TAR Toscana, sezione terza, 12 dicembre 2016, n. 1755.
1. L’art. 51 del d.lgs n. 50 del 2016 ha mantenuto e in parte rafforzato il principio della “suddivisione in lotti”, posto in essere “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese” alle gare pubbliche, già previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006. Deve tuttavia evidenziarsi che, anche nel nuovo regime, il principio non risulta posto in termini assoluti e inderogabili, giacché il medesimo art. 51, al comma 1, secondo periodo, afferma che “le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera d’invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139”. Il principio della “suddivisione in lotti” può dunque essere derogato, seppur attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata; residua tuttavia la necessità di comprendere le indicazioni che l’ordinamento fornisca in ordine ai valori o interessi nel perseguimento dei quali la deroga può avvenire, giacché la regolamentazione procedimentale (obbligo di motivazione), pur significativa e importante, non copre lo spazio ancor più rilevante della legalità sostanziale e cioè della scelta del contemperamento degli interessi pubblici contrapposti. Risposta al quesito pare rinvenibile dall’esame della disciplina europea, di cui quella nazionale costituisce recepimento. Il <considerando> n. 78 della direttiva 2014/24/UE, occupandosi della questione, dopo aver posto in evidenza la necessità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare pubbliche e il correlato strumento della suddivisione in lotti, si occupa anche della possibile scelta della stazione appaltante di non procedere all’articolazione in lotti e, oltre a prevedere la necessità di motivazione, si spinge anche a considerare le possibili ragioni giustificative di una tale scelta: evidenzia quindi che “tali motivi potrebbero, per esempio, consistere nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ritiene che tale suddivisione possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l’esecuzione dell’appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l’esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti possa rischiare seriamente di pregiudicare la corretta esecuzione dell’appalto”. Tra gli interessi che possono essere valorizzati dalle stazioni appaltanti per non procedere alla suddivisione in lotti vi è dunque anche quello dei costi cui la suddivisone in lotti può condurre. Ecco che già a livello europeo compare la tensione tra i due contrapposti obiettivi costituiti, da un lato, dalla finalità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare d’appalto, con conseguente loro suddivisione in lotti di importo limitato, e, dall’altro, della finalità di garantire razionalizzazione e contenimento della spesa attraverso la centralizzazione e aggregazione delle gare medesime.
Guida alla lettura
La ricerca di misure che favoriscano la partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato dei contratti pubblici si pone in contatto con il problema delle garanzie di non discriminazione e parità di trattamento sancite dai Trattati UE, dal diritto comunitario derivato e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ne ha chiarito la natura di corollario del principio fondamentale di uguaglianza rientrante tra i principi generali dell’ordinamento comunitario che impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza di trattamento non sia ragionevolmente giustificata da esigenze specifiche che rendano obiettivamene necessaria la previsione di una differenza di trattamento nell’ottica di una uguaglianza sostanziale. Il che accade allorquando si imponga la necessità di dettare regole del gioco chiare ed eque finalizzate a rendere effettivo il mercato della concorrenza, allo scopo di garantire anche alle piccole e medie imprese la partecipazione al mercato in condizioni, appunto, di uguaglianza sostanziale con le altre imprese operanti nel medesimo mercato.
Le direttive comunitarie nn. 23, 24 e 25 del 2014 sul public procurement si pongono senza dubbio nella direttrice di un potenziamento del ruolo delle piccole e medie nel mercato. L’obiettivo del legislatore europeo, ribadito dal Consiglio di Stato nel parere 1 aprile 2016, n. 855 è chiaramente definito nei considerando delle direttive (n. 2 e 124 della direttiva 24/2014, n. 1 della direttiva 23/2014) in quanto l’incoraggiamento delle Pmi è visto come strumento per accrescere l’efficienza della spesa pubblica e per favorire l’occupazione, la crescita e l’innovazione (affermazioni che trovano conferma anche nelle altre direttive). In questa direzione è anche prevista la possibilità di suddivisione in lotti.
Cosicchè, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei settori speciali, al fine di favorire l'accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all'articolo 3, comma 1, lettera qq), ovvero in lotti prestazionali di cui all'art. 3, comma 1, lettera ggggg) in conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture. Le stazioni. appaltanti motivano la mancata suddivisione dell'appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera di invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139 del Codice.
