TAR Toscana Sezione Terza, 13 febbraio 2017, n. 231

L’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016, che disciplina specificamente la “clausola sociale” in applicazione della disciplina europea e che ha un contenuto più specifico dell’art. 69 del d.lgs. n. 163 del 2006, contiene sì la specifica previsione del “possibile” inserimento nei bandi di gara della suddetta clausola, affermando che essa mira a “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”, ma “nel rispetto dei principi dell’Unione Europea”. La “stabilità occupazionale”, che è sicuramente un obiettivo normativo importante e un valore ordinamentale, deve essere “promossa” e non rigidamente imposta e comunque deve essere armonizzata con i principi europei della libera concorrenza e della libertà d’impresa, così da escludere un rigido obbligo di garanzia necessaria della stabilità, pur in presenza di variato ambito oggettivo del servizio a gara.

 

(1)  Conforme: Consiglio di Stato Terza Sezione, sentenza n. 1255 del 2016

 

Guida alla lettura

                                                         

“L’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016, che disciplina specificamente la “clausola sociale” in applicazione della disciplina europea, … contiene sì la specifica previsione del “possibile” inserimento nei bandi di gara della suddetta clausola, affermando che essa mira a “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”, ma “nel rispetto dei principi dell’Unione Europea”… Si tratta di disciplina normativa che non innova, ed anzi sussume nel testo di legge i risultati cui era giunta la giurisprudenza, giacché la “stabilità occupazionale”, che è sicuramente un obiettivo normativo importante e un valore ordinamentale, deve essere “promossa” e non rigidamente imposta e comunque deve essere armonizzata con i principi europei della libera concorrenza e della libertà d’impresa, così da escludere un rigido obbligo di garanzia necessaria della stabilità, pur in presenza di variato ambito oggettivo del servizio a gara”.

Nel caso oggetto di tale pronuncia la Regione Toscana ha indetto una procedura aperta volta alla conclusione di una convenzione quadro per la gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari. La società ricorrente impugna il bando di gara, il disciplinare, il capitolato normativo e altri atti, contestando specificamente le previsioni degli atti di gara relative alla c.d. “clausola sociale” secondo cui, al fine di promuovere la stabilità del personale impiegato, l’aggiudicatario “è obbligato al rispetto della clausola sociale finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali, come risultante dalle liste fornite, in allegato C1, relative alle unità lavorative attualmente impiegate del servizio”, cioè 47 lavoratori suddivisi nelle aree territoriali corrispondenti alle vecchie ESTAV.

