Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138

Guida alla lettura

 

La III Sezione del Consiglio di Stato - premesso che l’ammissibilità del ricorso di primo grado possa essere esaminata di ufficio anche in appello, se TAR abbia omesso di pronunciarsi esplicitamente sul punto, a condizione che, nel corso del giudizio, nessuna delle parti abbia prospettato la questione e si escluda con certezza la valutazione implicita sulla ritualità del ricorso – affronta la questione dell’onere di immediata impugnazione dei criteri di aggiudicazione stabiliti dalla lex specialis di gara.

Il caso ha ad oggetto la contestazione del criterio di aggiudicazione di una procedura aperta, dato dal “prezzo più basso”, per non aver la stazione appaltante scelto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Il tema interpretativo centrale dell’ordinanza, quindi, concerne l’esatta delimitazione oggettiva dell’ambito entro cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara e degli atti che definiscono le regole della procedura selettiva, con particolare riguardo ai criteri di aggiudicazione e al metodo di valutazione delle offerte, per valutare se occorra ridefinire la portata dei principi espressi dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1/2003, alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici e dell’evoluzione della giurisprudenza della CGUE.

 

Il Collegio richiama la sentenza dell’Adunanza Plenaria appena indicata e ripercorre sinteticamente l’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi sulla base della stessa.

 

1.     L’ordinanza della V Sezione del Consiglio di Stato, 6 maggio 2002 n. 2406

 

La V Sezione ha evidenziato “l’esigenza, di carattere generale, di procedere all’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di decadenza, l’immediata impugnazione dei bandi di gara (o di concorso) senza attendere gli atti applicativi”, chiedendo all’organo nomofilattico “se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alle procedure selettive, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale, ovvero se possano essere impugnate contestualmente all’atto applicativo che conclude la procedura selettiva”.

L’ordinanza aveva espresso un avviso favorevole per la prima opzione esegetica, “con particolare (ed esclusivo) riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara. Anche in tal caso, le clausole in questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto procedimentale, nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le modalità di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali e procedimentali, connessi alla domanda di partecipazione alla procedura selettiva. Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta all’atto applicativo”.

 

2.     L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003.

 

Sul punto, l’Adunanza Plenaria n. 1/2003 ha analizzato il tema complessivo dell’impugnabilità degli atti amministrativi a carattere generale, con effetti nei confronti di una pluralità di destinatari non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente determinabili, evidenziando che, per essi “si pone il problema della loro lesività immediata prima dell’adozione degli atti applicativi: prima cioè che gli atti puntuali che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva”.

Ha poi ricordato i tradizionali principi che regolano l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale (o amministrativo), i quali richiedono “che sia l’interesse sostanziale (a tutela del quale si agisce) che l’interesse ad agire siano caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità”. Correlativamente, “la lesione subita dall’interesse sostanziale del ricorrente (ed in conseguenza della quale egli agisce in giudizio) deve, in linea di stretta conseguenzialità, essere contrassegnata dai caratteri della immediatezza, della concretezza e dell’attualità”.

 

Ne consegue che a fronte della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, “ il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare. D’altra parte, ove l’esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l’atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l’atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva”.

 

Infine, tracciato il quadro generale in punto di interessi sostanziali e fissata l’esatta perimetrazione dell’interesse legittimo, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che “le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione”.

 

Pertanto, ha escluso l’onere di immediata impugnazione:

 

a) delle clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara;

 

b) delle prescrizioni del bando che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia;

 

c) delle clausole del bando che definiscono gli oneri formali di partecipazione.

 

Sussiste, invece, “un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi intrinseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione”.

 

La V Sezione si sofferma sull’esclusione dell’onere di impugnativa nei casi sub a) e b).

 

L’Adunanza Plenaria ha, infatti, ribadito - quanto all’interesse protetto, o comunque alla situazione soggettiva di cui è titolare il partecipante alla gara - che il suo contenuto è costituito non dall’astratta legittimità del comportamento dell’Amministrazione, ma dalla possibilità di conseguire l’aggiudicazione.

 

L’aggiudicazione costituisce il bene della vita che l’interessato intende conseguire attraverso la gara; ed è il medesimo bene della vita che si intende conseguire attraverso la tutela giurisdizionale, nell’ipotesi di illegittimo diniego di aggiudicazione”, precisando che “la “condizione di concorrenti” dei partecipanti alla gara può essere apprezzata e valutata esclusivamente con riferimento all’unico interesse sostanziale di cui essi sono titolari, che è quello all’aggiudicazione e, comunque, all’esito positivo della procedura concorsuale, sicché l’eventuale incidenza di clausole che conformino illegittimamente la condizione di concorrenti dei singoli partecipanti, può acquistare rilievo esclusivamente se si traduce in un diniego di aggiudicazione o, comunque, in un arresto procedimentale con riferimento al medesimo obiettivo”.

 

3.     La giurisprudenza successiva all’Adunanza Plenaria 1/2003

 

I principi stabiliti nella decisione n. 1/2003 sono stati pienamente recepiti dalla giurisprudenza successiva, che ha ammesso – e imposto – l’impugnazione immediata per:

 

i) le disposizioni abnormi o irragionevoli, che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta;

 

ii) le condizioni negoziali indicate nello schema di contratto, che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente;

 

iii) l’imposizione di obblighi contra ius (come, ad esempio, la cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto);

 

iv) le gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come quelli relativi al numero, alle qualifiche, alle mansioni, ai livelli retributivi e all’anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario, sulla impossibilità di stabilire la durata effettiva del contratto da affidare, ovvero la presenza di formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” punti);

 

v) gli atti di gara privi della prescritta indicazione, nel bando, dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso”.

 

In sostanza, la giurisprudenza successiva, fedele all’Adunanza Plenaria, ha affermato il principio dell’impugnabilità immediata, non solo delle clausole che “impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale”, ma anche delle clausole che rendono la partecipazione (possibile ma) inutile, contra ius, eccessivamente gravosa sul piano tecnico ed economico.

 

Si tratta di pronunce che non sembrano, quindi, porsi in contrasto con la Plenaria, perché tendono a precisare la portata del precedente nomofilattico, pur ampliando sostanzialmente i casi di immediata impugnazione.

 

4.     La tesi della VI Sezione del Consiglio di Stato.

 

In prospettiva ermeneutica di segno difforme si pongono le tre ordinanze con cui la VI Sezione del Consiglio di Stato ha richiesto, nel 2011, l’intervento dell’Adunanza Plenaria, per superare l’orientamento sancito dalla sentenza n. 1/2003.

 

·      L’ordinanza n. 351/2011 ha sollecitato la revisione dei principi sanciti dall’Adunanza Plenaria nel 2003, muovendo due ordini di obiezioni:

 

a) la finalità deflattiva del contenzioso sottesa alla sentenza n. 1/2003 si sarebbe dimostrata “nei fatti del tutto fallace, a fronte di incontestabili costi aggiuntivi per la p.a. costretta a impegnativi e lunghi rinnovi procedimentali”;

 

b) “se le clausole, escludenti o meno che siano, sono ritenute illegittime, non vi è giustificazione per superare i limiti temporali dell’azione di impugnazione, attesa comunque la loro lesività”.

 

L’ordinanza ha fatto leva sul principio di buona fede oggettiva, contenuto negli articoli 1337 e 1338 c.c, la cui violazione genera la responsabilità della “parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte”, giungendo a sostenere che “quell’affidamento, così spesso invocato a danno della p.a., debba valere anche a favore di quest’ultima, nel momento in cui un soggetto chiede e sia ammesso a partecipare ad un procedimento sulla cui onerosità e complessità non è necessario ricordare”.

 

Tali questioni, tuttavia, non sono state esaminata dall’Adunanza Plenaria, la quale, con la sentenza n. 4/2011, incentrata sulla complessa diversa tematica del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, si è limitata ad affermarne l’irrilevanza rispetto alla controversia decisa.

 

·      Un secondo tentativo di ripensamento dei principi espressi dalla sentenza n. 1/2003 è stato effettuato, sempre dalla VI Sezione, con l’ordinanza di rimessione n. 2633/2012, che ha espressamente richiamato gli argomenti di cui alla pronuncia n. 351/2011. Anche in questa occasione l’Adunanza Plenaria non si è pronunciata sulla questione, ritenendola non rilevante ai fini della decisione della res controversa.

 

·      Infine, la VI Sezione, con l’ordinanza di rimessione n. 634/2013, pur aderendo all’orientamento espresso nelle ordinanze nn. 351/2011 e 2633/2012, ha espresso una posizione più netta, con argomentazioni parzialmente innovative. La Sezione rimettente, infatti, ha sostenuto che “le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali”.

Al fine di giustificare questa radicale posizione, la pronuncia ha affermato che “con la domanda di partecipazione alla gara, infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis”.

Di conseguenza, per l’ordinanza, sarebbe stato preferibile affermare un onere di immediata impugnazione di tutte le clausole del bando, “essendo pacifico che la complessa ed onerosa partecipazione ad una gara, indetta dall’Amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi o forniture - benché conclusivamente finalizzata all’aggiudicazione – implichi per le imprese concorrenti anche un immediato interesse al corretto espletamento della procedura, sulla base di regole certe e non ulteriormente contestabili”. In questo modo, “le esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa sarebbero meglio tutelate, eliminando i margini di incertezza connessi ad eventuali impugnative proposte al termine della procedura concorsuale e volte a censurare prescrizioni contenute nella lex specialis”.

 

Tuttavia, anche in quella occasione l’Adunanza Plenaria non ha approfondito la questione, avendo ritenuto legittima la clausola controversa, la quale concerneva l’apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica in seduta non pubblica.

 

5.     La tesi della III Sezione, nell’ordinanza 5138/17.

 

La III Sezione del Consiglio di Stato, con l’ordinanza che si segnala - ritenuto opportuno tenere conto di quanto prospettato dalla Sesta Sezione, per definire l’indirizzo sancito dall’Adunanza Plenaria e prevenire possibili oscillazioni interpretative  - ha ricostruito la cornice del diritto europeo, delineato dalla direttiva ricorsi e dagli interventi della Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Il Collegio ha sottolineato la mancanza, nella disciplina eurounitaria, di una puntuale indicazione del momento in cui deve essere consentito alla parte l’esercizio del diritto di ricorso e la prevalenza dell’indirizzo orientato a dilatare e anticipare l’ambito della legittimazione e dell’interesse all’impugnazione, anche in un’ottica di protezione generale della concorrenza e di rispetto della legalità delle gare, cogliendo, tuttavia, l’intento di accelerare la definizione del contenzioso per evitare che i rapporti giuridici, una volta avviati, siano rimessi in discussione (in questo senso depongono le regole riguardanti il termine sospensivo per la stipulazione del contratto e i limiti alla obbligatoria inefficacia del contratto).

 

La Sezione ha riportato, pertanto, la (propria) recente posizione, espressa nell’ordinanza 2 maggio 2017, n. 2014 del Consiglio di Stato, sui limiti dell’onere di immediata impugnazione del bando, con specifico riferimento alle clausole relative ai criteri di aggiudicazione e ha evidenziato la necessità di adeguare la teoria della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e della sua tutela, al mutato contesto normativo, con un’attualizzazione dei canoni ermeneutici fissati dalla Plenaria del 2003.

 

Il caso ha per oggetto la contestazione di una procedura aperta, che prevedeva il criterio di aggiudicazione del “prezzo più basso” per l’assegnazione di un servizio di somministrazione di personale infermieristico e tecnico-sanitario, scelta che la stazione appaltante ha giustificato sulla base delle “caratteristiche standardizzate del servizio” e con la facoltà di ricorrere, in via eccezionale, al criterio del minor costo.

La clausola è stata immediatamente impugnata, senza attendere l’esito della procedura selettiva, da una delle imprese concorrenti, assumendosi lesa direttamente ed immediatamente nel “diritto degli operatori economici a formulare l’offerta secondo un criterio legittimo in relazione all’oggetto della gara”, ai sensi dell’art. 95 del d.lgs. n. 50/2016, il quale, nel disciplinare i criteri di aggiudicazione delle offerte, stabilisce che i contratti aventi ad oggetto servizi “ad alta intensità di manodopera” - quale era quello di specie - debbano essere assegnati secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 

La III Sezione ha proposto un’interpretazione evolutiva dei principi dell’Adunanza Plenaria n. 1/2003, in base a due rilievi.

 

1.     La prima innovazione di rilievo è l’espressa comminazione di nullità delle clausole espulsive autonomamente previste dalla stazione appaltante (si veda il vecchio comma 1 bis dell'art. 46 del codice dei contratti pubblici, di cui l’attuale art. 83 comma 8 del nuovo codice ne reitera la previsione nel delineare una fattispecie di nullità, prescrivendo che “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.

 

Secondo la Sezione, “l'aver inquadrato il vizio nelle cause di nullità, ex art. 21-septies legge n. 241/1990, costituisce un indizio della vocazione generale ed autonoma dell’interesse partecipationis. Il legislatore ha ritenuto nel caso di specie di abdicare all’ordinario schema dell’annullabilità – in cui l’effetto di ripristino della legittimità è realizzato attraverso la cooperazione e sulla base della dimensione esclusivamente individuale dell’interesse privato leso - a favore dello schema della nullità, in cui invece l’interesse trascende la dimensione meramente individuale sino a giustificare il rilievo d’ufficio da parte del giudice e l’opposizione senza limiti di tempo della parte del resistente”.

