Cons.Stato, Sez.IV, 18 ottobre 2017, n. 4809
E’ illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha disposto l’acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 di un’area illegittimamente occupata per scopi di interesse pubblico, che sia stato adottato successivamente ad una sentenza, passata in giudicato, che ha affermato l’obbligo della Amministrazione di provvedere alla restituzione dell’area in favore della proprietà.
In senso conforme: Corte Cost., n. 71 del 2015; Cons. Stato, Adunanza Plenaria n. 2 del 9 febbraio 2016; Cons. Stato, sez. IV, n. 3929 del 2016;Cons. Stato, sez. IV, n. 3234 del 2017.
Guida alla lettura
La sentenza in esame ha come oggetto la vicenda del proprietario di un fondo occupato e irreversibilmente trasformato dal Comune per la realizzazione di un impianto sportivo, dichiarato poi di pubblica utilità senza che sia stato emanato il decreto di espropriazione.
Il proprietario conviene in giudizio il Comune ed il Tribunale riconosce efficacia traslativa ad un accordo intervenuto tra le parti disponendo la prosecuzione del giudizio per la determinazione del giusto prezzo o dell’indennità per il trasferimento. L’unico appello proposto dal proprietario avverso la sentenza non definitiva è accolto dalla Corte di Appello: in tale sede si esclude l’efficacia traslativa dell’accordo attribuendogli solo l’effetto di rendere legittima la detenzione del fondo dalla scadenza dell’occupazione d’urgenza a quella della irreversibile trasformazione; si ricollega a quest’ultima l’acquisto della proprietà da parte del Comune, con conseguente riconoscimento a favore dell’attore del diritto al risarcimento del danno. Tale sentenza non è impugnata dal Comune. Il proprietario conviene poi in giudizio il Comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla perdita della proprietà. Tale giudizio si è protratto per molti anni e per vari gradi di merito e di legittimità. Da ultimo è intervenuta la Corte di Cassazione che ha cassato con rinvio la sentenza di appello per aver applicato un criterio di liquidazione non corretto ed incompatibile con il carattere istantaneo dell’illecito, da cui discende un risarcimento consistente nel ristoro della perdita subita alla data in cui si è verificato senza che possano andare a vantaggio o a nocumento del danneggiato le successive variazioni del mercato immobiliare nel periodo successivo al giorno in cui egli ha perso il diritto di proprietà. Sono infatti previste importanti guarentigie per il destinatario dell'atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell'indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass.,Sez. un., n. 2209 del 2015 ), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 d.p.r. 327/2001), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l'espropriato), con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno. Nelle more del giudizio civile di risarcimento danni il Comune ha sia emanato il decreto di acquisizione sanante, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 200 sia deliberato, previa comunicazione al proprietario di avvio del procedimento, di procedere nuovamente, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001. Il primo provvedimento è stato annullato dal TAR per mancanza dell’altruità del bene sul quale esercitare il potere ablatorio, per effetto del giudicato civile concernente l’intervenuto acquisto della proprietà a titolo originario da parte del Comune e per l’assenza delle garanzie partecipative, non essendo stata inviata al proprietario comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione sanante. Il secondo provvedimento è stato annullato dalla sentenza del TAR ed è oggetto di impugnazione da parte del Comune. Quest’ultimo a sostegno del gravame - con il quale deduce violazione dell’art. 42-bis ed errore su un punto decisivo della controversia - nega la formazione del giudicato in sede di giudizio civile in ordine alla “accessione invertita” o “occupazione acquisitiva” o “occupazione appropriativa”. Il proprietario appellato, oltre ad eccepire un giudicato preliminare che si sarebbe formato sulla sentenza del TAR, rileva l’intervenuto giudicato sull’accessione invertita. Il rigetto dell’appello proposto dal Comune, su cui si è pronunciato questo Consiglio, si fonda sulle peculiarità del potere conferito all’Amministrazione dall’istituto dell’acquisizione sanante, ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001. Il provvedimento di acquisizione sanante configura un procedimento ablatorio eccezionale, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura, complesso negli effetti (che si producono sempre ex nunc), il cui scopo non è quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo. Questo provvedimento acquisitivo è stato significativamente qualificato come esproprio postumo la cui natura è espropriativa e non sanante. Il procedimento amministrativo è semplificato e si concreta in un solo atto, non c’è la