Come è noto, negli appalti caratterizzati dall'impiego prevalente di manodopera (c.d. labour intensive) il fenomeno del “cambio di appalto”, ovvero dell’alternarsi di più aziende nell’esecuzione di un medesimo appalto (sebbene, nel caso di specie, si sia in presenza di “un oggetto della selezione modificato per effetto di riduzioni sia del numero dei Presidi Ospedalieri … come pure delle prestazioni da eseguire”) per uno stesso committente, spesso reca allarme sociale a causa dell’incertezza relativa alla continuazione dei rapporti di lavoro tra vecchio e nuovo appaltatore. Difatti, l’art. 29 del D.lgs. 276/2003 al terzo comma prevede che, se anche il nuovo appaltatore è obbligato (in forza di una disposizione di legge, di un contratto collettivo o di una clausola inserita nel singolo contratto di appalto) ad “acquisire” il personale già impiegato dal precedente appaltatore, non si configura comunque un caso di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c.., ossia non si ha  la garanzia che il lavoratore conservi tutti i diritti che derivanti dal rapporto di lavoro (come l’anzianità di servizio maturata e il medesimo inquadramento contrattuale). Ciò è quanto si verifica di norma in assenza di specifiche “clausole sociali” (dette anche “di protezione”) spesso contenute all’interno dei contratti collettivi, dei bandi di gara, ecc.. che, per “proteggere” i lavoratori coinvolti nel cambio di appalto, prevedono l’obbligo in capo all’appaltatore subentrante di riassumere il personale già impiegato nell’appalto alle dipendenze dell’appaltatore uscente, conservando le stesse condizioni contrattuali. Finalità della clausola sociale sono quindi la tutela del diritto dei lavoratori sia all’occupazione, sia a condizioni di lavoro dignitose e la promozione di standard elevati di tutela sociale, valori che, primariamente in sede comunitaria, hanno portato le clausole sociali all’attenzione della Commissione europea. Si pensi alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE; in particolare, alla più recente direttiva 2014/24/UE che considera l’istituto delle clausole sociali funzionale al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale, tra i quali la “promozione” delle opportunità di occupazione, la “promozione” del lavoro dignitoso e la “promozione” dell’osservanza dei diritti sociali e di lavoro. Allo stesso modo anche le altre due nuove direttive comunitarie (23, e 25 del 2014), all’interno della Strategia Europa 2020, mirano, insieme alla n. 24 del 2014 cit., proprio a fare un uso strategico degli appalti pubblici, quale strumento di politica economica e sociale, promuovendo obiettivi sociali, quali la tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dei contratti pubblici e l’impiego nel lavoro dei soggetti svantaggiati. Il D.lgs. 50/16, all’art. 50 recepisce espressamente tale orientamento comunitario e prevede, in modo più specifico del vecchio art. 69 del D.lgs. n. 163 del 2006, che “per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi contenuto intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti possono inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione Europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato … I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto”.

Pertanto, in linea con una tale normativa comunitaria e nazionale, che la promozione della stabilità occupazionale del personale impiegato sia il fine perseguito dall’istituto della clausola sociale non è messo in dubbio né dalla società ricorrente, né dal Tar toscano nel suddetto giudizio.

La censura della ricorrente investe invece la formulazione della “clausola sociale” nel bando di gara oggetto di giudizio, non volta semplicemente a “promuovere la stabilità occupazionale”, come prevede l’art. 50 del Codice degli appalti, bensì ad imporre l’assunzione di tutto il personale attualmente presente, indicandone numero, inquadramento, orario, violando così i principi del diritto dell’U.E. di concorrenza e libertà d’impresa, perseguiti anche dalla nostra Carta costituzionale (art. 41 Cost.), e pure richiamati dall’art. 50 suddetto e dalla giurisprudenza amministrativa, finora dominante. Quest’ultima ha infatti escluso che la “clausola sociale” possa comportare in forma automatica e generalizzata l’obbligo di assunzione del personale uscente, dovendo essa essere armonizzata con la libertà di organizzazione dell’imprenditore (Cons. St, sez. 3^, n. 1255/2016; 5598/15; 4274/15; 2637/15). Allo stesso modo si sono espressi i pareri ANAC, i quali hanno evidenziato che la “clausola sociale” deve solo comportare priorità nell’assorbimento del personale uscente, mentre non può comportare obbligo di integrale assorbimento (pareri n. 41 del 2013 e 40 del 2014). Le resistenti, invece, ritengono che tale giurisprudenza sia stata elaborata sotto la vigenza della vecchia normativa, senza tener conto degli sviluppi normativi successivi e della dimensione maggiormente sociale della normativa europea dopo il Trattato di Lisbona, l’art. 3 comma 3 TUE e art. 9 TFUE, gli artt. 18, comma 2, e 70 della nuova direttiva appalti, i criteri direttivi della legge n. 11 del 2016 e il testo dell’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016, che – a parere delle Amministrazioni resistenti – giustificherebbero oggi “una maggiore tutela dei lavoratori”. Secondo queste ultime, la disciplina di cui all’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016 e la normativa europea di cui esso costituisce attuazione, innovano facendo ritenere legittima una clausola, come quella nel giudizio in esame, che impone all’aggiudicatario della gara un rigido obbligo di conservazione delle manodopera già impiegata nel pregresso servizio, ancorché in parte modificato.