 

2.     L’altra innovativa previsione considerata dalla Sezione è stata introdotta dall’art. 211, comma 2, del nuovo codice (oggi abrogato dall'art. 123, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 56/2017), riguardante l’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC. Secondo la più accreditata ricostruzione (elaborata dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, n. 2777 del 28 dicembre 2016), si trattava di un’ipotesi qualificata di autotutela “doverosa”, attivabile dalla stazione appaltante, su impulso dell’Autorità di vigilanza, al fine del ripristino della legalità procedurale, che “prescinde dall’interesse del singolo partecipante all’aggiudicazione e mira invece al corretto svolgimento delle procedure di appalto nell’interesse di tutti i partecipanti e finanche di quello collettivo dei cittadini, interesse quest’ultimo che và via via emancipandosi dallo schema del mero interesse di fatto (sul punto cfr. considerando 122 della direttiva 24/2014)”.

 

Sul punto il Collegio ha segnalato che anche la vigente formulazione dell’art. 211 del D.L. n. 50/2017 prevede, in luogo dell’autotutela “doverosa”, originata dalla raccomandazione vincolante dell’Autorità:

 

a) la legittimazione speciale dell’ANAC all'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;

 

b) la possibilità per l'ANAC, ove ritenga che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice, di emettere, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati, nonché di ricorrere al giudice amministrativo se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato.

 

La novella, sotto il profilo dell’evoluzione ordinamentale, rileva perché – esclusa ogni ricostruzione in termini di giurisdizione di diritto oggettivo – sembra ex lege individuare un soggetto esponenziale, portatore di un interesse istituzionale all’effettivo dispiegarsi dei principi perseguiti dal nuovo codice dei contratti pubblici, riguardanti non solo la concorrenza e il conseguente corretto funzionamento del mercato, ma anche la “legalità” delle procedure, come prescritto dalle direttive del 2014.

 

Il Collegio ha considerato particolarmente significativo che siano espressamente menzionati i bandi e gli atti generali quali possibili oggetti dell’azione speciale attribuita all’ANAC.

Infatti, se l’ordinamento introduce nuovi strumenti processuali volti a garantire la corretta competizione ai fini dell’aggiudicazione dei contratti pubblici, diventa ragionevole ritenere che il bene del rispetto delle regole procedurali dirette a fissare il nucleo essenziale della selezione comparativa delle offerte, costituisca un autonomo interesse meritevole di immediata e tempestiva protezione dall’ordinamento, essendo ormai emancipato dalla condizione di mero interesse di fatto.

 

La tutela giurisdizionale di detto interesse compete all’ANAC, in virtù dell’art. 211 del codice dei contratti pubblici, ma, a maggior ragione, spetta anche all’operatore economico del settore interessato alla procedura di gara e al suo corretto svolgimento.

 

In altri termini, accanto all’interesse sostanziale finale del soggetto economico, diretto all’aggiudicazione dell’appalto, l’ordinamento positivo contempla ora un interesse strumentale – ma anche esso sostanziale – polarizzato sulla procedura di gara, in sé considerata.

 

Ulteriore rilevante argomento utilizzato dalla Sezione nella sentenza 2014/2017 è la previsione dell’onere di impugnazione dell’altrui ammissione alla procedura di gara (art. 120 c.p.a., commi 2-bis e 6-bis, così come modificato dall’art. 204, comma 1 lett. b) del nuovo codice dei contratti pubblici).

La Sezione, nella sentenza in esame constata come “A fronte di un sistema che in precedenza precludeva l’impugnazione delle ammissioni, sull’implicito e pacifico presupposto che il concorrente avesse un interesse concreto ed attuale a contestare l’ammissione altrui solo all’esito della procedura selettiva, si è previsto l’onere di impugnazione immediata, con ciò dando evidentemente sostanza e tutela ad un interesse al corretto svolgimento della gara, scisso ed autonomo, sebbene strumentale, rispetto a quello all’aggiudicazione”.

 

L’elaborazione giurisprudenziale riferita alla nuova previsione processuale ha chiarito che tale onere processuale si spiega con la conformazione sostanziale delle diverse autonome fasi di svolgimento della gara e delle correlate posizioni giuridiche soggettive.

Infatti, la fase di verifica delle offerte si deve concludere con un provvedimento esplicito, recante le ammissioni e le esclusioni, corredato dalle pertinenti motivazioni e soggetto a precisi obblighi di pubblicità.

 

Provvedimento che, lungi dal rappresentare un aggravio procedimentale, ha lo scopo pratico di chiudere, con certezza, un autonomo segmento dell’iter, semplificando la successiva fase propriamente selettiva, non più soggetta all’alea di contestazioni idonee a vanificare, ex post l’intero svolgimento della complessa sequenza, con evidenti costi per la stazione appaltante e per i concorrenti.

 

La Sezione interpreta, quindi, l’espressa previsione dell’onere di impugnazione di tale provvedimento, in chiave rafforzativa dell’opinione secondo cui emergono autonomi interessi sostanziali già nella serie procedimentale che precede il provvedimento conclusivo di aggiudicazione.

 

Infatti, nello schema originario del codice dei contratti pubblici, sottoposto al parere del Consiglio di Stato, si prevedeva un’estensione del rito speciale sull’impugnazione immediata di altri atti precedenti l’aggiudicazione, con particolare riferimento alla composizione della commissione.

 

Il testo definitivo ha espunto tale indicazione, recependo i suggerimenti dell’organo consultivo. Le obiezioni esposte dalla Commissione speciale, però, non riguardavano il tema dell’onere di immediata impugnazione, quanto piuttosto il vincolo imposto dalla legge di delega (che non contemplava tali ipotesi) e l’incidenza sull’applicazione di un rito speciale al di fuori dei casi consentiti dalla stessa legge delega. L’organo consultivo, invece, non ha preso posizione sull’aspetto concernente l’immediata lesività di tali atti e del conseguente onere di impugnazione tempestiva, secondo le regole generali.

 

Il Collegio osserva, incidentalmente, che, de iure condendo, potrebbe essere auspicabile delineare un rito accelerato per le impugnazioni di tutti gli atti delle procedure di gara anteriori all’aggiudicazione considerati immediatamente lesivi (anche nella prospettiva limitatrice indicata dalla stessa Adunanza Plenaria n. 1/2003).

 

Inoltre, l’ammissione degli altri concorrenti è dal punto di vista logico - e soprattutto dal punto di vista della “differenziazione” della posizione giuridica del partecipante rispetto al bene della vita riguardante il corretto svolgimento della gara, in sintonia con i valori della concorrenza - un minus rispetto all’interesse dell’operatore economico ad ottenere una lex di gara che gli consenta di competere secundum legem.

 

Se, infatti, l’avere previsto una legittimazione “anticipata” del concorrente, svincolata dall’altrui chances di aggiudicazione, oltre che dalle proprie, ha significato riconoscere un bene della vita diverso, autonomo anche se strumentale rispetto a quello squisitamente personale dell’aggiudicazione (ossia l’interesse a competere esclusivamente con chi ne ha titolo), è parimenti pacifico che questo bene della vita si colloca, su di un piano gerarchico, in posizione gradata rispetto all’interesse del concorrente ad una disciplina della gara che sia conforme ai criteri di legge in base ai quali l’operatore si è attrezzato per competere (su tutti il criterio di aggiudicazione).

 

Va considerato, ancora, sul piano sostanziale, l’art. 95 del codice dei contratti pubblici, laddove procede alla “creazione di una vera e propria gerarchia fra i due tipici metodi di aggiudicazione di un appalto, ovvero l’offerta economicamente più vantaggiosa e il massimo ribasso”.

 

Nell’art. 83 dell’abrogato codice n. 163/06 tali criteri erano posti su una posizione di parità, e spettava unicamente all’Amministrazione, nella sua discrezionalità, optare per l’uno per l’altro. L’art. 95 del nuovo codice, invece, dopo avere affermato che “i criteri di aggiudicazione non conferiscono alla stazione appaltante un potere di scelta illimitata dell'offerta” e che “essi garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l'efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte”, ha imposto l’offerta economicamente più vantaggiosa come criterio “principale” e il massimo ribasso come criterio del tutto “residuale”, utilizzabile solo in alcuni tassativi casi e comunque previa specifica ed adeguata motivazione.

 

Del resto, l’innovazione riguardante la netta preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa rappresenta uno dei punti qualificanti delle direttive del 2014, positivamente valutata anche nel dibattito giuridico, economico, e persino etico, riguardante la corretta ed efficiente attività delle stazioni appaltanti, in funzione della promozione delle imprese virtuose, tanto nei rapporti esterni con la stazione appaltante, quanto nell’ambito della efficiente organizzazione interna e della tutela dei lavoratori dipendenti.

 

Il criterio di aggiudicazione cessa, dunque, di essere un mero criterio tecnico economico, servente rispetto agli standard desiderati dell’amministrazione, e necessitante, in quanto tale, ai fini di una sua astratta sindacabilità, della prova di resistenza (ossia la prova che ove il criterio fosse stato diverso le chances di aggiudicazione sarebbero cresciute), divenendo una prescrizione di legge vincolante, a garanzia della qualità delle prestazioni e della corretta dinamica concorrenziale che fisiologicamente presuppone nel committente un’aspettativa in termini di miglior rapporto qualità/prezzo. E’ quanto chiarito dal considerando 89 della direttiva 24/2014, laddove afferma che l’offerta “economicamente” più vantaggiosa è “sempre” quella che assicura il miglior rapporto tra qualità e prezzo.

 

Le sopravvenienze normative descritte concorrono a profilare – secondo la sentenza citata - una nozione di “bene della vita” meritevole di protezione, più ampia di quella tradizionalmente riferita all’aggiudicazione, che sebbene non coincidente con il generale interesse alla mera legittimità dell’azione amministrativa, comprende il “diritto” dell’operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, e conseguentemente a formulare un’offerta che possa validamente rappresentare la qualità delle soluzioni elaborate ed essere giudicata in relazione anche a tali aspetti, oltre che sulla limitativa e limitante (se isolatamente considerata) prospettiva dello “sconto”.

 

Il Collegio reputa che tali assunti, attenti all’evoluzione ordinamentale interna e comunitaria, meritino approfondimento da parte dell’Adunanza Plenaria, dato alcuni elementi, fisiologicamente disciplinati dal bando o dagli altri atti di avvio della procedura, toccano immediatamente “beni della vita” protetti dall’ordinamento in forza della loro rilevanza in ambito concorrenziale e tutelati attraverso il riconoscimento di correlata azione giurisdizionale, sostanziantesi:

 

a) nell’interesse a competere con concorrenti in possesso dei requisiti generali;

b) nell’interesse a competere con il criterio di aggiudicazione che il legislatore ha prescelto a miglior garanzia della qualità oltre che dell’economicità.

 

Si tratta di interessi sono giuridicamente rilevanti.

 

I dubbi piuttosto si pongono sul versante della necessaria “differenziazione” dell’interesse, quale requisito indefettibile per il sorgere di un interesse legittimo azionabile in giudizio dal singolo operatore economico, in quanto:

 

§  nel caso delle “ammissioni altrui” è lo stesso legislatore ad attribuire direttamente legittimazione al singolo concorrente, implicitamente differenziandone l’interesse rispetto al quisque de populo;

 

§  nel caso del criterio di aggiudicazione la “differenziazione” della posizione giuridica del concorrente dovrebbe – secondo il collegio – ricavarsi:

 

a) dall’avere, il medesimo, una posizione sul mercato consolidatasi anche in forza della qualità dei prodotti fabbricati e delle prestazioni offerte;

 

b) dall’avere partecipato ad una gara - o dall’avere i requisiti e l’interesse a parteciparvi (sul punto si veda oltre) – basate su scelte non conformi ai criteri qualitativi prescelti da legislatore.

 

L’adozione del criterio del prezzo più basso, in luogo del miglior rapporto qualità/prezzo lede immediatamente siffatta posizione giuridica elidendo in radice l’interesse a competere secondo qualità.

 

Dalla distinzione tra l’aspirazione all’aggiudicazione e quella alla competizione secondo qualità dovrebbe logicamente conseguire che la clausola del bando contemplante l’erroneo criterio di aggiudicazione è suscettibile di immediata impugnazione, ed anzi, genera un vero e proprio onere in tal senso.

 

Infatti, non è praticabile l’opzione ermeneutica, astrattamente prospettabile, secondo la quale le esigenze di ampliare la tutela giurisdizionale in coerenza del canone di effettività della tutela imposto dal diritto dell’Unione europea, implicherebbero che l’operatore economico potrebbe scegliere se impugnare immediatamente il bando o attendere l’esito della procedura. Al contrario, serve una delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l’onere di tempestiva e autonoma impugnazione.