dichiarazione di pubblica utilità prima e il decreto espropriativo poi , tutto si realizza in un unico atto che espropria ora per ora non ora per allora. L’onere motivazionale è estremamente rafforzato in quanto occorre una motivazione che non si limiti a dichiarare la pubblica utilità dell’opera ma è necessario dimostrare le ragioni che rendono questa scelta come l’unica alternativa. Deve dunque emergere un percorso motivazionale - stringente e assistito da garanzie partecipative rigorose - basato sull'emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l'apprensione coattiva si pone come extrema ratio per la tutela di esigenze pubbliche. In riferimento allo specifico tema di interesse, costituito dalla presenza di un giudicato, inequivocabili sono le statuizioni della Corte costituzionale, prima, e dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, poi, in riferimento al giudicato restitutorio. Secondo la Plenaria “nel caso in cui il giudicato (amministrativo o civile) disponga espressamente, sic et simpliciter, la restituzione del bene, con l’unica precisazione che una tale statuizione restitutoria potrebbe sopravvenire anche nel corso del giudizio di ottemperanza è certo che l’Amministrazione non potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis”. L'impossibilità che l'Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato si desume poi implicitamente dallo stesso comma 2 dell'art. 42-bis laddove consente all'autorità di adottare il provvedimento durante la pendenza del giudizio avente ad oggetto l'annullamento della procedura ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza), ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio. Da ultimo, questo Consiglio si è esplicitamente pronunciato anche in ordine ad un giudicato intervenuto sull’acquisto a titolo originario da parte del Comune in riferimento all’istituto, all’epoca applicato, della “accessione invertita” (Cons. Stato, sez. IV, n. 3234 del 2017). Anche se la teorica della c.d. occupazione acquisitiva non fa più parte dal diritto vivente il nuovo indirizzo della giurisprudenza non vuole pregiudicare il valore dei giudicati che in precedenza hanno affermato tale vicenda traslativa della proprietà, come concordemente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. 9 novembre 2016, n. 22844; 16 agosto 2016, n. 17147). Quando sia stato definitivamente accertato il trasferimento della proprietà per effetto della occupazione acquisitiva, l’acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis è preclusa, non essendoci più nessuna proprietà privata da espropriare. Questo anche nelle ipotesi in cui debba essere ancora definitivamente accertato il quantum risarcitorio, la mancata quantificazione non mette in discussione il giudicato sul diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita della proprietà. In questa direzione si è espressa anche la Corte di cassazione, secondo la quale, “il provvedimento di acquisizione previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 può determinare l’improcedibilità delle domande restitutorie o risarcitorie proposte dal privato qualora venga adottato tempestivamente, e, comunque, prima che si formi un giudicato anche solo sull’acquisizione del bene o sul risarcimento del danno; in presenza di un tale giudicato, infatti, viene meno il potere attribuito dalla norma all’amministrazione” (Cass. civ. sez. I, n. 5686 del 7 marzo 2017 e. Cass. civ. n. 11258 del 31 maggio 2016). Nella fattispecie all’esame il Collegio ha correttamente respinto l’appello proposto dal Comune in quanto si è in presenza di un giudicato sull’acquisizione acquisitiva, come risultante dalla sentenza della Corte di appello rimasta non impugnata, preclusivo dell’emanazione del provvedimento di cui all’art. 42 bis d.p.r. 327/2001.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8042 del 2016, proposto dal Comune di San Ferdinando di Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pietro Di Benedetto, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cicerone, 28;
contro
Raffaele Pasculli, rappresentato e difeso dall'avvocato Costantino Ventura, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
per la riforma
della sentenza breve del T.a.r. per la Puglia – BARI - n. 1112 del 22 settembre 2016, resa tra le parti, concernente l’acquisizione sanante, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, per la realizzazione di un impianto sportivo polivalente.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Raffaele Pasculli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Di Benedetto e Ventura.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia concerne un fondo sito nel Comune di San Ferdinando di Puglia, di proprietà del sig. Raffaele Pasculli, occupato e irreversibilmente trasformato dal Comune per la realizzazione di un impianto sportivo, dichiarato di pubblica utilità nel 1979, senza che sia stato mai emanato il decreto di espropriazione.