Come peraltro evidenziato anche dal Tar Lazio in una recente ed interessante pronuncia (sentenza Tar Lazio, Roma, sezione seconda, 30 agosto 2016, n. 9441) sempre in materia di suddivisione in lotti, la disciplina dell’evidenza pubblica di diritto interno di cui all’originario originario corpus normativo costituito dalla Legge di contabilità di Stato, Rd 18 novembre 1923, n. 2440, e dal relativo regolamento di attuazione, era connotata da una ratio finalizzata esclusivamente alla individuazione del «giusto» contraente dell’Amministrazione, vale a dire del contraente in grado di offrire le migliori prestazioni e garanzie alle condizioni più vantaggiose, per cui lo scopo della normativa sull’evidenza pubblica era volto unicamente al controllo della spesa pubblica per il miglior utilizzo del denaro della collettività. Successivamente, sotto la spinta dei principi e delle direttive comunitarie, l’esigenza di tutela della libertà di concorrenza e di non discriminazione tra le imprese è venuta anch’essa a connotare e a permeare sempre di più la ratio dell’evidenza pubblica di diritto interno, tanto che oggi, ormai, si può affermare che la disciplina dell’evidenza pubblica sia connotata da una “doppia anima” che esprime proprio la tensione dialettica tra le due finalità contemporaneamente perseguite da tale disciplina, ovvero la tutela della concorrenza e, allo stesso tempo, la scelta del miglior contraente possibile per l’amministrazione.
Se tale duplicità di fini era evidente già nell’art. 2 del D.lgs. n. 163 del 2006, che specificava che l’affidamento deve rispettare anche i principi di libera concorrenza, con il nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs n. 50 del 2016, la funzione proconcorrenziale delle regole di evidenza pubblica diviene, non a caso, il baricentro del sistema.
La sentenza in commento evidenzia che l’art. 51 del D.lgs n. 50 del 2016 ha mantenuto e in parte rafforzato il principio della “suddivisione in lotti”, posto in essere “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese” alle gare pubbliche, già previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, chiarendo poi, altresì, che anche nel nuovo regime, il principio non risulta posto in termini assoluti e inderogabili, giacché il medesimo art. 51, al comma 1, secondo periodo, afferma che “le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera d’invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139”.
Il principio della “suddivisione in lotti” può dunque essere derogato, seppure attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata. L’obbligo procedimentale di motivazione non garantisce però, di per sé solo, la soddisfazione di quei valori ed interessi per il perseguimento dei quali l’ordinamento consente la deroga perché, evidenzia ancora il Tar, “la regolamentazione procedimentale (obbligo di motivazione), pur significativa e importante, non copre lo spazio ancor più rilevante della legalità sostanziale e cioè della scelta del contemperamento degli interessi pubblici contrapposti.”
Per comprendere quali siano i valori ed interessi il cui perseguimento può giustificare la deroga occorre guardare alla normativa comunitaria. Dirimente risulta infatti, sul punto, il considerando 78 della direttiva 2014/24/UE che, occupandosi della questione, dopo aver messo in evidenza la necessità di garantire la partecipazione delle Pmi alle gare pubbliche e la strumentalità della suddivisione in lotti a tal fine, chiarisce che la motivazione della decisione della stazione appaltante di non procedere all’articolazione in lotti, seppur imprenscindibile, deve essere comunque accompagnata dalla necessaria sussistenza di adeguate ragioni giustificative di tale scelta ed in tal senso evidenzia come “tali motivi potrebbero, per esempio, consistere nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ritiene che tale suddivisione possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l’esecuzione dell’appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l’esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti possa rischiare seriamente di pregiudicare la corretta esecuzione dell’appalto.”
Ebbene, tra gli interessi che possono essere valorizzati dalle stazioni appaltanti per non procedere alla suddivisione in lotti vi è dunque anche quello dei costi cui la suddivisone in lotti può condurre. Ecco quindi che già a livello europeo compare la tensione tra i due contrapposti obiettivi costituiti, da un lato, dalla finalità di garantire la partecipazione delle Pmi alle gare d’appalto, con conseguente loro suddivisione in lotti di importo limitato, e, dall’altro, della finalità di garantire razionalizzazione e contenimento della spesa attraverso la centralizzazione e aggregazione delle gare medesime.