 

Del resto – come sostenuto dalla sentenza 2014/2017 – “una diversa soluzione - più aderente alla lettera che alla ratio dell’Adunanza Plenaria del 2003 ed all’esigenza della sua interpretazione in chiave evolutiva – finirebbe per svilire e depotenziare le due architravi del nuovo impianto normativo:

 

a) da un lato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - assunto da legislatore ad elemento di rilancio di una discrezionalità “sana e vigilata” da porre a disposizione di amministrazioni qualificate sì da renderle capaci di selezionare le offerte con razionalità ed attenzione ai profili qualitativi – sarebbe destinato a rimanere privo di garanzie di effettività, posto che, la sua correzione si avrebbe solo all’esito della procedura concorsuale e della sua appendice giurisdizionale, in presenza di un operatore (quello offerente il massimo ribasso) in capo al quale si sono tra l’altro già ingenerate aspettative;

 

b) dall’altro sarebbe irragionevolmente derogata la logica bifasica (ammissioni/esclusioni prima fase; aggiudicazione seconda fase) che ha caratterizzato il nuovo approccio processuale in tema di tutela, poiché è evidente che l’illegittimità del bando, sub specie del criterio di aggiudicazione, è un prius logico giuridico rispetto alle ammissioni, condizionandole e rendendole illegittime in via derivata. Con il risultato che l’intento di affrancare il contenzioso sull’aggiudicazione da tutte le questioni sollevabili in via incidentale dal controinteressato (e fra queste anche quelle relative all’illegittimità del bando, strumentali all’utilitas della riedizione della gara) che ha ispirato la formulazione delle nuove norme processuali, risulterebbe tradito proprio in relazione ad aspetti basilari della prima fase.

 

Se così è, allora, non v’è ragione alcuna per attendere, al fine di invocare tutela, che la procedura di concluda con l’aggiudicazione a terzi. Tale soluzione non risponderebbe a finalità deflattive ed anzi inficerebbe quelle legate al pur contemplato onere di impugnazione delle ammissioni; non risponde del resto a finalità di coerenza giuridica o dogmatica, poiché il postergare l'impugnazione della lex di gara finanche quando la violazione è già conclamata, può avere un senso solo in relazione a clausole che non violino immediatamente l’interesse del singolo imprenditore, è così certamente non è per quelle che gli impediscono di concorrere sulla qualità….”.

 

Inoltre, sul piano più generale attinente al grado di implementazione delle riforme legislative,  la Sezione osserva che laddove, pur dinanzi all’opzione legislativa per il criterio qualitativo, si continui a negare il sorgere di un correlato interesse legittimo suscettibile di immediata tutela in capo agli operatori, l’opzione predetta rimarrebbe deficitaria di meccanismi di controllo in grado di assicurarne l’effettiva applicazione, poiché l’interesse legittimo continua, anche nella ricostruzione sostanzialistica, ad essere portatore di una funzione ancipite di protezione del bene della vita ed al contempo verifica del corretto inveramento dell’interesse pubblico.

 

Nello stesso senso, la giurisprudenza maggioritaria di primo grado dà applicazione la tesi “tradizionale”, aderente ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003, ribadendo che “il criterio del prezzo più basso non è autonomamente lesivo, in quanto non preclude la partecipazione alla gara dell’impresa ricorrente, né le impedisce di formulare un’offerta concorrenziale. La lesività della sfera giuridica derivante dalla scelta del criterio contestato non può, infatti, essere percepita con la pubblicazione del bando, (…) ma è (in via eventuale) destinata ad attualizzarsi soltanto a seguito di un provvedimento successivo che renda concreto ed attuale l’interesse all’impugnazione, non essendo allo stato escluso che la ricorrente divenga aggiudicataria della gara.”

 

5.         L’esatta delimitazione oggettiva dell’ambito generale entro cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara

 

Allargando la prospettiva, il Collegio chiede all’Adunanza Plenaria di definire la perimetrazione dell’onere di immediata impugnazione, stilando un vero e proprio decalogo, similmente a quanto fatto nel 2003.

 

L’approdo più coerente con l’evoluzione della posizione giuridica di interesse legittimo tracciata, potrebbe essere quello di affermare che tutte le clausole attinenti le regole “formali” e “sostanziali” della gara debbano essere immediatamente impugnate, con eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi.

 

La conclusione sarebbe in linea con il principio secondo il quale, se vi è onere di impugnazione immediata dell’ammissione altrui, a fortiori l’onere deve sussistere per gli atti che la precedono, essendo irragionevole innestare una verifica parentetica delle ammissioni (pacificamente non lesive dell’interesse individuale all’aggiudicazione) e lasciare fuori le questioni, logicamente pregresse, di legittimità del bando, consentendo alle stesse una reviviscenza capace di rendere, ex post, lo stesso giudizio sulle ammissioni eventualmente instauratosi, inutiliter datum.

 

In base alla prospettiva giurisdizionale europea, infatti,  il diritto alla piena ed effettiva concorrenza è stata la stella polare che ha imposto il cd “subentro” nel contratto (art. 2-quinquies della direttiva ricorsi 2007/66/CE) e la responsabilità svincolata dalla colpa sul versante risarcitorio, istituti di carattere eccezionale estranei alla tradizione giuridica nazionale; oltre ad essere la ragione della formulazione del Considerando n. 122 della direttiva 2014/24/UE, in forza del quale persino “i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone o organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla direttiva 89/665/CEE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto….”.

 

In altri termini, nell’ordinamento dell’Unione, la tutela dei soggetti interessati, finanche nella loro veste di semplici cittadini, è uno strumento di garanzia che concorre alla corretta attuazione del principio di concorrenza, che mira ad attribuire l’occasione lucrativa esclusivamente a chi ha fatto la migliore offerta nel rispetto del disposizioni di legge sulla concorrenza.

 

La postergazione della tutela avverso il bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto stabilito dalla Plenaria 1/2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice eurounitaria, poiché non lo oblitera, ma non può escludersi che valga ad attenuarne l’effettività nella misura in cui consente l’accesso al giudice in un momento di molto successivo alla emanazione del provvedimento violativo della legge.

 

Viceversa, l’affermazione dell’onere di impugnazione immediata di tutte le clausole attinenti le regole “formali” e “sostanziali” della gara, con eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi, garantirebbe un accesso immediato al giudice ed un rapido emendamento del bando, per uniformarlo alle regole concorrenziali. Lo “strappo” ai principi generali, lungi dal costituire una rivisitazione della teoria della concretezza ed attualità della lesione ai fini dell’esperimento della tutela demolitoria, si inserirebbe nel solco della specialità del settore dei pubblici appalti, rinvenendo in quest’ultima la sua ratio ultima.

 

6.         La dimensione temporale non retroattiva dei nuovi principi eventualmente posti dall’Adunanza Plenaria: la regola dell’errore scusabile e la portata generale degli effetti dei mutamenti del diritto vivente di derivazione giurisprudenziale (overruling).

 

Da ultimo, il Collegio ritiene opportuno, esprimendosi in senso favorevole ad un revirement in ordine all’ambito dell’onere di immediata impugnazione della lex specialis di gara, che l’Adunanza Plenaria definisca l’ambito temporale di applicazione del nuovo principio, tra le seguenti alternative.

 

I) A stretto rigore, trattandosi della corretta applicazione del quadro normativo vigente, la regola interpretativa, ricognitiva dell’ordinamento positivo, dovrebbe operare con immediatezza, anche per i giudizi in corso.

 

II) Andrebbe però chiarito, in ogni caso, se l’ampliamento dell’onere di immediata impugnazione del bando (quanto meno con riguardo alla determinazione del criterio di aggiudicazione) sia strettamente connesso ai mutamenti legislativi derivanti dal codice n. 50/2016, incentrati sul favore per il criterio del miglior rapporto prezzo-qualità e sulla definizione di un’autonoma fase preliminare alla valutazione delle offerte perché, in tal caso, il principio interpretativo espresso dalla Plenaria varrebbe solo per le gare bandite dopo l’entrata in vigore del codice.

 

III) Occorrerebbe comunque stabilire se i nuovi principi innovativi eventualmente stabiliti dalla Plenaria valgano anche per il passato, ovvero –  tesi preferibile secondo il Collegio – solo per il futuro, secondo lo schema dell’overruling, ricorrente quando il mutamento della precedente interpretazione della norma processuale da parte dell’organo nomofilattico porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, di modo che l’atto compiuto dalla parte, od il comportamento da questa tenuto secondo l’orientamento precedente, risultino irrituali per effetto ed in conseguenza diretta del mutamento dei canoni interpretativi.

 

La Sezione richiama la giurisprudenza civile, che, per attribuire carattere innovativo all’intervento nomofilattico, ha richiesto la concomitanza di tre precisi presupposti:

 

1. l’esegesi incida su una regola del processo;

 

2. si tratti di esegesi imprevedibile susseguente ad altra consolidata nel tempo e quindi tale da indurre un ragionevole affidamento;

 

3. l'innovazione comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa.

 

 

7.         Il requisito della partecipazione alla procedura selettiva ai fini dell’impugnazione immediata del bando e degli altri atti precedenti l’aggiudicazione.

 

Il Collegio individua, infine, un ulteriore quesito di massima importanza per la definizione di un quadro armonico e chiaro del diritto vivente: la necessità o meno, tutte le volte che si impugnano clausole del bando, di presentare, al fine di comprovare la “differenziazione” del proprio interesse, la domanda di partecipazione alla gara, dal momento che:

 

§  l’Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4 ha affermato che la domanda di partecipazione alla procedura non rileva ai fini dell’impugnazione, o perché è la stessa gara a mancare, o perché la sua contestazione in radice ovvero l’impossibilità di parteciparvi fanno emergere ex se una situazione giuridica differenziata (in capo, rispettivamente, all’impresa titolare di un rapporto giuridico incompatibile con l’indizione della nuova procedura e all’impresa di settore cui è impedita la partecipazione) e una sua lesione attuale e concreta;

 

§  l’Adunanza Plenaria del 25 febbraio 2014, n. 9 ha ribadito il principio, affermando che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione; chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita; a tale regola generale si può fare eccezione, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e cioè quando:

 

I) si contesti in radice l’indizione della gara;

 

II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;

 

III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.

 

Il dubbio del Collegio riguarda l’ipotesi di cui al punto III.

 

Occorre in particolare chiarire se l’eccezione al principio di necessaria partecipazione alla procedura, possa ammettersi, oltre che nei casi in cui si si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, anche nei casi in cui la partecipazione, pur possibile, sarebbe inutile o comunque frustante a causa dell’adozione del criterio del prezzo più basso, in violazione della scelta fatta a monte dal legislatore.

 

Il punto ha formato oggetto di contrastanti interpretazioni; da un lato, la Corte costituzionale, la quale, con un’ampia motivazione, ha ribadito l’indirizzo più tradizionale, incentrato sulla massima estensione del principio secondo cui, di regola, la domanda di partecipazione alla gara costituisce requisito di legittimazione indispensabile per contestare le clausole del bando soggette all’onere di immediata impugnazione; dall’altro, la giurisprudenza di primo grado, secondo cui il diritto dell’UE favorirebbe una più ampia legittimazione al ricorso, estesa agli operatori economici del settore, anche in difetto della domanda di partecipazione alla gara.

 

8.         I quesiti sottoposti all’Adunanza Plenaria

 

In conclusione i quesiti che si sottopongono all’Adunanza Plenaria sono i seguenti:

 

1. Se, avuto anche riguardo al mutato quadro ordinamentale, i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n.1/2003 possano essere ulteriormente precisati nel senso che l’onere di impugnazione immediata del bando sussiste anche per il caso di erronea adozione del criterio del prezzo più basso, il luogo del miglior rapporto tra qualità e prezzo.

 

2. Se l’onere di immediata impugnazione del bando possa affermarsi più in generale per tutte le clausole attinenti le regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, nonché con riferimento agli altri atti concernenti le fasi della procedura precedenti l’aggiuducazione, con la sola eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi.

 

3. Se, nel caso in cui l’Adunanza Plenaria affermi innovativamente il principio della immediata impugnazione delle clausole del bando di gara riguardanti la definizione del criterio di aggiudicazione, e, individui, eventualmente, ulteriori ipotesi in cui sussiste l’onere di immediata impugnazione di atti della procedura precedenti l’aggiudicazione, la nuova regola interpretativa si applichi, alternativamente:

 

a) con immediatezza, anche ai giudizi in corso, indipendentemente dall’epoca di indizione della gara;

 

b) alle sole gare soggette alla disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016;

 

c) ai soli giudizi proposti dopo la pubblicazione della sentenza dell’Adunanza Plenaria, in conformità alle regole generali dell’errore scusabile e della irretroattività dei mutamenti di giurisprudenza incidenti sul diritto viventi (secondo i principi dell’overruling);

 

4. Se, nel caso di contestazione del criterio di aggiudicazione o, in generale, della impugnazione di atti della procedura immediatamente lesivi, sia necessario, ai fini della legittimazione a ricorrere, che l’operatore economico abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura, ovvero sia sufficiente la dimostrazione della qualità di operatore economico del settore, in possesso dei requisiti generali necessari per partecipare alla selezione.

 

 

 

N. 05138/2017 REG.PROV.COLL.

N. 02593/2017 REG.RIC.          

REPUBBLICA ITALIANA

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente

 

 

 

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

 

sul ricorso numero di registro generale 2593 del 2017, proposto da:

 

Plurima Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati Saverio Sticchi Damiani, Enrico Michetti, Alberto Gamberini, Nicola Bruno, con domicilio eletto presso lo studio Saverio Sticchi Damiani in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina, n. 26;

 

 contro

 

Società Pròdeo S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avvocati Maria Alessandra Sandulli, Romano Vaccarella, con domicilio eletto presso lo studio Maria Alessandra Sandulli in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;

 

 

nei confronti di

 

ASL Lecce, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocato Francesco Caricato, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Zebio N. 19;

 

 per la riforma

 

della sentenza pronunciata in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione Staccata di Lecce, Sezione II, 19/01/2017, n. 80, resa tra le parti, concernente una procedura aperta per l’affidamento del servizio di “archiviazione, custodia e gestione della documentazione amministrativa e sanitaria dell’Azienda Sanitaria Lecce”, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo del più basso.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio della ASL di Lecce e della Società Pròdeo S.p.A.;

 

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli Avvocati Marco Giustiniani su delega di Alberto Gamberini, Saverio Sticchi Damiani, Maria Alessandra Sandulli e Francesco Caricato;

 

1. Con bando di gara pubblicato sulla GUUE il 28 febbraio 2015, l’Azienda Sanitaria Lecce (di seguito, anche: “ASL Lecce”) ha indetto una procedura aperta per l’affidamento del servizio di “archiviazione, custodia e gestione della documentazione amministrativa e sanitaria”, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo del più basso, ex art. 82 dell’abrogato codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 163/2006, determinato mediante ribasso sul prezzo posto a base di gara, stimato in € 2,50 metro lineare/mese, IVA esclusa.

