abstract

Tra le questioni che hanno animato il dibattito all’indomani dell’entrata in vigore del d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50, gergalmente[1] denominato Codice dei contratti pubblici[2], risultano quelle connesse al potere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione[3] di emanare linee guida «ribattezzate con una punta di esterofilia "soft law[4].

Una qualificazione delle stesse in termini di fonti del diritto, qualora dovesse risultare effettivamente possibile, così come il loro inquadramento gerarchico, implicherebbero la soluzione di quesiti di non modesta portata.

Nel ristretto spazio concesso, si opererà quindi un tentativo di recuperare dal sistema delle fonti, e dagli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, alcune indicazioni utili ad un inquadramento sistematico delle linee guida ANAC nelle fonti di settore; previa verifica del rispetto, da parte del legislatore delegato, dei limiti interni ed esterni alla delega ricevuta, concentrando l’attenzione sul piano dell’efficacia, “anche vincolante”[5], delle linee guida già emanate.

Tale ultima caratteristica sembrerebbe aver ridotto notevolmente lo spazio riservato alle valutazioni discrezionali delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori esprimendo, forse, un inaspettato irrigidimento di quella che è comunemente considerata la più soft tra le rules of law.

Una sensazione quindi che avrebbe spinto alcuni ad interrogarsi sull’ampiezza in concreto attribuibile alla portata regolatoria delle linee guida ANAC, se, come tali, capaci di incidere positivamente sul piano delle fonti del diritto. Oppure, se non risulti preferibile, attraverso una lettura comparatistica dello stesse, valorizzarne la loro attitudine in termini di formanti, che quindi possono di diritto integrare il novero delle fonti degli obblighi ai quali sono soggetti gli operatori economici e le amministrazioni aggiudicatrici.

[1] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, Giornale Dir. Amm., 2016, 4, 436.

[2] Nel prosieguo per brevità indicato anche come Codice.

[3] Nel prosieguo per brevità ANAC.

[4] Così R. De Nictolis, Il nuovo Codice dei contratti pubblici, Urb. e app., 2016, 5, 507. L’espressione è tuttavia guardata con disprezzo da R. Bin, Il Sistema delle fonti, disponibile su http://www.robertobin.it/ARTICOLI/FONTI_Introduzione , p. 15, il quale qualifica: «“ectoplasmi normativi” tutto ciò che ad essa è comunemente ascritto».

[5] Questo, nonostante il Consiglio di Stato, nel Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016 abbia rassicurato gli operatori che: «è bene puntualizzare che la “vincolatività” dei provvedimenti in esame non esaurisce sempre la “discrezionalità” esecutiva delle amministrazioni. Occorre, infatti, valutare di volta in volta la natura del precetto per stabilire se esso sia compatibile con un ulteriore svolgimento da parte delle singole stazioni appaltanti di proprie attività valutative e decisionali. La particolare natura delle linee guida in esame comporta che, in mancanza di un intervento caducatorio (da parte della stessa Autorità, in via di autotutela, o in sede giurisdizionale), le stesse devono essere osservate, a pena di illegittimità degli atti consequenziali».

 

 

 

 

 

a) Sull’articolazione gerarchica delle “fonti del diritto”.

Il primo passo nell’indagine è quindi diretto alla verifica della sostenibilità di una qualificazione delle linee guida in termini di fonti del diritto.

La nota metafora giuridica comprende infatti tutti: «quei documenti o quei comportamenti accreditati della capacità – inesauribile, ed è questo che vuole significare anzitutto la metafora fonti del diritto – di produrre regole che possono essere fatte valere, direttamente o indirettamente, davanti ad un giudice»[1].

Sono numerosi i precedenti nei quali si può rinvenire l’attribuzione di un simile potere normativo, rectius di regolazione, in favore di enti ed autorità, da più parti avversato sotto il profilo di un possibile “gap di democraticità”[2].

Solo per citarne alcuni, si rinvengono esempi nei settori: sanitario[3], della protezione dei dati personali[4], dell’amministrazione digitale[5] e dell’università[6] ed oltre.

Rispetto ad essi, tuttavia l’ipotesi normativa in esame presenta specifiche peculiarità.

Per esplicita indicazione del legislatore delegato, le linee guida ANAC avrebbero dovuto essere comprese nella più ampia categoria degli atti cosiddetti “di indirizzo generale” anche al fine di ottenere una specifica ponderazione nella gerarchia delle fonti[7].

Questo concetto evoca quell’immagine, ritenuta sempre meno utile dai manuali dedicati agli intraprendenti giuristi, di una piramide, il vertice della quale, nonostante alcuni tentativi di assedio subiti dall’esterno, può ritenersi saldamente e stabilmente protetto dai principi e valori fondamentali sanciti nella Carta Costituzionale del 1948.

Così, mentre, la sua ampia base, costituisce lo spazio riservato alle fonti prive di forma, cosiddette consuetudinarie e per ciò definite “non scritte”, ma non per questo, meno vincolanti; il volume intermedio comprende quella congerie sempre più fitta ed intrecciata di fonti, interne ed esterne, che in esso devono trovare la loro, sempre meno agevole, esatta collocazione.

L’imperativo appare quanto mai obbligatorio in funzione della caratura assiologia associata al principio di articolazione gerarchica delle fonti, corollario del superiore principio di separazione dei poteri[8] nei quali risulta articolato lo Stato[9].

Sicché, se non l’attualità della sua descrizione, permarrebbe comunque la necessità di un’articolazione delle fonti, in funzione della capacità, concorrente al criterio della competenza, di comporre i conflitti che possono coinvolgere fonti di grado differente[10].

Con il risultato, immediatamente percepibile dall’interprete, di coerenza e completezza del sistema normativo[11] a tutto vantaggio della certezza del diritto[12].

Nell’ordinamento costituzionale, incardinato per il tramite dell’art. 11 della Costituzione nel sistema italo-comunitario delle fonti[13], l’efficacia compositiva del criterio gerarchico è subordinata al rispetto di due condizioni: la prima delle quali assume portata universale[14].

In primo luogo, infatti, occorre che i profili soggettivi ed oggettivi connessi all’esercizio del potere legislativo, inteso in senso amplissimo, trovino esplicita copertura in una fonte predeterminata la quale, per tale ragione, assumerà la denominazione di fonte sulla produzione del diritto[15].

Il concetto è chiarito attraverso la lettura, tra gli altri, degli art. 70, 71, 76 e 77 della Costituzione.

Il primo di essi, ad esempio, prevede che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.

Il secondo garantisce l’esercizio dell’iniziativa legislativa da parte: del Governo, di ciascun membro delle Camere e degli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale; ed infine, dal popolo, attraverso la proposta di un progetto redatto in articoli da parte di almeno cinquantamila elettori.

Il terzo e il quarto articolo disciplinano ora i termini e le modalità della c.d. delegazione legislativa[16] dal Parlamento al Governo; ora, le rigorosissime condizioni per l’esercizio autonomo del potere legislativo da parte del Governo. Salva, in quest’ultimo caso, la successiva ratifica parlamentare.

In secondo luogo, è condizione necessaria per il funzionamento del criterio gerarchico, anche la individuazione del relativo grado gerarchico, inteso come grado di: «efficacia propria di ciascuna fonte»[17].

L’interprete può recuperare tale informazione sia ricorrendo ad argomenti di tipo formale, come nel caso delle c.d. disposizioni sulla legge in generale che precedono il testo del Codice civile del 1942[18], nelle quali la legge ordinaria risulta collocata al di sopra del regolamento[19]; sia attraverso argomenti capaci di valorizzare, in sede di esegesi, gli aspetti sostanziali delle fonti considerate all’interno di un più o meno ampio sistema.

Così, la stessa legge ordinaria, è sottordinata ai precetti costituzionali, in funzione del carattere rigido della Carta Costituzionale e del giudizio di legittimità di cui risulta passibile.

Il collocamento gerarchico della singola fonte nell’articolazione piramidale[20] non è mai fine a se stesso. La sua utilità pratica si percepisce infatti nelle fasi dinamiche nelle quali si esprime l’ordinamento.

Proprio qui, tuttavia, in ragione delle critiche alle quali risulta esposta la stessa utilità di una concezione unitaria del sistema delle fonti, una parte della dottrina avrebbe rinvenuto il progressivo “declino della capacità prescrittiva[21] del criterio gerarchico, del quale ha continuato a valorizzare l’efficacia meramente descrittiva dei relativi schemi, forse, rinnovabile attraverso un’accezione matematica di gerarchia, per la quale essa si basa notoriamente: «su una relazione asimmetrica che può funzionare in un senso ma non nell'altro»[22].

Al venir meno di una concezione unitaria delle fonti, sempre più spesso sostituita da una pluralità di microsistemi, o meglio sottosistemi[23], per singole materie considerate, si potrebbe, quindi, provare ad affiancare una lettura matematica delle possibili relazioni che si possono instaurare tra le fonti componenti il sottosistema considerato, qualificabili quindi in termini di: collegamento diretto, indiretto, oppure di non collegamento.

 

b) Il micro-sistema normativo del: “mercato regolamentato dei contratti pubblici”[24].

