sentenza 13 dicembre 2012, C-465/11.
In quel caso la questione pregiudiziale verteva sulla conformità all’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE della legislazione polacca nella parte in cui prevedeva come causa di esclusione automatica dalle procedure di gara ipotesi di risoluzione o inadempimento contrattuali. Quindi, come sottolinea il CNS, nella pronuncia in esame la Corte di giustizia ha ritenuto tale ipotesi di esclusione automatica non conforme alla normativa europea.
15. Sul punto, nondimeno, la Teknoservice ha affermato nei propri scritti conclusionali che la soluzione cui è pervenuto il precedente di questa Sezione ora in esame «appare certamente insoddisfacente sul piano assiologico e valoriale», nella misura in cui consente alle amministrazioni di valutare la credibilità di un operatore economico per inadempimenti commessi nell’esecuzione di precedenti contratti pubblici «e non anche comportamenti particolarmente disdicevoli come quelli descritti dall’Agcm nel provvedimento con cui si è inflitta la pesante sanzione al Cns».
Ad ulteriore sostegno di questa tesi è richiamato il parere di questo Consiglio di Stato sullo schema del nuovo codice dei contratti pubblici, in cui si afferma che: «la condotta anticoncorrenziale è ritenuta pericolosa dall’ordinamento UE (e da quello nazionale) non solo quando abbia un effetto violativo delle regole concorrenziali, ma anche quando abbia soltanto ad oggetto il conseguimento di una siffatta violazione» (Comm. speciale, 1 aprile 2016, n. 855).
Richiamata quindi una diffusa giurisprudenza amministrativa di primo grado che ha affermato il principio opposto, la Teknoservice ha quindi chiesto, in ragione di questo contrasto giurisprudenziale e della «obiettiva complessità delle questioni», di sollevare davanti alla Corte di giustizia dell’Unione la questione pregiudiziale della conformità della lett. f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 all’art. 45, comma 2, lett. d) della citata direttiva 2004/18/CE (secondo il quale - come accennato in precedenza - può essere escluso dalla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici ogni operatore economico che «nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice»).
16. La richiesta non può tuttavia essere accolta.
In primo luogo, come si è sopra evidenziato la norma interna è sostanzialmente riproduttiva di quella europea. Entrambe si imperniano in particolare sul concetto di grave errorecommesso nell’esercizio dell’attività professionale, cosicché non si possono nutrire dubbi sulla corretta trasposizione interna del precetto comunitario.
Deve poi sottolinearsi che, diversamente da quelle previste nel comma 1 dell’art. 45 della direttiva, la causa di esclusione su cui si controverte nel presente giudizio è di carattere facoltativo: recita infatti il comma 2 dell’art. 45 in esame: «Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico». In questo caso la direttiva europea attribuisce quindi un potere discrezionale allo Stato membro, che nel caso di specie l’Italia ha legittimamente ritenuto di esercitare in linea con la previsione normativa contenuta nella direttiva.
Inoltre, contrariamente a quanto deduce la Teknoservice la questione non riveste i pretesi caratteri di complessità che ne giustificherebbero la rimessione alla Corte di giustizia. Del pari, sono irrilevanti a questo fine i precedenti contrari dei Tribunali amministrativi, a fronte di un orientamento di questo Consiglio di Stato invece uniforme nel senso finora espresso. Quanto al parere 1 aprile 2016, n. 855, richiamato dall’originaria ricorrente, va rimarcato che esso concerne il nuovo codice dei contratti pubblici.
17. La richiesta di sollevare la questione pregiudiziale europea in esame sottende in realtà il tentativo di ricevere dalla Corte di giustizia l’avallo ad un’interpretazione analogica, in malam partem, di una norma interna conforme a quella sovraordinata, di cui costituisce puntuale attuazione nell’ordinamento giuridico nazionale. Infatti, con essa non si prospetta un contrasto tra questo duplice livello normativo, ma si lamenta «sul piano assiologico e valoriale» l’inidoneità della legge nazionale a “colpire” le imprese in tesi immeritevoli di aggiudicarsi contratti pubblici, della quale si prospetta quindi una lettura interpretativa di carattere additivo volta a colmarne le lacune.
