Premessa
La sponsorizzazione assume notevole rilevanza quando una delle parti del contratto è una pubblica amministrazione. Da un lato, la scarsità di risorse pubbliche ha ridimensionato il fenomeno della sponsorizzazione attiva, in cui la P.A. assume la veste di sponsor finanziando e pubblicizzando l’attività di un soggetto terzo. Al contrario, maggiore è l’interesse che nel corso degli anni si è registrato attorno all’istituto della sponsorizzazione passiva, in cui la P.A. assume la veste di soggetto sponsorizzato e lo sponsor privato paga un corrispettivo. Nello specifico, nel campo dei contratti pubblici, il corrispettivo pagato dallo sponsor privato può consistere in danaro ma anche direttamente nella realizzazione di lavori pubblici, servizi o forniture. Oggi, quindi, la sponsorizzazione passiva, pur collocandosi tra i “contratti esclusi” dall’ambito di applicazione della disciplina sugli appalti pubblici, non è più evento eccezionale nella dinamica finanziaria degli enti pubblici ma rappresenta una tipologia ordinaria per conseguire un importante recupero di risorse finanziarie. In tal senso, il d.lgs. n.50/2016 (Codice dei contratti pubblici), ispirandosi ad una logica di semplificazione e di non aggravio del procedimento amministrativo di scelta dello sponsor, ha introdotto una disciplina innovativa, semplificata ed unica sia per i contratti di sponsorizzazione passiva aventi ad oggetto beni culturali sia per i contratti di sponsorizzazione passiva riguardanti tutti gli altri settori.
Il contratto di sponsorizzazione può essere definito come un contratto in cui un soggetto (detto sponsee o sponsorizzato) assume, normalmente verso corrispettivo, l’obbligo di associare a proprie attività il nome o il segno distintivo di altro soggetto (detto sponsor o sponsorizzatore), divulgandone così l'immagine o il marchio presso il pubblico. Con il termine sponsorizzazione, quindi, si suole far riferimento ad una serie di figure negoziali eterogenee che, al di là delle forme, sono accomunate dal fine di pubblicità che muove il soggetto sponsorizzatore.
Per tale motivo, pare più corretto parlare di “contratti” di sponsorizzazione.
Quanto al suo inquadramento giuridico, a più riprese la dottrina ha tentato inutilmente di collocare la sponsorizzazione all’interno degli schemi di un contratto tipico, che trovi nella normativa codicistica una sua regolamentazione. Vani sono stati i tentativi di utilizzare lo schema del contratto di appalto di servizi[1], del contratto associativo[2] o ancora lo schema del contratto di locazione[3].
Pertanto, oggi, l’indirizzo dominante in dottrina[4] e in giurisprudenza[5] qualifica il contratto di sponsorizzazione come contratto atipico, consensuale, normalmente a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive.
Alla luce di questa prima conclusione, l'unica disciplina applicabile ai contratti di sponsorizzazione è quella generale sul contratto, con il solo limite di dover perseguire interessi meritevoli di tutela (art. 1322 c.c.).
Tra gli obblighi dello sponsor, indubbiamente quello principale è la corresponsione di un finanziamento allo sponsee, che in concreto può avvenire in vario modo (erogazione di denaro, fornitura di beni, prestazioni di servizi). Dal canto suo, invece, il soggetto sponsorizzato (c.d. sponsee) si obbliga ad associare a proprie attività il nome o il segno distintivo dello sponsor. Peraltro, l'obbligazione dello sponsee si configura come una obbligazione di mezzo e non di risultato: egli è tenuto a fornire quelle prestazioni previste nel contratto senza garantire il ritorno pubblicitario sperato dallo sponsor. Di conseguenza, se l'operazione si rilevasse non rispondente alle aspettative, ciò non incide sulle sorti del contratto, cioè non legittima la risoluzione del contratto e neanche l'obbligo per lo sponsee stesso di risarcire i danni[6].
2. Le sponsorizzazioni nella P.A.: origini e tipologie
Accertata dunque la natura atipica del contratto di sponsorizzazione, si deve verificare se tale atipicità possa costituire un limite per l’utilizzo di tale strumento da parte delle pubbliche amministrazioni.
Originariamente, infatti, la dottrina aveva evidenziato che, mentre i privati sono legittimati ex art.1322 c.c. a stipulare contratti innominati o misti, purché finalizzati al perseguimento di interessi meritevoli di tutela, le amministrazioni sono obbligate, per effetto del principio di legalità, ad utilizzare nello svolgimento della loro attività solo strumenti ex lege tipizzati[7].
Tale orientamento deve ritenersi ormai superato dall’opposto principio, secondo cui la pubblica amministrazione gode, al pari di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento, di una piena e generale autonomia contrattuale[8]. Il problema non risiede, quindi, nella possibilità per la P.A. di fare ricorso a contratti atipici, ma piuttosto nella necessità che la capacità di diritto privato della P.A. sia esercitata in conformità con le finalità istituzionali in modo da rispondere all’interesse pubblico, di cui l’amministrazione è portatrice.
La pubblica amministrazione può dunque utilizzare contratti atipici, a condizione che questi siano funzionali alla realizzazione del fine pubblico perseguito (c.d. vincolo di scopo)[9].
Anche a causa del dibattito sulla piena e generale capacità di diritto della pubblica amministrazione, il contratto di sponsorizzazione nella P.A. è stato inizialmente oggetto di una disciplina legislativa molte volte parziale, lacunosa e per lo più contenuta in fonti normative non omogenee[10].
In ordine cronologico, una prima disciplina del fenomeno si è avuta con l’articolo 8, comma 12, della legge 6 agosto 1990, n.223 (cd. “Legge Mammì”), che ha previsto la possibilità di avvalersi di contratti di sponsorizzazione per il finanziamento di programmi radiotelevisivi e radiofonici.