In aderenza a tali premesse, occorre quindi circoscrivere al minimo essenziale il campo di indagine, individuando le fonti di stretto interesse e delle quali s’intende verificare le possibili relazioni gerarchiche.

Infatti, benché le disposizioni che autorizzino l’ANAC ad emanare linee guida siano contenute in un decreto legislativo, questo risulta a sua volta emanato dal Governo in adempimento della delegazione legislativa ricevuta dal Parlamento con la legge 28 gennaio 2016 n. 11[25]; la quale, a sua volta, rappresenta lo strumento normativo attraverso il quale lo Stato ha adempiuto, nel rispetto dell’art. 11 della Costituzione, agli obblighi comunitari di recepimento delle Direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.

Risulta evidente, quindi, come alla disomogeneità delle fonti considerate corrisponda una chiara diversità di livelli gerarchici.

Infatti, il micro-sistema appare strutturato in forma multilivello risultando coinvolte fonti di rango: a) costituzionale, trattandosi di decretazione delegata dal Parlamento disciplinata dall’art. 76 Cost.; b) comunitario, quali le direttive contenenti il sostrato normativo da recepire; c) primario, tali essendo la legge delega ed il decreto legislativo emanato; e d) secondario, secondo una prima ricostruzione del grado gerarchico attribuibile alla normativa di attuazione del Codice[26], intesa in senso amplissimo.

Occorre quindi individuare come, e con quali tra queste, le disposizioni del Codice che attribuiscono all’ANAC il potere di emanare linee guida instaurino relazioni di gerarchia; delle quali dovrà comunque essere verificata la compatibilità con il diritto comunitario originario e derivato.

Dal punto di vista pratico, infatti, risulta corretto quell’avviso secondo il quale: «anche a fronte di disposizioni nazionali puntuali e in apparenza "finali" è sempre necessario che coloro che applicano e fanno osservare tali disposizioni si pongano il problema della loro compatibilità con le tre direttive del 2014»[27].

Prima di procedere oltre, s’impone l’esame di una questione preliminare di merito diretta a verificare la coerenza dell’impianto normativo di recepimento con il noto limite distributivo sintetizzato nel brocardo: delegata potestas non potest delegari.

La formula latina esprime infatti il principio secondo il quale, il soggetto che abbia ricevuto da un altro un potere non potrebbe, a sua volta, trasmetterlo ad un terzo, a meno che il conferente non lo abbia espressamente autorizzato[28].

Come visto infatti, il Codice è stato emanato dal Governo in esecuzione della delega ricevuta dal Parlamento, l’ampiezza della quale risulta opportunamente delimitata dai principi e criteri direttivi in essa indicati.

È quindi ad essi che l’interprete deve rivolgere la sua attenzione al fine di rinvenire il primo, necessario, riscontro di coerenza sistematica tra il potere delegato dal Parlamento al Governo, e quello delegato dal Governo all’ANAC, sotto forma di potestas attuativa delle disposizioni del Codice attraverso linee guida ed altri atti di regolamentazione flessibile.

Lo scrutinio si arresta in primo luogo alla lettera t) dell’art. 1 comma 1 della legge 11/2016, nel quale l’interprete può rinvenire con sufficiente chiarezza l’: «attribuzione all’ANAC di più ampie funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio, nonché di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante e fatta salva l’impugnabilità di tutte le decisioni e gli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa».

La successiva lettera u) rinvia invece allo schema di decreto legislativo: «l'individuazione dei casi in cui all'adozione degli atti di indirizzo debba seguire la trasmissione alle Camere di "apposite relazioni"».

Mentre, l'art, 1, commi 4-5 prevede che: «sulla base del decreto di riordino sono altresì emanate linee guida di carattere generale proposte da ANAC e approvate con decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (MIT), che sono trasmesse prima dell'adozione alle competenti Commissioni parlamentari per il parere».

Il rinvenimento di tali disposizioni soddisfa solo in parte l’esigenza di verifica, consentendo all’interprete di affermare che tra il potere normativo delegato all’ANAC e la legge delega sussiste una relazione gerarchica di collegamento indiretto, appunto perché mediata dalle disposizioni del Codice.

Ciò detto, come puntualmente rilevato in dottrina, occorre verificare nell’ambito specifico di tali disposizioni, le modalità attraverso le quali la delega parlamentare sia stata eseguita dal Governo al fine di verificare la: «collocazione di queste regole sul piano delle fonti del diritto e, quindi, della natura, dei limiti e dei modi di esercizio del potere regolatorio»[29].

Senza omettere di verificare la sua integrità sotto un profilo di legittimità costituzionale[30].

 

c) Le disposizioni del Codice sulle linee guida.

I riferimenti testuali del Codice alla potestas attuativa dell’ANAC sono molteplici e non contestuali[31].

Non è certamente questa la sede per un’elencazione esaustiva[32] delle singole ipotesi considerate.

Tuttavia, tra tutti i diffusi richiami, appare dotato di specifica rilevanza quello contenuto nel secondo comma dell’art. 213[33] del Codice che potrebbe additarsi come la disposizione, a portata generale, attraverso la quale il Governo avrebbe attuato proprio uno dei criteri direttivi citati in precedenza.

La disposizione prevede infatti espressamente che: «l’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche».

La fonte sembrerebbe quindi in grado di reggere il fulcro della nostra indagine perché potrebbe di fatto costituire il portale attraverso il quale il legislatore ha consentito l’ingresso di un sotto-: «sistema originale di norme secondarie incentrato sulle "linee guida"[34]» salutato positivamente dalla dottrina siccome espressione della scelta compiuta dal legislatore delegato di: «non prevedere un unico regolamento generale, ma di optare per un sistema attuativo più snello e flessibile (che) si rivela, in linea di massima, innovativa e idonea a risolvere alcuni problemi della disciplina precedente»[35].

La disposizione si sofferma sugli aspetti procedimentali, prevedendo l’obbligo di trasmissione degli atti alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, se ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti.

Per dissipare eventuali dubbi, essa sancisce espressamente l’impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall’ANAC, innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa ed impone all’Autority la dotazione nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell'impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale[36], in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge delega e dal Codice.

Tuttavia, proprio l’analisi in concreto delle modalità di esercizio della delegazione legislativa rivela un minus piuttosto eclatante rispetto alla portata normativa della legge delega.

Il riferimento è diretto all’avvenuta elisione,  nel corpo dell’articolo 213 del Codice, di due espressioni rilevanti contenute nella formula dispositiva del primo dei tre criteri direttivi citati.

Infatti, la lettera t) della legge delega discorreva apertamente di “atti di indirizzo” e prevedeva la natura “anche vincolante” degli altri atti di regolamentazione flessibile.

Le prime riflessioni sulla legge delega, ponendo in risalto proprio la categoria generale degli atti di indirizzo, avevano tratto la ravvisabile intenzione del Governo di sostituire al classico regolamento di attuazione una fonte diversa ma comunque capace di contribuire ad assicurare: «la trasparenza, l'omogeneità e la speditezza delle procedure e a fornire criteri unitari - senza omettere di pronosticare che esse avrebbero avuto appunto - valore di atto di indirizzo generale e consentiranno un aggiornamento costante e coerente con i mutamenti del sistema»[37].

Rinviando al seguito le riflessioni sulla natura anche vincolante delle linee guida, l’elisione della dicitura “atti di indirizzo”, lascerebbe ora sottendere una ravvisata non idoneità di quella categoria a comprendere l’ipotesi – made in Italy – di linee guida “anche vincolanti”, suggerendo l’alternativa comprensione delle stesse nella categoria successiva, benché altrettanto non definita in maniera esaustiva, dei c.d. “altri strumenti di regolamentazione flessibile, comunque denominati dotati anche di efficacia vincolante”.

Non convince, pertanto, quell’orientamento[38] che vorrebbe circoscritta tale ultima categoria ai soli bandi-tipo ed ai capitolati-tipo, dalla quale il Codice avrebbe inteso escludere proprio le linee guida[39].

Di là dall’elisioni indicate, l’interprete può comunque recuperare una visione di insieme attraverso un’esegesi combinata di tutti i diffusi richiami contenuti nel Codice attraverso i quali apprezzare, in astratto, l’ampiezza del potere delegato dal Governo all’ANAC.

Ponendo quindi a confronto la funzione surrogatoria degli atti attuativi indicati nel Codice, con la funzione tipica degli strumenti di c.d. soft law, nella loro accezione originale, un vincolo di efficacia che non fosse di mero indirizzo sarebbe potuto risultare oppositivo, e quindi contraddittorio.

Questo perché regolamentazione flessibile implicherebbe necessariamente non tanto una qualifica di “non-regola”, quanto una qualifica di “regola non-vincolante” del contenuto attraverso il quale essa si esprime.

Nel caso delle linee guida ANAC, nonostante l’omessa traduzione nel corpo dell’art. 213 del Codice, e negli altri diffusi rinvii alle linee guida, dell’inciso “ad efficacia anche vincolante” previsto dalla legge delega, si procede comunque a catalogare ipotesi di linee guida vincolanti e non.

