TAR Abruzzo, Sez. Pescara, 3 novembre 2016, n.344

1.- La legittimazione ad impugnare l’affidamento in house  si correla alla qualifica di “imprenditore di settore” che agisce a tutela dell’interesse strumentale ad avere una chance di aggiudicazione in una gara ad evidenza pubblica, senza dovere necessariamente dimostrare il possesso dei requisiti di partecipazione, essendo sufficiente la dimostrazione  di avere le caratteristiche di impresa operante nel settore in grado di consentirle l’assunzione del ruolo di potenziale concorrente in una eventuale gara da indirsi all’esito dell’annullamento dell’affidamento diretto.

2.- La complessa attività di verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa ricorrente va effettuata nell’ambito del procedimento di gara e non può  essere anticipata, in base al principio di cui all’art. 34, co. 2, del Codice, all’interno di un giudizio che non abbia ad oggetto le determinazioni amministrative di ammissione o di esclusione adottate dalla stazione appaltante. (1)

3.- Non può essere considerato tardivo il ricorso proposto avverso la delibera di affidamento diretto alla società in house al momento della sua adozione, atteso che la scelta impone all’Amministrazione autonome valutazioni per l’affidamento del servizio, valutazioni che vengono espresse dall’amministrazione al momento dell’affidamento e che ben possono essere sindacate(2);

4.- Il controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante deve essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria. In particolare, è necessario  un controllo “al tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti (3): sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici (4).

4.- La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha chiarito che nel caso in cui venga fatto ricorso ad un’entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse. In particolare, questi  concetti sono codificati dall’art. 12, paragrafo 3, della Direttiva 2014/24/UE (e art. 17 della Direttiva 2014/23/UE), e nell’ordinamento interno dall’art. 5 D.lgs. 50/2016 nonché dall’art. 2, lett. c) e d), D.lgs. 175/2016, dove è stabilito che l’affidamento diretto è legittimo quando “a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi”, precisandosi che ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica.

5. La mancata individuazione nello statuto di  concreti poteri in grado di conformare gli atti dell’organo di amministrazione alle valutazioni degli enti controllanti rende tali previsioni non idonee a soddisfare l’esigenza che il controllo debba essere esercitato non solo in forma propulsiva ma anche attraverso l’esercizio -in chiave preventiva- di poteri inibitori, volti a disinnescare iniziative o decisioni contrastanti con gli interessi dell’ente locale direttamente interessato al servizio” (5).

6.- A fronte dell’ampiezza dei poteri e dell’autonomia gestionale affidata all’organo amministrativo, la previsione di un controllo preventivo e di un potere di indirizzo sugli atti di gestione appaiono mere petizioni di principio e previsioni astratte, in mancanza di qualsivoglia previsione in ordine … alle conseguenze del loro esercizio. Lo Statuto deve precisare quali siano le conseguenze della mancata trasmissione degli atti su cui esercitare il controllo preventivo o di un suo eventuale esito negativo. Ugualmente nulla è detto sull’eventuale scostamento del CdA rispetto alle direttive e agli indirizzi impartiti dai soci…”. (6)

 7.  Le quante volte lo  Statuto preveda di  assicurare  requisito della vincolatività del controllo mendante la costituzione di un Comitato “a cui partecipano tutti gli enti soci, che esamina in via preventiva ed esprime un parere parzialmente vincolante (cioè superabile dagli organi sociali solo previa e congrua motivazione) su tutti gli atti sociali, nonché autorizza, con parere preventivo interamente vincolante, i principali atti di gestione della società e quelli che, comunque, coinvolgono il suo assetto economico-finanziario, la gestione del servizio ad essa affidato e delle relative infrastrutture e gli organi sociali” (7), il detto Comitato deve potere impartire direttive vincolanti all’organo amministrativo sulla politica aziendale (con particolare riferimento alla qualità dei servizi prodotti e alle caratteristiche da assicurare per il perseguimento dell’interesse pubblico), può porre il veto sulle operazioni ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi pubblici della collettività e del territorio”, nonché proporre “all’Assemblea una rosa di candidati tra i quali scegliere i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale.  

8.Gli azionisti che affidano in via diretta alla società l'erogazione dei propri servizi  devono essere  titolari di un potere di direttiva e di controllo capace di esplicarsi mediante indirizzi vincolanti sulle modalità di erogazione del servizio affidato.

9.- Ai fini del controllo, possono essere  sottoscritti  “patti parasociali attraverso i quali i soci si impegnano a votare, su questioni che riguardano i servizi prestati in uno specifico comune, in conformità alla volontà espressa dall’ente direttamente interessato, in modo che sia assicurato a ciascun comune un ruolo determinante nell’adozione di decisioni circa il frammento di gestione.

10.-  Il regolamento può prevedere l’esercizio del c.d. diritto di veto,  e qualora il Consiglio di Amministrazione non intenda uniformarsi ai rilevi dell'Ente Locale, le definitive determinazioni in proposito sono adottate (a maggioranza) dal predetto Comitato che deve essere composto in maniera che la decisione finale sul “diritto di veto” faccia capo al Comune direttamente interessato, in quanto specificamente preposto a controllare le tematiche afferenti la gestione, essendone i diretti fruitori.  

 

 

 (1) In generale, sulla legittimazione ad impugnare gli atti di una gara di appalto di recente cfr. Corte Cost.,22 novembre 2016, n. 245, che conferma l’orientamento della giurisprudenza ammnistrativa e, peraltro, non è chiamata ad affrontare il caso specifico dell’impugnazione degli affidamenti in house e  della necessità o meno di una  pregiudiziale puntuale verifica di avere le caratteristiche di impresa operante nel settore in grado di consentirle l’assunzione del ruolo di potenziale concorrente in una eventuale gara in sede di riedizione del potere.

(2) cfr. Cons. Stato, V, 12 maggio 2016 n. 1900;

(3) cfr. già Consiglio di Stato, sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418;

(4) cfr. Cons. Stato, V, 13 marzo 2014 n. 1181; Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762;

(5) TAR Piemonte, I, 1069/2014.

(6) TAR  Abruzzo, L’Aquila, 10 luglio 2014 n. 596.

(7) cfr. TAR Abruzzo,  L’Aquila,19 dicembre 2014 n. 929.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Società Autotrasporti e Pulizie Industriali di Petroro Silvio S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Cristiano Bertoncini C.F. BRTCST72T24E372B, con domicilio eletto presso Giancarlo D'Angelo in Pescara, via Indro Montanelli, 6;

contro

Comune di Lanciano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Carlini C.F. CRLGNN52C13E435S, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, via Lo Feudo 1;

nei confronti di

ECO.LAN. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Antonucci C.F. NTNVCN67H20L273O, Costantino Tessarolo C.F. TSSCTN39B16H501V, Giuseppe Piperata C.F. PPRGPP70H13C352H, Fausto Troilo C.F. TRLFST78S03E435O, con domicilio eletto presso Felicetta De Gregorio in Pescara, via G. Galilei, 48;

 

sul ricorso numero di registro generale 12 del 2016, proposto da:
RIECO S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Colombari C.F. CLMSFN70M11A944S, Tommaso Marchese C.F. MRCTMS60M11G482B, con domicilio eletto presso Tommaso Marchese in Pescara, piazza Troilo, 8;

contro

Comune di Lanciano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Carlini C.F. CRLGNN52C13E435S, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, via Lo Feudo 1;

nei confronti di

ECOLAN S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Fausto Troilo C.F. TRLFST78S03E435O, Costantino Tessarolo C.F. TSSCTN39B16H501V, Vincenzo Antonucci C.F. NTNVCN67H20L273O, Giuseppe Piperata C.F. PPRGPP70H13C352H, con domicilio eletto presso Felicetta De Gregorio in Pescara, via G. Galilei, 48;

 
'INTERVENIENTI'

 

sul ricorso numero di registro generale 23 del 2016, proposto da:


IGAM S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandra Rulli C.F. RLLLSN76A54G482V, con domicilio eletto presso Alessandra Rulli in Pescara, piazza Ettore Troilo, 8;

contro

Comune di Lanciano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Carlini C.F. CRLGNN52C13E435S, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, via Lo Feudo 1;

nei confronti di

ECOLAN S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Fausto Troilo C.F. TRLFST78S03E435O, Costantino Tessarolo C.F. TSSCTN39B16H501V, Giuseppe Piperata C.F. PPRGPP70H13C352H, Vincenzo Antonucci C.F. NTNVCN67H20L273O, con domicilio eletto presso Felicetta De Gregorio in Pescara, via G. Galilei, 48;

 

sul ricorso numero di registro generale 26 del 2016, proposto da:
Smaltimenti Sud S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Giuliano Di Pardo C.F. DPRGLN68B11F839V, con domicilio eletto presso Elio Di Filippo in Pescara, via Venezia, 25;

contro

Comune di Lanciano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Carlini C.F. CRLGNN52C13E435S, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, via Lo Feudo 1;

nei confronti di

ECOLAN S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Costantino Tessarolo C.F. TSSCTN39B16H501V, Giuseppe Piperata C.F. PPRGPP70H13C352H, Vincenzo Antonucci C.F. NTNVCN67H20L273O, Fausto Troilo C.F. TRLFST78S03E435O, con domicilio eletto presso Felicetta De Gregorio in Pescara, via G. Galilei, 48;

per l'annullamento

della delibera n. 68 del 20 ottobre 2015 con la quale il Consiglio Comunale di Lanciano ha disposto l'affidamento in house dei servizi di igiene urbana in favore della società controinteressata e di tutti gli atti con essa approvati ed allegati ed in particolare il Piano Economico-finanziario, il Progetto preliminare, il Disciplinare Tecnico e il Capitolato d'oneri; nonché di tutti gli atti preordinati, consequenziali e connessi tra cui il Verbale di Assemblea del Consorzio Comprensoriale Smaltimento Rifiuti Lanciano di trasformazione del Consorzio medesimo nell'Ecolan, costituita in data 28.12.2010.

Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Lanciano e di Eco.Lan. S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2016 il dott. Alberto Tramaglini e uditi gli avv. Cristiano Bertoncini, Tommaso Marchese, Giuliano Di Pardo per le società ricorrenti, l'avv. Giovanni Carlini, presente nei preliminari, per il Comune resistente, gli avv.ti Fausto Troilo e Vincenzo Antonucci per la società controinteressata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1 - Le società ricorrenti, deducendo di essere operatrici del settore e quindi interessate all’aggiudicazione del servizio in questione all’esito di procedura ad evidenza pubblica, hanno impugnato gli atti con cui il Comune di Lanciano ha disposto l'affidamento in house del servizio di igiene urbana (fino ad allora gestito mediante appalto aggiudicato a seguito di gara) a ECO.LAN s.p.a.

Viene chiarito che l’amministrazione comunale si era già determinata in tal senso con precedente delibera del Consiglio comunale n. 27 del 30 giugno 2015, poi annullata in autotutela con deliberazione del Consiglio n. 67 del 20 ottobre 2015 con cui l’Ente prendeva atto che con sentenza n. 349/2015 questa Sezione aveva annullato analogo affidamento a ECOLAN disposto dal Comune di Orsogna. Il nuovo affidamento è intervenuto a seguito delle modifiche apportate allo statuto sociale, che la predetta sentenza 349/2015 aveva ritenuto inidoneo ad assicurare il c.d. “controllo analogo”.

Le ricorrenti contestano sotto molteplici profili la legittimità dell’affidamento, deducendo –in particolare- l’assenza in capo alla Società dei requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario legittimanti l’affidamento in house.

Nelle memorie di costituzione il Comune di Lanciano e ECOLAN hanno replicato ai motivi di ricorso sostenendo che la società affidataria -di cui il Comune detiene una partecipazione pari a 21,69%- ha tutti requisiti caratterizzanti il modello in house providing in quanto a capitale interamente pubblico, assoggettata al controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici dagli enti titolari del capitale sociale e che realizza la parte più importante della propria attività con gli enti cha la controllano, evidenziando che l’Amministrazione ha dato contezza nella deliberazione impugnata della sussistenza dei citati requisiti comunitari e delle ragioni di fatto e di diritto legittimanti l’affidamento, approvando contestualmente la relazione elaborata ex art. 34, comma 20, d.l. 179/2012, conv. con 1. 221/2012.

Con successive memorie le parti hanno a più riprese puntualizzato le rispettive conclusioni, ulteriormente ribadite nelle repliche e nella discussione orale.

2 – Va innanzitutto accolta l’istanza di riunione proposta dalle parti resistenti stante la evidente connessione dei ricorsi.

2.1 – Sempre in via preliminare, le parti resistenti hanno eccepito la tardività dei ricorsi in base alla considerazione che la deliberazione impugnata costituirebbe un provvedimento meramente attuativo e consequenziale di precedenti e datati atti amministrativi. Il riferimento è agli atti con cui il Comune di Lanciano e altri 52 Comuni della Provincia di Chieti membri del Consorzio Comprensoriale Smaltimento dei rifiuti avevano deciso nel 2010 di trasformare il predetto Consorzio in società per azioni, prevedendo espressamente che la stessa avrebbe avuto come oggetto la gestione dell'intero ciclo dei rifiuti nel territorio dei Comuni soci. La scelta delle amministrazioni di gestire il ciclo dei rifiuti in modo diretto risalirebbe pertanto all’epoca in cui furono adottati gli atti espressivi della volontà degli enti locali di orientarsi verso il modello dell'affidamento diretto e di sottrarre al confronto concorrenziale l'attribuzione del servizio, a cui andrebbe pertanto fatta risalire la lesione dell’interesse azionato.

L’eccezione, già ritenuta infondata con la richiamata sentenza 349/2015, va disattesa in base alla considerazione “che la mera partecipazione del Comune … alla predetta ECOLAN spa, risalente come detto al 2010, non equivale di per sé all’automatico affidamento del servizio pubblico (cfr. sul punto, di recente, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 settembre 2015, n. 4253), ancor più in considerazione del fatto che l’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, norma sulla cui base è anche impostato il ricorso di primo grado, impone all’Amministrazione autonome valutazioni per l’affidamento del servizio, valutazioni che vengono espresse dall’amministrazione al momento dell’affidamento e che ben possono essere sindacate” (Cons. Stato, V, 12 maggio 2016 n. 1900, con cui è stato rigettato l’appello avverso la citata sentenza 349/2015).

2.2 - È stata altresì eccepita l’inammissibilità del ricorso proposto da RIECO.

Si sostiene che tale società ricorrente non potrebbe legittimamente aspirare a vedersi affidata la gestione del servizio essendosi resa gravemente inadempiente, ex art. 38, comma 1, lett. f) D.Lgs. 163/06, nei confronti del Comune di Lanciano, nel corso dell'esecuzione del servizio in precedenza svolto dalla medesima.

Va sul punto precisato che con sentenza 86/2016 questa Sezione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da RIECO nei confronti della deliberazione con cui la Giunta comunale di Lanciano aveva preso atto, “anche agli eventuali fini di cui all'art. 38, comma 1 lettera f) del D.Lgs 163/2006 e s.m.i., delle gravi negligenze ed inadempienze di cui si è resa responsabile la Soc. Rieco s.p.a. nel corso dell'esecuzione della commessa affidatale, in ordine all'utilizzo dei mezzi comunali consegnati per lo svolgimento del servizio…”. La decisione ha ritenuto che la suddetta deliberazione non avesse carattere provvedimentale, rilevando “che la richiamata disposizione contempla un provvedimento promanante dalla stazione appaltante … che bandisce la gara e quindi necessariamente emesso nell’ambito di una procedura di affidamento già indetta a cui l’interessata abbia quantomeno chiesto di partecipare. La motivata valutazione ha perciò carattere lesivo solo in quanto costituisce il fondamento di un provvedimento di esclusione o di altro prefigurato dalla stessa norma, sicché la deliberazione assunta dal Comune al di fuori delle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi non è idonea a produrre effetti concreti, non potendo essa incidere sull’interesse della ricorrente a partecipare ad una successiva eventuale gara indetta dall’Amministrazione, nel cui esclusivo ambito potranno essere assunte le determinazioni ai sensi della predetta lett. f)”.

Si tratta di conclusioni che vanno qui ribadite, non potendo essere assunte in questa sede decisioni “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34, co. 2, cod. proc. amm.), nel cui ambito vanno collocati i provvedimenti con cui la stazione appaltante ammette o esclude le imprese da una gara, con conseguente infondatezza dell’eccezione.

2.3 – Per analoghe considerazioni devono ritenersi infondate anche le eccezioni con cui le resistenti hanno contestato la legittimazione di IGAM e Smaltimenti Sud.

Quanto a quest’ultima, la manifesta infondatezza discende dall’essere la ricorrente società operante nel settore e che ha peraltro dato dimostrazione di essere iscritta all’Albo nazionale gestori ambientali, requisito che la abilita a partecipare alla gara per l’affidamento dei servizi in questione che dovesse essere indetta all’esito del giudizio.

Riguardo a IGAM, l’eccezione è imperniata sul non essere la Società iscritta al predetto Albo e su un insieme di prospettazioni dirette a sostenere che tale carenza non potrebbe essere colmata né tramite avvalimento (ostandovi l’art. 89, comma 10 del D.Lgs 50/2016) né attraverso associazione temporanea con imprese iscritte (secondo quanto ritenuto da T.A.R. Veneto, sez. I, 15 febbraio 2016, n. 156 e da A.N.A.C, pareri n. 48 del 30.09.2014 e 27 del 6.02.2007), da cui viene desunta l’assenza di un qualunque interesse, anche di carattere strumentale, ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati.

Va al riguardo condiviso l’orientamento richiamato da IGAM in memoria, secondo cui la legittimazione a contestare l’affidamento in house si ricollega alla qualifica di “imprenditore di settore” che agisce a tutela dell’interesse strumentale ad avere una chance di aggiudicazione in una gara ad evidenza pubblica. Va in tal senso considerato che la complessa attività di verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa ricorrente va effettuata nell’ambito del procedimento di gara, non potendo essere anticipata, in base al citato principio di cui all’art. 34, co. 2, del Codice, all’interno di un giudizio che non abbia ad oggetto le determinazioni amministrative di ammissione o di esclusione adottate dalla stazione appaltante, essendo qui sufficiente che la ricorrente abbia dimostrato di avere le caratteristiche di impresa operante nel settore in grado di consentirle l’assunzione del ruolo di potenziale concorrente in una eventuale gara da indirsi all’esito dell’annullamento dell’affidamento diretto.

2.4 – Sempre in via preliminare, va precisato che il provvedimento lesivo dell’interesse azionato è la deliberazione con cui il servizio è stato affidato a ECOLAN e che, per quanto indicati nell’epigrafe del ricorso, non sono formulate censure nei confronti dello Statuto e ai regolamenti di ECOLAN, atti che devono pertanto ritenersi estranei alla domanda di annullamento (su cui, peraltro, il giudice amministrativo sarebbe carente di giurisdizione, come dedotto dalle parti resistenti), la cui evocazione deve pertanto ritenersi funzionale a sostenere i motivi diretti contro il provvedimento comunale (e segnatamente quelli attinenti al requisito del controllo analogo).

3 – Passando all’esame delle questioni di merito, vanno considerati in via preliminare i motivi che mettono in discussione la sussistenza del requisito del controllo analogo, questione già oggetto della controversia definita con la citata sentenza n. 349 del 2015, le cui statuizioni hanno indotto la Società a dotarsi di un nuovo Statuto allo scopo di superare le criticità riscontrate.