Successivamente l’articolo 43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Legge finanziaria 1998) ha rappresentato il primo organico intervento normativo in materia. Nello specifico, “al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati”, le pubbliche amministrazioni possono “stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile”. Vengono inoltre poste tre condizioni necessarie per la stipulazione dei contratti di sponsorizzazione. Tali iniziative devono: essere dirette al perseguimento di interessi pubblici; escludere forme di conflitto di interesse tra l’attività pubblica e quella privata; comportare risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti[11].
Con il d.lgs. 8 agosto 2000, n. 267 (cd. Testo Unico degli Enti locali), si è altresì stabilito che “al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati i comuni, le province e gli enti locali indicati nel presente testo unico, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi” (art. 119 TUEL).
Ammessa quindi la possibilità per la P.A. di stipulare contratti di sponsorizzazione[12], si deve precisare come, in base al ruolo rivestito dalla pubblica amministrazione nel contratto, la dottrina classifichi le sponsorizzazioni in due tipologie: attive e passive.
Nella sponsorizzazione attiva, la P.A. assume la veste di sponsor finanziando e pubblicizzando l’attività di un soggetto terzo. Al contrario, nella sponsorizzazione passiva, la P.A. assume la veste di soggetto sponsorizzato, destinatario di un finanziamento (privato) indiretto.
In entrambe i casi l’amministrazione persegue interessi funzionali alla realizzazione del fine pubblico. Da un lato, infatti, le sponsorizzazioni attive costituiscono per la P.A. un modo indiretto per svolgere attività e iniziative pubbliche attraverso soggetti terzi, in una logica di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost. Dall’altro lato, le sponsorizzazioni passive rappresentano per la medesima P.A. una importante forma di recupero di risorse finanziarie.
Pertanto, diversa è stata l’evoluzione delle due tipologie di sponsorizzazioni, le quali sono state oggetto di una legislazione distinta e separata.
3. La sponsorizzazione attiva e i vincoli di spesa della P.A.
La circostanza che l’art. 43 della richiamata legge n. 449/97 ponesse come condizione necessaria per la stipulazione del contratto in esame il “conseguimento di un risparmio di spesa per l’amministrazione”, ha lasciato intravedere per parte della dottrina la illegittimità della sponsorizzazione attiva[13]. Dovendo conseguire un risparmio di spesa, infatti, l’amministrazione non potrebbe agire in veste di sponsor e non potrebbe essa stessa obbligarsi al pagamento di un corrispettivo.
Al contrario, la dottrina maggioritaria ammette la possibilità di avere una pubblica amministrazione nel ruolo di sponsor purché tale ruolo non violi il limite dato dal rispetto del perseguimento delle finalità istituzionali proprie dell’amministrazione (c.d. vincolo di scopo). Anche “un esborso di denaro potrebbe tradursi in un risparmio per l'amministrazione, specie ove venga in rilievo la sponsorizzazione di un soggetto terzo che debba svolgere un servizio al suo posto”[14]. Il problema non è, quindi, quello di escludere in via generale che l’amministrazione possa assumere la veste di sponsor, ma di verificare in concreto se nei singoli casi ciò corrisponde al pubblico interesse perseguito da una determinata amministrazione[15].
In quest’ottica, il ruolo di sponsor da parte di un soggetto pubblico è stato ritenuto ammissibile solo laddove non alteri “l’immagine di neutralità dell’amministrazione, il che discende dal principio fondamentale di buon andamento sancito dall’art. 97 della Costituzione”[16].
Negli ultimi anni, però, la scarsità di risorse pubbliche e i vincoli ai bilanci degli enti pubblici hanno fatto registrare una brusca frenata del fenomeno della sponsorizzazione attiva.
Dapprima la legge 6 agosto 2008, n. 133 ha introdotto (a decorrere dall’anno 2009) per le amministrazioni pubbliche inserite nell’elenco Istat, un divieto di sponsorizzazione per un ammontare superiore al 30% della spesa sostenuta nell’anno 2007 per le medesime finalità. Successivamente, la legge 30 luglio 2010 n. 122 (convertendo il d.l. 31 maggio 2010 n.78) ha posto a decorrere dall’anno 2011 il divieto di spese per sponsorizzazioni a fini di contenimento della spesa pubblica[17].
A riguardo, la Corte dei Conti[18] ha fornito alcuni chiarimenti in merito al divieto di sponsorizzazione attiva per le amministrazioni pubbliche, delineandone i limiti. Viene precisato che ciò che assume rilievo per qualificare una contribuzione pubblica quale spesa di sponsorizzazione attiva, a prescindere dalla sua forma, è la sua funzione. Ne consegue che il divieto di spese per sponsorizzazioni ex d.l. n.78/2010 presuppone un vaglio di natura “teleologica”.
Solo quelle spese che mirino ad una mera promozione dell’immagine dell’Ente incappano nel divieto, mentre legittimi continuerebbero ad essere quei contributi, ad esempio di patrocinio, resi in favore di soggetti che, in una logica di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, c.4, Cost., svolgono attività e iniziative che potrebbero competere all’ente pubblico[19].
Sono, pertanto, ammissibili le contribuzioni della P.A. a soggetti terzi per iniziative, anche culturali, di diretto sostegno a finalità sociali o comunque istituzionali e che rappresentano, in via sussidiaria, una modalità alternativa alla realizzazione di fini pubblici rispetto alla diretta erogazione dei servizi da parte dell'amministrazione[20]. La P.A. conserva quindi il ruolo di sponsor a condizione che vi sia rispondenza tra lo strumento contrattuale atipico utilizzato ed i fini pubblici prestabiliti. In tal caso l’Amministrazione, in aderenza alle regole generali (art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), è tenuta ad evidenziare i presupposti di fatto e il percorso logico alla base dell’erogazione di denaro, nonché il rispetto dei criteri di imparzialità e predeterminazione dei criteri per l’attribuzione di contributi (art. 12 legge n. 241/90). L’eventuale attribuzione deve risultare conforme al principio di congruità della spesa, presupponente una valutazione comparativa degli interessi complessivi della P.A.