Il Collegio ritiene tuttavia che la censura della società ricorrente sia fondata, in linea con l’orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente (Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 1255 del 2016). È in particolare la tutela della libera concorrenza, ratio ispiratrice dell’evidenza pubblica stessa, che ha spostato nel tempo l’attenzione dalle amministrazioni agli operatori economici, a muovere il Collegio verso una tale decisione, facendo sì che l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, vada armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante. Tanto più ad una tale conclusione si perviene stando alla lettera della recente normativa europea e del nuovo codice che l’ha recepita, i quali all’unisono parlano chiaramente di “promozione” senza imporre una clausola sociale di tenore forte (che preveda l’obbligo rigido di riassunzione). Infatti, lo stesso art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016 contiene sì la specifica previsione del “possibile” inserimento nei bandi di gara della suddetta clausola, affermando che essa mira a “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”, ma “nel rispetto dei principi dell’Unione Europea”. Tali principi sono appunto quelli della libera concorrenza, della libertà di impresa, che non possono consentire l’obbligatorietà, nella lex specialis, di assunzione del personale già presente nel precedente affidamento.

 

 

Pubblicato il 13/02/2017

N. 00231/2017 REG.PROV.COLL.

N. 01598/2016 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1598 del 2016, proposto da:
Mengozzis.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Teresa Grassi e Massimiliano Brugnoletti, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Firenze, piazza Nazario Sauro, n. 2;

contro

Estar - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Iaria, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via dei Rondinelli, n. 2;
Regione Toscana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Luciana Caso e Arianna Paoletti, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale della Regione Toscana in Firenze, piazza dell'Unità Italiana, n. 1;

per l'annullamento

- del Bando per l'affidamento dell'appalto per il servizio raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti sanitari, pubblicato sulla GURI il 24.10.2016;

- del disciplinare di gara;

- del Capitolato normativo;

- dell'allegato C1;

- dello schema di convenzione;

- di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, compresa la deliberazione di indizione della gara.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Estar - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale e di Regione Toscana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2017 il dott. Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1 - Con il ricorso introduttivo del giudizio la società <Mengozzis.p.a.>, premesso che la Regione Toscana quale soggetto aggregatore ha indetto una procedura aperta finalizzata alla conclusione di una convenzione quadro per la gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari, impugna il bando di gara, il disciplinare, il capitolato normativo e gli altri atti, come meglio in epigrafe indicati, contestando specificamente le previsioni degli atti di gara relativi alla c.d. “clausola sociale”. Si tratta cioè della previsione di cui all’art. 9.6 del Capitolato, in base alla quale, al fine di promuovere la stabilità del personale impiegato, l’aggiudicatario dovrà, da un lato, applicare il contratto che presenta le migliori condizioni fra i contratti collettivi di settore, e, dall’altro, “è obbligato al rispetto della clausola sociale finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali, come risultante dalle liste fornite, in allegato C1, relative alle unità lavorative attualmente impiegate del servizio”, cioè 47 lavoratori suddivisi nelle aree territoriali corrispondenti alle vecchie ESTAV. Parte ricorrente evidenzia che il mancato rispetto della clausola sociale potrà essere valutato, secondo le prescrizioni del Capitolato stesso, come grave negligenza nell’esecuzione dell’appalto e che l’art. 9.7 del capitolato stesso prevede la costituzione di specifico organo tecnico preposto al controllo e vigilanza del rispetto della clausola sociale.