Sul punto, il Tar ha quindi chiarito che, ai fini della composizione dei suddetti contrapposti interessi assume rilievo, come dato di legislazione interna che consuma parte della scelta valutativa della stazione appaltante, la legislazione di c.d. spending review, in riferimento alla quale, vengono in considerazione, in particolare:
- l’art. 9, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, norma che, in relazione alla acquisizione di servizi specificamente individuati da parte di soggetti nominativamente indicati e al superarsi di soglie anch’esse specificamente fissate, impone l’aggregazione, centralizzando gli acquisti medesimi in all’uopo creati, e
- il d.P.C.M. 24 dicembre 2015 (in G.U. 9 febbraio 2016, n. 32), cui la norma primaria ha rimesso la disciplina applicativa, che sottopone alle gare centralizzate, in chiara funzione di risparmio di spesa, l’affidamento dei “servizi di smaltimento rifiuti sanitari” di importo superiore a € 40.000,00.
Si tratta di regolamentazione che, pur non escludendo in radice la suddivisione in lotti, effettua una selezione delle tipologie di gare per le quali l’obiettivo di aggregazione in funzione del contenimento dei costi e dell’ottenimento di economie di scala appare oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore.
Ne deriva la correttezza della motivazione adottata dalla stazione appaltante nel caso di specie, allorchè quest’ultima ha motivato la scelta di non procedere alla suddivisione in lotti proprio con riferimento alla necessità di impostare la gara in unico lotto al fine di ottenere economie di mercato e quindi, in tal modo, un contenimento dei costi, così come previsto dal legislatore.
A questo punto merita di essere spesa qualche considerazione ulteriore in ordine alla legittimità di un simile bilanciamento contemperativo degli interessi in gioco operato dalla stazione appaltante, per vedere se esso sia effettivamente rispettoso dei principi generali di legalità ed uguaglianza sostanziale di cui si diceva sopra, che rappresentano principi generali fondamentali comuni sia all’ordinamento comunitario che a quello interno. Può infatti affacciarsi il dubbio che la scelta di aggiudicare la gara in un lotto unico possa pregiudicare un confronto concorrenziale adeguato e molteplice, ponendo di fatto la gara nelle mani di pochi operatori.
A tale riguardo il Tar evidenzia come, nel caso di specie, i requisiti di fatturato richiesti per la partecipazione fossero parametrati su importi non proibitivi che lasciavano aperta la possibilità di ampia partecipazione degli operatori del settore, ivi incluse anche le piccole imprese dato che i fatturati richiesti, non particolarmente elevati, rientravano comunque entro i limiti dimensionali previsti dal DM Attività Produttive del 18 aprile 2005 per poter qualificare un operatore economico come “piccola impresa”.
Ecco quindi che secondo il Tar, nel caso di specie, la stazione appaltante avrebbe operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco perché sarebbe riuscita ad ottenere un contenimento dei costi attraverso una gara in unico lotto garantendo però, al contempo, anche la funzione proconcorrenziale dell’evidenza pubblica nella misura in cui è stata lasciata aperta la possibilità di una ampia partecipazione degli operatori economici interessati, in condizioni di parità di trattamento e non discriminazione.
