1. La questione della disapplicabilità dei bandi di gara.
Una questione di grande rilevanza, strettamente connessa all’onere di immediata impugnazione dei bandi di gara in presenza di clausole escludenti, inerisce alla dibattuta possibilità per il Giudice amministrativo di disapplicare il bando non tempestivamente impugnato. L’interrelazione tra le due questioni è resa evidente dalla circostanza che in tanto si pone il problema di individuare i casi in cui il bando di gara deve essere immediatamente oggetto di impugnazione, in quanto la lex specialis non può essere – decorso il termine decadenziale – successivamente disapplicata nell’ambito di un giudizio in cui si fa valere l’illegittimità delle relative clausole.
In dottrina, si rileva che la tesi contraria alla possibilità di disapplicare i bandi di gara fa leva sulla loro natura di atto amministrativo generale: essi, infatti, non sono rivolti a soggetti determinabili ex ante ma solo ex post, e sono privi di contenuto normativo perché non hanno capacità di innovare l’ordinamento giuridico: non regolamentano infatti l’attività amministrativa generalmente intesa, ma solo il singolo procedimento, fissando preventivamente le regole di svolgimento della gara o del concorso[1].
Ne deriva che, in quanto atti provvedimentali e non normativi, i bandi sono soggetti al normale regime impugnatorio previsto per gli atti amministrativi. In questo senso si è pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la storica decisione n. 1 del 2003.
L’orientamento favorevole alla disapplicabilità dei bandi, invece, fa leva sull’asserita natura normativa degli atti in questione: si pensi ai bandi di gara e di concorso, che sono valutati come lex specialis della correlata procedura.
In questo senso si è pronunciato il TAR Lombardia con la risalente decisione 2 aprile 1997, n. 354, che ha distinto tra disapplicazione normativa, utilizzabile sia all’interno della giurisdizione esclusiva che di quella di legittimità, e disapplicazione provvedimentale che va riferita a singoli atti non normativi incidenti su diritti soggettivi ed è, quindi, possibile all’interno della sola giurisdizione esclusiva, con gli stessi poteri del giudice ordinario ex art. 5 della l. n. 2248/1865, all. E. Detto orientamento, tuttavia, è ormai recessivo, essendo prevalente l’orientamento che attribuisce al bando natura amministrativa (sia pur generale), con la conseguente giustiziabilità mediante impugnazione innanzi al G.A.[2].
Nonostante si tratti di una posizione ormai ampiamente maggioritaria, essa ancora incontra talune resistenze all’interno della giurisprudenza del Consiglio di Stato: merita sul punto menzione Cons. St., Sez. V, 13 gennaio 2011, n. 172, che, riqualificando i bandi di gara come regolamenti, rivendica la possibilità per il G.A. di disapplicarne le clausole.
2. L’onere di immediata impugnazione del bando di gara. Profili introduttivi.
Va precisato, peraltro, che l’impossibilità di operare una disapplicazione del bando illegittimo non obbliga tout court l’interessato all’immediata impugnazione, dovendosi distinguere tra clausole immediatamente lesive e clausole non immediatamente lesive.
Si tratta di un principio ampiamente accolto dalla giurisprudenza, alla cui stregua “ai fini dell’affermazione dell’esistenza di un onere di tempestiva impugnazione, rileva la sussistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell’interessato, che determina, a sua volta, la sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione; e quindi, con riferimento al bando di gara o di concorso o alla lettera di invito, l’attitudine (sua o di alcune clausole in essi contenute) a provocare una lesione di tal genere”[3].
È proprio il carattere di immediata lesività della norma concorsuale, nonché la sua chiara interpretazione in termini preclusivi alla partecipazione degli interessati alla procedura di gara, che impone l’immediata impugnazione, onde consentirne il tempestivo annullamento.
Il Consiglio di Stato[4] ha da ultimo affermato che, per principio pacifico, sussiste l’onere di immediata impugnazione delle clausole di un bando di gara qualora le stesse impediscano o rendano ingiustificatamente difficoltosa per i concorrenti la partecipazione alla gara, così violando principi cardine delle procedure ad evidenza pubblica, tra cui quelli della concorrenza e della par condicio tra i concorrenti[5].