In sintesi, onde evitare comportamenti elusivi del divieto di spese per sponsorizzazioni, la P.A. nel provvedimento di concessione di contributi dovrà motivare in modo inequivoco la funzione ausiliaria del privato verso il pubblico. Tale conclusione, a ben vedere, risulta in linea con il principio di sussidiarietà orizzontale ex art.118, c.4, Cost., ai sensi del quale il perseguimento dell'interesse generale non è di esclusiva competenza delle istituzioni pubbliche, ma riguarda anche l'azione dei cittadini, singoli e associarti. La sussidiarietà rappresenterebbe la scriminante, la terra di confine, lo spartiacque tra sponsorizzazione legittima e sponsorizzazione illegittima. In altre parole, il principio di sussidiarietà orizzontale, espressione costituzionale e comunitaria di intervento dei privati nell’erogazione dei servizi e benefici alla comunità (con evidenti risparmi pubblici), viene enfatizzato per costituire un criterio propulsivo in coerenza del quale la spesa non riveste il carattere di sponsorizzazione ma assurge a canone di attuazione di un principio costituzionale di partecipazione alla gestione della res pubblica.
A ben vedere, però, l’orientamento della Corte dei Conti non risolve i contrasti in merito al divieto di sponsorizzazione attiva per le amministrazioni pubbliche.
Non sempre è facile distinguere le sponsorizzazioni illegittime (che mirano unicamente alla promozione dell’immagine della P.A.) da quelle sponsorizzazioni-contribuzioni legittime (che danno attuazione al principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale). Si sottolinea, infatti, che anche nelle sponsorizzazioni illegittime la veicolazione dell’immagine della P.A. è solo strumentale alla realizzazione di un fine che è e rimane pubblico nella sua immanenza. Pertanto, così come sostenuto in dottrina, pare utile definire, in via regolamentare, un’articolata tipologia di attività che rispondano a principi di sussidiarietà nell’esercizio concreto della funzione pubblica, proiettata alla cura di interessi generali delle amministrazioni. Ciò permetterebbe di qualificare in modo inequivoco quali spese pubbliche siano qualificabili come sponsorizzazioni legittime e quali invece illegittime[21].
In ogni caso, si esclude che nelle sponsorizzazioni attive possa imporsi alla amministrazione il ricorso a procedure concorsuali. La sponsorizzazione attiva è infatti il frutto di una decisione strettamente connessa alle caratteristiche dell’attività o della persona fisica da sponsorizzare, tali da far presumere un importante ritorno di immagine per la P.A.[22]
4. I contratti di sponsorizzazione passiva: tipologie.
Maggiore è l’interesse che nel corso degli anni si è registrato attorno all’istituto della sponsorizzazione passiva, in cui la P.A. assume la veste di soggetto sponsorizzato e lo sponsor privato paga un corrispettivo. Nello specifico, nel campo dei contratti pubblici, il corrispettivo pagato dallo sponsor privato può consistere in danaro ma anche direttamente nella realizzazione di lavori pubblici, servizi o forniture[23]. Oggi, quindi, tale contratto non è più evento eccezionale nella dinamica finanziaria degli enti pubblici ma una tipologia ordinaria per conseguire importanti risparmi di spesa. Non è un caso che il settore che si è inizialmente e maggiormente prestato allo sviluppo di queste forme contrattuali è stato quello dei beni culturali[24].
Prima di analizzare l’evoluzione normativa delle sponsorizzazioni passive nella P.A., occorre soffermarsi su due aspetti fondamentali.
In primo luogo, bisogna sottolineare come le sponsorizzazioni passive siano qualificabili come contratti “attivi” della pubblica amministrazione in quanto non gravano sulla spesa pubblica, traducendosi in un ricavo, in caso di corrispettivo in denaro, ovvero in un risparmio di spesa, in caso di corrispettivo pagato in lavori, beni o servizi. Pertanto, “non sono assoggettati alla disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici”[25]. Rientrano, invece, nella categoria dei “contratti esclusi” pur dovendo rispettare “i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”, ai sensi dell’art. 4, d.lgs. n.50/2016.
In secondo luogo, è opportuno chiarire come vi siano tre diverse tipologie di sponsorizzazioni passive.
Il legislatore, infatti, confermando quanto già evidenziato dalla (oggi soppressa) Autorità di vigilanza sui contratti pubblici[26], ha introdotto espressamente, con il c.d. “decreto semplificazioni” (d.l. 9 febbraio 2012, n. 5), una distinzione all’interno della categoria delle sponsorizzazioni passive, tra:
a) sponsorizzazioni “pure” o di “puro finanziamento”, in cui la parte privata che opera come sponsor si obbliga a corrispondere alla P.A. unicamente un finanziamento in denaro o ad accollarsi le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi di un appalto dovuti dalla P.A.;
b) sponsorizzazioni “tecniche”, in cui il privato sponsor si impegna a progettare e realizzare, in tutto o in parte, le prestazioni richieste dalla P.A. interamente a sua cura e a sue spese. Lo sponsor non conferisce alla P.A. un finanziamento in denaro tout court, ma si obbliga ad effettuare in favore della stessa determinate prestazioni, che possono consistere nell’esecuzioni di lavori o nella fornitura di beni e servizi strumentali, ponendo le necessarie spese a proprio carico e curando direttamente le fasi di progettazione ed esecuzione;
c) sponsorizzazioni “miste”, ossia che risultano dalla combinazione di una sponsorizzazione pura e tecnica (es. lo sponsor si obbliga a curare solo la parte della progettazione ed erogare i fondi per la realizzazione dei lavori previsti). Vi sono elementi delle une e delle altre, in forza dei quali lo sponsor potrà finanziare l’iniziativa pubblica, totalmente o parzialmente, e pure offrire un contributo magari anche solo limitato ad una fase.