Le difese delle parti resistenti hanno sostenuto che con le modifiche statutarie e con l’approvazione dei regolamenti è stato rafforzato il controllo da parte degli enti soci, ciascuno dei quali con il potere di condizionare le scelte operative riguardanti il servizio, tanto in generale quanto nella parte svolta nell’ambito dei singoli territori, richiamando le disposizioni statutarie e regolamentari che assicurerebbero tale controllo e che si ritiene opportuno riportare nelle parti che principalmente interessano:

Art. 1 (Costituzione e denominazione)

1. E' costituita la società denominata "ECO.LAN. S.p.A.", a totale capitale pubblico locale, interamente versato. 2. ECOLAN S.p.A. ha natura di società in house providing ed è soggetta alla direzione, al coordinamento ed al controllo analogo degli Enti locali soci. 3. Per i fini di cui al precedente comma, gli Enti Locali soci adottano un Regolamento comune per disciplinare i rapporti tra gli stessi Enti Locali e la Società. Il regolamento è modificabile solo previo espresso consenso di tutti gli Enti Locali soci. 4. La Società è partecipata unicamente dagli enti locali individuati dal d.lgs. 267/2000.

Art. 22 - Comitato Assembleare per il controllo analogo.

1. Al fine di disciplinare la collaborazione tra i Soci per l'esercizio in comune, sulla Società, di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, l'Assemblea elegge tra i suoi componenti un "Comitato Assembleare per il controllo analogo" (da ora in poi chiamato "Comitato").

2. A tale scopo il Comitato:

a. esamina tutte le proposte di deliberazione di Assemblea formulate dal Consiglio di Amministrazione, partecipando, su richiesta, alla fase istruttoria, e redige un parere preventivo;

b. verifica lo stato di attuazione degli obiettivi risultanti dai bilanci e dagli atti di programmazione di cui agli artt. 40-42 del presente statuto e dei contratti di servizio;

c. vigila sullo stato di attuazione dei contratti di servizio con periodicità almeno trimestrale, rilevando le problematiche emerse e formulando proposte migliorative da sottoporre all'esame del Consiglio di Amministrazione e dell'Assemblea;

d. procede alle audizioni del Presidente, sia in merito a singole attività gestionali, programmatorie e/o di controllo che in merito all'andamento generale della gestione;

e. approfondisce eventuali tematiche controverse tra la Società e l'Autorità d'ambito;

f. esamina con cadenza almeno trimestrale le deliberazioni del Consiglio di Amministrazione, formula proposte di deliberazione del medesimo Consiglio di Amministrazione e chiede al medesimo chiarimenti anche in ordine allo stato di attuazione delle deliberazioni assunte.

3. Il Comitato è composto dai sindaci degli Enti Locali soci, o loro delegati, eletti secondo le modalità di cui al successivo art. 23.

4. Il Comitato si riunisce periodicamente e comunque almeno quattro volte l'anno. A tali riunioni il Comitato può invitare il Presidente e i componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale.

5. Il Presidente del Consiglio di Amministrazione inoltra al Presidente del Comitato, con cadenza almeno trimestrale, referti attinenti gli aspetti più rilevanti dell'attività della Società, anche sotto il profilo dell'efficacia, efficienza, economicità, puntualità e redditività della gestione che indichino gli scostamenti dal Bilancio preventivo annuale con le relative analisi.

6. I componenti del Comitato sono referenti nei confronti dei Consigli Comunali degli Enti Locali soci, che possono chiederne l'audizione, secondo le previsioni del Regolamento comune per disciplinare i rapporti tra gli stessi Enti Locali e la Società.

7. Ciascun Socio ha il diritto di ottenere dalla Società tutte le informazioni e tutti i documenti che possono interessare i servizi gestiti nel territorio di competenza".

"Art. 23 — Composizione del Comitato.

1. Il Comitato è composto da nove membri, di cui:

- tre eletti dagli Enti Locali soci aventi una popolazione fino a 890 abitanti;

- tre eletti dagli Enti Locali soci aventi una popolazione da 891 a 1.950 abitanti;

- tre eletti dagli Enti Locali soci aventi una popolazione oltre 1.950 abitanti.

2. L'elezione avviene mediante assemblee separate per ogni raggruppamento…

3. Le singole assemblee degli Enti Locali soci, ai fini dell'elezione dei componenti del Comitato, sono regolarmente costituite, sia in prima, che in seconda convocazione ed in successive eventuali altre, con la presenza di tanti Enti Locali soci che rappresentano almeno la metà dei soci appartenenti al raggruppamento; ciascun Ente Locale socio, nelle assemblee di cui al presente comma, ha diritto ad un solo voto; le assemblee di ciascun raggruppamento di Enti Locali soci deliberano a maggioranza assoluta dei presenti.

6. I componenti del Comitato rappresentano tutti gli Enti Locali soci del raggruppamento che li ha eletti".

Art. 24 — Funzionamento del Comitato

3. Il Comitato è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei componenti e delibera con il voto favorevole della maggioranza dei membri. Delle sedute è redatto apposito verbale.

6. Il Comitato approva un regolamento per disciplinare il proprio funzionamento. Fin tanto che il regolamento non venga approvato non è pregiudicato il funzionamento del Comitato e si applicano le norme del presente statuto.

Il regolamento di cui all’art. 1, comma 3, dello statuto tra l’altro prevede:

Art. 7. Obbligo della Società.

1. La Società è obbligata a segnalare immediatamente all'Ente Locale ogni eventuale disservizio, nonché le misure adottate o che intende adottare per porvi rimedio.

2. È in facoltà dell'Ente Locale indire riunioni, anche urgenti, con la Società, che è tenuta a parteciparvi con personale di livello adeguato alle questioni da trattare, in merito ai problemi emersi o a possibili sviluppi concernenti i servizi gestiti dalla Società stessa nell'ambito del territorio comunale.

Art. 8. Diritto di veto

1. È in facoltà dell'Ente Locale esercitare il diritto di veto sulle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione della Società, che abbiano esclusiva attinenza al territorio dell'Ente Locale stesso e che, in ogni caso, non coinvolgano gli interessi degli altri Enti Locali soci singolarmente considerati o quelli collettivi perseguiti dalla Società.

2. L'Ente Locale che intende esercitare il diritto di veto di cui al precedente comma deve, prioritariamente e motivatamente, invitare il Consiglio di Amministrazione a provvedere al riesame dell'atto deliberativo assunto o a modificarlo.

3. Il diritto di veto può essere esercitato entro il termine perentorio di trenta giorni (30) decorrente dal giorno in cui l'atto deliberativo perviene all'Ente Locale e deve essere comunicato al Consiglio di Amministrazione nel medesimo termine mediante posta elettronica certificata o mediante qualsiasi altro mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione.

4. Ove il Consiglio di Amministrazione non intenda uniformarsi ai rilevi dell'Ente Locale l'atto deliberativo è sottoposto alle definitive determinazioni del Comitato Assembleare per il Controllo Analogo.

Art. 9. Comunicazioni della Società.

1. La Società presenta, entro il 31 gennaio di ciascun anno, al Consiglio Comunale un rapporto sul proprio assetto organizzativo, anche con riferimento alle Società controllate, collegate o alle quali comunque partecipi, nonché sull'attività svolta nell'anno precedente, con l'indicazione delle iniziative assunte, dei progetti realizzati, dei risultati raggiunti, del grado di soddisfazione dell’utenza dell'Ente Locale rilevato tramite modalità predefinite…

Infine, il Regolamento sul funzionamento del Comitato di cui all'art.24, comma 6, dello statuto, stabilisce:

Art. 6: Poteri di vigilanza del Comitato

1. Ai fini dell'esercizio dei poteri di vigilanza di cui all'art.22, c.2, dello statuto, il Comitato può procedere ad atti di ispezione, accedere a tutti i documenti ed atti societari inerenti le questioni ad essa sottoposte dagli Enti locali soci e richiedere agli organi di amministrazione documenti e notizie utili all'esercizio del controllo con osservanza di un preavviso di gg cinque.

Art. 7: Esito dei controlli del Comitato

1. Il Comitato comunica, con periodicità almeno trimestrale, alla Società e agli Enti locali soci le verifiche e i controlli eseguiti sulla Società e l'esito degli stessi.

2. Nel caso in cui accerti che, nell'esercizio della propria attività, la Società non ottemperi alle disposizioni del/i contratto/i di servizio e delle carte di qualità dei servizi e, comunque, non persegua le finalità di cui al precedente art.1, il Comitato propone agli Enti locali soci le iniziative e le misure da adottare nei confronti della Società stessa per porre tempestivo rimedio agli inadempimenti riscontrati.

Art. 8: Mancato adeguamento della Società alle determinazioni del Comitato

1. Qualora il Comitato verifichi che gli organi amministrativi della Società non si siano conformati ai provvedimenti adottati dagli enti locali soci in seguito ai controlli compiuti ai sensi del precedente art.7, il Comitato comunica e propone ai soci gli ulteriori provvedimenti da adottare nei confronti della Società, ivi comprese, occorrendo, la revoca degli amministratori e la promozione nei loro riguardi dell'azione di responsabilità.

4 – Le imprese ricorrenti hanno dedotto al riguardo che lo statuto e i regolamenti non consentono agli Enti locali soci l'esercizio, in forma congiunta, di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.

Quanto alla definizione degli obiettivi strategici della società, all’autorizzazione dei principali atti di gestione, alla nomina e revoca delle cariche sociali nonché all’approvazione dei bilanci, si evidenzia che tale potere è attribuito all’Assemblea che tuttavia opera in base al principio maggioritario (tipico delle ordinarie società commerciali) non prevedendo lo Statuto maggioranze qualificate finalizzate a coinvolgere nell’attività di controllo tutti i Comuni soci.