Con la conseguente equiparazione sostanziale della prima tipologia di linee guida, agli atti di regolazione delle autorità indipendenti[40]; mentre, soltanto alle seconde sarebbero attribuiti valore e funzione di mero indirizzo per le stazioni appaltanti e gli operatori economici.

 

d) Le posizioni del Consiglio di Stato.

L’utilizzo del plurale è obbligato in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, ha manifestato i propri orientamenti sul tema, non solo in sede di consultazione sullo schema di decreto legislativo e sullo schema delle linee guida ANAC sinora emanate; ma anche in sede giurisdizionale.

Nell’intervento consultivo operato sullo schema di decreto, la Commissione speciale, tra tutti gli strumenti regolatori previsti, aveva concentrato la propria attenzione soltanto sui decreti MIT e sulle linee guida ANAC affermando[41] che i primi, al di là del nome, sarebbero stati sussumibili nella categoria dei regolamenti ministeriali; mentre, le seconde, al di là dell’efficacia attribuita, sarebbero risultate inquadrabili sempre e soltanto come atti amministrativi generali[42].

Sollecitato, in seguito, a rendere il proprio parere sul primo schema di linee guida, il Consiglio di Stato ha confermato in linea di massima tale impostazione specificando altresì che tale qualificazione delle stesse implica l’applicazione integrale dello statuto del provvedimento amministrativo[43].

Con riguardo ai decreti del MIT con le quali saranno emanate alcune linee guida adottate dall’ANAC, non v’è ragione per discostarsi da quell’opinione, condivisa dalla dottrina[44], che li ritiene: «assai prossimi alla tipologia dei regolamenti ministeriali prevista all'art. 17, commi 3-4, L. n. 400/1988»[45]; pur con l’avvertita diffidenza verso quella rilevata: «commistione inedita, almeno per l’ordinamento italiano, fra la potestà regolamentare ministeriale e l’attività di un’autorità indipendente»[46].

Proposta accompagnata dall’altrettanto condivisibile avvertimento della natura complessa e controversa dell’opera di qualificazione giuridica delle linee guida le quali, siccome: «non corrispondono a una categoria definita di atti fonte»[47] richiedono all’interprete di compiere un’indagine sui caratteri del soggetto che ha il potere di assumerle, o sul loro contenuto oggettivo per poter addivenire ad un’appropriata definizione giuridica[48].

Il suggerimento ermeneutico reso manifesto in sede consultiva dal Consiglio di Stato, è stato positivamente accolto, con qualche precisazione, da una parte della dottrina in ragione del fatto che, nell’analisi compiuta su di esse nel parere, era stata applicata una metodologia ermeneutica che aveva appunto consentito di sintetizzare: «la portata generale delle linee guida con il profilo soggettivo dell'ANAC, in funzione della quale essa è configurabile a tutti gli effetti come un'Autorità amministrativa indipendente, con funzioni (anche) di regolazione»[49].

Ragione per la quale, come opportunamente messo in evidenza, in questo caso:« è la natura dell’autorità che, per così dire, “trascolora” sulla natura delle regole»[50].

Per tale ragione le linee guida (e gli atti ad esse assimilati) dell'ANAC sono state ricondotte: «alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, appunto, "di regolazione"»[51].

Sebbene tale qualificazione potrebbe risultare condivisibile per le linee guida "non vincolanti", che il Consiglio di Stato e quella stessa dottrina pacificamente inquadrano come ordinari atti amministrativi, è il riconoscimento di ipotesi con efficacia vincolante, a continuare ad animare il dibattito ed a sollecitare ulteriori approfondimenti.

Fermo quanto già evidenziato sulle elisioni presenti nell’art. 213 del Codice nel recepimento del criterio direttivo della legge delega, il Consiglio di Stato, in sede consultiva[52], ha denunciato l’assenza, di una indicazione esplicita al profilo dell’efficacia anche vincolante delle linee guida, anche all’interno di altre disposizioni del Codice che sollecitano il potere regolatorio dell’ANAC; fissandone tra l’altro termini esatti di esecuzione.

Mancando l’addentellato, tale omissione imporrebbe all’interprete di recuperare in sede di esegesi gli ulteriori elementi formali e sostanziali che possano consentire di riconoscere una simile vis alle linee guida – a quelle già emanate ed alle altre di prossima emanazione – tenendo fermo il piano degli interessi sottostanti alla delegazione legislativa parlamentare.

Tanto, anche in vista di una esigenza di ordine pratico e relativa alla necessità di distinguere le diverse ipotesi considerate, anche in funzione dei limiti che possono riverberarsi nell’esercizio della discrezionalità amministrativa.

Sul punto però, neppure il Consiglio di Stato pare abbia maturato una posizione chiara, univoca e, soprattutto, corrispondente tra quelle rese manifeste in sede consultiva e quelle pronunciate in sede giurisdizionale.

Infatti, nell’incipit del parere sulle prime linee guida ANAC[53], ha confermato il proprio orientamento secondo il quale, sul piano definitorio, entrambe le tipologie di linee guida: «non hanno valenza normativa ma sono atti amministrativi generali appartenenti al genus degli atti di regolazione[54] delle Autorità amministrative indipendenti, sia pure connotati in modo peculiare».

In tal modo, tuttavia, la Commissione consultiva sembrerebbe aver implicitamente rinnegato quanto affermato in un recente precedente[55] giurisdizionale dello stesso Consiglio di Stato nel quale, ad una semplice indicazione dell'ANAC, venne riconosciuta la concreta idoneità ad assumere valenza di canone oggettivo di comportamento per gli operatori del settore. La cui violazione, in quel caso, integrando un'ipotesi di negligenza, costituì l’unico presupposto per confermare la sanzione inflitta all’operatore.

Mentre, nello stesso parere, denunciata poco oltre l’assenza, nel caso specifico dell’art. 31, comma 5 del Codice[56], di indicazioni esatte sulla tipologia di efficacia da attribuire alle linee guida, se di ordine vincolante o meno, ha affermato la natura comunque vincolante di una parte della regolamentazione in essa contenuta, siccome, in quel caso, si tratterebbe di disposizioni integrative della fonte primaria, in materia di status (requisiti di professionalità) e di competenze di un organo amministrativo[57].

Ed infine, approssimandosi alle conclusioni, ha sconfessato la premessa definitoria iniziale che vedeva condivisa in entrambe le tipologie di linee guida la natura di atto amministrativo generale, affermando che mancando di forza cogente, le linee guida non vincolanti non sarebbero riconducibili a quella categoria[58].

Anche e soprattutto alla luce di tali orientamenti contraddittori, appare evidente come le rilevate elisioni unite alla non omogeneità delle variabili possibili di “linee guida” – astrattamente – emanabili dall’ANAC, provochino confusione esegetica e problematiche notevoli sul piano pratico ed applicativo.

Conseguenze nefaste che la legge delega auspicava invece di prevenire ed evitare[59] proprio attraverso l’emanazione di una soft law che, nel concreto, apparirebbe non all’altezza del gravoso ruolo assegnatole dal Parlamento.

Come anticipato da alcuni, tale rilevata criticità potrebbe integrare un’ipotesi di non corretta esecuzione della delegazione legislativa parlamentare, sanzionabile sotto un profilo di illegittimità costituzionale; oppure, nella forma minore, rivelerebbe un difetto originario della stessa legge delega, perché avrebbe inteso attribuire ad una soft law una funzione “normativa” integralmente surrogatoria del regolamento di esecuzione del Codice, che però non può che implicare il livello hard delle prescrizioni in essa contenute.

 

e) Le linee guida per l’attuazione della normativa primaria.

Nel tentativo quindi di riportare opportuna chiarezza sul novero delle ipotesi di atti attuativi che trovano diretta previsione codicistica, potrebbe risultare utile la ricostruzione offerta dal Consiglio di Stato[60]. Secondo la quale, si possono distinguere:

a) atti adottati dall’ANAC, con contenuto di linee guida ma emanati sotto forma di decreti ministeriali previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

Ad essi, in linea con l’orientamento consultivo manifestato dal Consiglio di Stato[61] sullo schema di decreto, la dottrina[62] attribuisce la natura di fonte del diritto di ordine regolamentare[63]; con l’espresso avviso che: «le amministrazioni e gli enti aggiudicatori sono obbligati a osservare il precetto normativo, senza che alle stesse sia attribuito il potere di disattenderne il contenuto. La violazione dei decreti comporta l’illegittimità (sic et simpliciter n.d.r.) del provvedimento attuativo»[64];

b) atti adottati con delibera dell’ANAC ai quali attribuire carattere vincolante erga omnes, sotto forma, in particolare, di linee guida.

In tal caso le amministrazioni e gli enti aggiudicatori, ferma la natura di atto amministrativo, sarebbero comunque vincolati alla loro osservazione alla stregua di un decreto;

c) atti adottati con delibera dell’ANAC a carattere non vincolante.

In tale ultima ipotesi, benché il Consiglio di Stato non abbia ancora chiarito in maniera esaustiva se si tratti di atto amministrativo, nel caso in cui le amministrazioni e gli enti aggiudicatori intendano discostarsi da quanto disposto dall’Autorità, sussisterebbe comunque la possibilità di disattenderne il contenuto prescrittivo.