5. La sponsorizzazione passiva nel d.lgs. n. 163/2006
Nel “vecchio” Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), la disciplina in materia di sponsorizzazione passiva veniva distinta in una parte “speciale”, riferita al settore dei beni culturali ed in una parte “generale”, riferita a tutti gli altri settori[27]. Tale distinzione si giustificava, da un lato, sulla considerazione dell’importanza che il mondo della cultura ha da sempre rivestito per l’evoluzione di tale strumento, dall’altro, tenendo a mente la necessità di adattarne la fisionomia alle specifiche esigenza delle gare pubbliche che hanno ad oggetto interventi di tutela storico-artistica[28].
5.1 La disciplina generale per tutti i settori
Già prima del d.lgs. n. 163/2006, l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP)[29] aveva ammesso la sponsorizzazione passiva come strumento per la realizzazione di lavori pubblici ed aveva escluso la fattispecie dalla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici, evidenziando come tale contratto non comportasse esborsi per la pubblica amministrazione e determinasse pertanto un risparmio di spesa[30].
Successivamente, anche il d.lgs. n. 163/2006 (artt. 26 e 27) sottraeva i contratti di sponsorizzazione passiva dall’applicazione dell’ordinaria disciplina del Codice dei contratti pubblici, sottoponendo la procedura di scelta dello sponsor esclusivamente ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. Inoltre, l'affidamento doveva essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto.
Tuttavia, dopo l’approvazione del d.lgs. n.163/2006, erano sorte varie difficoltà ermeneutiche in merito all’ambito di applicazione dell’art. 26 in relazione alle diverse tipologie di sponsorizzazioni passive.
Si riteneva, infatti, che le differenze tra sponsorizzazione tecnica e di puro finanziamento non consentissero di trattare i due fenomeni allo stesso modo. A riguardo, infatti, si era già espresso l’AVCP con la deliberazione n. 9 dell’8 febbraio 2012. Nella nota l’Authority affermava che “oggetto dei contratti disciplinati dal citato art. 26, è l’acquisizione o la realizzazione di lavori, servizi e forniture, a cura e spese dello sponsor. Tale tipologia di contratto, in relazione all’oggetto descritto, è anche definita sponsorizzazione tecnica, la quale va distinta dalla sponsorizzazione pura o di puro finanziamento, nella quale lo sponsor si impegna nei confronti della stazione appaltante esclusivamente al riconoscimento di un contributo (in cambio del diritto di sfruttare spazi per fini pubblicitari) e non anche allo svolgimento di altre attività”. Per tali caratteristiche, “la sponsorizzazione pura o di puro finanziamento è da ritenersi sottratta, in quanto contratto attivo, alla disciplina del d.lgs. n. 163/2006 ed anche degli articoli 26 e 27 dello stesso decreto legislativo”. L’Autorità, infatti, chiariva che la distinzione tra contratti attivi (che comportano un’entrata) e contratti passivi (che comportano una spesa per lo Stato) è rilevante ai fini della disciplina applicabile, la quale sarà – nel caso dei contratti attivi – quella delle norme dettate dalla legge di Contabilità di Stato (R. D. 18 novembre 1923, n. 2440) e – nel caso dei contratti passivi – quella del codice dei contratti pubblici.
Pertanto, il legislatore con il c.d. “decreto semplificazioni” (d.l. n.5 del 2012, conv. in l. 4 aprile 2012, n.35) modificava l’art 26 del “vecchio” Codice Appalti, prevedendo un diverso regime giuridico a seconda che si trattasse di sponsorizzazione tecnica o di puro finanziamento
Nello specifico, gli artt. 26 e 27 del d.lgs. n.163/2006 trovavano applicazione solo per le sponsorizzazioni tecniche (non culturali).
In particolare, qualora le sponsorizzazioni tecniche non culturali fossero di importo superiore a 40.000 euro (soglia introdotta dal cd. decreto semplificazioni), la P.A. era tenuta a rispettare, nella scelta dello sponsor: disposizioni in materia di requisiti di qualificazione dei progettisti e degli esecutori del contratto; obbligo di pubblicazione del bando di gara; procedura di gara semplificata con l’invito di almeno cinque concorrenti. Inoltre, rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 27 relativo ai contratti esclusi, le sponsorizzazioni tecniche non culturali di importo superiore a 40.000 euro erano soggette ai principi di economicità, efficienza, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento e proporzionalità.
Nelle sponsorizzazioni tecniche non culturali di importo inferiore a 40.000 euro, invece, l’amministrazione poteva procedere alla stipula di contratti di sponsorizzazione mediante l’espletamento di una procedura, anche negoziata, che rispettasse sia i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A. sia le disposizioni in materia di qualificazione delle imprese esecutrici del contratto.
Al contrario, in caso di sponsorizzazione pura o di puro finanziamento (non culturale), trovavano applicazione le norme dettate dalla legge di Contabilità di Stato (R. D. 18 novembre 1923, n. 2440), le quali richiedevano per la stipula di contratti attivi comunque l’espletamento di procedure di gara ispirate ai principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A. Ciò comportava l’inoperatività dell’obbligo di invito di almeno cinque concorrenti e quindi la possibilità di espletare una gara semplificata e senza particolari formalità seppure rispettosa dei suddetti principi generali.
Per quanto concerne, infine, le sponsorizzazioni “miste”, per ciascuna parte del contratto la P.A. era tenuta a rispettare il regime proprio della sponsorizzazione tecnica ovvero di quella pura, seguendo la disciplina in parte dell’una e in parte dell’altra per ciascuna delle prestazioni previste.