2. Il sig. Pasculli, nel 1990, convenne in giudizio il Comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla perdita di proprietà. Il giudizio civile si è protratto per molti anni attraverso vari gradi di merito e di legittimità, come emergerà nel prosieguo; da ultimo è intervenuta la sentenza della Corte di cassazione civ. n. 11920 del 12 maggio 2017, depositata dall’appellato.
3. Nelle more dello svolgimento del giudizio civile, il Comune: a) il 28 dicembre 2015 ha emanato il decreto di acquisizione sanante, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001; b) previa comunicazione al sig. Pasculli di avvio del procedimento, il 10 giugno 2016 ha deliberato di procedere nuovamente, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
4. Il primo provvedimento è stato annullato dalla sentenza del T.a.r. n. 736 del 9 giugno 2016, sulla base di due autonome rationes decidendi:
a) mancanza dell’altruità del bene sul quale esercitare il potere ablatorio, per effetto del giudicato civile concernente l’intervenuto acquisto della proprietà a titolo originario da parte del Comune, a partire dal 1986;
b) assenza delle garanzie partecipative, non essendo stata inviata al sig. Pasculli comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione sanante.
5. Il secondo provvedimento è stato annullato dalla sentenza del T.a.r. n. 1112 del 22 settembre 2016, in forma semplificata, ed è oggetto del presente giudizio di appello.
6. Avverso la suddetta sentenza il Comune ha proposto appello affidato ad un unico motivo.
Il proprietario si è costituito.
6.1. Entrambe le parti hanno depositato rituali memorie (il Comune in data 29 novembre 2016 e 20 luglio 2017; l’appellato in data 7 e 13 settembre 2017).
7. Il T.a.r. ha accolto il ricorso proposto dal sig. Pasculli, riscontrando lo stesso profilo di nullità ritenuto dalla sentenza del T.a.r. n. 736 del 9 giugno 2016, nel §.6, e quindi, per la mancanza dell’altruità del bene sul quale esercitare il potere ablatorio, per effetto del giudicato civile concernente l’intervenuto acquisto della proprietà a titolo originario da parte del Comune, a partire dal 1986. Poi ha precisato che tale giudicato civile non era posto in discussione dalla prosecuzione del giudizio civile per la determinazione del danno risarcibile.
8. Il Comune, a sostegno del gravame - con il quale deduce violazione dell’art. 42-bis cit. ed errore su un punto decisivo della controversia - nega la formazione del giudicato in sede di giudizio civile in ordine alla “accessione invertita” o “occupazione acquisitiva” o “occupazione appropriativa”. A tal fine, richiama gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza c.d. “post-comunitaria” nel quadro dei principi elaborati dalla Corte di Strasburgo (dei quali dà conto Cons. Stato, sez. IV, n. 4636 del 2016, §12.1. cui si rinvia), per sostenere che il giudice non può ritenere l’irreversibile trasformazione e il passaggio della proprietà in capo al Comune sulla base di un’attività illecita posta in essere dall’Amministrazione.
8.1. L’appellato - oltre ad eccepire un giudicato preliminare che si sarebbe formato sulla sentenza del T.a.r. richiamata in motivazione per la tardività del gravame proposto - rileva l’intervenuto giudicato sull’“accessione invertita”. In via subordinata, per l’ipotesi di accoglimento dell’appello, ripropone gli ulteriori motivi proposti dinanzi al T.a.r. e l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 42-bis cit., non esaminati dal primo giudice in quanto assorbiti dall’accoglimento dell’originario ricorso.
9. In ossequio al criterio della ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015), stante il rigetto dell’appello nel merito - per le ragioni che si esporranno nel prosieguo - è consentito prescindere dall’esame del profilo preliminare sollevato dall’appellato, in riferimento al giudicato che si sarebbe formato sulla sentenza richiamata nella sentenza ora impugnata, per la tardività del gravame.