In tal caso, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero: «adottare un atto che contenga una adeguata e puntuale motivazione, anche a fini di trasparenza, che indichi le ragioni della diversa scelta amministrativa»[65].

Al di fuori dell’unica esimente esaminata dal Consiglio di Stato, la violazione delle linee guida potrebbe essere quindi considerata al più come elemento sintomatico dell’eccesso di potere, sulla falsariga dell’elaborazione giurisprudenziale che si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari.

Non è quindi un’argomentazione di ordine prettamente formale che potrebbe aiutare l’interprete a discriminare le ipotesi di cui alla lettera b) da quelle di cui alla lettera c).

Dalla suddetta elencazione risulta evidente come a ciascun’ipotesi di atto corrisponda un differente statuto normativo e conseguano specifici risvolti di ordine disciplinare tra i quali occorre porre in opportuna attenzione anche quelli relativi alle condizioni per l’impugnazione delle stesse dinanzi al giudice amministrativo.

Anche in questo caso, partendo sempre dai moniti consultivi resi del Consiglio di Stato, nel caso dei decreti, essendo privi d’immediata lesività per la loro natura sostanzialmente normativa, questi potranno essere impugnati, normalmente, unitamente al provvedimento di attuazione della stazione appaltante; senza escludere che, particolari enti, portatori di interessi diffusi, potrebbero essere legittimati ad una impugnazione immediata senza che attendere necessariamente il provvedimento attuativo[66].

La stessa soluzione potrebbe essere utilizzata anche nei confronti delle linee guida ANAC.

Questo però implicherebbe una loro qualificazione in termini di atti d’indirizzo, come specificato nella legge delega, e non come atti amministrativi generali.

Infatti, secondo alcuni, soltanto la categoria degli atti d’indirizzo comporterebbe la non autonoma impugnabilità trattandosi appunto di: «“atti a giustiziabilità differita”»[67].

Non è mancato chi, seppure in maniera generale, abbia qualificato proprio in tal senso le linee guida ANAC , indipendentemente dal loro settore d’intervento[68].

Tuttavia, prendendo spunto dal contenuto regolatorio delle prime linee emanate, rimane preferibile l’adozione di un approccio metodologico di tipo cautelare e soprattutto relativizzato alla singola ipotesi concreta che ponga in risalto non soltanto la sottostante fonte del Codice che solleciti il potere regolatorio dell’ANAC, quanto la natura prescrittiva o descrittiva della singola regolazione introdotta, ovvero delle singole parti di essa.

Un simile approccio, infatti, consentirebbe di focalizzare l’attenzione oltre ché sull’oggetto concreto delle linee guida, anche sul profilo soggettivo dell’ANAC, verificando l’atteso gradiente di coerenza tra la produzione normativa “di regolazione” e le funzioni della stessa in termini di autorità indipendente.

A tal fine, occorre porre in luce gli approdi ai quali è giunta sinora l’Autorità, anche per effetto dell’entrata in vigore del Codice, che risultano valorizzati proprio in termini di competenze non soltanto di vigilanza ma anche e soprattutto di regolazione.

Attraverso quindi la suggerita lettura matematica della tradizionale funzione compositiva del criterio gerarchico, l’interprete potrebbe individuare le possibili forme di relazione (dirette, indirette o di non collegamento) tra gli interessi tutelati in sede primaria e quelli e le modalità di attuazione degli stessi da parte dell’ANAC, graduando gerarchicamente le fonti che concorrono ad assicurarne la tutela.

Sarebbe quindi evidente il collegamento gerarchico “diretto” tra gli interessi tutelati dalle linee guida dell’ANAC con quelli presidiati dal Codice, idoneo ad garantire un tratto, seppure eventuale e non necessariamente stabile, di obbligatorietà dell’eventuale contenuto prescrittivo delle prime.

In apertura è stata fatta menzione ad un c.d. gap di democraticità che avvolgerebbe la produzione normativa (rectius regolatoria) delle autorità indipendenti.

La dottrina ha infatti posto in evidenza la problematica, tra le più rilevanti poste da questo fenomeno giuridico, relativa alla: «armonizzabilità con le coordinate costituzionali del potere regolamentare assegnato ad autorità … non responsabili nei confronti del Parlamento e del corpo elettorale attraverso l’intermediazione governativa e, quindi, prive di investitura democratica sul versante elettorale[69]».

Valorizzando però la radice dello strumento, in questa sede, non sussistono ragioni per discostarsi da quell’orientamento secondo il quale, il potere normativo delle autorità indipendenti, e quindi la soft law che ne costituirebbe il prodotto tipico, traggono sempre: «legittimazione “dal basso” per almeno due motivi: vuoi perché l’attribuzione di tale potere è “finalizzata alle esigenze che emergono dal settore da regolare”, ed è perciò coerente che i regolamenti emanati “ricavino le regole dall’oggetto da regolare”; vuoi perché la regolazione dello specifico segmento di mercato verso cui si rivolge la competenza del soggetto regolatore è generalmente partecipata e condivisa dagli operatori economici che agiscono il quel segmento[70]».

Pertanto, e pur collocando le linee guida nel punto più inferiore di una linea ideale di collegamento gerarchico, che passi per ciascuna delle fonti considerate nel micro sistema delle fonti sui contratti pubblici, e che vede collocate all’apice di essa le Direttive recepite nel Codice, nondimeno, nelle prescrizioni di regolazione introdotte sinora dall’ANAC, l’interprete potrebbe comunque scorgere un tratto di continuità con l’esigenza di tutela di interessi che risultano connotati, se non da una pari gradualità gerarchica, quanto meno dalla corrispondenza a quelli fissati dalla normativa comunitaria.

Esigenza la quale, nel caso delle linee guida ANAC, potrebbe risultare protetta, sul versante della democraticità, da eventuali censure di incostituzionalità, dalla stessa legge delega.

Ripercorrendo sinteticamente il percorso istituzionale compiuto dall’ANAC[71], dal primo passo di cui alla legge 6 novembre 2012 n. 190[72], essa esprime oggi una tra le molteplici forme di espressione di quel fenomeno giuridico[73] scaturito dalla: «emersione di interessi e valori sostanziali rispetto ai quali gli apparati tradizionali si sono dimostrati impreparati[74]». Fenomeno[75] il quale, in altri termini, avrebbe rappresentato una sorta di: «confessione di impotenza del Parlamento che nel dare la stura alle singole authorities, riconosce la sua incapacità a disciplinare la materia e riconosce altresì la impossibilità da parte degli apparati ministeriali e del plesso giudiziario a dare risposta alla sete di regolazione del settore[76]».

Ne costituisce conferma l’adeguamento del profilo istituzionale dell’ANAC, a poco tempo di distanza dall’entrata in vigore del Codice, ad autorità indipendente con funzioni che attengono oltre alla prevenzione della corruzione su scala nazionale anche alla vigilanza sui contratti pubblici; ambiti che, purtroppo, storicamente, sono risultati intimamente  collegati[77].

Tra gli altri ivi indicati, l’articolo 1, comma 1 della l. 190/2012, ha provveduto a rinnovare le competenze dell’ANAC, attribuendole i poteri di cui alle lettere b)[78] relativi all’adozione del Piano nazionale anticorruzione ai sensi del comma 2-bis, e d)[79], riconoscendole competenze consultive obbligatorie sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico.

Nel dettaglio, il comma 2-bis[80], soffermandosi sul profilo strutturale e funzionale del Piano nazionale, ne specifica la natura di atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per l'adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione e, per gli altri soggetti di cui all'articolo 2-bis, comma 2, del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33, per l'adozione delle misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, anche per assicurare l'attuazione dei compiti di cui al comma 4, lettera a).

Il comma 3 stabilisce invece che per l'esercizio delle proprie funzioni, tra le quali quelle indicate al comma 2, lettera f), l’ANAC esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati[81].

Questo consente di affermare che l’ANAC costituisce l’approdo più avanzato di quel percorso legislativo avviato nel 1994 e volto all’inserimento, nell’apparato amministrativo, di un’entità che, dinanzi alla denunciata l'illegittimità costituzionale dell’art. 4 della l. 109/1994 istituivo dell’allora Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, venne difesa dall’Avvocatura di Stato come una delle maggiori innovazioni dell’epoca, specificando che essa costituiva un'istanza indipendente[82], estranea all'apparato di governo statale, i cui membri erano nominati dai Presidenti delle Camere con la funzione di garantire l’imparziale osservanza dei principi ordinatori del sistema[83].

La Corte Costituzionale, in quel caso, dichiarò infondata la questione sollevata, definendo l'istituzione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici come uno dei cardini della riforma della materia chiarendo che veniva: «di fatto costituito secondo linee che si affermano anche in altri settori nei quali si è manifestata l'esigenza di avere un'autorità indipendente, un nuovo organismo collegiale di alta qualificazione, chiamato ad operare in piena autonomia rispetto agli apparati dell'esecutivo ed agli organi di ogni amministrazione. L'esercizio di questa funzione di vigilanza e garanzia implica una conoscenza completa ed integrata del settore dei lavori pubblici, unitaria a livello nazionale[84]».