5.2 La clausola di sponsorizzazione
La disciplina generale delle sponsorizzazioni passive fino ad ora sinteticamente illustrata, si riferiva solo all'ipotesi in cui la sponsorizzazione fosse l'oggetto prevalente del contratto e non nei casi in cui l'oggetto prevalente fosse un altro contratto d’appalto di lavori, servizi e forniture.
Tale precisazione rileva in virtù di una prassi diffusa all’interno della P.A. di inserire una cd. “clausola di sponsorizzazione” all’interno di bandi di gara per appalti di lavori, servizi, forniture. Secondo tale clausola accessoria, il partecipante alla gara poteva o doveva dichiarare la propria disponibilità a versare contributi in denaro a sostegno dell’attività istituzionale dell’ente. In base alla disponibilità del privato concorrente a sponsorizzare la stazione appaltante, si prevedeva l’attribuzione di un punteggio. Tale fenomeno ricorreva, soprattutto, nell’affidamento dei contratti di tesoreria, dove l’amministrazione che intendeva affidare il servizio di tesoreria prevedeva, nella legge di gara, un punteggio aggiuntivo per l’istituto di credito che manifestava la disponibilità a versare una somma di denaro in favore della stessa amministrazione. Numerosi dubbi erano sorti in merito alla legittimità della clausola di sponsorizzazione.
Secondo una prima tesi, tale clausola “alterava la concorrenza introducendo un elemento spurio rispetto al costo dei servizi”[31] e di conseguenza era da ritenersi “illegittima la clausola di un bando di gara che obbliga i concorrenti a promettere erogazioni liberali all’amministrazione committente o a terzi”[32].
L’orientamento opposto, invece, riconosceva la legittimità dell’erogazione liberale “a causa dei vantaggi indiretti che l’aggiudicatario poteva ricevere dalla gestione”, reputando ammissibile che l’amministrazione tenesse “in debita considerazione oltre agli elementi strettamente inerenti al servizio di cassa e riguardanti le misure dei tassi attivi e passivi da praticarsi, ogni altro elemento di vantaggio ulteriore e aggiuntivo connesso al servizio di cassa, quali i benefici finalizzati al miglioramento della gestione dell’ente”[33].
Tali ultimo orientamento è stato quello poi avallato dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Plenaria 18 giugno 2002, n.6, secondo cui il contratto di tesoreria, quando vi sono sponsorizzazioni, diventa atipico ma non per questo illegittimo. L’Adunanza Plenaria ha quindi riconosciuto la legittimità delle clausole di assegnazione di un punteggio a favore di quei concorrenti che si dichiarino disposti a farsi carico anche di un contratto accessorio di sponsorizzazione, sempre che “il pagamento del corrispettivo in denaro per la sponsorizzazione ed i criteri di attribuzione dei punteggi siano stati espressamente previsti nella lettera di invito, così da garantire il rispetto della par conditio dei partecipanti alla gara, tutti edotti della clausola e della sua parziale, potenziale e non risolutiva incidenza ai fini dell’aggiudicazione”.
5.3 La disciplina speciale riguardante i beni culturali
La sponsorizzazione passiva nei beni culturali veniva disciplinata dall’art. 120 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) che la definiva come “ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del soggetto erogante”. Pertanto, recependo la specialità del settore dei beni culturali, il cd. decreto semplificazioni (d.l. n.5 del 2012) introduceva, all’interno del “vecchio” Codice dei contratti (d.lgs. n.163/2006), l’art. 199-bis, espressamente dedicato alla procedura di scelta dello sponsor in caso di sponsorizzazione culturale.
Secondo la giurisprudenza amministrativa[34], l’art. 199-bis del “vecchio” Codice Appalti rappresentava una norma speciale rispetto alla disciplina generale degli artt. 26 e 27 d.lgs. n.163/2006.
Rispetto alla disciplina generale, infatti, la novità più rilevante era rappresentata del fatto che le sponsorizzazioni di beni culturali si applicassero sia alle sponsorizzazioni tecniche sia a quelle di puro finanziamento[35].
In particolare, l’art. 199-bis prevedeva l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di predisporre un programma triennale di interventi (lavori, servizi e forniture) destinati alla tutela dei beni culturali mediante sponsorizzazioni, che poteva essere successivamente integrato e che era affiancato da studi di fattibilità e progetti preliminari relativi ai singoli interventi previsti. Lo studio di fattibilità rappresentava un onere minimo per poter inserire l’intervento nel programma dei lavori. Era possibile inserire in tale programma anche gli interventi oggetto di dichiarazioni spontanee d’interesse prevenute all’amministrazione, anche se non accompagnate da studi di fattibilità.
Nella scelta dello sponsor l’amministrazione doveva procedere mediante gara con pubblicazione del bando sul proprio sito istituzionale e su almeno due quotidiani nazionali, specificando il tipo di sponsorizzazione richiesta (pura, tecnica, mista), i requisiti necessari, i criteri di valutazione delle offerte e il termine per farle pervenire. Una volta stilata la graduatoria delle offerte, l’amministrazione doveva aprire un’ulteriore fase di acquisizione di cd. offerte migliorative e, alla scadenza del termine, procedere alla stipula del contratto.
Per le sponsorizzazioni di puro finanziamento, il criterio di aggiudicazione era quello dell’offerta di finanziamento maggiore; per le sponsorizzazioni tecniche, invece, era quello della “migliore offerta realizzativa”.
Infine, nel caso in cui nessuna offerta risultasse appropriata o ammissibile ovvero in caso di nessuna offerta, l’amministrazione poteva, in alternativa: individuare lo sponsor attraverso una procedura negoziata comunque rispettosa dei requisiti tecnici e di professionalità richiesti nel bando originario oppure reinserire l’intervento nel programma degli anni successivi.