A fronte di ciò non sussistono quindi i presupposti per sollevare la questione pregiudiziale, tanto in ragione della c.d. teoria dell’atto chiaro (sul punto è sufficiente richiamare la sentenza capostipite della Corte di giustizia 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit; da ultimo: Cons. Stato, VI, 12 ottobre 2017, n. 4732), quanto sulla base della funzione di “filtro” che le autorità giurisdizionali nazionali sono chiamate a svolgere rispetto a interpretativo di carattere soggettivo e che non esibiscano requisiti minimi di idoneità per devolvere la questione al giudice europeo (cfr. in questo senso Cons. Stato, IV, 2 novembre 2017, n. 5048; V, 22 agosto 2016, n. 3667).
18. Le censure del CNS sono fondate anche nella parte relativa al giudizio di illegittimità espresso dal giudice di primo grado sulle motivazioni con cui il consorzio Covar ha confermato l’ammissione alla gara (con provvedimento n. 324 del 26 ottobre 2016), dopo l’ordinanza cautelare di sospensione emanata su istanza della ricorrente Teknoservice e il conseguente riesame della questione.
19. Deve premettersi sul punto che il COVAR ha formulato il giudizio di affidabilità professionale del CNS sulla base delle seguenti considerazioni: innanzitutto le violazioni accertate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, oltre a non essere state accertate con sentenza passata in giudicato, sono relative ad un servizio diverso da quello posto a gara (e precisamente: servizi di pulizia nelle scuole); inoltre, le condotte in questione non hanno inciso sul corretto svolgimento della procedura di gara in contestazione, alla quale ha partecipato «un numero di imprese tale da garantire il rispetto del principio della libera concorrenza», e in relazione alla quale non vi è prova «che siano stati conclusi accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza».
20. Nel giudicare illegittima questa motivazione il Tribunale amministrativo ha affermato che le circostanze valorizzate dalla stazione appaltante non sono idonee ad escludere il grave errore professionale di cui alla lettera f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006, poiché quest’ultimo comprende «qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore»; inoltre non è richiesta «alcuna coincidenza tipologica o contenutistica tra le vicende professionali poste in relazione», mentre la rilevanza dell’errore professionale «non è circoscritta a casi verificatisi nell’ambito di rapporti contrattuali intercorsi con la medesima stazione appaltante che bandisce la gara» ma attiene «indistintamente a tutta la precedente attività professionale dell'impresa, in quanto elemento sintomatico della perdita del requisito di affidabilità e di capacità professionale, influente sull’idoneità dell’impresa a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico».
21. Alle ragioni puntuali espresse dalla stazione appaltante il giudice di primo grado ne ha dunque contrapposte ed in particolare un suo proprio giudizio di inaffidabilità professionale evidentemente sostitutivo rispetto a quello dell’amministrazione, così esercitando un sindacato di merito al di fuori dei casi tassativi previsti dall’art. 134 cod. proc. amm.
A questo riguardo non può che essere richiamato il precedente di cui alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 17 febbraio 2012, n. 2312. Con questa pronuncia la Suprema Corte ha affermato che esorbita dai limiti della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo una decisione del Consiglio di Stato che con riguardo ad una motivata valutazione espressa della stazione appaltante sulla causa ostativa di cui alla medesima lett. f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 - e dunque in un caso assolutamente in termini con la presente fattispecie – abbia ecceduto dai limiti della «verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto», in presenza di una precisa scelta legislativa che demanda alle amministrazioni di valutare il punto di rottura dell’affidabilità dell’operatore economico, pretendendo invece di stabilire se le ragioni dell’esclusione (in quel caso) fossero o meno condivisibili.
Ebbene, ciò è appunto quanto ha fatto il Tribunale amministrativo a fronte di una decisione dell’amministrazione di segno opposto, e cioè di ammissione alla gara, con sottostante giudizio di affidabilità dell’operatore malgrado l’illecito antitrust accertato nei suoi confronti.
22. In particolare, il consorzio COVAR ha escluso che tali condotte del CNS ne pregiudicassero l’affidabilità per il servizio di igiene urbana posto a gara, in considerazione del fatto che nessuna influenza su quest’ultima poteva ravvisarsi.
Il Tribunale amministrativo ha invece ritenuto che queste puntuali ragioni fossero inidonee a sorreggere il giudizio finale espresso dall’amministrazione. Ciò sulla base di un diverso metro di giudizio, che alla luce di quanto statuito con riguardo al motivo dell’appello principale è risultato non conforme alla legge – ed anzi tende a connotare di contenuti etici il giudizio di affidabilità professionale demandato alle stazioni appaltanti – e dunque sulla scorta di apprezzamenti non imposti da norme sovraordinate, ma collocati nella sfera del merito amministrativo.