10. L’appello è infondato e va rigettato, per essere intervenuto, sin dal 1986, il passaggio in giudicato della statuizione del giudice civile in ordine all’“occupazione acquisitiva” o “appropriativa” o “accessione invertita” in favore del Comune.
10.1. In estrema sintesi può dirsi che, a partire dalla sentenza (n. 800 del 2005), con la quale il Tribunale di Foggia definì il giudizio di primo grado, la materia controversa nei molti giudizi civili successivi ha riguardato sotto vari profili, ed ancora riguarda, la determinazione del risarcimento del danno a favore del signor Pasculli, sul presupposto dell’avvenuta acquisizione appropriativa del fondo da parte del Comune nel 1986, accertata con la sentenza parziale della Corte di appello, n. 38 del 2004, restata non oppugnata.
10.2. Affinché risulti chiaro il formarsi del giudicato, è opportuno ripercorrere sinteticamente le vicende dei giudizi civili che si sono succeduti:
a) il sig. Pasculli, nel 1990, convenne in giudizio il Comune per il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di proprietà dell’immobile, occupato per la realizzazione di un impianto sportivo, dichiarato di pubblica utilità nel 1979, e irreversibilmente trasformato senza che fosse mai stato mai emanato il decreto di espropriazione;
b) il Tribunale di Foggia, decidendo parzialmente la controversia con sentenza non definitiva n. 1816 del 2001, riconobbe efficacia traslativa ad un accordo intervenuto tra le parti e dispose la prosecuzione per la determinazione del giusto prezzo o dell’indennità per il trasferimento;
c) la Corte di appello di Bari – con sentenza n. 38 del 2004, decidendo l’unico appello proposto dal sig. Pasculli avverso la sentenza non definitiva – lo accolse; escluse l’efficacia traslativa dell’accordo attribuendogli solo l’effetto di rendere legittima la detenzione del fondo dalla scadenza dell’occupazione d’urgenza a quella della irreversibile trasformazione, verificatesi nel 1986; ricollegò a quest’ultima l’acquisto della proprietà da parte del Comune, con conseguente riconoscimento a favore dell’attore del diritto al risarcimento del danno; la data dell’occupazione acquisitiva fu esplicata anche in dispositivo;
d) la suddetta sentenza non fu impugnata dal Comune, che non fece, neanche riserva di impugnazione;
e) con sentenza conclusiva del giudizio di primo grado (n. 800 del 2005), il Tribunale di Foggia accolse la domanda attorea e liquidò il risarcimento in base al valore agricolo medio;
f) la Corte di appello di Bari (sentenza n. 88 del 2007), decidendo l’appello del sig. Pasculli rideterminò il risarcimento del danno e l’indennità per l’occupazione legittima, sulla base del criterio di cui all’art. 5-bis, comma 7-bis del d.l. n. 333 del 1992, convertito con la l. n. 359 del 1992, introdotto con la l. n. 662 del 1996;
g) la Corte di cassazione (con sentenza n. 2195 del 2013), in accoglimento del ricorso del sig. Pasculli, cassò con rinvio la suddetta sentenza, essendo intervenuta l’illegittimità costituzionale della norma applicata e dovendosi applicare il valore di mercato del bene;
h) pronunciando in sede di rinvio, la Corte di appello (sentenza n. 675 del 2015) condannò il Comune al risarcimento del danno cagionato dalla perdita della proprietà, unitamente al danno da svalutazione monetaria, e al pagamento dell’indennità da occupazione legittima, oltre interessi, a decorrere dal 13 marzo 1986, data della perdita di proprietà del suolo;
i) la sentenza della Corte di cassazione n. 11920 del 2017, accogliendo parzialmente i contrapposti ricorsi delle parti sulla comune problematica relativa alla determinazione del valore di mercato del fondo, ha cassato con rinvio: - per non avere la Corte di appello preso posizione in ordine alla vocazione edificatoria del fondo senza verificare se la precedente sentenza di appello avesse o meno lasciata impregiudicata la questione; - per aver applicato un criterio di liquidazione non corretto e incompatibile con il carattere istantaneo dell’illecito, da cui discende un risarcimento consistente nel ristoro della perdita subita alla data in cui si è verificato senza che possano andare a vantaggio o a nocumento del danneggiato le successive variazioni del mercato immobiliare nel periodo successivo al giorno in cui egli ha perso il diritto di proprietà.