Si è quindi posto in luce che, nelle gare pubbliche, l’onere di immediata impugnazione del bando è circoscritto al caso della contestazione di clausole escludenti riguardanti i requisiti di partecipazione, che siano ostative all’ammissione dell’interessato, o, al più, impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura, dovendo le altre clausole essere ritenute lesive ed impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva che definisce la procedura ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva[6].
Pertanto, di fronte ad una clausola ritenuta illegittima, ma non impeditiva della partecipazione, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta o potenziale illegittimità della clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura di gara, e quindi in un’effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare[7].
3. Le condizioni dell’azione: la legittimazione ad agire.
Un problema peculiare, interferente con l’onere di immediata impugnazione delle clausole escludenti, inerisce alla necessità che il ricorrente presenti comunque domanda di partecipazione alla gara, onde acquisire quella posizione differenziata che costituisce il sostrato sostanziale della legittimazione a ricorrere.
È rilevante evidenziare come per l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa deve riconoscersi la legittimazione a ricorrere avverso un bando di gara all'operatore economico che non abbia presentato la propria offerta, ogni qualvolta sia prospettata l'esistenza di clausole direttamente ed immediatamente lesive, tali da impedire ex se la partecipazione alla gara, ovvero l'utile presentazione dell'offerta, in quanto costituenti clausole impossibili[8].
Tale orientamento è stato condiviso dal Consiglio di Stato anche in sede consultiva, ove si è osservato che “non vale dunque eccepire, come invece fa l’Azienda ospedaliera, che la ricorrente non ha ancora domandato di partecipare alla gara: il detto elemento preclusivo avrebbe infatti dato comunque causa alla sua esclusione, sicché la domanda si sarebbe risolta in un adempimento formale inevitabilmente seguito da un atto di estromissione, con un risultato analogo a quello di un’originaria preclusione e perciò privo di una effettiva utilità pratica ulteriore: del resto, il dover attendere, per l’investitura del giudizio, la conseguente formalizzazione dell’esclusione sarebbe contrario al principio dell’economia dei mezzi e si risolverebbe in una lesione della superiore speditezza complessiva del procedimento … omissis …. L’impresa ricorrente è dunque titolare dell’interesse concreto ed attuale alla impugnazione del bando in questione: dal che discende che il ricorso straordinario è da ritenere ammissibile”[9].
L’indirizzo prevalente della giurisprudenza amministrativa ha trovato conferma anche da parte della Corte di Giustizia, la quale ha ritenuto che “nell'ipotesi in cui un'impresa non abbia presentato un'offerta a causa della presenza di specifiche che asserisce discriminatorie nei documenti relativi al bando di gara o nel disciplinare, le quali le avrebbero proprio impedito di essere in grado di fornire l'insieme delle prestazioni richieste, essa avrebbe tuttavia il diritto di presentare un ricorso direttamente avverso tali specifiche, e ciò prima ancora che si concluda il procedimento di aggiudicazione dell'appalto pubblico interessato. Infatti, da un lato, sarebbe eccessivo esigere che un'impresa che asserisca di essere lesa da clausole discriminatorie contenute nei documenti relativi al bando di gara, prima di poter utilizzare le procedure di ricorso previste dalla direttiva 89/665 contro tali specifiche, presenti un'offerta nell'ambito del procedimento di aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi, quando persino le probabilità che le venga aggiudicato tale appalto sarebbero nulle a causa dell'esistenza delle dette specifiche. Dall'altro, risulta chiaramente dal testo dell'art. 2, n. 1, lett.b), della direttiva 89/665 che le procedure di ricorso, che gli Stati membri devono organizzare in conformità a tale direttiva, devono consentire in particolare di "annullare (...omissis…) le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie (...omissis…)". Ad un'impresa dev'essere pertanto consentito presentare un ricorso direttamente avverso tali specifiche discriminatorie, senza attendere la conclusione del procedimento di aggiudicazione dell'appalto”[10].
4. L’interesse ad agire e la questione delle clausole escludenti.
Più delicata è la questione circa l’esatta individuazione della natura immediatamente lesiva della clausola del bando, tale da far sorgere l’interesse a ricorrere già prima della conclusione della gara. Secondo l’orientamento dominante, tra le prescrizioni immediatamente lesive rientrano le clausole contenenti requisiti di partecipazione tali da precludere ex ante la presentazione della domanda con esito favorevole a determinate categorie di soggetti.