23. Dall’accoglimento del secondo motivo dell’appello principale del CNS discende un’ulteriore ragione per negare il rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. richiesto dalla Teknoservice nei confronti della lettera f) del previgente codice dei contratti pubblici. Essa consiste nell’irrilevanza della questione interpretativa sull’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione, una volta accertato che le ragioni che hanno indotto il COVAR ad ammettere alla gara l’aggiudicatario dopo il riesame della questione relativa all’illecito antitrust commesso dal CNS sono comunque immuni dalle censure contro di esso svolte dall’originaria ricorrente.
24. Riformata quindi la statuizione di accoglimento dell’impugnazione della Teknoservice, vanno ora esaminati i motivi dell’appello incidentale di quest’ultima, che invece il Tribunale amministrativo ha respinto.
25. Con un primo motivo l’originaria ricorrente censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla rilevanza delle condotte che hanno determinato l’adozione da parte dell’Autorità nazionale anticorruzione del decreto di commissariamento ex art. 32 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (recante Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari; convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114), in relazione a turbative d’asta commesse da esponenti del CNS in due procedure di affidamenti di contratti indette da AMA s.p.a., municipalizzata di Roma per l’ambiente, nell’ambito della nota indagine “mafia capitale”.
Sul punto l’originaria ricorrente sostiene che il consorzio aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso per non avere reso alcuna dichiarazione di tali precedenti e sottolinea che il coinvolgimento di quest’ultimo in fatti gravi aventi rilevanza penale, volti ad alterare gli esiti delle procedure di affidamento di contratti pubblici, sia «ipoteticamente riconducibile alla ipotesi di «errore professionale» ex art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006». La Teknoservice soggiunge al riguardo che l’omissione dichiarativa non sarebbe quindi sanabile dalla valutazione svolta sul punto dal COVAR dopo la sospensiva emessa dal Tribunale amministrativo (con la determinazione più volte citata n. 324 del 26 ottobre 2016).
26. Il motivo è infondato.
Deve in primo luogo sottolinearsi che l’obbligo dichiarativo dei precedenti professionali è inteso dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato come strumentale rispetto alle valutazioni discrezionali di competenza delle stazioni appaltanti in ordine all’affidabilità ex art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 dei partecipanti a procedure di affidamento. Si afferma al riguardo che il fatto in sé è indice di inaffidabilità dell’operatore economico, tale da giustificare la sua esclusione dalla gara (ex multis: Cons. Stato, III, 5 maggio 2014, n. 2289; IV, 4 settembre 2013, n. 4455; V, 27 settembre 2017, n. 4527, 17 luglio 2017, n. 3493, 22 dicembre 2016, n. 5419, 15 dicembre 2016, n. 5290, 4 ottobre 2016, n. 4108, 26 luglio 2016, n. 3375, 19 maggio 2016, n. 2106, 18 gennaio 2016, n. 122, 25 febbraio 2015, n. 943, 11 dicembre 2014, n. 6105, 14 maggio 2013, n. 2610).
Tuttavia, laddove tale valutazione sia quindi stata svolta, tanto più in senso positivo, non è consentito al giudice ricavare una ragione di esclusione di tipo formale rispetto ad un presupposto sostanziale – l’esistenza di un «grave errore professionale» -che la stazione appaltante, nell’esercizio delle attribuzioni ad essa riservate ai sensi della più volte citata lett. f) del previgente codice dei contratti pubblici, ha ritenuto sussistente, dandone adeguata motivazione.
27. Ciò è appunto quanto avvenuto nel caso di specie.
Nel rideterminarsi su sollecitazione del Tribunale amministrativo anche con riguardo al commissariamento ex art. 32 d.l. n. 90 del 2014 del CNS il COVAR ha infatti ritenuto che:
- i fatti all’origine di quest’ultimo provvedimento erano stati «posti in essere fuori dall’esecuzione di un contratto»;
- a presupposto del commissariamento possono essere addotte anche «situazioni anomale e comunque solo sintomatiche di condotte illecite», e dunque ipotesi di reato non ancora accertate in via definitiva;
- la misura in questione non priva l’impresa della capacità di contrarre con la pubblica amministrazione;
- contro lo stesso provvedimento era pendente ricorso giurisdizionale;
- rispetto alle presunte turbative d’asta il CNS «risulta essersi costituita parte offesa (sic)» nel procedimento penale;
- infine, a conferma dell’affidabilità del CNS vi è il recente rinnovo della sua iscrizione nella White list della Prefettura di Bologna.