2 - Nei confronti degli atti gravati la società ricorrente formula le seguenti censure:

– “Violazione dell’art. 50 d.lgs. n. 50/2016. Violazione dell’art. 2070 c.c. Violazione dell’art. 41 Cost. e del principio della libertà d’impresa. Carenza di istruttoria. Violazione dell’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003”. In seno alla suddetta censura vengono poste due questioni: a) in primo luogo parte ricorrente censura la “clausola sociale” così come formulata negli atti di gara, giacché tesa non a “promuovere la stabilità occupazionale”, come prevede l’art. 50 del Codice degli appalti, bensì ad imporre l’assunzione di tutto il personale attualmente presente, indicandone numero, inquadramento, orario, in tal modo violando i principi del diritto dell’U.E., di concorrenza e libertà d’impresa, pure richiamati dall’art. 50 cit.; evidenzia che detta formulazione è in contrasto con i principi in materia elaborati dalla giurisprudenza e dall’ANAC, dovendo la “clausola sociale” solo comportare priorità nell’assorbimento del personale uscente e non potendo imporre il riassorbimento dell’intero personale uscente, incidendo altrimenti sulla libera esplicazione della libertà imprenditoriale; tanto più in presenza di un elenco del personale (Allegato C1) che risulta sovradimensionato rispetto alle esigenze, anche perché l’oggetto della gara da svolgere è diverso dal precedente affidamento, non comprendendo alcuni ospedali e alcune prestazioni; parte ricorrente rileva infine che la “clausola sociale” come formulata, se ritenuta conforme all’art. 50 cit., impone la disapplicazione del suddetto art. 50 per contrasto con le norme europee; b) in secondo luogo parte ricorrente evidenzia come la stazione appaltante abbia esorbitato rispetto ai limiti imposti dall’art. 50 cit. anche imponendo l’applicazione di uno specifico contratto collettivo, quello migliore, e non di un contratto collettivo di settore come previsto dall’art. 50 cit., tanto più che non esiste un CCL del settore rifiuti sanitari;

– “Violazione degli artt. 3, 35, 97 del d.lgs. n. 50 del 2016. Erronea e carente istruttoria”. Parte ricorrente rileva la insufficienza della base d’asta così come predisposta dalla stazione appaltante, che presuppone un prezzo di € 1,38/kg, del 20% più basso dei prezzi correnti e delle aggiudicazioni similari, anche perché ulteriormente abbattuto dal passaggio del pagamento del prezzo da peso lordo a peso netto.

3 - Si sono costituti in giudizio, per resistere al ricorso, ESTAR e Regione Toscana. ESTAR eccepisce la inammissibilità della prima censura, perché la ricorrente è il gestore uscente, per cui non ci sarebbe alcun passaggio di personale, che presuppone il cambio di gestore, con conseguente inapplicabilità della clausola sociale. Le resistenti evidenziano che la clausola in contestazione è frutto di Protocollo d’Intesa tra Regione, ESTAR e Sindacati del 7.4.2015, in esito al quale si è svolto un confronto per la stesura degli atti della presente gara ove è stato stabilito di garantire la stabilità di tutto il personale del servizio in discussione, dato il difficile quadro economico e la scarsa specializzazione del personale stesso che ne rende difficile il ricollocamento; esse rilevano poi che la giurisprudenza richiamata in ricorso, relativa alla necessità di configurare la clausola sociale in termini compatibili con la libertà d’impresa, è stata elaborata sotto la vigenza della vecchia normativa, senza tener conto degli sviluppi normativi successivi e a tal fine richiamano la dimensione maggiormente sociale della normativa europea dopo il Trattato di Lisbona, l’art. 3 comma 3 TUE e art. 9 TFUE, gli artt. 18, comma 2, e 70 della nuova direttiva appalti, i criteri direttivi della legge n. 11 del 2016 e il testo dell’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016. ESTAR eccepisce anche la inammissibilità del secondo motivo, non essendo la stazione appaltante tenuta a garantire la remuneratività di ogni offerta e comunque la sua infondatezza.