 

2. La società Pròdeo si è collocata al quarto posto della graduatoria, su cinque partecipanti.

 

Più in dettaglio, la graduatoria è stata la seguente:

 

RTI Plurima s.p.a.-Omnia Service s.r.l.: euro 1,0500, ribasso del 58%;

 

Memar Monteassegni s.p.a.: euro 1,1380, ribasso del 54%;

 

ATI Sikelia s.p.a.-AD Service s.r.l.: euro 1,3500, ribasso del 47%;

 

Pròdeo s.p.a.: euro 1,5600, ribasso del 37%;

 

RTI CNI s.p.a.-Fastweb s.p.a.: euro 1,8300, ribasso del 27%.

 

3. La società Pròdeo, gestore uscente del servizio, ha impugnato l’aggiudicazione, censurando in primis il criterio di aggiudicazione al “prezzo più basso” in ragione della complessità del servizio posto a gara, nonché della mancanza di una lex gara sufficientemente dettagliata.

 

4. Il TAR Puglia, Sezione Staccata di Lecce, ha accolto il ricorso e annullato tutti gli atti della procedura di gara, compreso il bando, giudicando fondata la censura relativa alla scelta del criterio di aggiudicazione.

 

Secondo il TAR:

 

a) l’oggetto del contratto in argomento risulta indubbiamente complesso, non tanto per le prestazioni da eseguire singolarmente considerate, quanto per le generali modalità organizzative del servizio: lo stesso, difatti, concerne un’amplissima quantità di documenti presenti nelle oltre 30 sedi della ASL Lecce -pari a circa 45.000 metri lineari-, documenti da ritirare, inventariare, informatizzare (senza scansione) e, a richiesta, riconsegnare; rispetto alla ‘nuova’ documentazione, successiva alla conclusione del contratto, invece, si prevede l’informatizzazione con vera e propria scansione, in modo da poter inviare via e-mail la copia digitale dei documenti stessi.

 

b) a fronte di un servizio tutt’altro che semplice e standardizzato, inoltre, la lex specialis della procedura non presentava profili di specificità tali da consentire alla stazione appaltante di individuare la migliore offerta senza alcun tipo di valutazione diversa da quella relativa al prezzo (<<Il criterio del prezzo più basso è consentito solamente nelle ipotesi in cui la lex specialis non lascia margini di definizione dei contenuti dell’appalto all’offerta dei concorrenti, così che l’unica variabile è costituita dal prezzo>>; T.A.R. Umbria, I, 30 gennaio 2013, n. 61): l’oggetto dell’appalto, difatti, era definito mediante la semplice elencazione delle singole ‘articolazioni’ del servizio (trasferimento presso una struttura unica di archivio centralizzato; custodia; riordino; informatizzazione -scansione- della nuova documentazione da archiviare, al fine di poter procedere all’invio dei documenti richiesti dagli uffici tramite e-mail; scarto e smaltimento, compresa la predisposizione degli appositi elenchi; gestione; movimentazione; schedatura informatizzata e inventariazione, con possibilità di effettuare le ricerche e conoscere la collocazione dell’unità archivistica all’interno della struttura proposta; consulenza nella gestione degli archivi; analisi, con apposita commissione mista -fornitore/ASL- per la verifica della documentazione che non necessita di archiviazione…; l’espletamento del servizio dovrà essere effettuato utilizzando un sistema applicativo informatico -software- compatibile con i supporti informatici utilizzati dagli uffici ASL), e le modalità di svolgimento dello stesso erano indicate dall’art. 4 del Capitolato in forma sostanzialmente descrittiva delle sue diverse fasi, senza una disciplina di dettaglio, quanto meno dei suoi momenti principali e fondanti (quanto al ‘data base’, in specie, si lasciava alle ditte “piena libertà di progettazione”, solo precisandosi i campi obbligatori delle schede relative alle cartelle cliniche e prevedendo la generica necessità che esso consentisse una rapida ed efficace individuazione e ricerca delle cartelle medesime; né erano specificate le caratteristiche dei locali di deposito e quelle della gestione materiale dei documenti, rispetto ai quali, a esempio, può in questi casi operarsi sia con sistemi manuali che con sistemi automatici o addirittura robotizzati); e d’altronde, a conferma di una non esaustiva predeterminazione dei contenuti del servizio da parte della Stazione appaltante, l’Allegato 2 al Disciplinare di gara prevedeva, con riguardo alla Busta ‘B’ - Offerta tecnica, che i concorrenti formulassero una “proposta progettuale, analiticamente descritta in due distinti elaborati: il primo relativo alle attività archivistiche, il secondo relativo al sistema informatico proposto”.

 

5. Avverso la sentenza di accoglimento ha proposto appello l’aggiudicataria Plurima S.p.a..

 

6. A supporto del gravame l’appellante ha dedotto che Pròdeo non avrebbe fornito neppure un principio di prova in ordine all’astratta possibilità che l’eventuale rinnovazione della procedura di gara, con un diverso criterio di aggiudicazione (in specie, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa) avrebbe potuto determinare un esito diverso e, per la stessa Prodeo, vittorioso. Detta prova, nella fattispecie, risulterebbe a fortiori necessaria, ove si consideri che quest’ultima ha partecipato alla gara senza mai contestare il criterio adottato, classificandosi al penultimo posto in graduatoria sulla base di un ribasso modesto rispetto agli altri concorrenti che la precedono.

 

6.1. In ogni caso, a dire dell’appellante, la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui non ha ritenuto giustificato il ricorso al criterio del prezzo più basso. Sul punto occorrerebbe avere riguardo al capitolato speciale d’appalto, il quale individua le modalità esecutive del servizio e, al contempo, vincola espressamente l’appaltatore al rispetto delle prescrizioni tecniche dettate dalla normativa di settore, divenuta ormai di applicazione generale nell’ambito dei processi di archiviazione e gestione dei documenti della Pubblica Amministrazione. Tale disciplina di settore relativa alle attività di informatizzazione e gestione del materiale documentale presenterebbe un livello di dettaglio e di specificità tale da consentire ormai l’uniformazione e la standardizzazione delle relative modalità esecutive, soprattutto in considerazione dell’attività svolta dall’AgID al fine di certificare la qualità delle infrastrutture utilizzate e la loro adeguatezza alla conservazione dei documenti delle pubbliche amministrazioni. Ne conseguirebbe che la lex specialis della procedura di gara, anche in virtù del rinvio operato dall’art. 5 del capitolato alla surriportata normativa di settore, non lasciava ai concorrenti margini di definizione dei contenuti delle prestazioni inerenti la gestione dei documenti informatici.

 

Né potrebbe valere in senso contrario la circostanza, enfatizzata dal TAR Lecce, che l’Allegato 2 al disciplinare di gara prevedeva, con riguardo alla Busta ‘B’ - Offerta tecnica - che i concorrenti allegassero una “proposta progettuale, analiticamente descritta in due distinti elaborati: il primo relativo alle attività archivistiche, il secondo relativo al sistema informatico proposto”, poiché l’ “offerta tecnica” sarebbe stata richiesta non già per consentire alla Commissione di valutare il merito tecnico delle offerte, bensì al diverso ed esclusivo fine di verificare la capacità tecnico-organizzativa dei concorrenti.

 

6.2. La sentenza appellata sarebbe altresì erronea nella parte in cui afferma che il servizio “concerne un’amplissima quantità di documenti presenti nelle oltre 30 sedi della ASL Lecce -pari a circa 45.000 metri lineari-, documenti da ritirare, inventariare, informatizzare (senza scansione) e, a richiesta, riconsegnare; rispetto alla «nuova» documentazione, successiva alla conclusione del contratto, invece, si prevede l’informatizzazione con vera e propria scansione, in modo da poter inviare via e-mail la copia digitale dei documenti stessi”. L’erroneità sussisterebbe non solo dal punto di vista fattuale in ragione della circostanza che una parte significativa della documentazione della Asl Lecce (circa il 50%) risulta già archiviata, ma anche in diritto, in considerazione della elevata standardizzazione e semplicità delle prestazioni da eseguire conseguente all’estremo livello di dettaglio delle norme tecniche di riferimento.

 

7. Nel giudizio di appello si è costituita Pròdeo S.p.a, la quale ha replicato evidenziando che non potrebbe dubitarsi del suo interesse. Le censure spiegate in primo grado, unicamente a quelle riguardanti i criteri renderebbero palese che il ricorrente ha censurato anche le carenze tecniche delle altre offerte, circostanze che nell’ambito di una gara con il criterio dell’OEPV avrebbero condotto alla sua vittoria. Nel merito ha difeso le statuizioni di prime cure.

 

7.1. Per la denegata ipotesi di accoglimento del gravame, ha riproposto i motivi assorbiti, ossia: 7.1.1. incongruità delle offerte delle prime tre classificate in quanto evidentemente redatte omettendo totalmente la valutazione dei costi del personale (16 unità lavorative impiegate) e dunque in violazione della clausola sociale; difetto, in capo a Plurima, del requisito tecnico della “piena ed effettiva disponibilità” dell’immobile utilizzato per il servizio (in locazione alla stessa Pròdeo), con conseguente non veridicità delle dichiarazioni all’uopo rilasciate tanto dal RTI Plurima, quanto dalla capogruppo Plurima;

 

7.1.2. illegittimità dell’ammissione alla gara della seconda classificata e indebito superamento della verifica di conformità tecnica per assoluta inidoneità delle risorse umane e tecniche previste per assolvere compiutamente al complesso servizio di cui è causa;

 

7.1.3. palese difetto, in capo alla terza classificata, di un deposito sufficientemente vicino al luogo di esecuzione delle prestazioni oggetto dell’affidamento da consentirle il rispetto del requisito tecnico (previsto a pena di esclusione dalla legge di gara) della consegna dell’originale entro 3 ore lavorative; nonché per mancata presentazione, da parte della stessa Società, del certificato di prevenzione incendi;

 

7.1.4. inidoneità tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria per mancata suddivisione delle attività in prima e seconda fase;

 

7.1.5. mancata indicazione del numero dei dipendenti da utilizzare in tutte le fasi;

 

7.1.6. palese insufficienza delle risorse destinate alle attività di “presa in carico iniziale”;

 

7.1.7. mancata indicazione di una serie di attività/servizi richiesti dalla lex specialis (attività di consulenza e gestione archivi, offerta di un sistema informatico rispondente ai requisiti minimi e unità di conservazione corrispondenti a quelle indicate nel Capitolato.

 

8. Si è costituita l’ASL di Lecce, la quale, nello svolgere deduzioni difensive sostanzialmente adesive all’appello proposto da Adapta, ha richiamato, in limine all’udienza di discussione, l’orientamento della Sezione (Consiglio di Stato, Sez. III – sentenza 2 maggio 2017 n. 2014) secondo cui l’operatore economico sarebbe onerato dell’immediata impugnazione del provvedimento recante la determinazione del criterio di aggiudicazione prescelto dalla stazione appaltante, con conseguente inammissibilità del gravame, proposto contro gli esiti della procedura di gara svolta in attuazione delle prescrizioni stabilite nel bando, diretto a censurare la legittimità del criterio di aggiudicazione. L’osservazione compare per la prima volta nella memoria conclusiva.

 

9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 29 settembre 2017..

 

 

 

DIRITTO

 

1. Ritiene il collegio che, ai fini del decidere, sia necessario acquisire l’avviso dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo.

 

La questione che la Sezione intende proporre riguarda l’esatta definizione dei casi in cui, nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici (ma il tema generale potrebbe estendersi anche ad altre procedure selettive o concorsuali), sussista l’onere di immediata impugnazione del bando o di altri provvedimenti conclusivi di autonome fasi dell’iter, autonomamente lesivi, diversi dall’atto finale di aggiudicazione.

 

Nella presente vicenda processuale, il punto controverso riguarda, in particolare, l’impugnazione delle clausole del bando di gara concernenti la scelta sella stazione appaltante di procedere con il metodo di aggiudicazione del prezzo più basso, in luogo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, secondo il parametro del miglior rapporto tra qualità e costo.

 

Risulta però evidente che il tema proposto, riguardante l’individuazione delle ipotesi in cui si manifesta l’immediata lesività di atti intermedi di sequenze procedimentali complesse, non possa essere isolato al solo caso della determinazione del criterio di selezione dell’offerta, ma richieda una rivisitazione complessiva dei risultati ermeneutici cui è approdata la giurisprudenza prevalente, espressa dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003, tenendo conto degli ulteriori, talvolta divergenti, indirizzi interpretativi sviluppatisi a partire da tale momento.