Anche il caso all’esame del Tar toscano riflette quindi quella tensione dialettica di cui si diceva sopra che anima la disciplina dell’evidenza pubblica e che vede gli interventi normativi comunitari e nazionali sempre tesi a coniugare la finalità di tutela della concorrenza con la necessità di assicurare la scelta del miglior contraente possibile per l’amministrazione. In tale ottica deve essere vista anche la normativa di spending review richiamata nel caso di specie dalla sentenza in commento, proprio perché essa opera una composizione tra interessi pubblici contrapposti, quali l’interesse pubblico generale al contenimento dei costi e la funzione proconcorrenziale dell’evidenza pubblica, che consuma, come si è detto, parte della scelta valutativa discrezionale dell’amministrazione. Allo stesso modo, però, deve operare anche l’esercizio della residua discrezionalità amministrativa, perché laddove la stazione appaltante decida di derogare alla suddivisione in lotti, deve farlo sulla base di ragioni giustificative adeguate, proprio perché frutto di un contemperamento dei contrapposti interessi in gioco che assicuri, ad un medesimo tempo, la soddisfazione delle esigenze di contenimento della spesa con la necessità di garantire anche, parimenti, la partecipazione delle Pmi alle gare pubbliche, nel rispetto dei principi di legalità sostanziale, par condicio e non discriminazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1560 del 2016, proposto da:
Impresa Individuale Giordano Domenico, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Stefano Corti C.F. CRTSFN77E18E063V, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Firenze, via Ricasoli, n. 40;
contro
Regione Toscana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Luciana Caso C.F. CSALCN63A47A952U, con domicilio eletto presso l’ Ufficio Legale della Regione Toscana in Firenze, piazza dell'Unità Italiana, n. 1;
Estar - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Iaria C.F. RIADNC57T21G702C, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via dei Rondinelli, n. 2;
Regione Toscana, Regione Toscana Soggetto Aggregatore, Azienda Usl - Toscana Centro, Azienda Usl - Toscana Nordovest, Azienda Usl - Toscana Sudest, Ispo - Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica, Azienda Ospedaliera Careggi, Azienda Ospedaliera Meyer, Azienda Ospedaliera Pisana, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
a) del Bando di Gara 2016/S 205-370756 pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea GU/S S205il 22.10.2016 (CIG 683845793B) finalizzato alla conclusione di una convenzione quadro per la gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari, pericolosi e non, delle Aziende e negli enti Sanitari della SST per anni 6 e poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Speciale n. 123 del 24.10.2016;
b) del Disciplinare di gara afferente la procedura di cui al bando impugnato sub a);
c) del Capitolato normativo e del Capitolato tecnico "smaltimento Rifiuti Sanitari" relativo alla medesima gara di appalto di cui al bando impugnato sub a);
d) della Determina Dirigenziale n. 1230 del 18.10.2016, di indizione della gara di appalto richiamata nel bando impugnato sub a), ovvero determina a contrarre, di contenuto ignoto;
e) della Delibera ESTAR del DG n. 26/2016 richiamata nel bando impugnato sub a), di contenuto ignoto;
f) di ogni altro atto preordinato, conseguente e/o comunque connesso con quelli che precedono ancorché non conosciuti tra cui, in particolare, per quanto occorra e per quanto di ragione, di chiarimenti resi dalla stazione appaltante nonché della relazione di cui agli artt. 99 e 139 del D. L.vo 50/16 ove esistenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Toscana e di Estar - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2016 il dott. Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1 - L’impresa individuale Domenico Giordano, premesso di operare da oltre un ventennio nel settore dello smaltimento dei rifiuti sanitari, impugna il Bando di Gara emesso dalla Regione Toscana quale soggetto aggregatore ex lege n. 89 del 2014 finalizzato alla conclusione di una convenzione quadro per la gestione del servizio raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari, pericolosi e non, delle Aziende e degli Enti Sanitari del Servizio Sanitario Regionale, avente durata di 6 anni, in uno con il Disciplinare di Gara, il Capitolato Normativo e il Capitolato Tecnico e gli altri atti in epigrafe indicati. Parte ricorrente evidenzia che la suddetta procedura coinvolge tutte le ASL e Aziende Sanitarie regionali, prevede l’aggiudicazione in unico lotto, ha base d’asta di € 49.304.819,38 e valore della convenzione, con proroghe e altre adesioni, stimato in € 75.000.000,00. Parte ricorrente lamenta la violazione di regole concorrenziali, soprattutto in relazione al requisito di partecipazione consistente nella necessità di essere stati aggiudicatari nel triennio di commessa di almeno due milioni e mezzo di euro e in relazione alla necessaria utilizzazione, per i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, di contenitori riutilizzabili, e agisce in questa sede giurisdizionale evidenziando la scadenza del termine di partecipazione fissata al 14.12.2016.