Anche il controllo sulla gestione e di verifica dell’attuazione degli indirizzi adottati in sede assembleare, affidato al Comitato di cui all'art. 22 dello Statuto, sarebbe carente. Viene in particolare evidenziata la scarsa rappresentatività dell’organismo, in quanto composto da appena 9 soci che operano per delega degli altri 44 Comuni e che deliberano a maggioranza, il che denoterebbe come non sia configurabile un controllo congiunto da parte di tutti i soci sull’operato della Società.

Del resto, si sostiene ulteriormente, lo Statuto non stabilisce alcun obbligo per l'organo amministrativo di adeguarsi ai rilievi del Comitato. Emblematico in tal senso sarebbe l'art. 22, lett. c) dello Statuto, in base al quale il Comitato, quando riscontra problematiche in ordine all'attuazione dei contratti di servizio, può solo formulare proposte non vincolanti per il Consiglio di amministrazione, come non vincolanti sono i pareri preventivi che lo stesso Comitato, ai sensi della lettera a), rende sulle proposte di deliberazione dell'Assemblea formulate dal Consiglio di amministrazione.

Lo Statuto non attribuirebbe poteri inibitori nemmeno ai Comuni direttamente interessati alla gestione del servizio, visto che l'art. 22, comma 7, si limita a precisare che ciascun socio ha diritto di ottenere dalla società le informazioni e i documenti che possono interessare i servizi gestiti nel territorio di competenza, senza però contemplare alcun potere in grado di inibire alla società lo svolgimento di attività ritenute non utili. Mancherebbe perciò la previsione di “effettivi poteri di veto”, “capaci di paralizzare decisioni o attività che si pongono in contrasto con gli interessi dell'ente locale nel cui ambito territoriale si svolge pur sempre il servizio dato in affidamento” (il richiamo è a TAR Lazio, Sez. II-ter, 16 ottobre 2007, n. 9988, nonché a TAR Piemonte, Sez. I, 13 giugno 2014, n. 1069, confermata da Cons. Stato, Sez. III, 27 aprile 2015, n. 2154).

Del resto, sarebbe irrilevante a tali fini la possibilità di recesso del socio (art. 43 Statuto), che interviene in una fase terminale e patologica del rapporto tra l'Ente locale e la società e pertanto irrilevante ai fini dell'esercizio del controllo analogo.

La carenza di effettivi poteri di controllo non sarebbe rimediata dal potere di veto previsto dal regolamento di cui all'art. 1 comma 3 dello statuto, visto che il Consiglio di amministrazione non è tenuto ad uniformarsi al pronunciamento dell’ente locale e dato che sul contrasto decide a maggioranza il Comitato ristretto dei soci che, però, ben potrebbe disattendere la posizione espressa dal singolo Comune.

Nemmeno l’obbligo dell’organo di amministrazione di riferire ai soci circa l'andamento della gestione nell'anno precedente sarebbe idoneo ad assicurare un penetrante controllo, trattandosi di adempimento a cui sono assoggettate tutte le società di capitali ai sensi degli artt. 2427 e 2428 Cod. civ. È ritenuto parimenti irrilevante il diritto di accesso agli atti societari da parte dei consiglieri comunali, trattandosi di facoltà già garantita per legge (art. 43 del d.lgs. n. 267/2000).

4.1 – Sostengono invece le parti resistenti che gli artt. 1-22-23-24-25-26 dello statuto societario, nonché i regolamenti citati, assicurano agli enti soci un potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività riferita a tutti gli atti di gestione, sia ordinaria, sia straordinaria. Richiamano il principio secondo cui il controllo analogo non deve essere necessariamente esercitato da ognuno degli enti territoriali che si avvalgono della società per il soddisfacimento delle esigenze della collettività di riferimento, essendo sufficiente che detto controllo venga espletato dai soci nella loro totalità, dovendosi seguire un criterio sintetico imperniato sui rapporti tra la collettività degli enti pubblici rispetto alla società affidataria.

Viene in particolare sottolineato (con richiamo a TAR Liguria, sez. II, n. 120/2016 e TAR Lombardia-Brescia, II, 23.9.2013, n. 780) che "controllo analogo" non significa che è necessaria “la configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull'intera società, ma che, in forza di idonei strumenti giuridici, ciascun ente sia in grado di assumere il ruolo di dominus nelle decisioni operative rilevanti circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio”, sicché, per assicurare tale controllo, sarebbe sufficiente una clausola statutaria che, “in espressa deroga agli ordinari meccanismi societari di amministrazione e di controllo, riserva agli enti pubblici azionisti che affidino in via diretta alla società l'erogazione dei propri servizi pubblici locali un "potere di direttiva e di controllo" che si esplica -tra l'altro- mediante indirizzi "vincolanti", da esercitarsi in forma scritta, sulle modalità di erogazione del servizio affidato, con facoltà di risolvere anticipatamente ed unilateralmente il contratto in difetto di tempestivo adeguamento alle direttive impartite, o di dolosa sottrazione alle previste forme di controllo” .

Un simile controllo sarebbe garantito dalle modifiche statutarie e relativi regolamenti, attraverso cui ad ogni ente locale è stato dato il potere di condizionare le scelte operative riguardanti il servizio in generale ed in particolare la parte svolta nel proprio territorio.

In tal senso opererebbero il diritto di veto, il controllo congiunto attuato attraverso il Comitato, i poteri attribuiti a tale organismo dall’art. 22 dello Statuto nonché i penetranti poteri di vigilanza, ispettivi e di accesso di cui agli artt. 6 e seguenti del regolamento citato. Viene inoltre sottolineata la conformità del controllo in tal modo assicurato alle previsioni dell’art. 7 L.R. 23 del 2004 (“Norme sui servizi pubblici locali a rilevanza economica”), a norma del quale il servizio può essere affidato “a società a capitale interamente pubblico, alla condizione che l'ente o gli enti titolari del capitale sociale esercitino sulle società un generale potere di direzione, di coordinamento e di controllo analogo a quello esercitato sui servizi gestiti da proprie strutture interne, con particolare riferimento all'effettuazione di specifici controlli sui principali atti di gestione dell'affidatario”.

5 – Il Collegio ritiene che le censure sopra riassunte siano fondate riguardo ai profili relativi alla insufficienza dei poteri attribuiti all’apposito Comitato assembleare nonché a quelli con cui si sostiene il carattere non rappresentativo di tale organismo. Poiché il controllo analogo non è assicurato né dalle clausole statutarie né da quelle regolamentari, può dunque prescindersi dall’esaminare le questioni di legittimità poste con riguardo alle modalità di approvazione di tali atti.

5.1 - È noto che “il controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante deve essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria”. In particolare, si richiede a tale scopo un controllo “al tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti (cfr. già la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418): sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762)” [così Cons. Stato, V, 13 marzo 2014 n. 1181].

È parimenti noto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha chiarito che nel caso in cui venga fatto ricorso ad un’entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse.

Si tratta di concetti codificati dall’art. 12, paragrafo 3, della Direttiva 2014/24/UE (e art. 17 della Direttiva 2014/23/UE), e nell’ordinamento interno dall’art. 5 D.lgs. 50/2016 nonché dall’art. 2, lett. c) e d), D.lgs. 175/2016, dove è stabilito che l’affidamento diretto è legittimo quando “a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi”, precisandosi che “Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica…”.

5.2 - Nel caso in esame lo Statuto ha inteso assicurare il controllo sulla gestione attraverso il predetto Comitato assembleare, le cui competenze tuttavia non si traducono in poteri di ingerenza tali da vincolare l’operato dell’organo di amministrazione.

Come sostenuto dalla ricorrente, non hanno infatti alcuna portata vincolante le “proposte di deliberazione” di cui all’art. 22, lett. f., dello Statuto, così come i poteri di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi (lett. b.), di vigilanza sullo stato di attuazione dei contratti di servizio, di rilevazione delle problematiche emerse e di formulazione di proposte migliorative da sottoporre all'esame del Consiglio di Amministrazione e dell'Assemblea (lett. c.), di audizione del Presidente (lett. d.), di approfondimento sulle eventuali tematiche controverse tra la Società e l'Autorità d'ambito (lett. e.), di esame con cadenza almeno trimestrale delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione (lett. f.): si tratta di un insieme di prerogative che evidenziano un’intensa attività conoscitiva che tuttavia non hanno alcuno sbocco nell’esercizio di poteri in grado di vincolare l’attività di gestione svolta dal Consiglio.

Nemmeno è previsto che la “facoltà” di indire riunioni con la Società “in merito ai problemi emersi o a possibili sviluppi concernenti i servizi gestiti dalla Società stessa nell’ambito del territorio comunale” (art. 7 Reg. ex art. 1 St.) possa tradursi in direttive ed indirizzi vincolanti, né possono condurre all’esercizio di un effettivo controllo in tal senso il rapporto di cui all’art. 9 dello stesso regolamento e l’informativa di cui all’art. 31, co. 5 St.

Analogamente deve dirsi delle attività di vigilanza ed ispezione (art. 6 Regolamento relativo al funzionamento del Comitato), non risultando nemmeno esse finalizzate all’esercizio di un potere che possa concretamente riflettersi sulla gestione, visto che non sono meglio definite “le iniziative e le misure” che gli “Enti locali soci” possono adottare “per porre tempestivo rimedio agli inadempimenti riscontrati” (art. 7, co. 2). Tant’è che, qualora gli organi della Società non dovessero conformarsi “ai provvedimenti adottati dagli enti locali soci in seguito ai controlli compiuti”, l’unico rimedio previsto è la revoca degli amministratori e la promozione nei loro confronti dell’azione di responsabilità (art. 8), mentre i generici “ulteriori provvedimenti da adottare nei confronti della Società” non prefigurano alcun concreto potere di controllo sugli atti.

