Cons. Stato, Sez. VI, 16 novembre 2017, n. 5331
L’incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell'amministrazione, inficiando ex ante la possibilità di una non solo celere ma soprattutto affidabile decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara. una dichiarazione inaffidabile, in quanto falsa o incompleta, è essa stessa lesiva degli interessi tutelati, indipendentemente dal fatto che l'impresa meriti o no di partecipare alla procedura competitiva.
Nel caso di omessa dichiarazione di condanne penali riportate dal concorrente, è legittimo il provvedimento di esclusione non sussistendo in capo alla stazione appaltante l'ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3899 del 2012, proposto da: Autorita' per la Vigilanza Sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Motem Snc, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Fanzini, Galeazzo Bignami, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 02771/2012, resa tra le parti, concernente annotazione nel casellario informatico
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Motem Snc;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2017 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Saulino, e Fanzini.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’autorità odierna appellante impugnava la sentenza n. 27712012 con cui il Tar Lazio accoglieva l’originario gravame, proposto da Motem s.n.c. avverso l’annotazione nel casellario informatico disposta dall’autorità stessa ai sensi dell’art. 8 dPR 2072010.
In particolare, il provvedimento impugnato era stato adottato a seguito di segnalazione, ai sensi dell'art. 38 d.lgs. n.163/2006, effettuata da Autostrade per l'Italia spa, in relazione al diniego di autorizzazione al subappalto alla Motem in riferimento all'esecuzione dell'appalto "A 1 Milano Napoli -Tratto La Quercia - Badia Nuova. Adeguamento tratto appennini - lavori di smaltimento marino di galleria; ciò in quanto era stata accertata una dichiarazjone non veritiera resa in fase di richiesta di autorizzazjone al subappalto, essendo emersi a carico del legale rappresentante dell’impresa numerosi decreti penali non dichiarati.
La sentenza impugnata accoglieva il gravame in relazione alla depenalizzazione dei reati oggetto dei predetti decreti penali in epoca ben anteriore agli atti di gara nonché alla buona fede della parte dichiarante, stante il tempo trascorso dalle condanne e la circostanza che le stesse non risultavano dal certificato del casellario a richiesta dell’interessato.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: violazione ed errata interpretazione dell’art. 38 d.lgs. 1632006 e difetto motivazionale.
La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità, per mancata indicazione di specifici motivi, ed il rigetto dell’appello.
Con ordinanza n. 23842012 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Alla pubblica udienza del 16112017, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, nei termini formulati da parte appellata per assenza di specifiche censure avverso la sentenza impugnata.
In linea generale, l'effetto devolutivo dell'appello amministrativo non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare, nell'atto di appello, le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono reputate condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado.
Nel caso de quo l’atto di appello, pur non prevedendo una scansione numerica distinta, contiene una complessa ed articolata serie di argomentazioni critiche rivolte alla sentenza di primo grado, con particolare riferimento alla specifica critica dei due argomenti sinteticamente espressi nella motivazione semplificata resa dal Tar. In sostanza, i vizi dedotti avverso la sentenza “breve” impugnata si colgono con chiarezza dalla narrativa della parte in diritto; gli stessi prendono in specifica e critica considerazione i due argomenti indicati nella motivazione della decisione in forma semplificata.
2. Passando all’analisi del merito dell’appello, lo stesso appare fondato nei termini già evidenziati in sede cautelare.
Entrambi gli elementi posti a fondamento della sentenza impugnata risultano correttamente censurati: sia sul punto della sopraggiunta depenalizzazione, in quanto è pacifico che il legale rappresentante dell’impresa odierna appellata abbia subito le numerose condanne di cui ai decreti penali contestati e che non le abbia dichiarate; sia sul punto della buona fede, attesa la piena consapevolezza in ordine al fatto di aver subito le condanne oggetto di contestazione.