10.3. In particolare, la suddetta sentenza, nel disattendere l’istanza di sospensione del giudizio civile per la pendenza dinanzi al Consiglio di stato dell’impugnativa nei confronti della sentenza del T.a.r. che aveva annullato il decreto di acquisizione sanante ex art. 42-bis del 28 dicembre 2015, ha rilevato: a) la non sussistenza del rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, stante l’acquisto originario della proprietà da parte del Comune per effetto della irreversibile trasformazione del suolo, non preceduta da provvedimento ablatorio, statuita con la sentenza della Corte di appello n. 38 del 2004, restata non impugnata e passata in giudicato, con la conseguente inefficacia del successivo decreto di acquisizione sanante; b) che il decreto di acquisizione sanante ex art. 42-bis, determina l’improcedibilità delle domande di restituzione e risarcimento del danno proposte, salvo l’ipotesi in cui, come nella specie, si è formato il giudicato in ordine all’illiceità del comportamento dell’amministrazione e al conseguente diritto del privato alla restituzione o al risarcimento del danno.
11. Il rigetto dell’appello proposto dal Comune si fonda sulle peculiarità del potere conferito all’Amministrazione dall’istituto dell’acquisizione sanante, ex art. 42-bis cit., giustificato da eccezionali e giustificate ragioni di interesse pubblico e da esercitarsi tempestivamente, pena la perdita dello stesso in presenza di un giudicato in ordine alla illeceità del comportamento dell’amministrazione e al conseguente diritto del privato alla restituzione del bene e/o al risarcimento del danno, quale emerge dall’applicazione che ne ha fatto la giurisprudenza amministrativa e civile in conformità al sistema di tutela della proprietà privata disegnato dalla CEDU e dalla Corte costituzionale.
11.1. L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (sentenza n. 2 del 9 febbraio 2016) ha così delineato le caratteristiche del nuovo istituto:
a) l'art. 42-bis configura un procedimento ablatorio eccezionale e sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura, complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo;
b) tale obbiettivo istituzionale deve emergere da un percorso motivazionale - stringente e assistito da garanzie partecipative rigorose - basato sull'emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l'apprensione coattiva si pone come extrema ratio per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche;
c) sono coerenti con questa impostazione: I) le importanti guarentigie previste per il destinatario dell'atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell'indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass. civ., Sez. un., n. 2209 del 2015 ), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 t.u.espr.), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l'espropriato), con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno; II) la previsione del coinvolgimento obbligatorio della Corte dei conti in una vicenda che produce oggettivamente (e indipendentemente dagli eventuali profili soggettivi di responsabilità da accertarsi nelle competenti sedi) un aggravio sensibile degli esborsi a carico della finanza pubblica;
d) per evitare che l'eccezionale potere ablatorio previsto dall'art. 42-bis possa essere esercitato sine die in violazione dei valori costituzionali ed europei di certezza e stabilità del quadro regolatorio dell'assetto dei contrapposti interessi in gioco, la disciplina dettata è inserita in un più ampio contesto ordinamentale che - in ragione della sussistenza dell'obbligo della Amministrazione di valutare se emanare un atto tipico sull'adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto - prevede per il proprietario strumenti adeguati di reazione all'inerzia della P.A., esercitabili davanti al giudice amministrativo, sia attraverso il c.d. "rito silenzio" (artt. 34 e 117 c.p.a.), sia in sede di ordinario giudizio di legittimità avente ad oggetto il procedimento ablatorio sospettato di illegittimità (o altro giudizio avente ad oggetto la tutela reipersecutoria), secondo le coordinate esegetiche esplicitamente stabilite dalla sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 30 aprile 2015.
11.2. In riferimento allo specifico tema di interesse, costituito dalla presenza di un giudicato, inequivocabili sono le statuizioni della Corte costituzionale, prima, e dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, poi, in riferimento al giudicato restitutorio.
Infatti, la Corte costituzionale con la sentenza n. 71 del 2015, nel riaffermare la compatibilità col quadro costituzionale dell’istituto disciplinato dall’art. 42-bis, ha evidenziato che uno dei suoi tratti caratteristici, e cioè il carattere non retroattivo dell’acquisizione, “impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato”.