La mancata individuazione di concreti poteri in grado di conformare gli atti dell’organo di amministrazione alle valutazioni degli enti controllanti rende tali previsioni non idonee a soddisfare l’esigenza “che il controllo debba essere esercitato non solo in forma propulsiva ma anche attraverso l’esercizio -in chiave preventiva- di poteri inibitori, volti a disinnescare iniziative o decisioni contrastanti con gli interessi dell’ente locale direttamente interessato al servizio” (TAR Piemonte, I, 1069/2014). Una simile esigenza non è assicurata nemmeno dal c.d. diritto di veto previsto dal Regolamento, non traducendosi lo stesso in un effettivo potere interdittivo riguardo alle “deliberazioni del Consiglio di Amministrazione della Società, che abbiano esclusiva attinenza al territorio dell'Ente Locale”. È infatti espressamente contemplata l’ipotesi che il Consiglio di amministrazione “non intenda uniformarsi ai rilevi dell'Ente Locale”, spettando in tal caso le “definitive determinazioni” al Comitato Assembleare, circostanza che priva l’ente direttamente interessato al servizio di un apprezzabile potere di intervento sulla gestione che interessa direttamente il proprio territorio. Del resto, né lo Statuto né i regolamenti stabiliscono che tali “definitive determinazioni” del Comitato possano comportare l’annullamento dell’atto dell’organo di amministrazione o comunque l’adozione di concrete misure idonee a salvaguardare l’interesse dell’ente che ha attivato la procedura di “veto”.

In capo all’ente direttamente interessato alle deliberazioni che hanno effetti sul proprio territorio residua unicamente il recesso dalla società in presenza di “reiterate violazioni da parte della Società delle disposizioni recate dai contratti di servizio relative alle modalità di erogazione dei servizi ad essa affidati nell’ambito territoriale di competenza del singolo Ente Locale” (art. 43 St.), previsione che tuttavia evidenzia l’assenza di un effettivo controllo sulla gestione, visto che il recesso è l’estremo rimedio di fronte alla constatata impossibilità di correggere le “reiterate” patologie riscontrate.

Manca in definitiva nella fattispecie, riguardo tanto al Comitato assembleare quanto ai singoli soci direttamente interessati all’andamento della gestione, il “potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato da parte dell'ente controllante-affidante, che consenta cioè a quest'ultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell'affidatario” (TAR L’Aquila, 10 luglio 2014 n. 596).

Va segnalato che la decisione appena citata ha ritenuto che, “a fronte dell’ampiezza dei poteri e dell’autonomia gestionale affidata all’organo amministrativo, la previsione di un controllo preventivo e di un potere di indirizzo sugli atti di gestione appaiono mere petizioni di principio e previsioni astratte, in mancanza di qualsivoglia previsione in ordine … alle conseguenze del loro esercizio. Non si chiarisce, cioè, … quali siano le conseguenze della mancata trasmissione degli atti su cui esercitare il controllo preventivo o di un suo eventuale esito negativo. Ugualmente nulla è detto sull’eventuale scostamento del CdA rispetto alle direttive e agli indirizzi impartiti dai soci…”. Tali condivise affermazioni sono agevolmente riferibili anche alla fattispecie in esame, dove parimenti mancano previsioni in grado di vincolare il CdA al rispetto delle determinazioni assunte dal Comitato.

Lo stesso giudice, con sentenza 19 dicembre 2014 n. 929, ha poi ritenuto che il requisito in parola fosse assicurato a seguito della successiva costituzione di un Comitato “a cui partecipano tutti gli enti soci, che esamina in via preventiva ed esprime un parere parzialmente vincolante (cioè superabile dagli organi sociali solo previa e congrua motivazione) su tutti gli atti sociali, nonché autorizza, con parere preventivo interamente vincolante, i principali atti di gestione della società e quelli che, comunque, coinvolgono il suo assetto economico-finanziario, la gestione del servizio ad essa affidato e delle relative infrastrutture e gli organi sociali”, elementi che evidenziano, a contrario, la limitatezza dei poteri di controllo che caratterizzano la fattispecie.

Indicativa in tal senso è anche TAR Brescia, II, 17 maggio 2016 n. 691, che ha ritenuto idonea ad assicurare il controllo analogo l’esistenza di un Comitato che “può impartire direttive vincolanti all’organo amministrativo sulla politica aziendale (con particolare riferimento alla qualità dei servizi prodotti e alle caratteristiche da assicurare per il perseguimento dell’interesse pubblico), può porre il veto sulle operazioni ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi pubblici della collettività e del territorio”, nonché proporre “all’Assemblea una rosa di candidati tra i quali scegliere i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale”, da cui si evincono un insieme di poteri sugli atti e sugli organi che nel caso in esame invece mancano.

Va per completezza rilevato che la L.R. 23 del 2004, allorché richiede l’esercizio di “un generale potere di direzione, di coordinamento e di controllo analogo a quello esercitato sui servizi gestiti da proprie strutture interne, con particolare riferimento all'effettuazione di specifici controlli sui principali atti di gestione dell'affidatario”, evidenzia anch’essa che nella fattispecie sono assenti clausole statutarie o patti parasociali che prevedano tali “specifici” poteri sulla gestione e assicurino quindi un controllo di intensità tale da poterlo considerare analogo a quello sui propri servizi.

5.3 - L’assenza di effettivi poteri di controllo emerge anche dalla considerazione che lo Statuto non soddisfa l’esigenza che l’organismo in questione sia adeguatamente rappresentativo degli enti affidanti.

Va sul punto precisato, come è pacifico tra le parti, che ECOLAN è partecipata da 53 Comuni, di cui solo 23 le hanno affidato il servizio in questione. Come si è già osservato, l’adesione alla Società non implica il necessario affidamento del servizio alla medesima, sicché risulta evidente che nemmeno in prospettiva nulla garantisce che lo status di socio venga a coincidere con quello di ente affidante. Anche a ritenere che la predetta adesione sia stata espressione dell’impegno “politico” dei Comuni partecipanti di procedere all’affidamento diretto una volta venuti a scadenza i vari rapporti con imprese terze a cui al momento erano legati, resta comunque la circostanza che, fintanto che l’affidamento diretto non venga a coinvolgere tutti i soci, gli enti che attualmente si servono di ECOLAN si trovano ad esercitare il controllo sulla gestione attraverso un organo che è emanazione anche dei Comuni che gestiscono il servizio attraverso gli altri sistemi previsti dall’ordinamento.

Lo Statuto non opera infatti alcuna distinzione tra soci che gestiscono il servizio tramite ECOLAN e quelli che invece si servono di imprese private o di società miste, essendo in esso previsto che tutti i Comuni esercitano congiuntamente i poteri riservati all’Assemblea e pertanto concorrono indistintamente a deliberare anche su aspetti della gestione che hanno esclusiva rilevanza nell’ambito dei Comuni affidanti. Si consideri in proposito che spetta, tra l’altro, all’Assemblea (art. 12, co. 3, dello Statuto) “l’approvazione degli indirizzi per la gestione della società” (lett. d) nonché “l’approvazione degli indirizzi strategici relativi alla gestione dei servizi e … dello schema dei contratti per la gestione del servizio nel territorio degli Enti locali soci” (lett. e), previsioni che evidenziano che anche gli atti destinati a esplicare effetti essenzialmente nei riguardi dei Comuni che hanno affidato il servizio a ECOLAN sono formati con la partecipazione degli enti che si trovano in una diversa situazione di gestione del servizio (cfr. in tal senso anche l’art. 1 Reg. ex art. 1, co. 3, dello Statuto: spetta ai consigli comunali degli enti soci “concorrere a determinare, in misura proporzionale al possesso azionario, gli indirizzi da osservare da parte della Società”).

Mancano, d’altronde, patti parasociali attraverso i quali i soci si impegnano a votare, su questioni che riguardano i servizi prestati in uno specifico comune, in conformità alla volontà espressa dall’ente direttamente interessato, in modo che sia assicurato a ciascun comune un ruolo determinante nell’adozione di decisioni circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio (cfr. TAR Brescia 780/2013 cit.).

Benché l’attività prevalente della Società si esplichi solo in determinati territori comunali, non è dunque previsto alcun sistema che assicuri che le decisioni relative alla gestione nei predetti territori siano espresse da organi adeguatamente rappresentativi di tali enti in quanto portatori di interessi specifici, il che evidenzia l’inadeguatezza del controllo da parte dei medesimi.

Tale categoria di enti non è considerata nemmeno ai fini del controllo sugli atti di gestione, tenuto conto che la composizione del Comitato assembleare non è tale da garantirne la rappresentanza. Fermo restando, per quanto in precedenza osservato, che i poteri del Comitato non hanno consistenza tale da assicurare il predetto controllo analogo, va infatti osservato che, in base alle norme statutarie sopra trascritte, la nomina dei componenti è effettuata da assemblee separate costituite sulla base della popolazione dei comuni-soci in cui ogni partecipante dispone di un solo voto a prescindere dal numero di azioni possedute. Il meccanismo –se assicura anche agli enti di più piccole dimensioni una rappresentanza paritaria- non garantisce invece analoga rappresentanza alla categoria degli enti che hanno affidato il servizio alla Società, visto che tutti i soci –affidanti e non- concorrono indistintamente a eleggere il Comitato. I poteri di controllo sulla gestione fanno dunque capo ad un organismo che è espressione anche dei soci sul cui territorio ECOLAN non opera, il che non riflette adeguatamente la specifica posizione degli enti direttamente interessati alle decisioni sull’andamento del servizio.