Dal punto di vista del quadro normativo applicato ex dPR 2072010, i presupposti dell’annotazione emergono nella specie alla luce dell’art. 8 comma 2 lett s): “falsità nelle dichiarazioni rese in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara e per l'affidamento dei subappalti”
La medesima norma distingue l’operatività delle singole ipotesi di annotazione nel casellario informatico: mentre alcuni dati sono inseriti da parte delle SOA, secondo le modalità telematiche previste dall'Autorità; altri, fra cui quelli di cui alla lettera s), sono inseriti, a cura dell'Autorità, a seguito di segnalazioni da parte delle amministrazioni aggiudicatrici.
In materia la giurisprudenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 12/06/2012, n. 3428) ha evidenziato come la segnalazione all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, al fine dell'inserimento di un'annotazione nel casellario informatico delle imprese, si configura come atto prodromico ed endoprocedimentale e, come tale, non impugnabile, poiché esso non è dotato di autonoma lesività, potendo essere fatti valere eventuali suoi vizi, unicamente in via derivata, impugnando il provvedimento finale dell'Autorità di vigilanza, unico atto avente natura provvedimentale e carattere autoritativo, stante peraltro che l'impresa concorrente potrebbe ritenere non pregiudizievole dei propri interessi l'esclusione dalla specifica gara ma lesivi gli effetti connessi all'annotazione nel casellario informatico, non ricorrendone i presupposti di legge. Peraltro, va altresì ricordato come la segnalazione del provvedimento di esclusione all'Autorità di vigilanza e la conseguente annotazione costituiscano atti dovuti (cfr. ex multis sez. VI, 23/05/2012, n. 3002).
Nella fattispecie in esame l’Autorità ha fatto buon governo del potere richiamato. Infatti, è pacifico che il legale rappresentante abbia reso una dichiarazione non veritiera, e quindi falsa nei termini rilevanti ai fini della norma richiamata, in quanto non attestante le diverse condanne subite. Altrettanto evidente è l’assenza dell’invocata buona fede, in specie in relazione alla piena consapevolezza del soggetto in ordine alla circostanza di aver subito tali condanne; al riguardo, l’aver prodotto un certificato che, per le proprie caratteristiche giuridicamente note agli operatori del settore, non poteva contenere il riferimento alle predette condanne, lungi dal dimostrare la buona fede può assumere rilievo nei termini opposti, quale tentativo di evitare il riferimento a condanne storicamente consolidate, seppur concernenti reati oggetto di successiva depenalizzazione legislativa.
In linea generale va ricordato che nelle procedure di evidenza pubblica la incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell'amministrazione, inficiando ex ante la possibilità di una non solo celere ma soprattutto affidabile decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara; una dichiarazione inaffidabile, perché falsa o incompleta, è già di per sé stessa lesiva degli interessi tutelati, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti o no di partecipare alla procedura competitiva; peraltro l'omessa dichiarazione ha il grave effetto di non consentire proprio all'Amministrazione una valutazione ex ante in ordine alla gravità dei reati non dichiarati; si tratta pertanto di un comportamento tutt'altro che innocuo in quanto priva di certezza la decisione compiuta dalla stazione appaltante in ordine all'ammissione delle imprese che hanno omesso di dichiarare condanne. Nelle gare pubbliche, nel caso di omessa dichiarazione di condanne penali riportate dal concorrente, è legittimo il provvedimento di esclusione non sussistendo in capo alla stazione appaltante l'ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo alla omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa completa ai fini dell'attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale con particolare riferimento alla lett. c) del comma 1 dell'art. 38, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla entità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 28/09/2015, n. 4511).
Ciò non può che valere a maggior ragione in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’annotazione di competenza dell’autorità odierna appellante, in quanto concernente l’estensione dei predetti principi al settore degli appalti anche oltre la partecipazione alla singola gara in cui è stata resa la dichiarazione non veritiera.
3. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato e va accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata e rigetto del ricorso di primo grado.