4 – Chiamata la causa alla pubblica udienza del giorno 31 gennaio 2017 e sentiti i difensori comparsi, come da verbale, la stessa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

5 – Deve essere in primo luogo esaminata la prima doglianza formulata in seno al primo motivo di ricorso, con la quale parte ricorrente contesta la “clausola sociale” così come formulata dall’art. 9.6 del Capitolato e poi ripresa dall’art. 14 dello schema di Convenzione, per contrasto con l’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016 e con la normativa europea, in quanto prevede non la priorità dell’assunzione del personale uscente ma la obbligatoria assunzione di tutto il personale precedentemente impiegato.

5.1 – ESTAR eccepisce la inammissibilità della suddetta censura, evidenziando che nella specie non verrebbe in considerazione l’obbligo di assunzione da parte dell’operatore subentrante poiché la società ricorrente è il gestore attuale del servizio.

L’eccezione è infondata.

Risulta decisivo il rilievo secondo cui la società ricorrente risulta essere gestore solo di parte dei servizi messi a gara, peraltro in raggruppamento con altri operatori economici, e che essa censuri la congruità del personale da riassumere obbligatoriamente anche in relazione alle modificazioni dell’oggetto contrattuale rispetto alla gestione in corso. In tal quadro non può negarsi l’interesse della ricorrente a contestare la clausola sociale da rispettare in sede di esecuzione del contratto che verrà stipulata all’esito della nuova procedura di gara.

5.2. - È necessario partire dal rilevare che la Mengozzis.p.a. formula una duplice serie di premesse alla sua doglianza evidenziando, da un lato, come la “clausola sociale” in contestazione presenti la peculiarità di imporre all’aggiudicatario, in sede di esecuzione contrattuale, “l’assunzione di tutto il personale attualmente <in forza all’appalto> (47 unità), indicandone il numero, l’inquadramento, e l’orario nell’allegato C1 del capitolato” e, dall’altro lato, che la invarianza di personale da impiegare è da garantire pur in presenza di un oggetto della selezione modificato “per effetto di riduzioni sia del numero dei Presidi Ospedalieri (sono esclusi dalla presente gara gli Ospedali di Massa, Lucca, Pistoia e Prato, come evidenziato nel capitolato, presenti invece nella precedente gara)” come pure delle prestazioni da eseguire. È importante porre in evidenza come entrambe le premesse risultano sostanzialmente confermate da ESTAR, ente cui è rimessa la predisposizione e gestione della gara. In relazione alla prima premessa nella sua memoria ESTAR rileva (e lo stesso vale per Regione Toscana) come la “clausola sociale” sia stata il frutto di negoziazione con le organizzazioni sindacali, che ha portato ad un Protocollo d’Intesa del 7.4.2015, dal quale è scaturito un confronto anche in relazione alla presente gara, all’esito del quale “è emersa l’esigenza di garantire la stabilità occupazionale di tutto il personale già impiegato nell’appalto, dato il quadro economico complessivo ancora fortemente negativo e considerato anche che il servizio in discussione, avendo ad oggetto la raccolta ed il trasporto di rifiuti, si caratterizza per prestazioni scarsamente specializzate (il che rende particolarmente difficile per i lavoratori trovare una nuova collocazione lavorativa)”. Quanto alla seconda premessa ESTAR non contesta la riduzione del numero dei presidi serviti rispetto al servizio in essere ma pone in evidenza come “lo stralcio di quattro presidi ospedalieri rispetto al precedente servizio cui controparte fa riferimento non preclude il proficuo reimpiego delle 25 unità di personale in discussione”, cioè quelle ritenute eccedenti da parte ricorrente; aggiunge ESTAR che poi “è ben possibile – ed è anzi prevedibile, atteso quanto accaduto anche nel corso del servizio pregresso – che detto servizio varrà via via esteso anche ad altri istituti ed enti”.