Il concetto di un controllo che sia analogo a quello esercitato sui propri servizi evoca infatti una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante e perciò designa il rapporto di delegazione interorganica tra gli enti che affidano tali servizi e la Società che li gestisce. Non si configura invece un simile rapporto, quantomeno riguardo all’attività prevalente, che possa far capo alla categoria di soci che non hanno in ECOLAN il loro strumento operativo, sicché risulta privo di giustificazioni il meccanismo che consente a tali soci di concorrere sullo stesso piano degli altri all’esercizio di un potere di controllo che ha per essenziale oggetto una gestione che non si svolge sul loro territorio.

Quanto sopra ha dirette conseguenze sull’esercizio del c.d. diritto di veto previsto dal Regolamento, a cui le parti resistenti assegnano un decisivo rilievo ai fini della sussistenza del requisito in parola, visto che, “ove il Consiglio di Amministrazione non intenda uniformarsi ai rilevi dell'Ente Locale”, le “definitive determinazioni” in proposito sono adottate (a maggioranza) dal predetto Comitato, che, per le ragioni dette, potrebbe essere però composto, anche nella sua totalità, da sindaci di enti che non gestiscono il servizio tramite ECOLAN. La qual cosa evidenzia che la decisione finale sul “diritto di veto” non fa capo né al Comune direttamente interessato, per cui il potere in parola non ha una reale portata impeditiva, né ad un organismo che, in quanto specificamente preposto a controllare le tematiche afferenti la gestione, sia emanazione dei comuni che in quella gestione hanno specifico titolo a ingerirsi essendone i diretti fruitori.

La composizione del Comitato perciò non soddisfa l’esigenza evidenziata dalla stessa controinteressata, che cioè gli azionisti che affidano in via diretta alla società l'erogazione dei propri servizi siano titolari di un potere di direttiva e di controllo capace di esplicarsi mediante indirizzi vincolanti sulle modalità di erogazione del servizio affidato.

Benché finalizzato al controllo su attività che si svolge essenzialmente nell’ambito di determinati Comuni, il Comitato è invece rappresentativo della totalità degli enti e pertanto di interessi non omogenei, con la conseguenza che il suddetto organismo non necessariamente è in grado di riflettere l’esigenza di un penetrante controllo sulla gestione, propria degli enti che hanno affidato il servizio alla Società.

6 – Da quanto osservato discende la fondatezza delle censure che hanno contestato la sussistenza del requisito del “controllo analogo”, sicché –con assorbimento di ogni altra questione- il ricorso in esame deve essere accolto con conseguente annullamento dell’atto di affidamento e dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato tra le parti resistenti.

Quanto alle spese di giudizio, la complessità delle questioni introdotte dalle parti induce alla loro compensazione, salvo il diritto delle ricorrenti al rimborso del contributo unificato dalle stesse versato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa loro riunione, li accoglie con le conseguenze indicate in motivazione. Spese compensate come da motivazione.

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

La vicenda  riguarda  i giudizi promossi da “imprenditori di settore” in ordine alla verifica  della legittimità  delle  procedure  e della sussistenza ai presupposti per l’affidamento in house del servizio pubblico di igiene urbana.

Uno dei Comuni più grandi  dei 53 che fanno parte dell’ex consorzio per la gestione del servizio, (Comune di Lanciano) ha disposto l'affidamento in house del servizio di igiene urbana, -fino ad allora gestito mediante appalto aggiudicato a seguito di gara-, alla ECO.LAN s.p.a., che è una società interamente pubblica composta, pro quota, dai suddetti 53 comuni, di cui peraltro solo 23 hanno affidato il servizio alla società pubblica ECOLAN da essa costituita.

Le società ricorrenti, deducendo di essere operatrici del settore e quindi interessate all’aggiudicazione del servizio in questione all’esito di procedura ad evidenza pubblica, hanno impugnato gli atti con cui appunto il predetto comune  aveva affidato il servizio direttamente alla società partecipata interamente pubblica.

  La fattispecie, è insorta prima dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici e del Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, peraltro oggi  oggetto di rivisitazione  in considerazione degli effetti derivanti dalla sentenza della Corte Costituzionale 25 novembre 2016 n. 251 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della specifica norma della legge delega ( art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), della legge n. 124 del 2015).

 Tuttavia la decisione del  TAR è intervenuta prima della sentenza del Giudice delle leggi, per cui il Giudice ha ritenuto evidentemente di potere decidere anche tenendo conto dei sopravvenuti paradigmi legislativi nazionali, peraltro espressione interna delle Direttive comunitarie vigenti all’epoca del disposto affidamento in house.

  Per completezza di esame giova precisare che il Comune di Lanciano ricorrente si era già determinato  in tal senso con precedente delibera,  ma che la aveva annullata in autotutela con deliberazione del Consiglio n. 67 del 20 ottobre 2015 in esecuzione di quanto deciso dallo stesso TAR che, con sentenza n. 349/2015 (confermata in appello  da Cons. Stato, V, 12 maggio 2016 n. 1900) aveva annullato analogo affidamento a ECOLAN disposto dal altro comune socio (il Comune di Orsogna).

 Il nuovo affidamento è intervenuto a seguito delle modifiche apportate allo statuto sociale, in pretesa ottemperanza alla predetta sentenza  349/2015 che  aveva ritenuto inidoneo ad assicurare il c.d. “controllo analogo”.

 Tuttavia le società ricorrenti hanno censurato sotto molteplici profili la legittimità dell’affidamento, lamentando, in estrema sintesi l’assenza in capo alla Società dei requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario legittimanti l’affidamento in house.

 Negli scritti difensivi il Comune di Lanciano e la  controinteressata ECOLAN hanno replicato ai motivi di ricorso sostenendo che la società affidataria -di cui il Comune detiene una partecipazione pari al 21,69%- avrebbe tutti requisiti caratterizzanti il modello in house providing in quanto a capitale interamente pubblico, assoggettata al controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici dagli enti titolari del capitale sociale e che realizza la parte più importante della propria attività con gli enti che la controllano, evidenziando che  anche negli atti oggetto di impugnativa sarebbe stata data contezza della sussistenza dei citati requisiti comunitari e delle ragioni di fatto e di diritto legittimanti l’affidamento, approvando contestualmente la relazione elaborata ex art. 34, comma 20, d.l. 179/2012, conv. con 1. 221/2012.

 Il TAR, con la sentenza in esame ha accolto i ricorsi, dopo averli riuniti, superato alcune eccezioni in rito e rilevato  anche d’ufficio la carenza di giurisdizione per le censure rivolte avverso lo statuto societario; nel merito, oltre che annullare l’affidamento e dichiarare l’inefficacia del contratto di servizio stipulato,  ha fornito  elementi utili per  individuare nel concreto le modalità ed ogni  attività ed effetto utile per garantire il requisito del cd. “controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici dagli enti titolari del capitale sociale”.

Infatti, nella specie, lo statuto non conteneva disposizioni utili all’osservanza  di tale obbligo e non chiariva, nemmeno con patti parasociali, le misure previste, gli effetti e l’efficacia dell’utilizzo degli strumenti che il Giudice ha ritenuto inadeguati anche in relazione alla peculiarità del caso in esame in cui esistono soci della Società in house  che per il loro comune avevano affidato a  terzi la gestione, ma che appunto come soci e detentori di quote  nella società  in house avrebbero diritto comunque ad esercitare  il controllo analogo.

Per cui, se è prevista l’attribuzione di un solo voto per ogni comune socio, a prescindere dalla entità delle quote possedute e dell’affidamento o meno del servizio alla società interamente pubblica, i poteri di controllo sulla gestione farebbero  capo  ad un organismo che è espressione anche dei soci sul cui territorio la società in house non opera, ma ciò non rifletterebbe adeguatamente la specifica posizione degli enti direttamente interessati alle decisioni sull’andamento del servizio.

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

  La Sentenza in commento, come accennato, in via preliminare, affronta alcune questioni di rito in ordine cioè alla legittimazione e all’interesse all’azione e, nel contempo, ha dovuto nuovamente estendere il suo scrutinio ai rapporti con la norma che disciplina i poteri del giudice ed in particolare se e come applicare la caso concreto  la diposizione dell’art. 34, comma 2, C.P.A.,  che vieta  al Giudice di  pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, sotto il profilo della mancanza di interesse ad impugnare  degli atti endoprocedimentali  e a valle degli atti (o dell’atto) con il quale si concettizza la scelta di indire la procedura di affidamento  in house da parte di operatori del settore che  ovviamente non abbiano potuto partecipare alla procedura di affidamento diretto.

         Successivamente, affrontando nel merito la questione, la sentenza, con maggiore sforzo interpretativo, si addentra a verificare e a delineare il contenuto minimo degli statuti e, come corollario, di eventuali regolamenti e patti parasociali che possano assicurare  che la gestione in house sia  assoggettata al controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici dagli enti titolari del capitale sociale, con la peculiarità che meno della metà dei soci stessi abbiano deciso di avvalersi di tale strumento, con la conseguenza che il detto controllo analogo  sulla gestione limitata ad un determinato territorio comunale sarebbe esercitabile anche da parte di  Comuni-soci che hanno affidato a terzi la gestione sul proprio territorio.

          Procedendo con ordine, sulle questioni di rito in merito alla tardività, legittimazione e, interesse a ricorrere,  la sentenza  per quanto riguarda la tardività non ha condiviso l’eccezione in base alla quale “La scelta delle amministrazioni di gestire il ciclo dei rifiuti in modo diretto risalirebbe pertanto all’epoca in cui furono adottati gli atti espressivi della volontà degli enti locali di orientarsi verso il modello dell'affidamento diretto e di sottrarre al confronto concorrenziale l'attribuzione del servizio, a cui andrebbe pertanto fatta risalire la lesione dell’interesse azionato.