Proprio nel settore dei contratti pubblici, quell’esigenza di sistema continua ad esprimere la sua, gravosa, attualità agli occhi del legislatore.

Tuttavia, non essendo possibile escludere un vincolo di “anche obbligatorietà” dalle prescrizioni attuative del Codice, la “soft law” potrebbe risultare non adatta a contemperare, sic et simpliciter, tutte le esigenze collegate all’attuazione del quadro normativo primario con le istanze che promanano dal progredire regolamentato del confronto concorrenziale tra il settore pubblico e quello privato.

Del quale, il contratto pubblico rappresenta il momento di sintesi istituzionale.

 

f. Conclusioni

Il problema sotteso all’inquadramento gerarchico delle linee guida ANAC sembra rivelare, forse, la sua natura decettiva se affrontato sotto la ristretta necessità di catalogare una “nuova fonte del diritto”.

Le linee guida, infatti, possono efficacemente contribuire in termini di regolamentazione flessibile all’attuazione del quadro disciplinare primario, di derivazione comunitaria.

Nella loro accezione ad efficacia “anche vincolante”, esse propongono all’interprete un punta di vista avanzato sull’: «“evoluzione dei formanti” dell’attività delle stazioni appaltanti»[85], in virtù degli obblighi che proprio in esse traggono la loro rilevanza ed ai quali risultano assoggettati tanto le amministrazioni aggiudicatrici quanto gli operatori economici.

La problematica sulla natura più o meno soft delle linee guida travalica in tal senso l’interesse ad un’indagine sul piano della gerarchia delle fonti del diritto, diretta al recupero del loro grado gerarchico, per il successivo incasellamento statico nella piramide tradizionale.

L’interprete, è chiamato ad uno sforzo esegetico maggiore sul contenuto descrittivo / prescrittivo delle linee guida, al fine di selezionare gli interessi oggetto di tutela che costituiscono i punti nodali di quelle relazioni, dirette, indirette e di non collegamento che si instaurano con la normativa primaria contenuta nel Codice, di diretta espressione comunitaria.

Rinvenuto il collegamento, più o meno diretto, un’efficacia “anche vincolante” della prescrizione regolatoria estrapolabile dalle linee guida non potrà che risultare l’unica conseguenze ammissibile in ragione della portata degli interessi coinvolti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] R. Bin, Il Sistema cit., p.1.

[2] Richiamato anche da Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016, p. 5 ove si afferma che esso imporrebbe: «sul piano procedimentale forme di “compensazione”, assicurate da una serie di strumenti di better regulation, approfonditamente trattati nel citato parere n. 855 del 2016» ed nel quale si specifica che: «l’esercizio del potere in esame non rientra nel modello di amministrazione pubblica contemplato dalla Costituzione e fondato sulla “concezione governativa”, che attribuisce agli organi politici le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e agli organi dirigenziali le funzioni gestionali di attuazione. La Costituzione, pur prevedendo questo modello, non esclude quello fondato sulle Autorità indipendenti, che agiscono con poteri neutrali di attuazione della legge e non anche degli atti generali di indirizzo politico. La natura non regolamentare delle linee guida adottate direttamente dall’ANAC consente, inoltre, che la fase di attuazione delle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici che rinviano a esse non incontri i limiti che il sesto comma dell’art. 117 Cost. pone all’esercizio del potere regolamentare statale».

[3] È il caso del d. lgs. 19 giugno 1999, n. 229 "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419" con diffusi rinvii negli artt. 1, 4, 6bis, 12bis e 16ter.

[4] Si confronti in particolare il c.d. Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 154, comma 1, lett. h).

[5] Si cfr. art. 5, comma 4 del d. lgs. 7 marzo 2005. n. 82 e s.m.i. recante "Codice dell'amministrazione digitale" che autorizza la istituita Agenzia per l'Italia digitale, sentita la Banca d'Italia, a definire linee guida per la specifica dei codici identificativi del pagamento di cui al comma 1 e le modalità attraverso le quali il prestatore dei servizi di pagamento mette a disposizione dell'ente le informazioni relative al pagamento medesimo; la versione 1.1 per l’anno 2014 è disponibile all’indirizzo http://www.agid.gov.it/sites/default/files/linee_guida/lineeguidapagamenti_v_1_1_0_0.pdf.

[6] Diffusamente distribuite in seno all’art. 3 D.P.R. 1 febbraio 2010, n. 76 contenente il Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), adottato ai sensi dell'art. 2, comma 140, del d. l. 3 ottobre 2006, n. 262, conv., con mod., dalla l. 24 novembre 2006, n. 286.

[7] F. Modugno, Lineamenti di diritto pubblico, Torino, 2007, 95, secondo il quale: «gerarchia è sinonimo dello stesso sistema delle fonti, ovvero, come emerge dalla teorizzazione gradualista kelseniana, “gerarchia” ha un significato che la fa coincidere con l’ordine o con l’ordinazione stessa delle fonti».

[8] F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2008, 992 il quale lo qualifica espressamente come: «l’eredità più importante del pensiero politico illuministico, ciò che ha segnato l’inizio dello Stato moderno» che rinvia in nota al fautore del medesimo principio C. L. de S. Montesquieu, L’esprit des lois, 1748, libro XI.

[9] R. Bin, Il sistema cit., p. 2, secondo il quale in particolare: «appartiene infatti ai principi dello Stato di diritto la netta separazione tra il momento della scelta politica che, guidata dal sistema rappresentativo, si trasforma in “legge”, e il momento della sua applicazione al caso concreto, nel corso di un giudizio che si svolge davanti ad un giudice, qualificato e selezionato in base a requisiti tecnici e attentamente sottratto al circuito politico - rappresentativo. Non solo al giudice – e all’interprete più in generale – è vietato il ricorso al responso del principe, ma è fortemente svalutato persino l’impiego, nell’interpretazione degli atti legislativi per trovarvi “la regola del caso”, dell’argomento della “volontà del legislatore”: l’atto legislativo si stacca, si “estranea” dalle intenzioni soggettive dell’organo che l’ha emanato, per assumere un significato “oggettivo” nel sistema giuridico».

[10] A tal fine, il criterio gerarchico è solo uno dei criteri convenzionali di composizione dei conflitti tra fonti; si annoverano convenzionalmente anche il criterio cronologico (lex posterior derogat priori), la cui applicazione porta a dichiarare l’abrogazione della legge meno recente; il criterio delle specialità (lex specialis derogat legi generali), che conduce a privilegiare nel contrasto la norma particolare rispetto a quella più generale; il criterio della competenza, che porta a risolvere il contrasto normativo decidendo quale sia l’atto o l’ordinamento competente a disciplinare la materia.

[11] R. Bin, Il Sistema cit., p. 3, secondo il quale: «la coerenza e la completezza sono per l’interprete il risultato dell’opera di interpretazione e applicazione del diritto. È l’interprete che “anticipa” le qualità di completezza e di coerenza del testo su cui lavora».

[12] L’esigenza di certezza è intima alla stessa adozione del testo unico normativo, di cui il Parlamento auspicava la denominazione di codice, secondo il principio fissato nell’art. 1, comma 1, l. 11/2016. M. Mazzamuto, L’atipicità delle fonti nel diritto amministrativo, p. 2, Relazione al Convegno AIPDA 2015 “Le fonti del diritto amministrativo” tenutosi a Padova il 9-10 ottobre 2015 e reperibile sul sito: http://www.diritto-amministrativo.org/dwload.php?a=NDI1XnVwbF5NQVpaQU1VVE9haXBkYTIwMTU yMDE1MTAxMjIxNTAwNy5wZGY= , p. 5, che associa tale valore alla esigenza che la predeterminazione delle fonti presenti carattere di immediata intelligibilità. Mentre M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 440 ha sollevato la problematica relativa a possibili effetti negativi sulla certezza del diritto, i diritti partecipativi e la tutela, causata dalla impurità di una parte di atti di attuazione siccome non corrispondenti né a precedenti categorie né ad una nuova categoria precisamente definita.

[13] L’espressione è di P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006.

[14] La portata universale della condizione si spiega su ogni tipologia di sistema normativo. Ne costituisce espressione la legge N. LXXI - Legge sulle fonti del diritto del 1° ottobre 2008 pubblicata sul bollettino N. 16 (periodo 1° gennaio 2008 - 31 maggio 2009) e promulgata da BENEDETTO PP. XVI nel preambolo della quale si afferma: «Per procedere ulteriormente nel sistematico adeguamento normativo dell'ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, avviato con la legge fondamentale del 26 novembre 2000, di Nostro Motu Proprio e certa scienza, con la pienezza della Nostra Sovrana autorità, abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto appresso, da osservarsi come legge dello Stato: «Art. 1 - 1. L'ordinamento giuridico vaticano riconosce nell'ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo. 2. Sono fonti principali del diritto la legge fondamentale e le leggi promulgate per lo Stato della Città del Vaticano dal Sommo Pontefice, dalla Pontificia Commissione o da altre autorità alle quali Egli abbia conferito l'esercizio del potere legislativo. 3. Quanto disposto circa le leggi riguarda anche i decreti, i regolamenti e ogni altra disposizione normativa legittimamente emanati. 4. L'ordinamento giuridico vaticano si conforma alle norme di diritto internazionale generale e a quelle derivanti da trattati e altri accordi di cui la Santa Sede è parte, salvo quanto prescritto al n. 1».