 

1.1. In linea preliminare, tuttavia, la Sezione ritiene utile evidenziare un particolare profilo della presente vicenda processuale, nella quale viene in rilievo il consolidato principio interpretativo secondo cui la questione dell’ammissibilità del ricorso di primo grado possa essere esaminata d’ufficio anche nel giudizio di appello, qualora la sentenza del TAR abbia omesso di pronunciarsi esplicitamente sullo specifico punto e il tema non abbia formato oggetto, in primo grado, di specifiche deduzioni difensive da considerarsi implicitamente disattese.

 

Valuterà, tuttavia, l’Adunanza Plenaria se anche questo aspetto, spesso determinante nella concreta dinamica del giudizio di impugnazione, richieda un ulteriore approfondimento, volto a precisare l’effettiva portata del principio.

 

Nel caso di specie, come già esposto in narrativa, il giudice di primo grado, in assenza di eccezione delle parti resistenti, non si è affatto posto la questione dell’onere di immediata impugnazione del bando, e ciò probabilmente alla luce dell’orientamento interpretativo espresso dalla decisione n. 1/2003 dell’Adunanza Plenaria, secondo il quale l’onere di immediata impugnazione del bando sussiste solo in casi circoscritti, tra i quali non rientrano le contestazioni delle previsioni del bando relative al metodo di gara e ai criteri di aggiudicazione.

 

1.2. In sede di impugnazione, le parti appellate, pur avendovi interesse, non hanno proposto alcuna censura in via incidentale sullo specifico punto, né hanno utilizzato lo strumento processuale previsto dall’art. 101, comma 2, del CPA, che consente la riproposizione in appello delle questioni assorbite dal TAR nella forma semplificata della memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio.

 

Soltanto nelle memorie conclusive, l’ASL di Lecce ha sollevato il tema, sostenendo l’applicabilità, al caso di specie, delle conclusioni cui è pervenuta la recente decisione della Terza Sezione n. 2014/2017. La citata pronuncia, discostandosi dal tradizionale indirizzo espresso dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003, ha innovativamente affermato l’ammissibilità del ricorso proposto immediatamente contro il bando, anche in assenza di atti applicativi della lex specialis di gara, tutte le volte in cui esso individui un criterio di aggiudicazione ritenuto illegittimo dall’operatore economico interessato. Riconoscendo la ritualità dell’impugnazione anticipata del bando di gara, la Sezione ha simmetricamente - ancorché implicitamente - stabilito il nuovo principio dell’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando che fissano il metodo di aggiudicazione dell’appalto.

 

Da dette conclusioni deriverebbe – secondo l’ASL - l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso di primo grado contro il criterio di aggiudicazione, tardivamente proposto solo con l’impugnazione congiunta dell’aggiudicazione.

 

1.3. La deduzione difensiva, svolta dall’appellata senza seguire le forme dell’appello incidentale o della previsione di cui all’art. 101, comma 2, del CPA, costituisce una mera sollecitazione rivolta al Collegio in ordine al rilievo d’ufficio di una possibile causa di inammissibilità del ricorso di primo grado. Detta questione, però, non solo è rimasta totalmente estranea alla decisione appellata, ma risulta anche del tutto assente nella dialettica processuale del giudizio dinanzi al TAR.

 

1.4. Il Collegio ritiene che l’ammissibilità del ricorso di primo grado possa essere esaminata di ufficio anche in grado di appello, in tutte le eventualità in cui il TAR abbia omesso di pronunciarsi esplicitamente sul punto, a condizione che, nel corso del giudizio di primo grado nessuna delle parti abbia prospettato la questione e, pertanto, possa escludersi con certezza la sussistenza di una valutazione implicita in ordine alla ritualità del ricorso.

 

Nel processo amministrativo il principio del giudicato implicito sulle questioni preliminari, che ne impedisce il rilievo officioso in appello, è ora sancito in via normativa dall’art. 9 del codice del processo amministrativo, ma con esclusivo riferimento al tema della giurisdizione: «il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d'ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione».

 

Pertanto, è ragionevole ritenere che, negli altri casi, mantiene vigore il principio generalissimo sancito dall’art. 35 dello stesso CPA, secondo cui “il giudice dichiara, anche d’ufficio, il ricorso:

 

a) irricevibile se accerta la tardività della notificazione o del deposito;

 

b) inammissibile quando è carente l’interesse o sussistono altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito;

 

c) improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione, o non sia stato integrato il contraddittorio nel termine assegnato, ovvero sopravvengono altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito”.

 

La disposizione è significativamente collocata nell’ambito della disciplina generale del processo e non è circoscritta al solo giudizio di primo grado. Ne deriva, quindi, la piena applicazione anche alla fase di appello.

 

In tal senso si pone anche la previsione di cui all’art. 104, relativo ai nova in appello, a mente della quale: “1. Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall'articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio.” L’inammissibilità del ricorso di primo grado, infatti, è estranea alla nozione di “eccezione non rilevabile d’ufficio”: pertanto la sua deducibilità per la prima volta in appello, anche mediante semplice difesa, non risulta preclusa dal divieto di ius novorum e non limita il potere officioso del giudice di secondo grado.

 

1.9. Si potrebbe obiettare, tuttavia, che sarebbe incoerente prevedere il giudicato implicito sulla giurisdizione e non su altre condizioni o presupposti dell’azione, che attengono ad aspetti generalmente considerati di minore importanza. Se la decisione di merito “implica” logicamente quella sull’affermata giurisdizione del giudice adito, a maggiore ragione essa dovrebbe presupporre la valutazione positiva sulla ammissibilità, ricevibilità e ritualità della domanda, in relazione a tutti i suoi presupposti processuali.

 

Va replicato che, in linea astratta, sarebbe certamente ipotizzabile un regime più stretto delle preclusioni in appello, volto a velocizzare il processo e a responsabilizzare gli oneri di attenzione delle parti in ordine alle cause di inammissibilità del ricorso di primo grado, valorizzando i connotati dispositivi della giurisdizione amministrativa. Ma la scelta legislativa di prevedere il giudicato implicito limitatamente alle questioni di giurisdizione, adottata all’esito di una complessa evoluzione giurisprudenziale e teorica, si raccorda strettamente all’attuale regolamentazione della traslatio del processo tra diversi ordini giurisdizionali.

 

E’ la circostanza che il processo erroneamente incardinato davanti al giudice privo di giurisdizione prosegue poi davanti al giudice naturale a spiegare la parziale dequotazione del difetto di giurisdizione, ancorata, oltretutto, ad una progressiva omogeneizzazione degli strumenti di tutela previsti dai diversi ordinamenti processuali.

 

Pertanto, al di fuori dell’ipotesi peculiare del difetto di giurisdizione, resta ferma l’esigenza di assicurare, anche in grado di appello, il pieno controllo officioso della ricevibilità e ammissibilità della domanda proposta dinanzi al TAR, con il solo limite della pronuncia espressa non impugnata, in conformità al consolidato principio secondo il quale “I presupposti processuali o le condizioni dell’azione, se non è diversamente previsto dalla legge, sono rilevabili, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. Ogni giudice, infatti, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui l’ordinamento subordina la possibilità che egli emetta una decisione nel merito”.

 

Si tratta, del resto, di condizioni all’esercizio del potere giurisdizionale che l’ordinamento normalmente prevede per la tutela di interessi sostanziale di ordine pubblico, sottratti alla disponibilità delle parti, che riguardano il contraddittorio e il diritto di difesa (in caso di rinvio al primo giudice) oppure implicano la definizione della lite, non assimilabili al difetto di giurisdizione, neanche quoad effectum, posto che, com’anzi detto, il difetto di giurisdizione impone semplicemente il differimento della decisione.

 

L’art. 9 del d.lgs. 104/2010, dunque, deve ritenersi norma speciale che solo ed esclusivamente per il difetto di giurisdizione valorizza in via di eccezione il principio del giudicato implicito, correlativamente ed indirettamente confermando, per le altre cause di inammissibilità, l’assolutezza del potere di rilievo ufficioso del giudice in ogni stato e grado del procedimento. Sul punto possono richiamarsi Cons. Stato, Sez. VI, 24/9/2007, n. 4924; Cons. Stato, sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Consiglio di Stato, n. 2152/2013; Sez. VI n. 4196/2017.

 

A) La questione dell’onere di immediata impugnazione dei criteri di aggiudicazione stabiliti dalla lex specialis di gara.

 

2. Riconosciuta l’astratta rilevabilità d’ufficio, anche in grado di appello, delle questioni attinenti all’ammissibilità del ricorso di primo grado, il Collegio prospetta all’Adunanza Plenaria la questione interpretativa centrale, oggetto del presente giudizio, concernente l’esatta delimitazione oggettiva dell’ambito entro cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara e degli atti che definiscono le regole della procedura selettiva, con particolare riguardo ai criteri di aggiudicazione e al metodo di valutazione delle offerte.

 

In tal senso, occorre ridefinire l’attuale portata dei principi espressi dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1/2003, alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici e dell’evoluzione della giurisprudenza della CGUE.

 

La questione è della massima importanza, sicché anche nell’ipotesi in cui l’Adunanza Plenaria dovesse optare per la tesi della non rilevabilità d’ufficio in appello della inammissibilità del ricorso, per effetto del giudicato implicito, resterebbero ferme le esigenze delineate dall’art. 99, comma 5, del CPA, secondo cui “5. Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato.”

 

2.1. In questa prospettiva – giova sin da subito sottolineare - la Sezione intende deferire la questione in termini più ampi e generali, anche considerando che la stessa pronuncia n. 1/2003 aveva molto opportunamente analizzato il tema in tutte le sue sfaccettature, senza limitarsi alla peculiarità del caso concreto esaminato dall’ordinanza di rinvio.

 

2.2. È opportuno ricordare che, allo stato, l’orientamento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria, seguito dalla prevalente (ma non unanime) giurisprudenza è attestato sulle indicazioni espresse dalla pronuncia n. 1/2003, la quale, con un’ampia e lineare motivazione, ha definito, con la massima chiarezza, i casi – limitati – in cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara.

 

2.3. Giova ripercorrere sinteticamente l’evoluzione giurisprudenziale alla base di tale orientamento, a partire dall’ordinanza n. 2406 del 6 maggio 2002 della V Sezione del Consiglio di Stato.

 

La decisione ha ricordato la sussistenza di molteplici indirizzi interpretativi, variamente giustificati, e ha evidenziato “l’esigenza, di carattere generale, di procedere all’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di decadenza, l’immediata impugnazione dei bandi di gara (o di concorso) senza attendere gli atti applicativi”. La pronuncia ha in particolare chiesto all’organo nomofilattico “se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alle procedure selettive, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale, ovvero se possano essere impugnate contestualmente all’atto applicativo che conclude la procedura selettiva”. È utile ricordare che l’ordinanza aveva espresso un avviso favorevole per la prima opzione esegetica, “con particolare (ed esclusivo) riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara. Anche in tal caso, le clausole in questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto procedimentale, nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le modalità di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali e procedimentali, connessi alla domanda di partecipazione alla procedura selettiva. Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta all’atto applicativo”.

 

2.4. L’Adunanza Plenaria n. 1/2003 ha dapprima analizzato il tema complessivo dell’impugnabilità degli atti amministrativi a carattere generale, con effetti nei confronti di una pluralità di destinatari non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente determinabili, evidenziando che, per essi “si pone il problema della loro lesività immediata prima dell’adozione degli atti applicativi: prima cioè che gli atti puntuali che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva”. Ha poi ricordato la tradizionale soluzione del problema alla luce dei principi che regolano l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale (o amministrativo), i quali richiedono “che sia l’interesse sostanziale (a tutela del quale si agisce) che l’interesse ad agire siano caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità”. Correlativamente, “la lesione subita dall’interesse sostanziale del ricorrente (ed in conseguenza della quale egli agisce in giudizio) deve, in linea di stretta conseguenzialità, essere contrassegnata dai caratteri della immediatezza, della concretezza e dell’attualità”.

 

Sulla base di tali premesse teoriche, l’Adunanza Plenaria ha ulteriormente argomentato che “A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare. D’altra parte, ove l’esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l’atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l’atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva”.

 

2.5. Delineato il quadro generale in punto di interessi sostanziali e fissata l’esatta perimetrazione dell’interesse legittimo, l’Adunanza Plenaria ha poi chiarito che “le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione”

 

Al contempo, la decisione n. 1/2003 ha escluso l’onere di immediata impugnazione:

 

a) delle clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara;

 

b) delle prescrizioni del bando che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia;

 

c) delle clausole del bando che definiscono gli oneri formali di partecipazione.

 

Ha infine precisato che “non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi intrenseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione”.

 

2.6. È particolarmente importante, ai fini che qui rilevano, la disamina del principio che ha giustificato l’esclusione dell’onere di impugnativa nei casi sub a) e b).

 

L’Adunanza Plenaria ha, infatti, nei suoi passaggi argomentativi, ribadito, quanto all’interesse protetto, o comunque alla situazione soggettiva di cui è titolare il partecipante alla gara, che il suo contenuto è costituito non dall’astratta legittimità del comportamento dell’Amministrazione, ma dalla possibilità di conseguire l’aggiudicazione.