Sussistono giunti motivi, a fronte della natura e della complessità della disciplina in materia, per procedere alla compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge l’originario ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Guida alla lettura
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (s. 2771/2012) era stata accertata una dichiarazione non veritiera resa in fase di richiesta di autorizzazione al subappalto, essendo emersi a carico del legale rappresentante dell’impresa numerosi decreti penali non dichiarati.
La sentenza impugnata accoglieva il gravame in relazione alla depenalizzazione dei reati oggetto dei predetti decreti penali in epoca ben anteriore agli atti di gara nonché alla buona fede della parte dichiarante, stante il tempo trascorso dalle condanne e la circostanza che le stesse non risultavano dal certificato del casellario a richiesta dell’interessato.
La predetta pronuncia del tribunale amministrativo veniva riformata dal Consiglio di Stato secondo il quale“è pacifico che il legale rappresentante dell’impresa odierna appellata abbia subito le numerose condanne di cui ai decreti penali contestati e che non le abbia dichiarate; sia sul punto della buona fede, attesa la piena consapevolezza in ordine al fatto di aver subito le condanne oggetto di contestazione”.
Peraltro, a giudizio del supremo Consesso, veniva esclusa anche la buona fede del soggetto concorrente , sapendo quest’ultimo di aver subito le predette condanne penali.
Il Consiglio di Stato concludeva nel rigetto della pronuncia del TAR sostenendo che “, è pacifico che il legale rappresentante abbia reso una dichiarazione non veritiera, e quindi falsa nei termini rilevanti ai fini della norma richiamata, in quanto non attestante le diverse condanne subite. Altrettanto evidente è l’assenza dell’invocata buona fede, in specie in relazione alla piena consapevolezza del soggetto in ordine alla circostanza di aver subito tali condanne; al riguardo, l’aver prodotto un certificato che, per le proprie caratteristiche giuridicamente note agli operatori del settore, non poteva contenere il riferimento alle predette condanne, lungi dal dimostrare la buona fede può assumere rilievo nei termini opposti, quale tentativo di evitare il riferimento a condanne storicamente consolidate, seppur concernenti reati oggetto di successiva depenalizzazione legislativa.”
In conclusione la sezione ha affermato che una dichiarazione incompleta, nel ledere il principio di buon andamento dell’amministrazione, determina necessariamente, a sua volta, una dichiarazione di per se stessa inaffidabile, in quanto falsa o incompleta, lesiva, pertanto, degli interessi tutelati, indipendentemente dal merito della stessa impresa di partecipare o meno alla stessa procedura competitiva.
La sentenza in commento è indubbiamente degna di particolare attenzione in quanto la stessa determina un’anticipazione degli effetti, di natura prodromica, rispetto ai principi sostenuti dall’adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n.8 del 20 luglio 2015). Infatti, secondo tale pronuncia, in ottemperanza al succitato principio di buon andamento dell’amministrazione, i requisiti di ordine generale e speciale devono essere posseduti dai candidati in tutte le fasi della procedura concorsuale, compresa la stipula del contratto e l’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità.
La gravità della mancata menzione da parte del dichiarante dell’esistenza di decreti penali di condanna a proprio sfavore viene suffragata da specifici interventi giurisprudenziali.
A tal proposito si rammenta la sentenza 05/10/2011, n. 1724 del TAR Puglia - Lecce, Sezione I, secondo il quale il decreto penale di condanna è un provvedimento giurisdizionale che, pur non avendo attitudine ad acquisire la medesima forza del giudicato, propria della sentenza di condanna, è tuttavia suscettibile di divenire irrevocabile a seguito di mancata opposizione nei termini. Tale decreto viene equiparato a tutti gli effetti alla sentenza di condanna passata in giudicato, ai fini della comminatoria di esclusione dalla gara. Di conseguenza la sanzione inflitta determina una specifica qualificazione del medesimo dichiarante, nei confronti del quale l’ordinamento pretende inevitabilmente un quid pluris di lealtà e di correttezza proprio nel compimento della suddetta attività di dichiarazione.