5.3 – Anche sulla valutazione del corretto inquadramento giuridico della “clausola sociale” come emergente dalla giurisprudenza e dalla prassi di vigilanza anteriore alla disciplina oggi vigente (cioè risultante dalla direttiva 2014 e dal Codice del 2016) le parti convengono. La società ricorrente infatti richiama la giurisprudenza amministrativa che ha escluso che la “clausola sociale” possa comportare in forma automatica e generalizzata l’obbligo di assunzione del personale uscente, dovendo essa essere armonizzata con la libertà di organizzazione dell’imprenditore (Cons. St, sez. 3^, n. 1255/2016; 5598/15; 4274/15; 2637/15), nonché i pareri ANAC che hanno evidenziato che la “clausola sociale” deve solo comportare priorità nell’assorbimento del personale uscente, mentre non può comportare obbligo di integrale assorbimento (pareri n. 41 del 2013 e 40 del 2014). ESTAR nella propria memoria afferma di non ignorare “l’orientamento giurisprudenziale invocato ex adverso che, in passato, ha frequentemente ravvisato un limite alla possibilità delle stazioni appaltanti di porre clausole sociali vincolanti nella libertà di impresa e di autonomia imprenditoriale”. ESTAR evidenzia tuttavia (e lo stesso ragionamento è svolto da Regione Toscana) che “non si può trascurare che, in tempi più recenti, il quadro normativo (anche europeo) è andato mutando, sviluppandosi principi ed orientamenti di senso opposto, che – a parere delle Amministrazioni resistenti – giustificano oggi una maggiore tutela dei lavoratori”.

5.4 – Alla luce delle considerazioni svolte il punto del contendere risulta dunque in parte circoscritto. La tesi di parte ricorrente è che tanto con richiamo alla giurisprudenza formatasi in passato (e alla corrispondente prassi di ANAC) tanto in applicazione della più recente disciplina interna ed europea la “clausola sociale” così come formulata nella presente gara sia illegittima. A ciò si contrappone la lettura delle resistenti, secondo cui la disciplina di cui all’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016 e la normativa europea di cui esso costituisce attuazione, innovando rispetto al quadro disciplinare previgente, porta oggi a ritenere legittima una clausola, come quella in esame, che impone all’aggiudicatario della gara un rigido obbligo di conservazione delle manodopera già impiegata nel pregresso servizio, ancorché in parte modificato.

Il Collegio ritiene che la censura in esame sia fondata.

Lo stato della interpretazione giurisprudenziale, peraltro pacificamente ricostruito dalle parti in causa, può essere sintetizzato, richiamando la sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 1255 del 2016, nel modo che segue: a) la “clausola sociale” deve conformarsi ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando, altrimenti, essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 della Costituzione; b) conseguentemente, l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante; c) la clausola non comporta invece alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria .(cfr. Cons. Stato, III, n. 1896/2013). Alla luce di tale interpretazione la clausola di cui alla presente controversia, congiuntamente letta dalle parti come tale da imporre in termini rigidi la conservazione del personale di cui al precedente appalto, risulta illegittima, dovendo invece essa essere formulata in termini di previsione della priorità del personale uscente nella riassunzione presso il nuovo gestore, in conformità alle esigenze occupazionali risultanti per la gestione del servizio, in modo da armonizzare l’obbligo di assunzione con l’organizzazione d’impresa prescelta dal gestore subentrante (in termini la sentenza della Sezione n. 1426 del 2016 nonché la sentenza della Prima Sezione di questo TAR n. 261 del 2016). Un tale esito interpretativo non cambia anche tenendo conto della normativa più recente, applicabile alla presente fattispecie, come sostenuto da parte ricorrente. Il primo riferimento deve essere alla direttiva 24/2014/UE invocata da parte resistente; seppur in essa sia sicuramente riscontrabile una specifica attenzione alle esigenze sociale, cui anche le commesse pubbliche possono essere funzionali, non pare tuttavia che se ne possano ricavare indirizzi specifici nel senso sostenuto dalle resistenti stesse; il secondo <considerando> della direttiva citata si limita a prevedere un utilizzo delle procedure di gara “per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale”, l’art. 18, comma 2, della medesima direttiva prevede l’obbligo degli Stati membri di garantire nell’esecuzione degli appalti il rispetto degli obblighi sociale e del lavoro e l’art. 70 stabilisce che nell’esecuzione dell’appalto possono trovare spazio considerazioni sociali o relative all’occupazione; si tratta di previsioni di sicura importanza e tali da trovare esplicazione anche nella “clausola sociale” qui esaminata, tuttavia senza che le stessi arrivino a giustificare o imporre una clausola sociale di tenore forte (che impone l’obbligo rigido di riassunzione) come ritenuto dalle resistenti. D’altra parte l’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016, che disciplina specificamente la “clausola sociale” in applicazione della disciplina europea e che ha un contenuto più specifico dell’art. 69 del d.lgs. n. 163 del 2006, contiene sì la specifica previsione del “possibile” inserimento nei bandi di gara della suddetta clausola, affermando che essa mira a “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”, ma “nel rispetto dei principi dell’Unione Europea”. Ad avviso del Collegio si tratta di disciplina normativa che non innova, ed anzi sussume nel testo di legge i risultati cui era giunta la giurisprudenza, giacché la “stabilità occupazionale”, che è sicuramente un obiettivo normativo importante e un valore ordinamentale, deve essere “promossa” e non rigidamente imposta e comunque deve essere armonizzata con i principi europei della libera concorrenza e della libertà d’impresa, così da escludere un rigido obbligo di garanzia necessaria della stabilità, pur in presenza di variato ambito oggettivo del servizio a gara.