Tra le prescrizioni non immediatamente lesive, invece, la giurisprudenza fa tradizionalmente rientrare le clausole relative alla composizione della commissione o quelle che prevedono un certo criterio di valutazione delle offerte che dia rilievo illegittimamente al fattore prezzo a discapito del fattore tecnico: in questo caso la lesione, per il privato, si concretizzerà nel momento in cui l’Amministrazione, facendo applicazione dei criteri fissati nel bando, escluda o non dichiari vincitrice una determinata impresa. In tali casi, a pena di inammissibilità del ricorso, è necessaria l’impugnazione congiunta dell’atto applicativo e della prescrizione del bando che si assume illegittima.
Vanno infine menzionate le prescrizioni plurivoche, caratterizzate da una sostanziale ambiguità interpretativa, e quindi da incertezza sul loro grado di lesività. In presenza di tali clausole, è possibile impugnare il provvedimento che vi dia applicazione in senso deteriore anche laddove non sia stato impugnato immediatamente il bando di gara o di concorso.
Tale soluzione non appare, però, aver sopito ogni dubbio. Infatti, il Consiglio di Stato, con ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria, ha fatto notare come “All’origine dell’orientamento (quello della Plenaria n. 1/2003, n.d.A.) vi è una volontà deflattiva del contenzioso (solo il non aggiudicatario avrà interesse ad impugnare), che si è dimostrata nei fatti del tutto fallace, a fronte di incontestabili costi aggiuntivi per la p.a. costretta a impegnativi e lunghi rinnovi procedimentali. È comunque sul piano dei principi del processo amministrativo che la tesi lascia perplessi: se le clausole, escludenti o meno che siano, sono ritenute illegittime, non vi è giustificazione per superare i limiti temporali dell’azione di impugnazione, attesa comunque la loro lesività”[11] (per completezza va rammentato che la Plenaria, con decisione n. 4 del 2011, non ha tuttavia preso posizione su tale specifico profilo).
La questione assume particolare rilievo qualora il bando di gara non sia conforme al diritto europeo. Al riguardo, infatti, parte della dottrina ha affermato la sussistenza di un vero e proprio obbligo per il Giudice di disapplicare le disposizioni del bando contrarie al diritto eurounitario[12]. Tale conclusione non è tuttavia condivisa dalla giurisprudenza amministrativa: si è infatti osservato che "negli appalti pubblici, la lex specialis non può essere disapplicata nel corso del procedimento, perché le clausole del bando e le sue prescrizioni hanno effetto vincolante anche per l'Amministrazione predisponente, di modo che le stesse non possono essere disapplicate e/o eluse, né dal giudice, né dalla P.A. e ciò anche quando risultino in contrasto con le previsioni dell'ordinamento giuridico vigente anche comunitario, salvo naturalmente l'esercizio del potere di autotutela"[13].
La stessa Corte di Giustizia, con sentenza 27 febbraio 2003 resa nel procedimento C-327/00, ha escluso la presenza di un principio che impone la disapplicazione dei bandi di gara contrastanti con il diritto comunitario, rilevando che: “la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE (che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE (che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi), deve essere interpretata nel senso che essa – una volta accertato che un’autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell’Unione leso da una decisione di tale autorità – impone ai giudici nazionali competenti l’obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull’incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un’impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità”.
Una tesi eccentrica, invece, ritiene che anche le clausole illegittime che pongano uno sbarramento alla partecipazione non debbano essere impugnate immediatamente, perché si rivolgono a soggetti individuabili solo a posteriori, cioè al momento della presentazione della domanda di partecipazione, sicché l’amministrazione prima di questo momento ben potrebbe intervenire in autotutela per eliminare o correggere le clausole in questione.
Infine, altro orientamento dilata il novero delle clausole che devono essere impugnate immediatamente. Oltre alle clausole del bando che impediscono la partecipazione alla gara, fissando particolari requisiti soggettivi dei concorrenti, sono state considerate immediatamente lesive:
a) le clausole che, stabilendo i criteri di aggiudicazione dell’appalto, influiscono sulla stessa determinazione dell’impresa relativa alla predisposizione della proposta economica o tecnica racchiusa nell’offerta. Ci si riferisce, in particolare, a quelle clausole che non consentono la formulazione dell’offerta poiché rendono impossibile quel calcolo di convenienza tecnica ed economica che è alla base della scelta dell’impresa di partecipare alla gara pubblica. In detta categoria rientrano tutte le prescrizioni che, producendo effetti distorsivi della concorrenza, incidono sulla sfera giuridica del soggetto economico che partecipa alla gara in un momento precedente quello della mancata aggiudicazione ed indipendentemente da essa. Secondo tale orientamento, nei pubblici appalti, la lesività delle norme del bando relative ai criteri di aggiudicazione ed alle modalità di svolgimento della gara non si manifesta per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale sono assunte come regole con le quali la P.A. autolimita la propria libertà di apprezzamento.