[15] F. Modugno, Lineamenti cit., p. 99.

[16] Così F. Modugno, Lineamenti cit., p. 132.

[17] F. Modugno, Lineamenti cit., p. 96.

[18] Ove si legge che: sono fonti del diritto: 1) le leggi, 2) i regolamenti e, 4) gli usi.

[19] R. Bin, Il Sistema cit., p. 4, evidenzia in particolare il carattere innovativo della suddetta disposizione affermando che: «assente nel Progetto preliminare, tale disposizione recepisce a sua volta l’elaborazione della dottrina, che aveva raggiunto la sua maturazione nella costruzione gradualistica di Kelsen e della Scuola di Vienna e si era imposta anche in Italia, pur faticando a superare forti contestazioni teoriche. La trascrizione nel codice 1942 ne sfrutta solo in parte le potenzialità, ponendola come strumento ordinatore delle relazioni tra legge e regolamento (che è poi il rapporto su cui si è inizialmente sviluppata la costruzione gerarchica) e tra questi e la consuetudine (oltre che le norme corporative). Assente è invece il livello costituzionale della gerarchia, essendo ormai stato sostanzialmente pretermesso dalle fonti del diritto lo Statuto del 1848».

[20] F. Modugno, Lineamenti cit., p. 97.

[21] F. Modugno, Lineamenti cit., p. 96.

[22] Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Gerarchia secondo la quale accezione: «ogni membro è raggiungibile da ogni altro seguendo le relazioni in entrambe le direzioni, ma non c'è modo di tornare a un membro particolare, seguendo le relazioni nella stessa direzione». In tal senso si chiarisce che: «se Sara è il capo di Giacomo, allora Giacomo non è il capo di Sara. Quando i due nodi sono in relazione, uno è designato come il "superiore" (detto anche "genitore") e l'altro come il "subordinato" (detto anche "figlio"). Nel caso intuitivo della relazione "è il capo di...", il capo è il superiore e l'impiegato è il subordinato».

[23] M. Mazzamuto, L’atipicità cit., p. 2.

[24] L’espressione è di L. Torchia, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, Gior. di dir. Ammin., 2016, 5, p. 605.

[25] Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

[26] R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 506, secondo la quale appunto: «il codice abbandona il modello del regolamento unico e demanda la sua attuazione a fonti di secondo livello».

[27] P. M. Chiti, Il sistema delle fonti cit. p. 439, il quale per il caso di contrasti avvisa le amministrazioni pubbliche ed i giudici dell’obbligo di: «procedere alla disapplicazione del diritto interno che risultasse in insanabile contrasto con il diritto UE, anche dopo il tentativo di un'interpretazione conforme; oppure, in giudizio, utilizzare le procedure di rinvio pregiudiziale, alle condizioni note».

[28] Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Delegatus_non_potest_delegare. Il brocardo si riferisce alla delega in senso lato, sicché il principio è applicabile tanto alla rappresentanza, quanto alla delega in senso stretto. Per quel che riguarda l'ordinamento italiano, il principio si ritiene trovi applicazione nel diritto pubblico, pur non mancando deroghe, mentre nel diritto privato la dottrina è divisa tra chi ritiene che, nel silenzio della fonte costitutiva della rappresentanza (procura o altro), il rappresentante possa comunque trasferire i suoi poteri ad un subrappresentante e chi, invece, esclude tale possibilità, peraltro invocando, a sostegno della tesi, non tanto il principio in argomento, quanto il fatto che la rappresentanza è attribuita intuitu personae.

[29] L. Torchia, Il nuovo Codice, cit., p. 606.

[30] Anticipano la tematica: R. De Nictolis, Lo stato dell’arte dei provvedimenti attuativi del codice Le linee guida Anac sui gravi illeciti professionali, p. 3 Relazione al Convegno: “Codice 50: ritroviamo il conto perduto” tenutosi in Roma il 30 novembre 2016 reperibile su http://www.igitalia.it/doc/conv3011-16DeNictolis.pdf ; M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 443 secondo il quale: «solo una nuova legge potrà dunque dare un adeguato quadro al tema delle “fonti atipiche” in modo costituzionalmente orientato e corretto».

[31] Così R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 507.

[32] Per una compiuta disamina dell’ampiezza del quale si rinvia a R. De Nictolis, Lo stato cit., p. 5. Alcuni di essi, meritano comunque di essere opportunamente considerati, in considerazione della rilevanza pratica sul piano dell’indagine e della regolazione sinora emanata, e risultano contenuti negli articoli:

  1. 31, comma 5, sul potere dell’ANAC di definire con proprio atto una disciplina di maggiore dettaglio sui compiti specifici del RUP, nonché sugli ulteriori requisiti di professionalità rispetto a quanto disposto dal Codice, in relazione alla complessità dei lavori. Ad esso hanno fatto seguito le Linee guida ANAC n. 3[32] approvate con deliberazione n. 1096 del 26 ottobre 2016;

  2. 36, comma 7 relativo alle linee guida con le quali stabilire le modalità di dettaglio per supportare le stazioni appaltanti e migliorare la qualità delle procedure, delle indagini di mercato, nonché per la formazione e gestione degli elenchi degli operatori economici. Ad esso hanno fatto seguito le Linee guida ANAC n. 4[32] con deliberazione n. 1097 del 26 ottobre 2016;

  3. 78, sull’Albo dei componenti delle commissioni giudicatrici. Ad esso hanno fatto seguito le Linee guida ANAC n. 5 approvate con deliberazione n. 1190 del 16 novembre 2016;

  4. 80, comma 13) ove si afferma che: con linee guida l'ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell'esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c). Ad esso hanno fatto seguito le Linee guida ANAC n. 6 approvate con deliberazione n. 1293 del 16 novembre 2016;

  5. 83, ove si afferma che, per i lavori, con linee guida dell'ANAC adottate entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono disciplinati, nel rispetto dei principi di cui al presente articolo e anche al fine di favorire l'accesso da parte delle microimprese e delle piccole e medie imprese, il sistema di qualificazione, i casi e le modalità di avvalimento, i requisiti e le capacità che devono essere posseduti dal concorrente, anche in riferimento ai consorzi di cui all'articolo 45, lettere b) e c) e la documentazione richiesta ai fini della dimostrazione del loro possesso di cui all'allegato XVII;

  6. 111, sul controllo tecnico, contabile e amministrativo.

[33] Il primo comma infatti, sovrapponendosi al tenore letterale del secondo comma dell’articolo 19 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv., con mod., dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, ribadisce le competenze dell’Autority, sulla vigilanza ed il controllo sui contratti pubblici e l’attività di regolazione degli stessi, nei limiti di quanto stabilito dal Codice, specificando che essa agisce anche al fine di prevenire e contrastare illegalità e corruzione.

[34] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 436.

[35] R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 506.

[36] Tuttavia, come opportunamente rilevato da R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 3, le modalità di pubblicazione delle stesse pongono effettivamente un: «problema pratico che deriva dalla soluzione dogmatica sulla natura giuridica: le LG ANAC vengono pubblicate sul sito ANAC e poi, solo dopo, in GURI. Da quando diventano giuridicamente conoscibili, da quando diventano vincolanti? Si applica o no la vacatio legis di 15 giorni?».

[37] R. Proietti, Le principali novità in tema di contratti e concessioni pubbliche, Corriere Giur., 2016, 8-9, p. 1041: «se da una parte, infatti, l'ampliamento della discrezionalità delle stazioni appaltanti potrebbe consentire di superare le rigidità della previgente disciplina, dall'altro, si potrebbe assistere al formarsi di orientamenti contrastanti e prassi amministrative opinabili che non sempre sarà possibile correggere utilizzando linee guida o incrementando le attività di controllo e vigilanza».

[38] R. Proietti, Le principali cit., p. 1041.

[39] Contra R. De Nictolis, Il nuovo codice cit., p. 507, secondo la quale invece: «dal punto di vista sostanziale, la delega riconduce le linee guida e gli atti in questione al genere degli "atti di indirizzo" (lett. t) e li qualifica come strumenti di "regolamentazione flessibile" (termine anch'esso estraneo al nostro sistema delle fonti, di cui va qui identificata la disciplina applicabile)».

[40] Così espressamente R. Proietti, Le principali cit., p. 1041, il quale anticipava il fatto che, in questo caso: «l’emanazione segue garanzie procedimentali quali la consultazione pubblica, i metodi di analisi e di verifica di impatto della regolazione, le metodologie di qualità della regolazione, compresa la codificazione, adeguata pubblicità e pubblicazione, eventuale parere facoltativo del Consiglio di Stato».

[41] Consiglio di Stato Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo 2016 n. 855, ove si afferma che: «Nel “regolamento di confini” tra materie assegnate alle linee guida ministeriali e alle linee guida dell’ANAC, la qualificazione, attenendo a requisiti e status soggettivi, è tipicamente affidata a regole generali e astratte che completano le norme di rango primario, e dovrebbe essere affidata a fonte regolamentare, quali sono i decreti ministeriali. La competenza dell’ANAC troverebbe comunque piena esplicazione attraverso il potere di proposta, essendo la proposta un atto tipico che predetermina il contenuto del provvedimento finale».