Secondo la Plenaria “nel caso in cui il giudicato (amministrativo o civile) disponga espressamente, sic et simpliciter, la restituzione del bene, con l’unica precisazione che una tale statuizione restitutoria potrebbe sopravvenire anche nel corso del giudizio di ottemperanza […], è certo che l’Amministrazione non potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis”. L'impossibilità che l'Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario - valorizzato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 2015 in coerenza coi principi elaborati dalla Corte di Strasburgo - si desume implicitamente dalla previsione del comma 2 dell'art. 42-bis nella parte in cui consente all'autorità di adottare il provvedimento durante la pendenza del giudizio avente ad oggetto l'annullamento della procedura ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza), ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio.
11.2.1. Il principio è stato riaffermato anche nella successiva giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. in termini, Cons. Stato, sez. IV, n. 3929 del 2016) secondo la quale, è illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha disposto l’acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 di un’area illegittimamente occupata per scopi di interesse pubblico, che sia stato adottato successivamente ad una sentenza, passata in giudicato, che ha affermato l’obbligo della Amministrazione di provvedere alla restituzione dell’area in favore della proprietà. In tal caso, infatti, deve ritenersi che, in presenza di un cd. giudicato chiuso, con il quale è stato ordinato al Comune la restituzione ai legittimi proprietari dei terreni illegittimamente occupati, l’Amministrazione comunale non abbia più il potere di emanare un provvedimento ex art. 42-bis.
11.3. Da ultimo, questo Consiglio si è esplicitamente pronunciato anche in ordine ad un giudicato intervenuto sull’acquisto a titolo originario da parte del Comune in riferimento all’istituto, all’epoca applicato, della “accessione invertita” (Cons. Stato, sez. IV, n. 3234 del 2017). In effetti, anche se la teorica della c.d. occupazione acquisitiva non fa più parte dal diritto vivente – almeno a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione n. 735 del 19 gennaio 2015 - certamente il nuovo indirizzo della giurisprudenza non pregiudica il valore dei giudicati che in precedenza hanno affermato tale vicenda traslativa della proprietà, come concordemente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. 9 novembre 2016, n. 22844; 16 agosto 2016, n. 17147). Quando sia stato definitivamente accertato il trasferimento della proprietà per effetto della occupazione acquisitiva, l’acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis è preclusa, non essendoci più nessuna proprietà privata da espropriare. Tanto, anche nel caso in cui debba essere ancora definitivamente accertato il quantum risarcitorio, la cui mancata quantificazione non mette in discussione il giudicato sul diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita della proprietà.
11.3.1. In questa direzione si è espressa anche la Corte di cassazione, secondo la quale, il provvedimento di acquisizione previsto dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 può determinare l’improcedibilità delle domande restitutorie o risarcitorie proposte dal privato qualora venga adottato tempestivamente, e, comunque, prima che si formi un giudicato anche solo sull’acquisizione del bene o sul risarcimento del danno; in presenza di un tale giudicato, infatti, viene meno il potere attribuito dalla norma all’amministrazione. (Cass. civ. sez. I, n. 5686 del 7 marzo 2017; in riferimento al giudicato interno sulla illiceità della vicenda acquisitiva posta in essere dall’Amministrazione e sul diritto del privato al risarcimento del danno, cfr. Cass. civ. n. 11258 del 31 maggio 2016).
11.4. Nella fattispecie ora all’esame del Collegio, si è proprio in presenza di un giudicato sull’acquisizione acquisitiva, verificatesi nel 1986, come risultante dalla sentenza della Corte di appello n. 38 del 2004, restata non impugnata. Né, per quanto sopra precisato, rileva che la controversia civile non sia ancora definita in ordine al quantum del risarcimento, essendo stata nuovamente rimessa alla Corte di merito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 11920 del 2017.
12. In conclusione, l’appello va respinto.
13. Le spese processuali del grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
a) respinge l'appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
b) condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’appellato, delle spese ed onorari, che liquida in complessivi euro 5.000,00, oltre accessori come per legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.