6. Il regime unico delle sponsorizzazioni passive introdotto dal d.lgs. n. 50/2016.
Come illustrato nei precedenti paragrafi, la materia delle sponsorizzazioni passive era disciplinata dal Codice degli Appalti del 2006 attraverso una molteplicità di norme stratificate e poco coordinate. Inoltre, una volta generalizzato tale strumento quale forma moderna di partenariato tra settori pubblico e privato, appariva ormai non più differibile l’introduzione di una disciplina applicabile non più al solo patrimonio culturale, ma all’amministrazione nel complesso.
Pertanto, malgrado la Direttiva europea n. 24 del 2014 non contenesse alcuna previsione in ordine ai contratti di sponsorizzazione passiva, il d.lgs.18 aprile 2016, n.50 (“nuovo” Codice dei contratti pubblici) ha apportato importanti novità in materia, pur collocando in ogni caso il contratto di sponsorizzazione passiva tra i contratti esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici.
Il Codice del 2016 si è ispirato ad una logica di semplificazione e di non aggravio del procedimento amministrativo di scelta dello sponsor. Si è così deciso di introdurre una disciplina innovativa, semplificata ed unica sia per i contratti di sponsorizzazione passiva dei beni culturali sia per i contratti di sponsorizzazione passiva “ordinaria” riguardanti gli altri settori.
All’art. 19 del d.lgs. n. 50/2016 si prevede, infatti, che l’affidamento di contratti di sponsorizzazione “ordinaria” di lavori, servizi o forniture per importi superiori a 40.000 euro sia oggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno 30 giorni, di apposito avviso, con il quale si renda nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunichi l’avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell’avviso, però, il contratto potrà essere liberamente negoziato purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando l’inesistenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. n.50/2016.
La prima novità risiede nella chiarezza dell’ambito di applicazione dell’art. 19 che trova applicazione per tutte le tipologie di sponsorizzazione ordinaria, siano esse di lavori, servizi e forniture.
Altra importante novità è l’equiparazione delle procedure di scelta dello sponsor sia per le sponsorizzazioni cd. pure (o di finanziamento) sia per quelle cd. tecniche. Diviene irrilevante il fatto che lo sponsor sia tenuto all’esborso di denaro, all’assunzione di un debito della P.A., ad eseguire direttamente i lavori, a prestare servizi o le forniture a proprie spese. La natura tecnica della sponsorizzazione determina soltanto la necessità di osservare le norme pubblicistiche sulla qualificazione dei progettisti e degli esecutori.
Il richiamo ai motivi di esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. n.50/2016 rappresenta un altro cambiamento, in quanto da ora in poi i requisiti di partecipazione di ordine generale diventano di fatto motivi ostativi alla stipulazione di contratti di sponsorizzazione con la P.A.
Resta invece la soglia dei 40.000 euro come importo minimo per l’applicazione della procedura di scelta dello sponsor. Pertanto, malgrado sul punto l’art. 19 non si pronunci, per sponsorizzazioni inferiori a 40.000 euro sembra profilarsi l’applicazione di una procedura ancor più snella ed informale mediante negoziazioni individuali con i singoli operatori economici interessati.
Senza dubbio, la novità più grande è la nuova scelta strategica del legislatore, ossia la scelta di equiparare il regime di affidamento delle sponsorizzazioni culturali a quello previsto per le sponsorizzazioni ordinarie.
L’art. 151, c. 1, del d.lgs. n. 50/2016, infatti, nel prevedere le sponsorizzazioni nel settore dei beni culturali, opera un rinvio dinamico alle procedure “ordinarie” di scelta dello sponsor di cui all’art 19 del Codice. L’equiparazione del regime trova conferma nella ratio della disciplina che è quella di “assicurare la fruizione del patrimonio Nazionale e favorire la ricerca scientifica applicata alla tutela”[36].
Viene conservata la previgente previsione secondo cui: “l'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali impartisce opportune prescrizioni in ordine alla progettazione, all'esecuzione delle opere e/o forniture e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi”.
Resta altresì fermo quanto stabilito dall’art. 120 del Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004), circa la verifica di compatibilità della sponsorizzazione con le esigenze di tutela (conservazione, decoro, rispetto della dignità) del bene oggetto di intervento
È da evidenziare, peraltro, l’ampliamento considerevole del campo applicativo della sponsorizzazione riservato dal d.lgs. n.50/2016 al settore della cultura in generale. Infatti, la seconda parte del comma 1 dell’art. 151 estende la sponsorizzazione anche al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura, di cui all’art. 101 del Codice dei Beni Culturali, e delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione. Si tratta di una forma particolare di sponsorizzazione che, a ben vedere, potrebbe anche prescindere dal finanziamento di specifici interventi (o dalla fornitura diretta, in caso di sponsorizzazione “tecnica”, di lavori, servizi o forniture), per tradursi in una sorta di “adozione” dell’istituto o del luogo della cultura (un museo, una biblioteca, un archivio, un’area archeologia, un parco archeologico), mediante elargizioni periodiche utilizzabili dall’ente beneficiario anche per far fronte alle spese ordinarie e correnti di funzionamento, oltre che a quelle di investimento.
Questo ampliamento dell’ambito applicativo della sponsorizzazione culturale va salutato con particolare favore perché potrà agevolmente consentire forme di sostegno significative, capaci di dare un notevole sollievo ai costi diretti di gestione dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, mediante, per esempio, sponsorizzazione tecnica dei servizi di climatizzazione, di videosorveglianza, di vigilanza etc.[37]
Da ultimo, merita di essere sottolineata la circostanza che, al contrario di quanto previsto per la sponsorizzazione “ordinaria” (ex art. 19), l’art. 151 del d.lgs. n.50/2016 non faccia alcun riferimento alla soglia dei 40.000 euro. Pertanto, così come precisato nella “Relazione illustrativa al Nuovo Codice degli Appalti”[38], la sponsorizzazione passiva nel settore culturale ex art. 151 non conosce limiti quantitativi e si applica anche ai contratti il cui valore non superi i 40.000 euro.