[42] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 441, il quale tuttavia dissente dalla posizione assunta dal Consiglio di Stato.

[43] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016, p. 5.

[44] R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 508, la quale afferma: «pertanto, anche indipendentemente dal nomen juris fornito dalla delega e dallo stesso codice, tali atti devono essere considerati quali "regolamenti ministeriali" ai sensi dell'art. 17, comma 3, L. n. 400/1988, con tutte le conseguenze in termini di: - forza e valore dell'atto (tra l'altro: resistenza all'abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate, disapplicabilità entro i limiti fissati dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale); - forma e disciplina procedimentale stabilite dallo stesso comma 3 (ad esempio: comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione) e dal successivo comma 4 della legge da ultimo citata; - implicazioni sulla potestà regolamentare costituzionalmente riconosciuta a favore delle Regioni (art. 117, comma 6, Cost.), tenuto conto dell'esistenza nella materia dei contratti pubblici di titoli di competenza di queste ultime (cfr. Corte cost. 23 novembre 2007, n. 401); - rispetto alle regole codificate nell'art. 17, comma 3, L. n. 400/1988 per i regolamenti ministeriali, la legge delega "rafforza" il procedimento, prescrivendo in aggiunta - nell'evidente considerazione dell'importanza e delicatezza della materia - il parere delle competenti commissioni parlamentari».

[45] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 440, il quale specifica che essi: «hanno indubbiamente carattere innovativo dell'ordinamento, con carattere generale ed astratto. Quindi, a parte la questione nominalistica, possono essere ascritti in quella tipologia; con quello che consegue per quanto attiene alla capacità di resistenza rispetto ad altri atti, all'eventuale loro disapplicabilità secondo quanto elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, al procedimento di elaborazione ed approvazione (inclusi i pareri delle commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato) – sottoponendo a critica il fatto che - a questi caratteri dei decreti ministeriali come specie del genere regolamenti ministeriali non si attagliano, tuttavia, altre previsioni del Codice per i decreti ministeriali ivi considerati, quali in particolare la potestà di iniziativa riservata in molti casi (come previsto all'art. 1, comma 5, legge delega) all'ANAC, autorità con natura giuridica assai diversa dai ministeri statali; per di più con ambiti propositivi che non lasciano spazi significativi al MIT. Inoltre, il Codice parla dei decreti MIT come di "atti di indirizzo"; ciò che contrasta con il carattere vincolante proprio dei regolamenti ministeriale».

[46] L. Torchia, Il nuovo Codice cit., p. 606.

[47] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 441, il quale ne evidenzia il ricorso frequente dell'ultimo periodo.

[48] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 441, il quale, anticipando la natura piuttosto impervia, ricorda come il Consiglio di Stato in sede consultiva, partendo dalla considerazione che: «ANAC è autorità amministrativa indipendente, i cui poteri includono la "regolazione" (come distinto da "regolamentazione"), ha ritenuto che questa specie di linee guida sia ascrivibile al genere "atti amministrativi generali". In conseguenza, è stato ritenuto che siano soggette alle regole procedurali delle autorità amministrative indipendenti, tra cui la fase di consultazione preventiva, l'obbligo di verificare l'impatto della regolamentazione, un'adeguata pubblicità, la raccolta progressiva delle linee guida in testi di compilazione».

[49] R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 509.

[50] L. Torchia, Il nuovo Codice cit., p. 607.

[51] R. De Nictolis, Il nuovo Codice cit., p. 509. secondo la quale tale ricostruzione consente di chiarire e di risolvere una serie di problemi sul piano applicativo, sotto il profilo: della vincolatività; della tutela della garanzie procedimentali e di qualità della regolazione; della esigenza di compensare la maggiore flessibilità del "principio di legalità sostanziale" con un più forte rispetto dei criteri di 'legalità procedimentale'; della realizzazione, per gli "atti di regolazione" dell'ANAC, di forme di adeguata pubblicità; ed infine della loro sottoponibilità al vaglio giurisdizionale.

[52] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016, p.11.

[53] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016, p. 4 ove si legge che: «gli atti di regolazione delle Autorità indipendenti si caratterizzano per il fatto che il principio di legalità assume una valenza diversa rispetto ai normali provvedimenti amministrativi. La legge, infatti, in ragione dell’elevato tecnicismo dell’ambito di intervento, si limita a definire lo scopo da perseguire lasciando un ampio potere (implicito) alle Autorità di sviluppare le modalità di esercizio del potere stesso. Nella fattispecie in esame, la legge, invece, ha definito in modo più preciso le condizioni e i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione propria degli atti legislativi».

[54] Qui si innesterebbe la problematica, prontamente sollevata da una parte della dottrina, sulla necessità, ammissibilità e compatibilità di un’attività di regolazione con il c.d. “mercato dei contratti pubblici. Il tema, che esula necessariamente dallo spazio concesso, è stato posto in evidenza da L. Torchia, Il nuovo Codice cit., p. 607 secondo la quale: «la presenza di un’autorità indipendente per il mercato dei contratti pubblici non è invece prevista dalle direttive europee, né sussiste nella maggior parte dei paesi europei, con la conseguenza che la qualificazione dei poteri regolatori resta incerta anche per la mancanza di un quadro di riferimento generale e diffuso negli altri ordinamenti soggetti alle regole delle direttive europee in materia».

[55] Consiglio di Stato, Sez. VI, 18/9/2015 n. 4358 espressamente citato da M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 442.

[56] In quel caso specifico, individuata nel ruolo di fonte sulla produzione delle linee guida.

[57] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016, p. 11, ove si afferma che: «le linee guida elaborate dall’ANAC e sottoposte al parere del Consiglio di Stato hanno un duplice contenuto: da un lato attuano l’art. 31, comma 5, dall’altro lato sembrano voler fornire indicazioni interpretative delle disposizioni dell’art. 31 codice nel suo complesso. Mentre nella parte in cui attuano l’art. 31, comma 5, del codice, hanno portata vincolante, nella parte in cui forniscono una esegesi dell’art. 31 nel suo complesso, sono adottate ai sensi dell’art. 213, comma 2 del Codice, e hanno una funzione di orientamento e moral suasion. All’ANAC è sempre consentito emanare indicazioni interpretative, utili soprattutto nell’immediatezza dell’entrata in vigore della nuova disciplina, al fine di prevenire incertezze esegetiche e contenziosi, e indicare alle stazioni appaltanti le migliori prassi. Ciò posto, per ragioni di certezza e chiarezza in ordine a portata e contenuti, è bene distinguere le linee guida in due parti, distinte già in base al relativo titolo ed esplicitare in modo chiaro (per evidenti ragioni di certezza per gli operatori) che soltanto la seconda di esse assume portata vincolante)».

[58] Parere consultivo numero 01767/2016 del 02/08/2016, ove si legge espressamene che tale qualificazione è invece attribuibile alle linee guida vincolanti. Il Consiglio di Stato richiama il Suo stesso parere del 1° aprile 2016, n. 855 affermando: «Ciò al fine di un efficace svolgimento dell’azione di indirizzo nei confronti delle stazioni appaltanti, in virtù della quale l’adeguamento di quest’ultime alle linee guida risieda nell’intrinseca capacità regolatoria di queste ultime e la scelta conformativa dell’amministrazione possa legittimamente essere espressa anche in assenza di specifica motivazione, poiché essa è ricavabile nell’atto presupposto emanato dall’Autorità».

[59] Alle quali, come lo stesso Consiglio di Stato non è mancato di avvisare nel Parere consultivo numero 01767/2016 del 02/08/2016, si aggiunge l’ulteriore e più rilevante rischio insito nel nuovo strumento di: «trascendere rispetto alla funzione tipica di soft law, attraverso l’irrigidimento delle regole, intervenendo così in modo tendenzialmente onnicomprensivo nei margini di apprezzamento discrezionale riconosciuti dal codice alle stazioni appaltanti e di appesantimento dell’azione amministrativa, in una materia in cui le implicazioni a livello economico e di efficace gestione delle risorse pubbliche pongono con forza l’esigenza di adeguati livelli di certezza e chiarezza sostanziale del quadro regolatorio».

[60] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 reso in data 02/08/2016.

[61] Consiglio di Stato, Parere Comm. Spec., 1 aprile 2016, n. 855.

[62] M. P. Chiti, Il sistema delle fonti cit., p. 441 il quale tuttavia dissente dalla qualificazione offerta dal Consiglio di Stato alle linee guida in termini di atti amministrativi generali.

[63] Così, R. Proietti, Le principali cit., p. 1041 che ricava tale qualifica dalla sottoposizione al parere delle commissioni parlamentari ed al parere del Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 17L. 23 agosto 1988, n. 400.

[64] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 del 02/08/2016, p. 4.