 

“L’aggiudicazione costituisce il bene della vita che l’interessato intende conseguire attraverso la gara; ed è il medesimo bene della vita che si intende conseguire attraverso la tutela giurisdizionale, nell’ipotesi di illegittimo diniego di aggiudicazione”, precisando che “la condizione di concorrenti” dei partecipanti alla gara può essere apprezzata e valutata esclusivamente con riferimento all’unico interesse sostanziale di cui essi sono titolari, che è quello all’aggiudicazione e, comunque, all’esito positivo della procedura concorsuale, sicché l’eventuale incidenza di clausole che conformino illegittimamente la condizione di concorrenti dei singoli partecipanti, può acquistare rilievo esclusivamente se si traduce in un diniego di aggiudicazione o, comunque, in un arresto procedimentale con riferimento al medesimo obiettivo”.

 

2.7. I principi stabiliti nella decisione 1/2003, anche per effetto della loro puntualità e chiarezza, sono stati pienamente recepiti dalla giurisprudenza successiva, che ha provveduto a consolidarne l’insegnamento, precisandone, tuttavia, nel tempo, la portata ed i confini.

 

2.8. Oltre alle eccezioni al principio della necessaria postergazione della contestazione delle clausole del bando, già richiamate dalle Plenaria, è stato specificato che l’impugnazione immediata è ammessa – e imposta - per:

 

i) le disposizioni abnormi o irragionevoli, che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (C. Stato, sez. V, 24.02.2003, n. 980; C. Stato, sez. V, 30.08.2005, n. 4414; C. Stato, sez. V., 03.06.2010, n. 3489);

 

ii) le condizioni negoziali indicate nello schema di contratto, che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (C. Stato, sez. V, 21.11.2011 n. 6135; C.G.A., 20.12.2016, n. 474);

 

iii) l’imposizione di obblighi contra ius (come, ad esempio, la cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: C. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);

 

iv) le gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come quelli relativi al numero, alle qualifiche, alle mansioni, ai livelli retributivi e all’anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 19.06.2017, n. 1362: sulla impossibilità di stabilire la durata effettiva del contratto da affidare), ovvero la presenza di formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” punti);

 

v) gli atti di gara privi della prescritta indicazione, nel bando, dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. C. Stato, sez. IV, 26.11.2009, n. 7441; Cons. St., sez. III, 3.10.2011, n. 5421; C. Stato, sez. IV, 14.11.2012, n. 5761).

 

2.9. In sostanza, la linea di tendenza giurisprudenziale successiva all’Adunanza Plenaria e fedele ai suoi insegnamenti ed alle sue premesse in punto di interesse sostanziale, afferma un principio che può compendiarsi nell’impugnabilità immediata, non solo delle clausole che “impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale”, giusto quanto affermato nella decisione 1/2003, ma anche delle clausole che rendono la partecipazione (possibile ma) inutile, contra ius, eccessivamente gravosa sul piano tecnico ed economico (Cons Stato, sez. III, 02.02.2015, n. 591; C. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; C. Stato, sez. III, 18.04.2017, n. 1809).

 

Le pronunce che appartengono a questo filone, peraltro, non sembrano porsi in contrasto con la Plenaria, perché, in ultima analisi, tendono a precisare la portata del precedente nomofilattico, pur pervenendo ad un sostanziale ampliamento dei casi di immediata impugnazione.

 

2.10. Una prospettiva ermeneutica di segno difforme è stata seguita, invece dalle tre ordinanze con cui la VI Sezione del Consiglio di Stato ha richiesto, nel 2011, l’intervento dell’Adunanza Plenaria, al fine di superare, in modo più radicale, l’orientamento sancito dalla sentenza n. 1/2003.

 

2.11. In tale direzione l’ordinanza n. 351/2011 ha sollecitato la revisione dei principi sanciti dall’Adunanza Plenaria nel 2003, muovendo due ordini di obiezioni:

 

a) la finalità deflattiva del contenzioso sottesa alla sentenza n. 1/2003 si sarebbe dimostrata “nei fatti del tutto fallace, a fronte di incontestabili costi aggiuntivi per la p.a. costretta a impegnativi e lunghi rinnovi procedimentali”;

 

b) “se le clausole, escludenti o meno che siano, sono ritenute illegittime, non vi è giustificazione per superare i limiti temporali dell’azione di impugnazione, attesa comunque la loro lesività”.

 

Al fine di giustificare quest’ultima affermazione, l’ordinanza ha fatto leva sul principio di buona fede oggettiva, contenuto negli articoli 1337 e 1338 c.c, la cui violazione genera la responsabilità della “parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte”, giungendo a sostenere che “quell’affidamento, così spesso invocato a danno della p.a., debba valere anche a favore di quest’ultima, nel momento in cui un soggetto chiede e sia ammesso a partecipare ad un procedimento sulla cui onerosità e complessità non è necessario ricordare”.

 

Tali questioni, tuttavia, non sono state esaminata dall’Adunanza Plenaria, la quale, con la sentenza n. 4/2011, incentrata sulla complessa diversa tematica del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, si è limitata ad affermarne l’irrilevanza rispetto alla controversia decisa.

 

2.12. Un secondo tentativo di ripensamento dei principi espressi dalla sentenza n. 1/2003 è stato effettuato, sempre dalla VI Sezione, con l’ordinanza di rimessione n. 2633/2012, che ha espressamente richiamato gli argomenti di cui alla pronuncia n. 351/2011.

 

Anche in questa occasione l’Adunanza Plenaria non si è pronunciata sulla questione, ritenendola non rilevante ai fini della decisione della res controversa (C. Stato, Ad. Plen., 31.07.2012, n. 31).

 

2.13. Infine, la VI Sezione, con l’ordinanza di rimessione n. 634/2013, pur aderendo all’orientamento espresso nelle ordinanze nn. 351/2011 e 2633/2012, ha espresso una posizione più netta e argomentazioni parzialmente innovative.

 

La Sezione rimettente, infatti, ha sostenuto che “le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali”.

 

Al fine di giustificare questa radicale posizione, la pronuncia ha affermato che “con la domanda di partecipazione alla gara, infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis”.

 

Di conseguenza, per l’ordinanza, sarebbe stato preferibile affermare un onere di immediata impugnazione di tutte le clausole del bando, “essendo pacifico che la complessa ed onerosa partecipazione ad una gara, indetta dall’Amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi o forniture - benché conclusivamente finalizzata all’aggiudicazione – implichi per le imprese concorrenti anche un immediato interesse al corretto espletamento della procedura, sulla base di regole certe e non ulteriormente contestabili”. In questo modo, “le esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa sarebbero meglio tutelate, eliminando i margini di incertezza connessi ad eventuali impugnative proposte al termine della procedura concorsuale e volte a censurare prescrizioni contenute nella lex specialis”.

 

Tuttavia, anche in quella occasione l’Adunanza Plenaria (C. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 2013, n. 8) non ha approfondito la questione. Infatti, avendo ritenuto legittima la clausola controversa, la quale concerneva l’apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica in seduta non pubblica, ha deciso che non fosse necessario pronunciarsi su tale complessa tematica.

 

2.14. A parere del Collegio, in un’ottica generale di certezza del diritto vivente, potrebbe essere opportuno tenere conto degli indicati dubbi ripetutamente prospettati dalla Sesta Sezione, allo scopo di consolidare, precisare o rettificare l’indirizzo sancito dall’Adunanza Plenaria e prevenire possibili oscillazioni interpretative.

 

A questo scopo, deve considerarsi la cornice del diritto europeo, delineato dalla direttiva ricorsi e dai ripetuti interventi della Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Nella disciplina eurounitaria manca una puntuale indicazione del momento in cui deve essere consentito alla parte l’esercizio del diritto di ricorso, ma prevale un indirizzo orientato a dilatare e anticipare l’ambito della legittimazione e dell’interesse all’impugnazione, anche in un’ottica di protezione generale della concorrenza e di rispetto della legalità delle gare.

 

Risulta anche manifesto l’intento di accelerare la definizione del contenzioso, evitando che i rapporti giuridici, una volta avviati, siano rimessi in discussione: in questo senso si pongono le regole riguardanti il termine sospensivo per la stipulazione del contratto e i limiti alla obbligatoria inefficacia del contratto.

 

In ogni caso, con più diretto riguardo alla vicenda contenziosa in esame, deve ricordarsi che, di recente, la Sezione III del Consiglio di Stato, 2 maggio 2017, n. 2014, ha messo nuovamente in dubbio i limiti dell’onere di immediata impugnazione del bando, con specifico riferimento alle clausole relative ai criteri di aggiudicazione, discostandosi consapevolmente dagli esiti manifestati dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003. Più in generale, la Sezione ha evidenziato la necessità di adeguare la teoria della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e della sua tutela, al mutato contesto normativo, che esige un’attualizzazione dei canoni ermeneutici fissati dalla Plenaria del 2003.

 

2.15. Il caso – assai simile a quello ora in esame - aveva per oggetto la contestazione di una procedura aperta, che prevedeva il criterio di aggiudicazione del “prezzo più basso” per l’assegnazione di un servizio di somministrazione di personale infermieristico e tecnico-sanitario. La stazione appaltante aveva giustificato la scelta di tale criterio sulla base delle “caratteristiche standardizzate del servizio”, condizione che, ai sensi della nuova normativa, ammetterebbe la facoltà per la stazione appaltante di ricorrere, in via eccezionale, al criterio del minor costo.

 

Tale clausola è stata immediatamente impugnata, senza attendere l’esito della procedura selettiva, da una delle imprese concorrenti, sul presupposto che tale criterio avrebbe leso direttamente ed immediatamente “il diritto degli operatori economici a formulare l’offerta secondo un criterio legittimo in relazione all’oggetto della gara”, giusto quanto previsto dall’articolo 95 del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016, il quale, nel disciplinare i criteri di aggiudicazione delle offerte, stabilisce che i contratti aventi ad oggetto servizi “ad alta intensità di manodopera” - quale era quello di specie - debbano essere assegnati secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

 

2.16. La Sezione, nella sentenza citata, pur richiamando l’autorevolezza e la validità degli insegnamenti dell’Adunanza Plenaria, ha focalizzato l’attenzione sull’evoluzione del quadro ordinamentale, ed ha ritenuto che i principi affermati nel 2003 e costituenti diritto vivente, necessitassero di interpretazione evolutiva, idonea a conservarne la coerenza rispetto alle profonde trasformazioni che hanno investito il diritto degli appalti, mutandone impostazione e prospettive.

 

2.16.1. La prima innovazione di rilievo che la Sezione ha registrato è, in particolare, “l’espressa comminazione di nullità delle clausole espulsive autonomamente previste dalla stazione appaltante. Il riferimento è al vecchio comma 1 bis dell'art. 46 del codice dei contratti pubblici ed all’art. 83 comma 8 del nuovo codice che ne reitera la previsione, il quale, nel delineare una fattispecie di nullità, prescrive che “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.

 

Secondo la Sezione, “l'aver inquadrato il vizio nelle cause di nullità, ex art. 21-septies legge n. 241/1990, costituisce un indizio della vocazione generale ed autonoma dell’interesse partecipationis. Il legislatore ha ritenuto nel caso di specie di abdicare all’ordinario schema dell’annullabilità – in cui l’effetto di ripristino della legittimità è realizzato attraverso la cooperazione e sulla base della dimensione esclusivamente individuale dell’interesse privato leso - a favore dello schema della nullità, in cui invece l’interesse trascende la dimensione meramente individuale sino a giustificare il rilievo d’ufficio da parte del giudice e l’opposizione senza limiti di tempo della parte del resistente”.

 

2.16.2. L’altra significativa ed innovativa previsione considerata dalla Sezione è stata introdotta dall’art. 211, comma 2, del nuovo codice (peraltro, oggi abrogato dall'art. 123, comma 1, lett. b), D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56), riguardante l’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC. Secondo la più accreditata ricostruzione (elaborata dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, n. 2777 del 28 dicembre 2016), si trattava di un’ipotesi qualificata di autotutela “doverosa”, attivabile dalla stazione appaltante, su impulso dell’Autorità di vigilanza, al fine del ripristino della legalità procedurale, che “prescinde dall’interesse del singolo partecipante all’aggiudicazione e mira invece al corretto svolgimento delle procedure di appalto nell’interesse di tutti i partecipanti e finanche di quello collettivo dei cittadini, interesse quest’ultimo che và via via emancipandosi dallo schema del mero interesse di fatto (sul punto cfr. considerando 122 della direttiva 24/2014)”.

 

2.16.3. Sul punto giova segnalare che anche la vigente formulazione dell’art. 211, caratterizzata dai nuovi commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, aggiunti dall'art. 52-ter, comma 1, del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, prevede, in luogo dell’autotutela “doverosa”, originata dalla raccomandazione vincolante dell’Autorità:

 

a) la legittimazione speciale dell’ANAC all'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;

 

b) la possibilità per l'ANAC, ove ritenga che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice, di emettere, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati, nonché di ricorrere al giudice amministrativo se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato.

 

La novella non sembra aver minor valenza in punto di evoluzione ordinamentale rispetto all’abrogata previsione del comma 2, nella misura in cui – esclusa ogni ricostruzione in termini di giurisdizione di diritto oggettivo – sembra ex lege individuare un soggetto esponenziale, portatore di un interesse istituzionale all’effettivo dispiegarsi dei principi perseguiti dal nuovo codice dei contratti pubblici, riguardanti non solo la concorrenza e il conseguente corretto funzionamento del mercato, ma anche la “legalità” delle procedure, come prescritto dalle direttive del 2014.