28. Dal complesso di queste valutazioni emerge un chiaro giudizio di affidabilità professionale dell’aggiudicatario, malgrado le vicissitudini giudiziarie pregresse, che ancora una volta deve essere ritenuto legittimo ai sensi della lettera f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
29. Deve inoltre convenirsi con quanto afferma il CNS nelle proprie difese e cioè che il commissariamento ex art. 32, d.l. n. 90 del 2014 non è codificato quale causa di esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici.
30. Con il secondo motivo dell’appello incidentale la Teknoservice deduce «ulteriori doglianze riconducibili alla violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs n. 163/2006», consistenti in alcune condanne penali emesse nei confronti di soggetti operanti per conto del CNS per reati commessi a vantaggio di quest’ultimo in diverse procedure di affidamento.
31. Queste censure – dichiarate irricevibili dal Tribunale amministrativo – sono comunque infondate nel merito.
Si tratta infatti di condotte criminose che non hanno nulla a che vedere con l’esecuzione di contratti pubblici e che non possono ancora una volta essere ricondotte all’ipotesi normativa asseritamente violata.
32. Per fatti di rilievo penale la causa di esclusione che potrebbe in ipotesi venire in rilievo è quella prevista dalla lettera c) dell’art. 38 d.lgs. n. 163. Tuttavia, la Teknoservice non ha dedotto la violazione di questa diversa fattispecie normativa, la quale richiede tra l’altro che i reati in questione siano commessi da soggetti che all’interno dell’impresa siano titolari delle cariche dettagliatamente elencati nella disposizione di legge in esame e, inoltre, che tali fatti, purché incidenti sulla moralità professionale, siano stati definitivamente accertati.
Sennonché, sul punto nulla viene riferito dall’originaria ricorrente e sul punto il CNS ha controdedotto, senza alcuna contestazione, che si tratta o di condanne riportate da soggetti non facenti parte della propria compagine o di fatti per i quali non vi è stata ancora una pronuncia definitiva da parte dell’autorità giudiziaria penale.
Tutto ciò è sufficiente per il rigetto del motivo (si richiama sul punto il precedente sopra citato costituito dalla sentenza della VI Sezione di questo Consiglio di Stato, 2 gennaio 2017, n. 1).
33. Con un ulteriore motivo la Teknoservice assume ancora una volta violato l’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, con riguardo all’omessa dichiarazione di una risoluzione contrattuale disposta in danno del CNS dall’Azienda sanitaria provinciale di Messina (deliberazione n. 981/CS del 13 aprile 2012 del commissario straordinario)
34. Il motivo è infondato.
Il CNS ha controdedotto e documentato che l’inadempimento che ha condotto all’adozione del provvedimento di risoluzione contrattuale ha riguardato le sole prestazioni di ristorazione demandate alla società Gemeaz Cusin s.r.l., mandante del raggruppamento di cui l’odierno controinteressato era mandatario (incaricato dei servizi di global service, avente anche ad oggetto il portierato, la gestione del centralino, la pulizia, sanificazione e disinfezione dei locali). Ciò emerge in modo chiaro dalla lettura del provvedimento di risoluzione – oggetto di valutazione anch’esso da parte del COVAR – il quale, come sottolinea il CNS, è in realtà qualificabile come risoluzione parziale, in quanto avente ad oggetto i soli servizi di ristorazione affidati alla mandante Gemeaz Cusin, per inadempimenti contrattuali ascrivibili in via esclusiva a quest’ultima.
Deve allora essere fatta applicazione del condivisibile principio espresso da questa Sezione secondo cui non può essere esclusa da una gara di appalto un’impresa laddove la risoluzione contrattuale di un precedente contratto con una diversa amministrazione appaltante sia conseguente all’inadempimento imputabile ad altro operatore del raggruppamento temporaneo (Cons. Stato, V, 28 settembre 2015, n. 4512, 26 giugno 2015, n. 3241). In caso contrario il giudizio di affidabilità professionale dell’operatore economico riposerebbe irragionevolmente su fatti ad esso non ascrivibili.