[1]
[1] A chi ha qualificato il contratto di sponsorizzazione come contratto di appalto di servizi è stato obiettato che nella sponsorizzazione l’obbligazione assunta è solo di mezzi, e non certo di risultato, come avviene invece nell’appalto. Sul punto si veda G. Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, 2001, in Giust. civ., 3 e ss., che ha evidenziato che nell’appalto l'appaltatore è necessariamente un soggetto organizzato in forma di impresa. Nella sponsorizzazione, invece, non si garantisce alcun risultato ed, inoltre, il soggetto sponsorizzato solo eccezionalmente è un imprenditore.
[2]
[2] Dal Lago, Aspetti giuridici nella sponsorizzazione dello sport, in Franchising, software, sponsorizzazioni, Torino, 1987, 103 ss. A tale ultima tesi è stato però obiettato che in realtà il contratto di sponsorizzazione non ha per oggetto lo svolgimento di un'attività in comune, con le relative forme di conferimento, bensì lo scambio di prestazioni.
[3]
[3] Anche ipotizzando la locazione allo sponsor di uno spazio fisico dello sponsee, come ad esempio potrebbe essere un singolo cartellone, tale elemento costituirebbe l’oggetto della prestazione dello sponsee, ma non determinerebbe certo che una attività, una manifestazione o un evento di altro tipo, che rimane nella disponibilità dello sponsee, formi oggetto di un rapporto di locazione.
[4]
[4] In tal senso, S. Gatti, cit.; G. Vidiri, cit.; A. Di Amato, cit.; M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 122.
[5]
[5] Cass. civ., 11 ottobre 1997, n. 9880; Cass. civ. 13 dicembre 1999, n. 13931; Cons. St., Sez.VI, 4 dicembre 2001, n. 6073.
[6]
[6] Cass. civ. n. 12801/2006; Cass. civ., Sez. III, sentenza 26 febbraio – 8 aprile 2014, n. 8153: “È vero che dal contratto di sponsorizzazione nasce un rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, nell'ambito del quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 cod. civ., e che tali doveri possono indurre a individuare obblighi ulteriori o integrativi rispetto a quelli tipici del rapporto. Ma non è sufficiente allo scopo richiamare generici doveri di salvaguardia degli interessi e dell'immagine dello sponsor, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli, della loro accessorietà rispetto all'accordo di sponsorizzazione e dei loro concreti effetti lesivi per lo sponsor, al fine di poterli considerare oggetto di obblighi di comportamento patrimonialmente valutabile ai sensi dell'art. 1174 cod. civ., tali da giustificare una richiesta di risarcimento dei danni”.
[7]
[7] R. Di Pace, Il contratto di sponsorizzazione e la sua utilizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni, Foro amm. TAR 2004, 12, p. 3898; R. Chieppa, I contratti di sponsorizzazione, in M.A. Sandulli - R. De Nictolis - R. Garofoli (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008.
[8]
[8] A tal riguardo, non è consentito oggi prescindere dalla considerazione dell’art. 1, comma 1 bis, legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla l. n. 15/2005, a tenore del quale “la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
[9]
[9] R. Chieppa, Le sponsorizzazioni nell’attività della P.A., in www.neldiritto.it.
[10]
[10] A. Cantone, La sponsorizzazione passiva della pubblica amministrazione: dalle origini all’attuale crisi economica, in Gazzetta Amministrativa (Incentivi e Sviluppo Economico), 4/2012.
[11]
[11] La legge n.449/1997 prevede che i risparmi ottenuti devono essere così ripartiti: a) una quota degli stessi, pari al 5%, deve essere destinata ad incrementare gli stanziamenti diretti alla retribuzione di risultato dei dirigenti appartenenti al centro di responsabilità che ha ottenuto il risparmio, in sostanza un premio per il modo in cui è stata gestita la struttura e sono state valorizzate le sue potenzialità; b) una quota pari al 65% resta nelle disponibilità di bilancio dell'Amministrazione che ha stipulato il contratto di sponsorizzazione; c) la rimanente parte costituisce economia di bilancio.
[12]
[12] A riguardo si sottolinea che anche il Decreto Interministeriale 1 febbraio 2001, n. 44 (Regolamento concernente le "Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche") all’art. 41 disciplina la possibilità per le istituzioni scolastiche di stipulare contratti di sponsorizzazione con soggetti le cui finalità ed attività non siano in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola.
[13]
[13] Claudio Franchini, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno P. e Gabrielli E., tomo primo I contratti con la pubblica amministrazione, UTET editore.
[14]
[14] R. Di Pace, Il contratto di sponsorizzazione e la sua utilizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni, op. cit., p.3898.
[15]
[15] R. Chieppa, Le sponsorizzazioni nell’attività della P.A., in www.neldiritto.it
[16]
[16] Cons. giust. amm. sic, sentenze n. 336/95 e n. 35/97, in Presidenza del Consiglio dei Ministri, I manuali, Guida operativa alle sponsorizzazioni nelle amministrazioni pubbliche. Analisi e strumenti per l’innovazione, Rubbettino Editore, 2002, p. 82.
[17]
[17] “A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per sponsorizzazioni” (art. 6, c.9, legge n. 122/2010).
[18]
[18] Corte Conti, Sez. reg. contr. Lombardia, Parere n.1075 del 20 dicembre 2010; Corte Conti, Sez. reg. contr. Lombardia, Parere n. 248 del 1 ottobre 2014.