[65] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 del 02/08/2016, p. 7 il quale considera imprescindibile la valutazione del caso concreto, per cui: «l’amministrazione potrà non osservare le linee guida – anche se esse dovessero apparire “prescrittive”, magari perché riproducono una disposizione del precedente regolamento attuativo – se, come in molti casi previsto da queste ultime, la peculiarità della fattispecie concreta giustifica una deviazione dall’indirizzo fornito dall’ANAC ovvero se sempre la vicenda puntuale evidenzi eventuali illegittimità delle linee guida nella fase attuativa».

[66] Consiglio di Stato, Parere consultivo numero 01767/2016 del 02/08/2016, p. 4 che rinvia in questo senso a Cons. Stato, Commissione speciale, 26 giugno 2013, n. 3014, sulle modalità di impugnazione del d.P.R. n. 207 del 2010.

[67] M. Veronelli, Atto di indirizzo ministeriale e giudice amministrativo, Giornale Dir. Amm., 2003, 4, 377 la quale, in nota a T.A.R. Veneto Sez. III, 25 maggio 2002, n. 2393, specifica che: «gli atti di indirizzo, invece, sono generalmente esclusi dal novero degli atti impugnabili davanti al giudice amministrativo. Gli effetti di tali direttive, infatti, si esauriscono, nella stragrande maggioranza dei casi, nella sfera interna degli uffici pubblici, senza incidere sulle situazioni giuridiche private. A partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, l'impostazione secondo la quale soltanto la decisione finale, concreta e puntuale, risultava rilevante ai fini dell'impugnabilità è stata ampiamente superata. Numerosi atti di indirizzo, infatti, sono idonei a creare, modificare ed estinguere, anche se soltanto indirettamente, situazioni giuridiche soggettive. La giurisprudenza in questi casi ne ammette la cd. «impugnazione congiunta» con il successivo atto applicativo e si usa indicare questa circostanza con l'espressione di «atti a giustiziabilità differita».

[68] P. Cosmai, L'ANAC traccia le linee guida per la "trasparenza" organizzativa e del personale dopo il decreto FOIA, Azienditalia - Il Personale, 2017, 2, 97.

[69] F. Caringella, Corso cit., p. 1002, il quale prosegue ricordando la natura incompatibile di tale potere, secondo l’approccio ermeneutico che considera la possibilità di adottare norme generali ed astratte incidenti nella sfera della collettività alla stregua di precipitato della diretta o indiretta investitura elettorale e democratica dell’organo e, più in generale, dell’ente in esame, e che finisce per escludere l’ascrizione del potere in testa a soggetti privi di legittimazione politico-rappresentativa.

[70] R. Bin, Le fonti cit., p. 15, il quale specifica inoltre che: «l’osmosi tra pubblico e privato è dunque un tratto caratteristico, anzi programmatico, di queste regolazioni».

[71] Come definito nell’art. 1 comma 1 legge 6 novembre 2012, n. 190 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione-: «in attuazione dell’articolo 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110, la presente legge individua, in ambito nazionale, l’Autorità nazionale anticorruzione e gli altri organi incaricati di svolgere, con modalità tali da assicurare azione coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione».

[72] Con la quale le furono trasferite le funzioni e le competenze dell'originaria Commissione Indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbiche (CIVIT), prevista dall’art. 13 del d. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 di attuazione della legge 4 marzo 2009 n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, l’art. 13 comma 6 del quale disponeva tra l’altro, alla lettera e) il potere di adottare le linee guida per la predisposizione dei Programma triennale per la trasparenza e l'integrità di cui all'articolo 11, comma 8, lettera a); e alla lettera f) il potere di adottare le linee guida per la definizione degli Strumenti per la qualità dei servizi pubblici.

[73] F. Caringella, Corso cit., p. 997, il quale qualifica espressamente in tal senso le autorità indipendenti.

[74] F. Caringella, Corso cit., p. 998, ove è specificato che: «la venuta alla luce della costellazione delle autorità indipendenti risponde quindi, specie per quel che concerne le funzioni propriamente tutorie e di garanzia, all’esigenza di scorporo e neutralizzazione del governo degli interessi, rientranti nei settori sensibili, dalla linea e dagli apparati della ordinaria vita amministrativa nella convinzione che, senza inquinare le funzioni di controllo con gli interessi egoistici dell’amministrazione attiva tradizionale ed evitando ogni forma di condizionamento politico, agiscano in veste neutra per il perseguimento dell’interesse obiettivo dell’ordinamento. Organismi, come tali, in definitiva, indipendenti. Nel contempo, anche per quel che afferisce alle funzioni amministrative, in senso proprio, la nascita di dette entità, è motivata dalla insoddisfazione per le capacità mostrate dalle autorità classiche in sede di gestione delle problematiche e materie contraddistinte da un notevole tasso di tecnicismo», il quale rinvia in nota a L. Barra Caracciolo, Funzione amministrativa e amministrazione neutrale nell’ordinamento USA. Profili comparativi con l’esperienza italiana, Torino, 1997.

[75] R. Bin, Le fonti cit., p. 14 pone in risalto l’interesse sul fenomeno affermando che: «lo Stato –si dice– tende a ritrarsi dall’intervento diretto e dall’esercizio del potere normativo e affida i compiti di regolazione a soggetti che, pur istituiti e disciplinati per legge, si collocano ai margini o fuori del sistema dell’autorità pubblica».

[76] F. Caringella, Corso cit., p. 1001 che intravede in ciò le ragioni di: «una rinuncia a provvedere da parte degli organi costituzionali competenti, rinuncia che va a vantaggio di nuovi soggetti all’uopo muniti di poteri normativi, amministrativi e paragiurisdizionali».

[77] Tuttavia come osservato da L. Torchia, Il nuovo Codice cit., p. 607, dalla natura composita della missione dell’ANAC deriverebbe l’incertezza relativa alla qualificazione dei poteri regolatori alla stessa attribuita, non essendo: «chiaro se la vigilanza sui contratti pubblici sia strumentale e finalizzata alla lotta alla corruzione o se, invece sia la prevenzione della corruzione ad essere strumentale al buon funzionamento del mercato dei contratti pubblici, che costituisce, in Italia come in altri paesi, una leva economica assai rilevante».

[78] Lettera così sostituita dall'art. 41 d. lgs. 25 maggio 2016, n. 97.

[79] Lettera così sostituita dall'art. 54-bis, comma 1, lett. a), legge 9 agosto 2013 n. 98.

[80] Introdotto dall'art. 41 d.lgs. n. 97 del 2016.

[81] Così sostituito dall'art. 41 d.lgs. n. 97 del 2016, competenza affiancata da quella che il comma 4 attribuisce al Dipartimento della funzione pubblica, in relazione ai poteri di cui alle lettere b) (promuovere e definire norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione, coerenti con gli indirizzi, i programmi e i progetti internazionali) e d) (definire modelli standard delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla presente legge, secondo modalità che consentano la loro gestione ed analisi informatizzata), da esercitarsi anche secondo linee di indirizzo adottate dal Comitato interministeriale istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

[82] R. Bin, Le fonti cit., p. 14, secondo il quale esse: «sono “indipendenti” nel senso che vengono sottratti al circuito politico-rappresentativo: se ciò dovrebbe rafforzare il carattere “neutrale” della loro attività normativa, ne indebolisce ovviamente la legittimazione, rompendo proprio quel rapporto, tradizionalmente considerato necessario, tra rappresentanza politica, garanzie procedimentali e collocazione degli atti nella gerarchia delle fonti».

[83] Corte Costituzionale 7 novembre 1995 n. 482

[84] Corte Costituzionale n. 482 del 1995 ove si afferma altresì che: «caratterizza la speciale configurazione e collocazione della nuova Autorità il sistema di nomina dei suoi cinque membri, effettuata d'intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il particolare rapporto con il Parlamento è sottolineato anche dalla relazione che l'Autorità deve ad esso inviare annualmente. Le attribuzioni dell'Autorità non sostituiscono né surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale è configurata l'indipendenza dell'organo. Le attività rimesse all'Autorità assumono carattere strumentale rispetto alla conoscenza ed alla vigilanza nel complessivo settore dei lavori pubblici».

[85] C. Polidoro, I Contratti pubblici nel settore dei servizi sociali, p. 6, Relazione al Convegno “I primi 300 giorni del Codice 50 nella Giurisprudenza” tenutosi in Roma il 14 febbraio 2017 e disponibile all’indirizzo: http://www.igitalia.it/doc/conv1402-17polidori.pdf, nel corso della quale, mutuando una locuzione già utilizzata da Rodolfo Sacco, è stato specificato che: «difatti - definito il “formante” come «la base giuridica sulla quale si sviluppa l’ordinamento giuridico di una società» ed escluso che gli “strumenti di regolazione flessibile” adottati dall’ANAC, ai quali si riferisce l’art. 213, comma 2, vadano ad inserirsi nel sistema delle fonti del diritto (a differenza delle c.d. “linee guida ministeriali”, da qualificare come veri e propri regolamenti ministeriali”) - vi è motivo di ritenere che il legislatore, attraverso la previsione di tali atti abbia configurato un nuovo “formante” per l’attività delle stazioni appaltanti, ossia una nuova fonte degli obblighi delle stazioni appaltanti».