Infatti, ha ribadito che “L’eccezione, già ritenuta infondata con la richiamata sentenza 349/2015, va disattesa in base alla considerazione “che la mera partecipazione del Comune … alla predetta ECOLAN spa, risalente come detto al 2010, non equivale di per sé all’automatico affidamento del servizio pubblico (cfr. sul punto, di recente, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 settembre 2015, n. 4253), ancor più in considerazione del fatto che l’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, norma sulla cui base è anche impostato il ricorso di primo grado, impone all’Amministrazione autonome valutazioni per l’affidamento del servizio, valutazioni che vengono espresse dall’amministrazione al momento dell’affidamento e che ben possono essere sindacate” (Cons. Stato, V, 12 maggio 2016 n. 1900, con cui è stato rigettato l’appello avverso la citata sentenza 349/2015).”

 Riguardo agli altri profili,  sono state respinte le eccezioni  di inammissibilità del ricorso proposto da RIECO, che era stata precedentemente affidataria del servizio e per analoghe considerazioni anche di quelle  con cui le resistenti hanno contestato la legittimazione delle altre imprese del settore (IGAM e Smaltimenti Sud), per carenza dei requisiti soggettivi di partecipazione.

Sul punto, la sentenza ha precisato, per la precedente affidataria ma come principio generale, che “con sentenza 86/2016 questa Sezione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da RIECO nei confronti della deliberazione con cui la Giunta comunale di Lanciano aveva preso atto, “anche agli eventuali fini di cui all'art. 38, comma 1 lettera f) del D.Lgs 163/2006 e s.m.i., delle gravi negligenze ed inadempienze di cui si è resa responsabile la Soc. Rieco s.p.a. nel corso dell'esecuzione della commessa affidatale, in ordine all'utilizzo dei mezzi comunali consegnati per lo svolgimento del servizio…”.

La decisione ha ritenuto che la suddetta deliberazione non avesse carattere provvedimentale, rilevando “che la richiamata disposizione contempla un provvedimento promanante dalla stazione appaltante … che bandisce la gara e quindi necessariamente emesso nell’ambito di una procedura di affidamento già indetta a cui l’interessata abbia quantomeno chiesto di partecipare. La motivata valutazione ha perciò carattere lesivo solo in quanto costituisce il fondamento di un provvedimento di esclusione o di altro prefigurato dalla stessa norma, sicché la deliberazione assunta dal Comune al di fuori delle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi non è idonea a produrre effetti concreti, non potendo essa incidere sull’interesse della ricorrente a partecipare ad una successiva eventuale gara indetta dall’Amministrazione, nel cui esclusivo ambito potranno essere assunte le determinazioni ai sensi della predetta lett. f)”. Si tratta di conclusioni che vanno qui ribadite, non potendo essere assunte in questa sede decisioni “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34, co. 2, cod. proc. amm.), nel cui ambito vanno collocati i provvedimenti con cui la stazione appaltante ammette o esclude le imprese da una gara…”.

Riguardo poi, alle altre due eccezioni, per la prima  si è ritenuto che “la manifesta infondatezza discende dall’essere la ricorrente società operante nel settore e che ha peraltro dato dimostrazione di essere iscritta all’Albo nazionale gestori ambientali, requisito che la abilita a partecipare alla gara per l’affidamento dei servizi in questione che dovesse essere indetta all’esito del giudizio”.

Per l’altra, è stato precisato che  “l’eccezione è imperniata sul non essere la Società iscritta al predetto Albo e su un insieme di prospettazioni dirette a sostenere che tale carenza non potrebbe essere colmata né tramite avvalimento (ostandovi l’art. 89, comma 10 del D.Lgs 50/2016) né attraverso associazione temporanea con imprese iscritte (secondo quanto ritenuto da T.A.R. Veneto, sez. I, 15 febbraio 2016, n. 156 e da A.N.A.C, pareri n. 48 del 30.09.2014 e 27 del 6.02.2007), da cui viene desunta l’assenza di un qualunque interesse, anche di carattere strumentale, ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati”.

 Al riguardo il giudice territoriale ha condiviso “l’orientamento richiamato … in memoria, secondo cui la legittimazione a contestare l’affidamento in house si ricollega alla qualifica di “imprenditore di settore” che agisce a tutela dell’interesse strumentale ad avere una chance di aggiudicazione in una gara ad evidenza pubblica. Va in tal senso considerato che la complessa attività di verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa ricorrente va effettuata nell’ambito del procedimento di gara, non potendo essere anticipata, in base al citato principio di cui all’art. 34, co. 2, del Codice, all’interno di un giudizio che non abbia ad oggetto le determinazioni amministrative di ammissione o di esclusione adottate dalla stazione appaltante, essendo qui sufficiente che la ricorrente abbia dimostrato di avere le caratteristiche di impresa operante nel settore in grado di consentirle l’assunzione del ruolo di potenziale concorrente in una eventuale gara da indirsi all’esito dell’annullamento dell’affidamento diretto.”.

 Precisato, infine, “che il provvedimento lesivo dell’interesse azionato è la deliberazione con cui il servizio è stato affidato a ECOLAN e che, per quanto indicati nell’epigrafe del ricorso, non sono formulate censure nei confronti dello Statuto e ai regolamenti di ECOLAN, atti che devono pertanto ritenersi estranei alla domanda di annullamento (su cui, peraltro, il giudice amministrativo sarebbe carente di giurisdizione, come dedotto dalle parti resistenti), la cui evocazione deve pertanto ritenersi funzionale a sostenere i motivi diretti contro il provvedimento comunale (e segnatamente quelli attinenti al requisito del controllo analogo)”, la sentenza affronta le questioni di merito sottoposte allo scrutinio del giudicante.

 La sentenza [dichiarati assorbiti gli altri motivi di ricorso] prende in considerazione “i motivi che mettono in discussione la sussistenza del requisito del controllo analogo, questione già oggetto della controversia definita con la citata sentenza n. 349 del 2015, le cui statuizioni hanno indotto la Società a dotarsi di un nuovo Statuto allo scopo di superare le criticità riscontrate”.

 Dopo avere  riportate le norme statutarie e riassunto le diverse posizioni a sostegno delle diverse reciproche posizioni, esamina le questioni centrali e fornisce utili indicazioni, nelle more che vengano  emanate le determinazioni dell’ANAC per quanto attiene all’iscrizione nell’istituendo elenco delle società in house per le quali è consentito procedere agli affidamenti diretti.

 E così statuisce che le censure  “siano fondate riguardo ai profili relativi alla insufficienza dei poteri attribuiti all’apposito Comitato assembleare nonché a quelli con cui si sostiene il carattere non rappresentativo di tale organismo.”, atteso che “ il controllo analogo non è assicurato né dalle clausole statutarie né da quelle regolamentari…”.

 In generale, rammenta che  “il controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante deve essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria”. In particolare, si richiede a tale scopo un controllo “al tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti (cfr. già la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418): sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762)” [così Cons. Stato, V, 13 marzo 2014 n. 1181].È parimenti noto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha chiarito che nel caso in cui venga fatto ricorso ad un’entità posseduta in comune da più autorità pubbliche, il controllo analogo   essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse”.

In particolare, precisa che  questi sono “concetti codificati dall’art. 12, paragrafo 3, della Direttiva 2014/24/UE (e art. 17 della Direttiva 2014/23/UE), e nell’ordinamento interno dall’art. 5 D.lgs. 50/2016 nonché dall’art. 2, lett. c) e d), D.lgs. 175/2016, dove è stabilito che l’affidamento diretto è legittimo quando “a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi”, precisandosi che “Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica…”.

 Applicando tali principi generali al caso in esame, ha puntualizzato che se “…lo Statuto ha inteso assicurare il controllo sulla gestione attraverso il predetto Comitato assembleare, le cui competenze tuttavia non si traducono in poteri di ingerenza tali da vincolare l’operato dell’organo di amministrazione.”:

Secondo il giudicante, “non hanno infatti alcuna portata vincolante le “proposte di deliberazione” di cui all’art. 22, lett. f., dello Statuto, così come i poteri di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi (lett. b.), di vigilanza sullo stato di attuazione dei contratti di servizio, di rilevazione delle problematiche emerse e di formulazione di proposte migliorative da sottoporre all'esame del Consiglio di Amministrazione e dell'Assemblea (lett.c.), di audizione del Presidente (lett. d.), di approfondimento sulle eventuali tematiche controverse tra la Società e l'Autorità d'ambito (lett. e.), di esame con cadenza almeno trimestrale delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione (lett.f.): si tratta di un insieme di prerogative che evidenziano un’intensa attività conoscitiva che tuttavia non hanno alcuno sbocco nell’esercizio di poteri in grado di vincolare l’attività di gestione svolta dal Consiglio. Nemmeno è previsto che la “facoltà” di indire riunioni con la Società “in merito ai problemi emersi o a possibili sviluppi concernenti i servizi gestiti dalla Società stessa nell’ambito del territorio comunale” (art. 7 Reg. ex art. 1 St.) possa tradursi in direttive ed indirizzi vincolanti, né possono condurre all’esercizio di un effettivo controllo in tal senso il rapporto di cui all’art. 9 dello stesso regolamento e l’informativa di cui all’art. 31, co. 5 St. Analogamente deve dirsi delle attività di vigilanza ed ispezione (art. 6 Regolamento relativo al funzionamento del Comitato), non risultando nemmeno esse finalizzate all’esercizio di un potere che possa concretamente riflettersi sulla gestione, visto che non sono meglio definite “le iniziative e le misure” che gli “Enti locali soci” possono adottare “per porre tempestivo rimedio agli inadempimenti riscontrati” (art. 7, co. 2). Tant’è che, qualora gli organi della Società non dovessero conformarsi “ai provvedimenti adottati dagli enti locali soci in seguito ai controlli compiuti”, l’unico rimedio previsto è la revoca degli amministratori e la promozione nei loro confronti dell’azione di responsabilità (art. 8), mentre i generici “ulteriori provvedimenti da adottare nei confronti della Società” non prefigurano alcun concreto potere di controllo sugli atti.”.