b) le prescrizioni del bando che impongono determinati oneri formali dell’offerta, a pena di esclusione, alle imprese partecipanti. Lo stesso orientamento si è poi affermato, talvolta, in relazione alle clausole riguardanti le modalità di presentazione dell’offerta.
c) le clausole del bando relative al modus operandi fissato per il funzionamento della commissione giudicatrice. In particolare, si è affermato l’onere d’immediata impugnazione della clausola del bando che individua le operazioni da svolgere, rispettivamente, in seduta pubblica od in riunione segreta, nonché delle clausole del bando concernenti il funzionamento della commissione giudicatrice con la presenza della maggioranza e non del plenum dei componenti.
I nuovi indirizzi interpretativi diretti, in varia misura, ad ampliare l’onere di immediata impugnazione delle clausole di bando non risultano ancora consolidati, prospettandosi oscillazioni tra pronunce fedeli all’orientamento “tradizionale”, decisioni che sembrano generalizzare l’onere di immediata impugnazione e sentenze che fissano criteri selettivi più elaborati, idonei a circoscrivere notevolmente la portata dell’orientamento.
La dottrina ha assunto un atteggiamento assai critico nei confronti dell’impostazione volta ad allargare il novero delle clausole da impugnare immediatamente al di là della gamma tradizionale delle clausole preclusive o espulsive, che con certezza impediscono la partecipazione.
Si può osservare, in chiave critica, che l’estensione dell’onere di impugnazione a clausole che non decretano l’esito sicuramente infausto della procedura è suscettibile di stravolgere i concetti di "interesse a ricorrere" e di "giudizio amministrativo": il primo, in antitesi con la visione sostanzialistica dell’interesse legittimo, viene identificato nell’interesse alla legittimità della procedura amministrativa piuttosto che nell’interesse al bene della vita dato dall’aggiudicazione; il giudizio amministrativo, d’altra parte, verrebbe per converso a perdere i suoi connotati soggettivi per trasformarsi in un mero giudizio oggettivo sulla legittimità dell’atto a prescindere dalla sua connotazione effettivamente lesiva degli interessi sostanziali del ricorrente.
A conferma del rilevo sistematico che riveste il problema, la VI Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 634/2013, ha nuovamente rimesso all’Adunanza Plenaria la questione, evidenziando come: a) la volontà deflattiva del contenzioso, sottostante all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole clausole escludenti, non ha trovato rispondenza nei fatti; b) i principi di buona fede e affidamento, di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c., dovrebbero implicare che le imprese, tenute a partecipare alla gara con attenta disamina delle prescrizioni del bando, siano non solo abilitate, ma obbligate a segnalare tempestivamente, tramite impugnazione del bando stesso, eventuali cause di invalidità della procedura di gara.
L’Adunanza Plenaria, con decisione n. 8 del 22 aprile 2013, nonostante sembri asseverare le osservazioni dell’ordinanza di rimessione, ha tuttavia rilevato che la norma invocata in sede di impugnazione, che pone l’obbligo di apertura dei plichi con le offerte tecniche in seduta pubblica ove i medesimi non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012, non ha valenza ricognitiva di un principio già esistente.
Da ciò discende la legittimità ratione temporis della clausola del bando contemplante la verifica dei plichi in seduta riservata: essendosi quest’ultima tenuta, nella fattispecie, in data anteriore al 9 maggio 2012, essa rimane “...valida ed efficace...in conformità con la previsione del disciplinare di gara”.
La rilevata legittimità ratione temporis della clausola del bando ha consentito, quindi, all’Adunanza Plenaria di esimersi dall’affrontare l’aspetto relativo al dies a quo dell’impugnazione delle clausole del bando diverse da quelle “escludenti”.
Se pure la sentenza in motivazione afferma "l'obbligo delle imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica di impugnare entro gli ordinari termini di decadenza qualsiasi clausola del bando ritenuta illegittima", manca tuttavia una presa di posizione su una questione spinosa, che avrebbe potuto in ipotesi condurre ad un ribaltamento dell’ormai granitico orientamento pretorio di segno opposto.