2 - Nei confronti degli atti impugnati parte ricorrente formula le seguenti censure:
– essa evidenzia la violazione dell’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016, poiché la stazione appaltante non ha suddiviso l’appalto in lotti, come avrebbe dovuto e come era ben possibile, e non ha motivato tale scelta, come invece imposto dalla norma; trattasi di norma che dà esplicazione a principi comunitari in maniera ancor più intensa rispetto al pregresso art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006; d’altra parte l’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 esclude la limitazione all’esplicarsi della libera concorrenza;
– essa evidenzia altresì l’illegittimità dell’art. 6 pag. 9 del Capitolato Tecnico dove prevede che per i rifiuti sanitari a rischio infettivo, esclusi i taglienti e pungenti, deve essere fornito esclusivamente contenitore in polietilene e polipropilene riutilizzabile e non clorurato, precludendo la partecipazione alla ricorrente che invece fornisce contenitori monouso in cartone, non riutilizzabili, non essendo in possesso di impianto di sanificazione e sterilizzazione; l’illegittimità deriva dalla violazione dell’art. 8 del DPR n. 254 del 2003, che esprime una preferenza normativa per i contenitori monouso, parlando di solo eventuale riutilizzabilità; l’Amministrazione ha peraltro esplicitato la preferenza per quelli riutilizzabili, escludendo i contenitori in cartone, pur ammessi, perché l’uso di questi ultimi “potrebbe comportare problemi di igiene e sicurezza dei lavoratori”; ma la valutazione di igiene e sicurezza dei cartoni monouso l’ha fatta direttamente il legislatore e non può essere rimessa in discussione dall’Amministrazione; d’altra parte i cartoni utilizzabili hanno superato, per essere omologati, prova di caduta e prova di impilamento, che li rendono sicuri;
– essa rileva che la esclusione dell’impiego di contenitori di cartone monouso viola l’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, perché è esclusa la partecipazione con prodotto equivalente e l’art. 18 del Capitolato Tecnico impedisce comunque l’utilizzo del monouso in cartone, giacché impone prove ultronee e illogiche sui campioni utilizzati, come risulta evidente dalla prova n. 4 (riempimento al 30% di acqua e attesa di un’ora), che indebolisce il cartone; e poi l’art. 12 del Disciplinare prevede ben 6 punti per i processi di lavaggio e disinfezione dei contenitori riutilizzabili.
3 - Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, la Regione Toscana ed ESTAR.
4 - La Regione Toscana richiama, quanto alla scelta di operare con lotto unico, la motivazione resa nella determina a contrattare n. 1230 del 2016, nonché invoca la normativa di cui alla legge n. 89 del 2014 e il suo art. 9, comma 3, il quale rinvia a DPCM che deve individuare le categorie merceologiche e le soglie di valore al superamento delle quali scatta la competenza del soggetto aggregatore; il DPCM 24.12.2015 ha tra gli altri previsto il settore merceologico dello smaltimento di rifiuti sanitari e la soglia dei 40.000,00 euro oltre cui le stazioni appaltanti devono ricorrere ai soggetti aggregatori; evidenzia come in relazione alle suddette categorie merceologiche l’obiettivo di contenimento della spesa appare prevalente rispetto a quello della partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese e richiama il precedente di questa Sezione n. 1129 del 2016; richiama il DM Attività Produttive del 18 aprile 2015 che ha individuato il limite dimensionale per poter individuare una piccola impresa in 10 milioni annui. ESTAR evidenzia come anche l’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016 ammette la possibilità di unico lotto, tramite adeguata motivazione; rileva che nella specie la motivazione c’è, ed è inserita nella delibera a contrattare, sostanziatesi nel richiamo alle esigenze di spending review imposte a livello normativo con il decreto-legge n. 66 del 2015 e il correlato DPCM del 24.12.2015, né d’altra parte è pregiudicato l’obiettivo di consentire la partecipazione delle PMI perché, nonostante le apparenze dettate dalla presenza di un unico grande lotto, il fatturato triennale richiesto finisce per rientrare nei requisiti propri anche delle PMI e anche delle microimprese attraverso avvalimento o ATI.
5 – La causa è stata chiamata alla camera di consiglio del 6 dicembre 2016 per la decisione della domanda cautelare e, sentiti i difensori comparsi come da verbale, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione nel merito ai sensi dell’art. 60 c.p.a., dato di ciò avviso alle parti.