 

Ed è particolarmente significativo che siano espressamente menzionati i bandi e gli atti generali quali possibili oggetti dell’azione speciale attribuita all’ANAC.

 

2.16.4. Se l’ordinamento introduce nuovi strumenti processuali volti a garantire la corretta competizione ai fini dell’aggiudicazione dei contratti pubblici, diventa ragionevole ritenere che il bene del rispetto delle regole procedurali dirette a fissare il nucleo essenziale della selezione comparativa delle offerte, costituisca un autonomo interesse meritevole di immediata e tempestiva protezione dall’ordinamento, essendo ormai emancipato dalla condizione di mero interesse di fatto.

 

La tutela giurisdizionale di detto interesse compete all’ANAC, in virtù dell’art. 211 del codice dei contratti pubblici, ma, a maggior ragione, spetta ma anche all’operatore economico del settore interessato alla procedura di gara e al suo corretto svolgimento.

 

In altri termini, accanto all’interesse sostanziale finale del soggetto economico, diretto all’aggiudicazione dell’appalto, l’ordinamento positivo contempla ora un interesse strumentale – ma anche esso sostanziale – polarizzato sulla procedura di gara, in sé considerata.

 

2.16.5. Ulteriore rilevante argomento utilizzato dalla Sezione nella sentenza 2014/2017 è la previsione dell’onere di impugnazione dell’altrui ammissione alla procedura di gara (art. 120 c.p.a., commi 2-bis e 6-bis, così come modificato dall’art. 204, comma 1 lett. b) del nuovo codice dei contratti pubblici). La Sezione, nella sentenza in esame constata come “A fronte di un sistema che in precedenza precludeva l’impugnazione delle ammissioni, sull’implicito e pacifico presupposto che il concorrente avesse un interesse concreto ed attuale a contestare l’ammissione altrui solo all’esito della procedura selettiva, si è previsto l’onere di impugnazione immediata, con ciò dando evidentemente sostanza e tutela ad un interesse al corretto svolgimento della gara, scisso ed autonomo, sebbene strumentale, rispetto a quello all’aggiudicazione”.

 

L’elaborazione giurisprudenziale riferita alla nuova previsione processuale ha chiarito che tale onere processuale ha una sua logica spiegazione proprio nella conformazione sostanziale delle diverse autonome fasi di svolgimento della gara e delle correlate posizioni giuridiche soggettive.

 

La fase di verifica delle offerte si deve concludere con un provvedimento esplicito, recante le ammissioni e le esclusioni, corredato dalle pertinenti motivazioni e soggetto a precisi obblighi di pubblicità.

 

Lungi dal rappresentare un aggravio procedimentale, il provvedimento ha lo scopo pratico di chiudere, con certezza, un autonomo segmento dell’iter, semplificando la successiva fase propriamente selettiva, non più soggetta all’alea di contestazioni idonee a vanificare, ex post l’intero svolgimento della complessa sequenza, con evidenti costi per la stazione appaltante e per i concorrenti.

 

L’espressa previsione dell’onere di impugnazione di tale provvedimento, quindi, rafforza l’opinione secondo cui emergono autonomi interessi sostanziali già nella serie procedimentale che precede il provvedimento conclusivo di aggiudicazione.

 

È utile ricordare che, nello schema originario del codice dei contratti pubblici, sottoposto al parere del Consiglio di Stato, si prevedeva un’estensione del rito speciale sull’impugnazione immediata di altri atti precedenti l’aggiudicazione, con particolare riferimento alla composizione della commissione.

 

Il testo definitivo ha espunto tale indicazione, recependo i suggerimenti dell’organo consultivo. Le obiezioni esposte dalla Commissione speciale, però, non riguardavano il tema dell’onere di immediata impugnazione, quanto piuttosto, il vincolo imposto dalla legge di delega (che non contemplava tali ipotesi) e l’incidenza sull’applicazione di un rito speciale al di fuori dei casi consentiti dalla stessa legge delega. L’organo consultivo, invece, non ha preso posizione sull’aspetto concernente l’immediata lesività di tali atti e del conseguente onere di impugnazione tempestiva, secondo le regole generali.

 

A tale proposito, si deve incidentalmente osservare che, de iurecondendo, potrebbe essere auspicabile delineare un rito accelerato per le impugnazioni di tutti gli atti delle procedure di gara anteriori all’aggiudicazione considerati immediatamente lesivi (anche nella prospettiva limitatrice indicata dalla stessa Adunanza Plenaria n. 1/2003).

 

2.16.6. Si potrebbe aggiungere, inoltre, che l’ammissione degli altri concorrenti è dal punto di vista logico - e soprattutto dal punto di vista della “differenziazione” della posizione giuridica del partecipante rispetto al bene della vita riguardante il corretto svolgimento della gara, in sintonia con i valori della concorrenza - un minus rispetto all’interesse dell’operatore economico ad ottenere una lex di gara che gli consenta di competere secundum legem.

 

Se, infatti, non v’è dubbio che l’avere previsto una legittimazione “anticipata” del concorrente, svincolata dall’altrui chances di aggiudicazione, oltre che dalle proprie, ha significato riconoscere un bene della vita diverso, autonomo anche se strumentale rispetto a quello squisitamente personale dell’aggiudicazione (ossia l’interesse a competere esclusivamente con chi ne ha titolo), è parimenti pacifico che questo bene della vita si colloca, su di un piano gerarchico, in posizione gradata rispetto all’interesse del concorrente ad una disciplina della gara che sia conforme ai criteri di legge in base ai quali l’operatore si è attrezzato per competere (su tutti il criterio di aggiudicazione).

 

2.16.7. Va considerato, ancora, sul piano sostanziale, l’art. 95 del codice dei contratti pubblici, nella parte in cui procede alla “creazione di una vera e propria gerarchia fra i due tipici metodi di aggiudicazione di un appalto, ovvero l’offerta economicamente più vantaggiosa e il massimo ribasso”.

 

Nell’art. 83 dell’abrogato codice n. 163/06 tali criteri erano posti su una posizione di parità, e spettava unicamente all’Amministrazione, nella sua discrezionalità, optare per l’uno per l’altro. L’art. 95 del nuovo codice, dopo avere affermato che “i criteri di aggiudicazione non conferiscono alla stazione appaltante un potere di scelta illimitata dell'offerta” e che “essi garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l'efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte”, ha imposto l’offerta economicamente più vantaggiosa come criterio “principale”, e il massimo ribasso come criterio del tutto “residuale” utilizzabile solo in alcuni tassativi casi, e comunque previa specifica ed adeguata motivazione.

 

Non si può trascurare, del resto, come l’innovazione riguardante la netta preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rappresenti uno dei punti qualificanti delle direttive del 2014 e sia stata positivamente valutata, anche nel dibattito giuridico, economico, e persino etico, riguardante la corretta ed efficiente attività delle stazioni appaltanti, in funzione della promozione delle imprese virtuose, tanto nei rapporti esterni con la stazione appaltante, quanto nell’ambito della efficiente organizzazione interna e della tutela dei lavoratori dipendenti.

 

Il criterio di aggiudicazione cessa dunque di essere un mero criterio tecnico economico, servente rispetto agli standard desiderati dell’amministrazione, e necessitante, in quanto tale, ai fini di una sua astratta sindacabilità, della prova di resistenza (ossia la prova che ove il criterio fosse stato diverso le chances di aggiudicazione sarebbero cresciute), e diviene una prescrizione di legge vincolante, a garanzia della qualità delle prestazioni e della corretta dinamica concorrenziale che fisiologicamente presuppone nel committente un’aspettativa in termini di miglior rapporto qualità/prezzo. E’ del resto quanto chiarito dal considerando 89 della direttiva 24/2014, laddove afferma che l’offerta “economicamente” più vantaggiosa è “sempre” quella che assicura il miglior rapporto tra qualità e prezzo.

 

2.16.8. Le sopravvenienze normative sopra descritte concorrono in definitiva a profilare – secondo la sentenza citata - una nozione di “bene della vita” meritevole di protezione, più ampia di quella tradizionalmente riferita all’aggiudicazione, che sebbene non coincidente con il generale interesse alla mera legittimità dell’azione amministrativa, è nondimeno comprensiva del “diritto” dell’operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, e conseguentemente a formulare un’offerta che possa validamente rappresentare la qualità delle soluzioni elaborate ed essere giudicata in relazione anche a tali aspetti, oltre che sulla limitativa e limitante (se isolatamente considerata) prospettiva dello “sconto”.

 

2.17. Ritiene il Collegio che tali assunti, attenti all’evoluzione ordinamentale interna e comunitaria, meritino approfondimento da parte dell’Adunanza Plenaria.

 

2.17.1. In effetti il “blocco normativo” che si è rapidamente passato in rassegna, caratterizzato da norme sia sostanziali che processuali, rende sufficientemente chiaro che vi sono elementi, fisiologicamente disciplinati dal bando o dagli altri atti di avvio della procedura, che toccano immediatamente “beni della vita” protetti dall’ordinamento in forza della loro rilevanza in ambito concorrenziale, e tutelati attraverso il riconoscimento di correlata azione giurisdizionale, sostanziantesi: a) nell’interesse a competere con concorrenti in possesso dei requisiti generali; b) nell’interesse a competere con il criterio di aggiudicazione che il legislatore ha prescelto a miglior garanzia della qualità oltre che dell’economicità.

 

2.18. Tali interessi sono giuridicamente rilevanti. Di questo il Collegio è sufficientemente convinto.

 

2.19. I dubbi piuttosto si pongono sul versante della necessaria “differenziazione” dell’interesse, quale requisito indefettibile per il sorgere di un interesse legittimo azionabile in giudizio dal singolo operatore economico.

 

Nel caso delle “ammissioni altrui” è lo stesso legislatore ad attribuire direttamente legittimazione al singolo concorrente, implicitamente differenziandone l’interesse rispetto al quisque de populo.

 

Nel caso del criterio di aggiudicazione la “differenziazione” della posizione giuridica del concorrente dovrebbe – secondo il collegio – ricavarsi:

 

a) dall’avere, il medesimo, una posizione sul mercato consolidatasi anche in forza della qualità dei prodotti fabbricati e delle prestazioni offerte;

 

b) dall’avere partecipato ad una gara - o dall’avere i requisiti e l’interesse a parteciparvi (sul punto si veda oltre) – basate su scelte non conformi ai criteri qualitativi prescelti da legislatore.

 

L’adozione del criterio del prezzo più basso, in luogo del miglior rapporto qualità/prezzo lede immediatamente siffatta posizione giuridica elidendo in radice l’interesse a competere secondo qualità.

 

Adottata tale innovativa prospettiva che discerne l’aspirazione all’aggiudicazione da quella alla competizione secondo qualità, ne dovrebbe logicamente conseguire che la clausola del bando contemplante l’erroneo criterio di aggiudicazione è suscettibile di immediata impugnazione, ed anzi, genera un vero e proprio onere in tal senso.

 

È appena il caso di evidenziare, infatti, che non è praticabile l’opzione ermeneutica, astrattamente prospettabile, secondo la quale le esigenze di ampliare la tutela giurisdizionale in coerenza del canone di effettività della tutela imposto dal diritto dell’Unione europea, implicherebbero che l’operatore economico potrebbe scegliere se impugnare immediatamente il bando o attendere l’esito della procedura. Al contrario, deve porsi una chiara delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l’onere di tempestiva e autonoma impugnazione.

 

2.20. Del resto – per riprendere alcune altre considerazioni contenute nella sentenza 2014/2017 condivise dal collegio, “una diversa soluzione - più aderente alla lettera che alla ratio dell’Adunanza Plenaria del 2003 ed all’esigenza della sua interpretazione in chiave evolutiva – finirebbe per svilire e depotenziare le due architravi del nuovo impianto normativo:

 

a) da un lato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - assunto da legislatore ad elemento di rilancio di una discrezionalità “sana e vigilata” da porre a disposizione di amministrazioni qualificate sì da renderle capaci di selezionare le offerte con razionalità ed attenzione ai profili qualitativi – sarebbe destinato a rimanere privo di garanzie di effettività, posto che, la sua correzione si avrebbe solo all’esito della procedura concorsuale e della sua appendice giurisdizionale, in presenza di un operatore (quello offerente il massimo ribasso) in capo al quale si sono tra l’altro già ingenerate aspettative;

 

b) dall’altro sarebbe irragionevolmente derogata la logica bifasica (ammissioni/esclusioni prima fase; aggiudicazione seconda fase) che ha caratterizzato il nuovo approccio processuale in tema di tutela, poiché è evidente che l’illegittimità del bando, sub specie del criterio di aggiudicazione, è un prius logico giuridico rispetto alle ammissioni, condizionandole e rendendole illegittime in via derivata. Con il risultato che l’intento di affrancare il contenzioso sull’aggiudicazione da tutte le questioni sollevabili in via incidentale dal controinteressato (e fra queste anche quelle relative all’illegittimità del bando, strumentali all’utilitas della riedizione della gara) che ha ispirato la formulazione delle nuove norme processuali, risulterebbe tradito proprio in relazione ad aspetti basilari della prima fase.

 

Se così è, allora, non v’è ragione alcuna per attendere, al fine di invocare tutela, che la procedura di concluda con l’aggiudicazione a terzi. Tale soluzione non risponderebbe a finalità deflattive ed anzi inficierebbe quelle legate al pur contemplato onere di impugnazione delle ammissioni; non risponde del resto a finalità di coerenza giuridica o dogmatica, poiché il postergare l'impugnazione della lex gara finanche quando la violazione è già conclamata, può avere un senso solo in relazione a clausole che non violino immediatamente l’interesse del singolo imprenditore, è così certamente non è per quelle che gli impediscono di concorrere sulla qualità….”.