Tanto è confermato dalla successiva giurisprudenza che sembra stemperare le indicazioni fornite in motivazione dall’Adunanza Plenaria, continuando ad uniformarsi al pregresso, consolidato orientamento interpretativo, alla cui stregua "nell'ordinamento vigente l'onere di immediata impugnazione del bando di gara pubblica deve intendersi circoscritto alle clausole escludenti riguardanti requisiti di partecipazione che siano ostative alla partecipazione o impositive ai fini della partecipazione di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, dovendo le altre clausole, se ritenute lesive, essere impugnate insieme con l'atto di approvazione della graduatoria definitiva che definisce la procedura concorsuale e, quindi, in ipotesi di effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare; in conclusione soggiacciono all'onere della immediata e tempestiva impugnazione le sole clausole della lex di gara che stabiliscono requisiti di partecipazione escludenti, mentre per le altre previsioni, tra le quali rientrano quelle concernenti i criteri di valutazione e attribuzione dei punteggi vale il principio secondo cui l'interesse al ricorso nasce con l'aggiudicazione, perché solo in tale momento il concorrente può dolersi di una effettiva lesione della propria situazione giuridica"[14].
[1] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2017, p. 489 ss..
[2] La giurisprudenza amministrativa esclude, inoltre la possibilità che la stazione appaltante possa disapplicare il bando di gara, precisando al contrario che il bando può essere oggetto del potere di autotutela della P.A.. Ex multis, v. Cons. St., sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2988: "In sede di gara pubblica per l'aggiudicazione di un contratto la Pubblica amministrazione è tenuta ad applicare le regole fissate dal bando atteso che questo, unitamente alla lettera di invito, costituisce la lex specialis della gara, che non può essere disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle regole in essa contenute risultino non conformi allo ius superveniens, salvo naturalmente l'esercizio dell'autotutela; tale conclusione trova giustificazione nel fatto che il bando di gara è atto amministrativo a carattere normativo e lex specialis della procedura, rispetto al quale l'eventuale ius superveniens di abrogazione o di modifica di clausole non ha effetti innovatori con la conseguenza che, nel caso in cui siano sopravvenute disposizioni normative incompatibili con le prescrizioni del bando e, dunque, la normativa successiva consenta una partecipazione invece preclusa dalle disposizioni del bando, queste ultime non potrebbero sic et simpliciter essere disapplicate, ma dovrebbero previamente essere rimosse dal mondo giuridico mediante esercizio dell'autotutela". (conf. Cons. St., sez. V, 20 marzo 2015, n. 1543). Conseguentemente l’Amministrazione che non sia intervenuta in autotutela sul bando deve provvedere ad applicarlo (Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 25 giugno 2015, n. 1571).
In altri termini, le clausole del bando, quale lex specialis di ogni procedura concorsuale, sono predisposte dall’Amministrazione (anche) in funzione di autolimitazione della propria discrezionalità e si impongono anzitutto al rispetto della medesima Amministrazione (v., ex pluribus TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 30 settembre 2013 n. 2083).
[3] Ex multis, Cons. St, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5289.
[4] Cons. St., 8 febbraio 2016, n. 510.
[5] Cons. Stato, V. 18 giugno 2015, n. 3104.
[6] Ex multis, Cons. Stato, III, 2 febbraio 2015, n. 491.
[7] Ex multis, Cons. Stato, V. 12 novembre 2015, n. 5181).
[8] Cons. St., Sez. V, 20 settembre 2001, n.4970; Cons. St., Sez. V, 14 febbraio 2003, n. 794; Cons. St., Sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7055; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 24 febbraio 1990, n. 229; T.A.R. Puglia, Lecce, 22 marzo 1991, n. 262; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 17 settembre 1996, n. 552; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 31 agosto 1998, n. 1408; T.A.R. Lazio, Sez. III, 26 aprile 2000, n. 3412.
[9] Cons. St, sez. II, parere 7 marzo 2001, n. 149.
[10] Corte Giust. C.E. 12.02.2004 - C-230/02.
[11] Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2011, n. 351.
[12] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, ibid.
[13] Tar Veneto, Venezia, sez. I, 28 aprile 2015, n. 452.
[14] Cons. St., sez. V, 1 agosto 2015, n. 3776.