6 – Con il primo motivo di ricorso l’Impresa individuale Domenico Giordano censura il bando di gara impugnato, per aver lo stesso indetto una gara di consistenti dimensioni senza divisione in lotti, come imposto dall’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016, in tal modo restringendo la concorrenza, in palese violazione dei principi comunitari volti a favorire gare pubbliche nelle quali sia garantito un confronto concorrenziale aperto anche alle imprese di piccole e medie dimensioni. La Sezione si è già pronunciata su tematica simile nella sentenza n. 1129 del 2016, ancorché resa su gara alla quale si applicava la disciplina di cui al d.lgs. n. 163 del 2006; la questione deve quindi essere ripresa e analizzata nel nuovo contesto disciplinare di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 e della normativa europea di cui esso costituisce recepimento. Anche nel nuovo quadro disciplinare la censura è infondata alla luce delle considerazioni di seguito esplicitate.
6.1 – L’art. 51 del d.lgs n. 50 del 2016 ha mantenuto e in parte rafforzato il principio della “suddivisione in lotti”, posto in essere “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese” alle gare pubbliche, già previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006. Deve tuttavia evidenziarsi che, anche nel nuovo regime, il principio non risulta posto in termini assoluti e inderogabili, giacché il medesimo art. 51, al comma 1, secondo periodo, afferma che “le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera d’invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139”. Il principio della “suddivisione in lotti” può dunque essere derogato, seppur attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata; residua tuttavia la necessità di comprendere le indicazioni che l’ordinamento fornisca in ordine ai valori o interessi nel perseguimento dei quali la deroga può avvenire, giacché la regolamentazione procedimentale (obbligo di motivazione), pur significativa e importante, non copre lo spazio ancor più rilevante della legalità sostanziale e cioè della scelta del contemperamento degli interessi pubblici contrapposti. Risposta al quesito pare rinvenibile dall’esame della disciplina europea, di cui quella nazionale costituisce recepimento. Il <considerando> n. 78 della direttiva 2014/24/UE, occupandosi della questione, dopo aver posto in evidenza la necessità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare pubbliche e il correlato strumento della suddivisione in lotti, si occupa anche della possibile scelta della stazione appaltante di non procedere all’articolazione in lotti e, oltre a prevedere la necessità di motivazione, si spinge anche a considerare le possibili ragioni giustificative di una tale scelta: evidenzia quindi che “tali motivi potrebbero, per esempio, consistere nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ritiene che tale suddivisione possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l’esecuzione dell’appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l’esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti possa rischiare seriamente di pregiudicare la corretta esecuzione dell’appalto”. Tra gli interessi che possono essere valorizzati dalle stazioni appaltanti per non procedere alla suddivisione in lotti vi è dunque anche quello dei costi cui la suddivisone in lotti può condurre. Ecco che già a livello europeo compare la tensione tra i due contrapposti obiettivi costituiti, da un lato, dalla finalità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare d’appalto, con conseguente loro suddivisione in lotti di importo limitato, e, dall’altro, della finalità di garantire razionalizzazione e contenimento della spesa attraverso la centralizzazione e aggregazione delle gare medesime.
6.2 – Ai fini della composizione dei suddetti contrapposti interessi assume rilievo, come dato di legislazione interna che consuma parte della scelta valutativa della stazione appaltante, la legislazione di c.d. spending review; viene in particolare in considerazione la disciplina di cui all’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, norma che, in relazione alla acquisizione di servizi specificamente individuati da parte di soggetti nominativamente indicati e al superarsi di soglie anch’esse specificamente fissate, impone l’aggregazione, centralizzando gli acquisti medesimi in <soggetti aggregatori> all’uopo creati. Il DPCM 24 dicembre 2015 (in G.U. 9 febbraio 2016, n. 32), cui la norma primaria ha rimesso la disciplina applicativa, sottopone alle gare centralizzate, in chiara funzione di risparmio di spesa, l’affidamento dei “servizi di smaltimento rifiuti sanitari” di importo superiore a € 40.000,00. Si tratta di regolamentazione che, pur non escludendo in radice la suddivisione in lotti, effettua una selezione delle tipologie di gare per le quali l’obiettivo di aggregazione in funzione del contenimento dei costi e dell’ottenimento di economie di scala appare oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore.