5.5 – Si impone al Collegio un ulteriore profilo motivazionale, a conferma delle conclusioni raggiunte, in risposta ai rilievi svolti da entrambe le parti resistenti nelle memorie finali, con richiamo da parte di entrambe alla recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. 5^, n. 2433 del 2016, ritenuta dalle stesse di tenore tale da confermare gli assunti difensivi delle resistenti medesime. Ad avviso delle resistenti tale sentenza si sarebbe pronunciata a favore della legittimità di una clausola che preveda il riassorbimento di tutto il personale uscente, anche in ipotesi in cui tale personale non sia necessario per l’appalto in considerazione, potendo il personale in eccesso essere utilizzato in altre commesse facenti capo allo stesso operatore economico. In realtà nella citata sentenza il giudice d’appello non sembra affrontare il tema della legittimità della “clausola sociale” che imponga l’integrale riassorbimento di tutto il personale impiegato dall’operatore economico uscente, giacché non risulta che la clausola sociale sia stata fatta oggetto di impugnazione in quel giudizio, ma si occupa del giudizio di anomalia dell’offerta dell’aggiudicatario di una procedura di concessione; l’appellante sostiene che l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere giudicata anomala “perché non recante l’utilizzo di tutti e 13 gli addetti al servizio da essa impiegati nella precedente gestione”, riutilizzo integrale imposto, tra l’altro, dalla “clausola sociale” presente nel disciplinare di gara; il Consiglio di Stato, risolvendo tale questione, afferma invece che l’aggiudicataria ha prestato alla clausola sociale “piena osservanza, assumendo l’impegno di assumere alle proprie dipendenze tutto il personale impiegato dall’odierna appellante nella precedente gestione”, non costituendo violazione della suddetta clausola “il fatto che la cointrointeressata non ne abbia confermato l’integrale destinazione al medesimo servizio, ma ad altri svolti in aree limitrofe, per dichiarate ragioni di economia della gestione”; appare dunque chiaro che la evocata sentenza non affronta il tema della legittimità della “clausola sociale” presa in esame, che non costituisce oggetto del pronunciamento del giudice d’appello, ma si occupa invece delle modalità di sua esecuzione, ritenendo che l’adempimento a quanto imposto dalla clausola sociale (reimpiego di lavoratori della pregressa gestione) possa avvenire anche in servizi diversi da quello originario. Non ritiene quindi il Collegio che la citata sentenza del giudice d’appello sia idonea a modificare le conclusioni raggiunte.