35. Con l’ultimo motivo di appello incidentale la Teknoservice ripropone la censura di carenza di motivazione del provvedimento con cui il COVAR ha confermato l’ammissione alla gara del CNS dopo la sospensiva emessa dal giudice di primo grado. L’originaria ricorrente evidenzia di avere diffidato due volte la stazione appaltante ad esaminare gli «ulteriori episodi» rappresentati in tali diffide e poi con i motivi aggiunti e non di limitarsi ai fatti dedotti con il proprio ricorso, ma che ciò nondimeno questa valutazione non vi è stata, avendo il consorzio Covar limitato il proprio giudizio ai primi.
36. Il motivo deve essere respinto per le ragioni esposte in precedenza, e cioè per l’assenza di profili ostativi alla partecipazione del CNS alla procedura di gara in contestazione in relazione a tutti i fatti dedotti dalla Teknoservice nel presente giudizio e che la stessa stazione appaltante ha rivalutato dopo la sospensiva emessa dal Tribunale amministrativo.
37. In conclusione, l’appello principale deve essere accolto.
L’appello incidentale va invece respinto.
Per l’effetto, in riforma parziale della sentenza di primo grado il ricorso ed i motivi aggiunti della Teknoservice devono essere respinti integralmente.
La complessità delle questioni controverse giustifica nondimeno la compensazione delle spese di causa tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così provvede:
- accoglie l’appello principale;
- respinge l’appello incidentale;
- per l’effetto, in riforma parziale della sentenza di primo grado, respinge integralmente il ricorso ed i motivi aggiunti della Teknoservice s.r.l.;
- compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Una società, classificatasi al secondo posto nella graduatoria stilata a seguito dell’espletamento di una gara per l’affidamento del servizio di raccolta rifiuti e nettezza urbana da svolgersi nel territorio di cinque Comuni, insorgeva dinanzi al competente T.A.R. chiedendo l’annullamento dell’aggiudicazione disposta nei confronti del consorzio primo classificato.
Fra le censure fatte valere, quella concernente la violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006. In particolare, la ditta ricorrente lamentava l’omessa valutazione, da parte della stazione appaltante, di alcuni elementi a suo dire idonei a minare l’affidabilità del consorzio risultato poi aggiudicatario e, fra questi - in particolar modo - di quello concernente l’irrogazione nei confronti dello stesso di una sanzione pecuniaria da parte dell'AGCM conseguente al concorso in una intesa restrittiva della concorrenza.
All’esito della camera di consiglio, l’adito G.A. accoglieva l’istanza cautelare, nel contempo ordinando alla stazione appaltante di procedere al riesame della posizione dell’aggiudicatario con riguardo alle circostanze denunciate dalla società ricorrente.
La stazione appaltante, in esito alla nuova valutazione, confermava il precedente provvedimento di aggiudicazione, non ravvisando nelle condotte segnalate profili rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006.
Tale atto veniva gravato dalla seconda classificata con motivi aggiunti.
L’adito T.A.R., premessa la riconducibilità dell’illecito antitrust alla causa ostativa di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006, accoglieva il ricorso, reputando incongrue le ragioni addotte dall’Amministrazione a conferma dell’ammissione alla gara del consorzio aggiudicatario.
Quest’ultimo, ritenendo il decisum illegittimo, ha indi proposto appello dinanzi al C.d.S., fra l’altro censurando l’avvenuta riconduzione dell’illecito anticoncorrenziale nella causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006.
Il Collegio della sezione V ha ritenuto l’appello fondato.
Ha invero osservato come l’errore professionale cui l’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006 attribuisce efficacia escludente concerna unicamente gli inadempimenti eventualmente commessi dall’operatore economico nell’esecuzione di un precedente contratto pubblico (analogamente, sul punto, Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2017, n. 4973; Idem, 15 giugno 2017, n. 2934). Esulano invece dall’ambito applicativo della norma gli illeciti commessi al di fuori dell’esecuzione di rapporti contrattuali, a qualsiasi titolo sanzionati dall’ordinamento. In particolare, i Giudici hanno escluso che ricorra il “grave errore professionale” di cui al citato art. 38, comma 1, lett. f) nel caso di illecito anticoncorrenziale.
La delimitazione della fattispecie in esame alle sole condotte commesse nella fase di esecuzione dei contratti pubblici – ha proseguito il C.d.S. - si giustifica sulla base di ragioni di tipicità e tassatività della causa ostativa, e dunque per le correlate ragioni di certezza vantate dagli operatori economici in ordine ai presupposti che consentono loro di concorrere all’affidamento di commesse pubbliche.