6.3 – Nel caso in esame il soggetto aggregatore, che ha indetto la gara ai sensi della richiamata disciplina di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 e del DPCM del 24 dicembre 2015, ha correttamente motivato la scelta di non procedere alla suddivisione in lotti, statuendo che “la gara è impostata in unico lotto per ottenere economie di mercato, a fronte di tipologie di prestazioni uguali per tutta la Regione, come richiesto dalla mission di Estar dalla tipologia di gara ricompresa nell’elenco del DPCM 24/12/15, riservate ai soggetti aggregatori, considerando che l’attuale assetto di mercato, come evidenziato dal dialogo tecnico effettuato, non pregiudica la partecipazione alla gara”. Alla luce delle considerazioni sopra svolte e della normativa europea e interna richiamata si tratta di motivazione adeguata e idonea a rispondere all’obbligo di giustificazione di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016.
6.4 – Parte ricorrente invoca anche la violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 e del principio di libera concorrenza ivi garantito, con l’effetto di dover ulteriormente scrutinare se la scelta del lotto unico effettuata nella gara in considerazione non rischi di pregiudicare un confronto concorrenziale adeguato e molteplice, ponendo le gare nelle mani di pochi operatori.
Anche questo profilo di contestazione può essere respinto.
Risulta infatti significativo che, pur in presenza di gara a lotto unico di importo assai notevole, i requisiti di fatturato richiesti per la partecipazione sono parametrati su importi non proibitivi e che lasciano aperta la possibilità di ampia partecipazione degli operatori economici del settore. Infatti il Disciplinare di gara prevede che gli operatori interessati devono aver svolto nel triennio servizi corrispondenti per importo di almeno € 8.500.000,00 e quindi per concorrere è necessario un fatturato medio annuo intorno a € 2.800.000,00, ammontare non particolarmente preclusivo alla concorrenza, se si tiene conto che i limiti dimensionali per qualificare un operatore economico come “piccola impresa” arriva fino a 10 milioni di euro di fatturato annuo, anche se congiunto a numero di dipendenti (DM Attività Produttive 18 aprile 2005). D’altra parte gli operatori possono poi utilizzare tutto lo strumentario proprio del diritto degli appalti che consente anche ai più piccoli di accedere al mercato degli appalti pubblici (ATI, avvalimento).
7 – Con il secondo e terzo motivo parte ricorrente contesta la scelta effettuata dalla stazione appaltante nel Capitolato tecnico in base alla quale, con riferimento ai rifiuti sanitari a rischio infettivo esclusi taglienti e pungenti, è previsto che gli operatori partecipanti alla gara offrano contenitori in polietilene o polipropilene riutilizzabili e non clorurati, contestando la suddetta scelta (e le regole di gara correlate) in quanto assunta in violazione dell’art. 8 del DPR n. 254 del 2003 e tale da escludere la ricorrente dalla partecipazione, stante l’utilizzo da parte della stessa di contenitori monouso in cartone e la non disponibilità di impianti di sanificazione e sterilizzazione.
Le censure sono infondate.
Il Collegio osserva, in primo luogo, che la prospettata violazione di legge non appare sussistere. L’evocato art. 8 del DPR n. 254 del 2003, al comma 1, parla di “secondo imballaggio rigido esterno, eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d'uso, recante la scritta «Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo»”, il che evidenzia che il secondo imballaggio può essere sia monouso che riutilizzabile (“eventualmente riutilizzabile”), ponendo le due tipologie di contenitori su un piano di parità, da un punto di vista normativo, e rimettendo la scelta alle valutazioni del soggetto utilizzatore. Nella specie la stazione appaltante ha optato per l’utilizzo di contenitori riutilizzabili, escludendo quindi l’uso di contenitori in cartone sul rilievo che quest’ultimo tipo di contenitore “potrebbe comportare problemi di igiene e sicurezza dei lavoratori”. Si tratta di scelta legittima, suffragata da motivazione non illogica, non sindacabile in questa sede giurisdizionale e che comunque non pare pregiudicare in termini irreversibili la partecipazione alla gara degli operatori economici che non possiedano impianti di sanificazione e sterilizzazione per i contenitori riutilizzabili, in quanto gli stessi, potranno comunque partecipare, utilizzano l’avvalimento come mezzo per poter disporre di impianti siffatti.
8 – Alla luce delle considerazione che precedono il ricorso deve essere respinto, con compensazione delle spese di giudizio, stante la complessità e novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2016 con l'intervento dei magistrati:
Rosaria Trizzino, Presidente
Riccardo Giani, Consigliere, Estensore
Giovanni Ricchiuto, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Riccardo Giani
Rosaria Trizzino