 

2.21. Può aggiungersi, su un piano più generale attinente al grado di implementazione delle riforme legislative, che ove, pur dinanzi all’opzione legislativa per il criterio qualitativo, si mantenesse un indirizzo interpretativo che continua a negare il sorgere di un correlato interesse legittimo suscettibile di immediata tutela in capo agli operatori, l’opzione predetta rimarrebbe deficitaria di meccanismi di controllo in grado di assicurarne l’effettiva applicazione. Poiché non è revocabile in dubbio che l’interesse legittimo continua, anche nella ricostruzione sostanzialistica che ormai lo caratterizza, ad essere portatore di una funzione ancipite: protezione del bene della vita ed al contempo verifica del corretto inveramento dell’interesse pubblico.

 

2.22. L’esigenza di chiarire il punto illustrato emerge anche dalla circostanza che nella giurisprudenza di primo grado è maggioritario l’indirizzo che dà applicazione la tesi “tradizionale”, aderente ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003. Si vedano, di recente, Tar Bari, sez. III, 30 ottobre 2017, n. 1109; Tar Veneto, sez. III, 21 luglio 2017, n. 731. Applica invece in nuovo indirizzo ermeneutico varato dalla sentenza n.2014/2017, Tar Basilicata 27 settembre 2017, n. 612).

 

Tali pronunce ribadiscono l’opinione secondo cui “il criterio del prezzo più basso non è autonomamente lesivo, in quanto non preclude la partecipazione alla gara dell’impresa ricorrente, né le impedisce di formulare un’offerta concorrenziale La lesività della sfera giuridica derivante dalla scelta del criterio contestato non può, infatti, essere percepita con la pubblicazione del bando, (…) ma è (in via eventuale) destinata ad attualizzarsi soltanto a seguito di un provvedimento successivo che renda concreto ed attuale l’interesse all’impugnazione, non essendo allo stato escluso che la ricorrente divenga aggiudicataria della gara.”

 

B. L’esatta delimitazione oggettiva dell’ambito generale entro cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara

 

3.Sin qui si sono esaminare le questioni che hanno specifica rilevanza per il giudizio a quo, nel quale come a più riprese chiarito, si discute di una specifica clausola del bando, id est, del criterio di aggiudicazione.

 

3.1. Come anticipato, sarebbe tuttavia estremamente utile se l’Adunanza, cogliendo l’occasione fornita dallo specifico quesito sottoposto, fornisse, in chiave più generale, un quadro armonico e coerente sulla perimetrazione dell’onere di immediata impugnazione, stilando un vero e proprio decalogo, similmente a quanto fatto nel 2003.

 

3.2. L’approdo più coerente con l’evoluzione della posizione giuridica di interesse legittimo tracciata, potrebbe essere quello di affermare che tutte le clausole attinenti le regole “formali” e “sostanziali” della gara debbano essere immediatamente impugnate, con eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi.

 

La conclusione sarebbe in linea con il principio sopra più analiticamente argomentato, secondo il quale, se v è onere di impugnazione immediata dell’ammissione altrui, a fortiori l’onere deve sussistere per gli atti che la precedono, essendo irragionevole un sistema che, pur di decongestionare la fase finale della procedura giunge ad innestare una verifica parentetica delle ammissioni (pacificamente non lesive dell’interesse individuale all’aggiudicazione), ma lascia fuori le questioni, logicamente pregresse, di legittimità del bando, consentendo alle stesse una reviviscenza capace di rendere, ex post, lo stesso giudizio sulle ammissioni eventualmente instauratosi, inutiliter datum.

 

3.3. Occorre del resto tenere sempre presente la prospettiva giurisdizionale europea.

 

In quel contesto il diritto alla piena ed effettiva concorrenza è stata la stella polare che ha imposto il cd “subentro” nel contratto (art. 2-quinquies della direttiva ricorsi 2007/66/CE) e la responsabilità svincolata dalla colpa sul versante risarcitorio (Corte Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010 (causa C-314/2009), istituti di carattere eccezionale estranei alla tradizione giuridica nazionale; ed è la ragione che sta alla base della formulazione del Considerando n. 122 della direttiva 2014/24/UE, in forza del quale persino “i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone o organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla direttiva 89/665/CEE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto….”.

 

Nell’ordinamento dell’Unione, la tutela dei soggetti interessati, finanche nella loro veste di semplici cittadini, è cioè traguardata quale strumento di garanzia che concorre alla corretta attuazione del principio di concorrenza, alla luce del quale nel settore della concorrenza per il mercato l’occasione lucrativa dev’essere attribuita esclusivamente a colui che ha fatto la migliore offerta nel rispetto del disposizioni di legge che regolano la procedura concorrenziale.

 

3.4. La postergazione della tutela avverso il bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto stabilito dalla Plenaria 1/2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice eurounitaria, poiché non lo oblitera, ma non può escludersi che valga ad attenuarne l’effettività nella misura in cui consente l’accesso al giudice in un momento di molto successivo alla emanazione del provvedimento violativo della legge.

 

Viceversa, l’affermazione dell’onere di impugnazione immediata di tutte le clausole attinenti le regole “formali” e “sostanziali” della gara, con eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi, garantirebbe un accesso immediato al giudice, foriero di un rapido emendamento del bando sì da uniformarlo alle regole concorrenziali. Lo “strappo” ai principi generali, lungi dal costituire una rivisitazione della teoria della concretezza ed attualità della lesione ai fini dell’esperimento della tutela demolitoria, si inserirebbe nel solco della specialità del settore dei pubblici appalti, rinvenendo in quest’ultima la sua ratio ultima.

 

C) La dimensione temporale non retroattiva dei nuovi principi eventualmente posti dall’Adunanza Plenaria: la regola dell’errore scusabile e la portata generale degli effetti dei mutamenti del diritto vivente di derivazione giurisprudenziale (overruling).

 

4. Da ultimo, sarebbe opportuno che l’Adunanza Plenaria, nello sciogliere il nodo problematico in senso auspicabilmente favorevole ad un revirement in ordine all’ambito dell’onere di immediata impugnazione della lex specialis di gara, si facesse carico di dissipare ogni dubbio sull’ambito temporale di applicazione del nuovo principio.

 

A tale proposito, si prospettano, infatti, diverse alternative.

 

I) A stretto rigore, trattandosi della corretta applicazione del quadro normativo vigente, la regola interpretativa, ricognitiva dell’ordinamento positivo, dovrebbe operare con immediatezza, anche per i giudizi in corso.

 

II) Andrebbe però chiarito, in ogni caso, se l’ampliamento dell’onere di immediata impugnazione del bando (quanto meno con riguardo alla determinazione del criterio di aggiudicazione) sia strettamente connesso ai mutamenti legislativi derivanti dal codice n. 50/2016, incentrati, come si è detto, sul favore per il criterio del miglior rapporto prezzo-qualità, e sulla definizione di un’autonoma fase preliminare alla valutazione delle offerte. In tal caso, il principio interpretativo espresso dalla Plenaria varrebbe solo per le gare bandite dopo l’entrata in vigore del codice. Il punto è particolarmente rilevante nella presente vicenda, che riguarda una gara ancora soggetta alla disciplina dell’abrogato codice n. 163/2006.

 

III) Occorrerebbe comunque stabilire se i nuovi principi innovativi eventualmente stabiliti dalla Plenaria valgano anche per il passato, ovvero – come al collegio sembra più ragionevole – solo per il futuro, secondo lo schema dell’overruling, come noto ricorrente quando il mutamento della precedente interpretazione della norma processuale da parte dell’organo nomofilattico porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, di modo che l’atto compiuto dalla parte, od il comportamento da questa tenuto secondo l’orientamento precedente, risultino irrituali per effetto ed in conseguenza diretta del mutamento dei canoni interpretativi (Da ultimo SSUU, 13 settembre 2017, n. 21194).

 

A far tempo dalla già citata pronuncia delle sez. un. n. 15144 del 2011 si è costantemente affermato che, per attribuire carattere innovativo all’intervento nomofilattico, occorre la concomitanza di tre precisi presupposti:

 

1. l’esegesi incida su una regola del processo;

 

2. si tratti di esegesi imprevedibile susseguente ad altra consolidata nel tempo e quindi tale da indurre un ragionevole affidamento;

 

3. l'innovazione comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa (così Adunanza Plenaria, 2 novembre 2015, n. 9).

 

Nel caso di specie sarebbero ictu oculi presenti tutti e tre i presupposti, ragion per cui si dovrebbe escludere l’operatività della preclusione per tutte le parti che abbiano agito in giudizio prima dell’emanando pronunciamento della Plenaria, confidando incolpevolmente nella consolidata pregressa interpretazione della regola.

 

D. Il requisito della partecipazione alla procedura selettiva ai fini dell’impugnazione immediata del bando e degli altri atti precedenti l’aggiudicazione.

 

3.1. V’è un ulteriore tassello esegetico nel mosaico delle questioni, anche questo non direttamente rilevante per la definizione del presente giudizio ma di massima importanza per la definizione di un quadro armonico e chiaro del diritto vivente: la necessità o meno, tutte le volte che si impugnano clausole del bando, di presentare, al fine di comprovare la “differenziazione” del proprio interesse, la domanda di partecipazione alla gara.

 

3.2. Com’è noto l’Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4 ha affermato che la domanda di partecipazione alla procedura non rileva ai fini dell’impugnazione, o perché è la stessa gara a mancare, o perché la sua contestazione in radice ovvero l’impossibilità di parteciparvi fanno emergere ex se una situazione giuridica differenziata (in capo, rispettivamente, all’impresa titolare di un rapporto giuridico incompatibile con l’indizione della nuova procedura e all’impresa di settore cui è impedita la partecipazione) e una sua lesione attuale e concreta.

 

3.3. L’Adunanza Plenaria del 25 febbraio 2014, n. 9 ha ribadito il principio, affermando che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione; chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita; a tale regola generale si può fare eccezione, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e cioè quando:

 

I) si contesti in radice l’indizione della gara;

 

II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;

 

III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.

 

3.4. Il dubbio del Collegio riguarda in ispecie l’ipotesi di cui al punto III.

 

3.4.1. Occorre in particolare chiarire se l’eccezione al principio di necessaria partecipazione alla procedura, possa ammettersi, oltre che nei casi in cui si si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, anche nei casi in cui la partecipazione, pur possibile, sarebbe inutile o comunque frustante a causa dell’adozione del criterio del prezzo più basso, in violazione della scelta fatta a monte dal legislatore.

 

Il punto ha formato oggetto di un importante intervento della Corte costituzionale, la quale, con un’ampia motivazione, ha ribadito l’indirizzo più tradizionale, incentrato sulla massima estensione del principio secondo cui, di regola, la domanda di partecipazione alla gara costituisce requisito di legittimazione indispensabile per contestare le clausole del bando soggette all’onere di immediata impugnazione.

 

Di contro, secondo un indirizzo espresso dalla giurisprudenza dei TAR, il diritto dell’UE favorirebbe una più ampia legittimazione al ricorso, estesa agli operatori economici del settore, anche in difetto della domanda di partecipazione alla gara.

 

4. In conclusione i quesiti che si sottopongono all’Adunanza Plenaria (ferma restando l’opportunità di vagliare la portata della soluzione interpretativa proposta con riguardo alla rilevabilità d’ufficio, anche in grado di appello, della inammissibilità del ricorso di primo grado non esaminata dal TAR) sono i seguenti:

 

1. Se, avuto anche riguardo al mutato quadro ordinamentale, i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n.1/2003 possano essere ulteriormente precisati nel senso che l’onere di impugnazione immediata del bando sussiste anche per il caso di erronea adozione del criterio del prezzo più basso, il luogo del miglior rapporto tra qualità e prezzo.

 

2. Se l’onere di immediata impugnazione del bando possa affermarsi più in generale per tutte le clausole attinenti le regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, nonché con riferimento agli altri atti concernenti le fasi della procedura precedenti l’aggiuducazione, con la sola eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi.

 

3. Se, nel caso in cui l’Adunanza Plenaria affermi innovativamente il principio della immediata impugnazione delle clausole del bando di gara riguardanti la definizione del criterio di aggiudicazione, e, individui, eventualmente, ulteriori ipotesi in cui sussiste l’onere di immediata impugnazione di atti della procedura precedenti l’aggiudicazione, la nuova regola interpretativa si applichi, alternativamente:

 

a) con immediatezza, anche ai giudizi in corso, indipendentemente dall’epoca di indizione della gara;

 

b) alle sole gare soggette alla disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016;

 

c) ai soli giudizi proposti dopo la pubblicazione della sentenza dell’Adunanza Plenaria, in conformità alle regole generali dell’errore scusabile e della irretroattività dei mutamenti di giurisprudenza incidenti sul diritto viventi (secondo i principi dell’overruling);

 

4. Se, nel caso di contestazione del criterio di aggiudicazione o, in generale, della impugnazione di atti della procedura immediatamente lesivi, sia necessario, ai fini della legittimazione a ricorrere, che l’operatore economico abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura, ovvero sia sufficiente la dimostrazione della qualità di operatore economico del settore, in possesso dei requisiti generali necessari per partecipare alla selezione.

 

 

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

 

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'adunanza plenaria.