[19]
[19] Nello stesso senso Corte Conti, Sez. reg. contr. Liguria, n. 6, 15 febbraio 2011, in Riv. Corte Conti 2011, 1-2, 78 (“A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6 comma 9 d.l. n. 78 del 2010, conv. dalla l. n. 122 del 2010, ai comuni è vietata qualsiasi forma di contribuzione a terzi intesa a valorizzare il nome o le caratteristiche dell'ente ovvero a sostenere eventi che non siano diretta espressione dei compiti istituzionali dell'ente, mentre è consentito di effettuare spese di sponsorizzazione in senso proprio, cioè, aventi lo scopo di segnalare ai cittadini la presenza dell'ente nel campo dei servizi al pubblico”).
[20]
[20] Si veda T.a.r. Sardegna – Cagliari, Sez. I, 23 settembre 2015, n. 1023: “L’art. 6, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 preclude qualsiasi forma di contribuzione a terzi intesa a valorizzare il nome o le caratteristiche dell’ente ovvero a sostenere eventi che non siano diretta espressione dei compiti istituzionali dell’ente; ne consegue la nullità di ogni convenzione finalizzata all’erogazione di somme da parte di una Regione per sponsorizzare una squadra di calcio, nemmeno in cambio di una valorizzazione del nome o dell’immagine dell’ente pubblico”.
[21]
[21] M. Lucca, Contribuzioni e sponsorizzazioni: limiti all’Autonomia locale. Nota a margine del parere della Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per la Lombardia, n. 1075 del 23 dicembre 2010, in La Gazzetta degli Enti Locali 15/02/2011.
[22]
[22] R. Chieppa, Le sponsorizzazioni nell’attività della P.A., in www.neldiritto.it.
[23]
[23] Prendendo parte al contratto di sponsorizzazione passiva in veste di sponsor, le imprese private godono di un particolare regime fiscale di vantaggio. L’art. 108 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. (D.P.R. 22-12-1986 n. 917), relativo alle spese di pubblicità e di rappresentanza, prevede la deducibilità dal reddito dell’impresa delle spese di sponsorizzazione. Il regime è tuttavia sensibilmente diverso a seconda se tali spese siano considerate di pubblicità - nel qual caso sono integralmente deducibili nell’anno in cui sono state sostenute oppure in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi - o di rappresentanza - nel qual caso la deducibilità avviene nel periodo di sostenimento ed è condizionata dai criteri di inerenza e congruità determinati mediante il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2008. L’opinione prevalente si orienta nel senso della qualificazione delle spese di sponsorizzazione come spese di rappresentanza (Cass. civ, Sez. VI, 5 marzo 2012, n. 3433; Cass. civ., Sez. VI 15 aprile 2011, n. 8679).
[24]
[24] La consapevolezza della centralità del settore culturale nell’ambito di intervento della sponsorizzazione pubblica ha condotto il legislatore ad introdurre già nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), all’art. 120, una disciplina specifica.
[25]
[25] Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 12 marzo 2009, n.2894; Cons. St., Sez. VI, 31 luglio 2013, n.4034.
[26]
[26] Parere sulla normativa n. AG/10 dell’11 marzo 2010; Deliber. AVCP, 8 febbraio 2012, n.9.
[27]
[27] A.F. Marti, Contratti di sponsorizzazione e forme speciali di Partenariato, in M. CORRADINO – S.S. DAMIANI (a cura di), I nuovi appalti pubblici- Commento al d.lgs. 18 aprile 2016, n.50, Giuffrè Editore, 2017, p.30 ss.
[28]
[28] Sul tema, R. Russotto, Contratti di sponsorizzazione: opportunità giuridiche, in www.aedon.mulino.it, n.1/2010; A Ferretti, Mecenatismo culturale e sponsorizzazione, in www.altalex.com.
[29]
[29] Det. AVCP 5 dicembre 2001, n. 24.
[30]
[30] La decisione dell'Autorità trovava fondamento in un quesito posto da un Comune e riguardante la possibilità per lo stesso Comune di procedere all'affidamento diretto ad una associazione appositamente costituita degli interventi di manutenzione di un teatro comunale, spesa che l'associazione si impegnava a sostenere in cambio della sponsorizzazione del proprio nome da parte dell'amministrazione. A tale quesito l'Autorità aveva dato risposta positiva e affermato che gli interventi ricompresi nell'ambito di applicazione della normativa sui lavori pubblici potevano formare oggetto di un contratto di sponsorizzazione ai sensi degli artt. 119 TUEL e 43 della legge 449/1997.
[31]
[31] Cons. St., Sez. V, 20 agosto 1996, n. 937.
[32]
[32] Tar Liguria, Sez. II, 19 settembre 2000, n.989.
[33]
[33] Cons. giust. amm. sic, 11 febbraio 2000, n.49.
[34]
[34] Tar Lazio, Roma, Sez. II-quater, 25 luglio 2012, n.6921.
[35]
[35] A riguardo, si sottolinea come il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D.M. 19 dicembre 2012, n. 67128) avesse chiarito che l’art. 199-bis, inserendosi nel solco dell’art. 26 del d.lgs. n.163/2006 così come riformato dal decreto semplificazioni, non si applicasse alle sponsorizzazioni tecniche di importo inferiore a 40.000 euro. La giurisprudenza amministrativa, invece, riteneva che la disciplina di cui all’art 199-bis si applicasse a tutte le sponsorizzazioni di beni culturali indipendentemente dal tipo e dal valore e quindi anche “per importi inferiori ai 40.000 euro” (Tar Lazio, Roma, Sez. II-quater, 25 luglio 2012, n.6921).
[36]
[36] Art. 151, c.3, d.lgs. n.50/2016.
[37]
[37] Paolo Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urbanistica e Appalti, n.8-9/2016, p. 1014 ss.
[38]
[38] Sul punto, Relazione illustrativa al Nuovo Codice degli Appalti, p.239.