5.6 – Concludendo dunque sul profilo di censura in esame, esso deve essere accolto, con annullamento degli atti impugnati, limitatamente al disposto di cui all’art. 9.6. del Capitolato nella parte in cui prevede il necessario mantenimento dei livelli occupazionali di cui all’allegato C1 e all’art. 14 dello schema di convenzione ove richiama il suddetto art. 9.6 cit., con riformulazione da parte della stazione appaltante del contenuto della “clausola sociale”, ai fini della esecuzione del contratto, in conformità ai principi giurisprudenziali richiamati nella motivazione della presente sentenza.

6 – Con un secondo profilo di doglianza, sempre in seno al primo motivo di ricorso, la società ricorrente contesta l’art. 9.6. del capitolato laddove lo stesso prevede che l’aggiudicatario deve applicare il contratto che presenta le “migliori condizioni” fra i vigenti contratti collettivi di settore, ritenendo che in tal modo sia violato l’art. 50 d.lgs. n. 50 del 2016, imponendo l’applicazione di uno specifico CCNL di settore, quello che presenti le “migliori condizioni”, invece di uno dei contratti vigenti ed evidenziando altresì che non sussiste uno specifico un contratto collettivo del settore in considerazione.

La censura è infondata.

Sul punto è sufficiente evidenziare che l’Amministrazione ha invero pubblicato un chiarimento, a mezzo del quale ha esplicitato che la formula della norma di Capitolato, laddove fa riferimento al contratto che “presenta le migliori condizioni”, deve essere intesa come riferentesi ad uno dei contratti collettivi applicabili in relazione al settore e alla zona d’interesse. La previsione di Capitolato, depurata attraverso il chiarimento del profilo di equivocità che poteva avere, risulta quindi conforme alla disciplina normativa.

7 – Con il secondo motivo di ricorso la Mengozzis.p.a. contesta la base d’asta come predisposta dalla stazione appaltante, che presuppone un prezzo di € 1,38/kg per rifiuti sanitari a rischio infettivo, del 20% più basso dei prezzi correnti e delle aggiudicazioni similari, così come indicati dalla stessa ricorrente, anche perché ulteriormente abbattuto dal passaggio del pagamento del prezzo da peso lordo a peso netto.

La censura è infondata.

Le gare che la ricorrente indica, e in seno alle quali l’appalto è stato bandito a prezzi più elevati, sono riferiti a procedure indette da aziende sanitarie di dimensioni assai più modeste di quella in esame, quindi con volumi di rifiuti minori, mentre nella specie si è in presenza di importi quantitativi assai elevati nell’ambito dei quali i costi possono essere assai meglio ammortizzati. D’altra parte la Mengozzi si è aggiudicata un appalto similare al presente, in Regione Emilia Romagna, al prezzo di € 0,93 al kg, a dimostrazione della sostenibilità del prezzo qui praticato. D’altra parte il pagamento al netto del peso del contenitore è modalità riferita solo ai rifiuti sanitari a rischio infettivo che vengono raccolti con contenitori riutilizzabili, mentre in caso di utilizzo di monouso la fatturazione è prevista al peso lordo.

8 – Conclusivamente il ricorso deve essere accolto solo in parte, ai sensi del precedente punto 5.6. della presente motivazione. L’accoglimento parziale giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione, con conseguente annullamento dell’art. 9.6. del Capitolato, limitatamente alla parte in cui prevede il necessario mantenimento dei livelli occupazionali di cui all’allegato C1, e dell’art. 14 dello schema di Convenzione, ove richiama il suddetto art. 9.6 cit.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Rosaria Trizzino, Presidente

Riccardo Giani, Consigliere, Estensore

Giovanni Ricchiuto, Primo Referendario