Il Collegio, peraltro, richiamandosi a una recente pronuncia della medesima sezione, non ha mancato di evidenziare come la correttezza della soluzione ermeneutica innanzi cennata emerga altresì dall’analisi della previsione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del nuovo codice dei contratti pubblici, che, invero, seppure non con “cartesiana chiarezza”, sembra segnare una soluzione di continuità rispetto al passato, attribuendo un qualche valore, come ritenuto dalle linee guida Anac n. 6 del 2016, all’illecito anticoncorrenziale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2017, n. 3505; in senso contrario alla riconducibilità dell’illecito antitrust nella causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 si sono invece espressi T.A.R. Lazio, Roma, sez. I bis, 7 febbraio 2017, nn. 2084 e 2094 e T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 2 gennaio 2017, n. 10). Palazzo Spada ha nondimeno precisato come siffatta disposizione non possa applicarsi in via retroattiva a procedure di affidamento che, come quella sottoposta alla sua cognizione, ricadono sotto l’alveo applicativo del previgente codice, stante il carattere innovativo della stessa rispetto alla disposizione di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006.
Com’è noto, infatti, il citato art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 prevede che: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni... qualora: lett. c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
Tra i gravi illeciti professionali rientrano, per espressa previsione dell’art. 80, comma 5, lett. c), le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo a una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.
Evidente è dunque come la previsione normativa in esame diverga dalla previgente di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006, che faceva invero riferimento, per un verso, alla “grave negligenza o malafede” nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante (che bandisce la gara) e, per l’altro, all’“errore grave” nell’esercizio, in linea generale, dell’attività professionale dell’imprenditore; intendendo per le prime un atteggiamento gravemente colposo o intenzionalmente contrario agli obblighi negoziali, quanto al secondo il c.d. “grave errore professionale”.
Come rilevato da attenta dottrina, quest’ultima locuzione, pur assimilabile, risulta semanticamente - e così applicativamente - ben più ristretta rispetto a quella oggi contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c), atteso che l’errore costituisce soltanto una delle molteplici forme di manifestazione dell’illecito professionale (cfr. M. di Donna, I cartelli antitrust e l’esclusione dalla gara d’appalto al debutto del nuovo Codice, in Urb. app., 2017 (4), 558).
D’altronde, la stessa Commissione speciale del Consiglio di Stato, in sede di parere reso sulle linee guida Anac n. 6 di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice” (parere 3 novembre 2016, n. 2286), ha rilevato come la nozione di “grave illecito professionale” di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), abbracci numerose fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, come si riteneva nella disciplina pregressa, bensì anche in fase di gara.
Alle tre ipotesi (meramente esemplificative) di illeciti professionali prese in considerazione dalla norma in esame se ne aggiungono poi altre, individuate dall’Anac nelle predette linee guida.
Fra queste, appunto, v’è quella concernente l’illecito antitrust. In particolare, le citate linee guida, nella versione risultante dalle modifiche da ultimo apportate dalla delibera Anac n. 1008 dell’11 ottobre 2017 (in G.U. Serie Generale n. 260 del 7 novembre 2017), prevedono che la stazione appaltante possa valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, i provvedimenti esecutivi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare (la prima versione delle linee guida in esame discorreva invece di provvedimenti di condanna “divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato”).
Ciò che peraltro è importante rilevare, al di là della casistica specifica degli illeciti, è che, ai fini dell’esclusione, essi non rilevano ex se, ma solo in quanto incidano in concreto sull’integrità o sull’affidabilità dell’operatore economico in considerazione della specifica attività che lo stesso è chiamato a svolgere in esecuzione del contratto da affidare. È in particolar modo il requisito della “gravità” – come chiarito dall’Autorità di regolazione nelle linee guida n. 6 – a dover essere valutato con riferimento all’idoneità dell’azione a incidere sul corretto svolgimento della prestazione contrattuale e, quindi, sull’interesse della stazione appaltante a contrattare con l’operatore economico interessato.
Siffatta valutazione attiene all’esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante e deve essere effettuata con riferimento alle circostanze dei fatti, alla tipologia di violazione, alle conseguenze sanzionatorie, al tempo trascorso e alle eventuali recidive, il tutto in relazione all’oggetto e alle caratteristiche dell’appalto da affidare.