Da ciò ne inferisce che “ La mancata individuazione di concreti poteri in grado di conformare gli atti dell’organo di amministrazione alle valutazioni degli enti controllanti rende tali previsioni non idonee a soddisfare l’esigenza “che il controllo debba essere esercitato non solo in forma propulsiva ma anche attraverso l’esercizio -in chiave preventiva- di poteri inibitori, volti a disinnescare iniziative o decisioni contrastanti con gli interessi dell’ente locale direttamente interessato al servizio” (TAR Piemonte, I, 1069/2014).

Del resto , prosegue il giudice, “Una simile esigenza non è assicurata nemmeno dal c.d. diritto di veto previsto dal Regolamento, non traducendosi lo stesso in un effettivo potere interddittivo riguardo alle “deliberazioni del Consiglio di Amministrazione della Società, che abbiano esclusiva attinenza al territorio dell'Ente Locale”. È infatti espressamente contemplata l’ipotesi che il Consiglio di amministrazione “non intenda uniformarsi ai rilevi dell'Ente Locale”, spettando in tal caso le “definitive determinazioni” al Comitato Assembleare, circostanza che priva l’ente direttamente interessato al servizio di un apprezzabile potere di intervento sulla gestione che interessa direttamente il proprio territorio. Del resto, né lo Statuto né i regolamenti stabiliscono che tali “definitive determinazioni” del Comitato possano comportare l’annullamento dell’atto dell’organo di amministrazione o comunque l’adozione di concrete misure idonee a salvaguardare l’interesse dell’ente che ha attivato la procedura di “veto”. In capo all’ente direttamente interessato alle deliberazioni che hanno effetti sul proprio territorio residua unicamente il recesso dalla società in presenza di “reiterate violazioni da parte della Società delle disposizioni recate dai contratti di servizio relative alle modalità di erogazione dei servizi ad essa affidati nell’ambito territoriale di competenza del singolo Ente Locale” (art. 43 St.), previsione che tuttavia evidenzia l’assenza di un effettivo controllo sulla gestione, visto che il recesso è l’estremo rimedio di fronte alla constatata impossibilità di correggere le “reiterate” patologie riscontrate”.

Secondo la corte territoriale come già affermato dalla giurisprudenza  (TAR L’Aquila, 10 luglio 2014 n. 596),“a fronte dell’ampiezza dei poteri e dell’autonomia gestionale affidata all’organo amministrativo, la previsione di un controllo preventivo e di un potere di indirizzo sugli atti di gestione appaiono mere petizioni di principio e previsioni astratte, in mancanza di qualsivoglia previsione in ordine … alle conseguenze del loro esercizio. Non si chiarisce, cioè, … quali siano le conseguenze della mancata trasmissione degli atti su cui esercitare il controllo preventivo o di un suo eventuale esito negativo. Ugualmente nulla è detto sull’eventuale scostamento del CdA rispetto alle direttive e agli indirizzi impartiti dai soci…”. Tali condivise affermazioni sono agevolmente riferibili anche alla fattispecie in esame, dove parimenti mancano previsioni in grado di vincolare il CdA al rispetto delle determinazioni assunte dal Comitato.”.

Ancora, riprendendo le affermazioni dello stesso TAR L’Aquila, con sentenza 19 dicembre 2014 n. 929, ha poi ritenuto che “il requisito della vincolatività del controllo fosse assicurato a seguito della successiva costituzione di un Comitato “a cui partecipano tutti gli enti soci, che esamina in via preventiva ed esprime un parere parzialmente vincolante (cioè superabile dagli organi sociali solo previa e congrua motivazione) su tutti gli atti sociali, nonché autorizza, con parere preventivo interamente vincolante, i principali atti di gestione della società e quelli che, comunque, coinvolgono il suo assetto economico-finanziario, la gestione del servizio ad essa affidato e delle relative infrastrutture e gli organi sociali”, elementi che evidenziano, a contrario, la limitatezza dei poteri di controllo che caratterizzano la fattispecie. Indicativa in tal senso è anche TAR Brescia, II, 17 maggio 2016 n. 691, che ha ritenuto idonea ad assicurare il controllo analogo l’esistenza di un Comitato che “può impartire direttive vincolanti all’organo amministrativo sulla politica aziendale (con particolare riferimento alla qualità dei servizi prodotti e alle caratteristiche da assicurare per il perseguimento dell’interesse pubblico), può porre il veto sulle operazioni ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi pubblici della collettività e del territorio”, nonché proporre “all’Assemblea una rosa di candidati tra i quali scegliere i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale”, da cui si evincono un insieme di poteri sugli atti e sugli organi che nel caso in esame invece mancano”.

Proseguendo nel suo percorso argomentativo, la sentenza puntualizza che “L’assenza di effettivi poteri di controllo emerge anche dalla considerazione che lo Statuto non soddisfa l’esigenza che l’organismo in questione sia adeguatamente rappresentativo degli enti affidanti”.

 Infatti, riguardo alla circostanza oggettiva che non tutti i soci hanno affidato il servizio al medesimo gestore, viene precisato che “ECOLAN è partecipata da 53 Comuni, di cui solo 23 le hanno affidato il servizio in questione. Come si è già osservato, l’adesione alla Società non implica il necessario affidamento del servizio alla medesima, sicché risulta evidente che nemmeno in prospettiva nulla garantisce che lo status di socio venga a coincidere con quello di ente affidante. Anche a ritenere che la predetta adesione sia stata espressione dell’impegno “politico” dei Comuni partecipanti di procedere all’affidamento diretto una volta venuti a scadenza i vari rapporti con imprese terze a cui al momento erano legati, resta comunque la circostanza che, fintanto che l’affidamento diretto non venga a coinvolgere tutti i soci, gli enti che attualmente si servono di ECOLAN si trovano ad esercitare il controllo sulla gestione attraverso un organo che è emanazione anche dei Comuni che gestiscono il servizio attraverso gli altri sistemi previsti dall’ordinamento.

Lo Statuto non opera infatti alcuna distinzione tra soci che gestiscono il servizio tramite ECOLAN e quelli che invece si servono di imprese private o di società miste, essendo in esso previsto che tutti i Comuni esercitano congiuntamente i poteri riservati all’Assemblea e pertanto concorrono indistintamente a deliberare anche su aspetti della gestione che hanno esclusiva rilevanza nell’ambito dei Comuni affidanti. Si consideri in proposito che spetta, tra l’altro, all’Assemblea (art. 12, co. 3, dello Statuto) “l’approvazione degli indirizzi per la gestione della società” (lett. d) nonché “l’approvazione degli indirizzi strategici relativi alla gestione dei servizi e … dello schema dei contratti per la gestione del servizio nel territorio degli Enti locali soci” (lett. e), previsioni che evidenziano che anche gli atti destinati a esplicare effetti essenzialmente nei riguardi dei Comuni che hanno affidato il servizio a ECOLAN sono formati con la partecipazione degli enti che si trovano in una diversa situazione di gestione del servizio (cfr. in tal senso anche l’art. 1 Reg. ex art. 1, co. 3, dello Statuto: spetta ai consigli comunali degli enti soci “concorrere a determinare, in misura proporzionale al possesso azionario, gli indirizzi da osservare da parte della Società”)”.

Viene  rilevata, altresì, anche  l’assenza di “patti parasociali attraverso i quali i soci si impegnano a votare, su questioni che riguardano i servizi prestati in uno specifico comune, in conformità alla volontà espressa dall’ente direttamente interessato, in modo che sia assicurato a ciascun comune un ruolo determinante nell’adozione di decisioni circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio…)”.

 Orbene, nella specie, “Benché l’attività prevalente della Società si esplichi solo in determinati territori comunali, non è dunque previsto alcun sistema che assicuri che le decisioni relative alla gestione nei predetti territori siano espresse da organi adeguatamente rappresentativi di tali enti in quanto portatori di interessi specifici, il che evidenzia l’inadeguatezza del controllo da parte dei medesimi (…) va infatti osservato che, in base alle norme statutarie…, la nomina dei componenti è effettuata da assemblee separate costituite sulla base della popolazione dei comuni-soci in cui ogni partecipante dispone di un solo voto a prescindere dal numero di azioni possedute. Il meccanismo –se assicura anche agli enti di più piccole dimensioni una rappresentanza paritaria- non garantisce invece analoga rappresentanza alla categoria degli enti che hanno affidato il servizio alla Società, visto che tutti i soci –affidanti e non- concorrono indistintamente a eleggere il Comitato. I poteri di controllo sulla gestione fanno dunque capo ad un organismo che è espressione anche dei soci sul cui territorio ECOLAN non opera, il che non riflette adeguatamente la specifica posizione degli enti direttamente interessati alle decisioni sull’andamento del servizio”.

In buona sostanza, “il concetto di un controllo che sia analogo a quello esercitato sui propri servizi evoca infatti una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante e perciò designa il rapporto di delegazione interorganica tra gli enti che affidano tali servizi e la Società che li gestisce.”.

Invece, “Non si configura …. un simile rapporto, quantomeno riguardo all’attività prevalente, che possa far capo alla categoria di soci che non hanno in ECOLAN il loro strumento operativo, sicché risulta privo di giustificazioni il meccanismo che consente a tali soci di concorrere sullo stesso piano degli altri all’esercizio di un potere di controllo che ha per essenziale oggetto una gestione che non si svolge sul loro territorio”.

Tale situazione incide direttamente “sull’esercizio del c.d. diritto di veto previsto dal Regolamento, a cui le parti resistenti assegnano un decisivo rilievo ai fini della sussistenza del requisito in parola, visto che, “ove il Consiglio di Amministrazione non intenda uniformarsi ai rilevi dell'Ente Locale”, le “definitive determinazioni” in proposito sono adottate (a maggioranza) dal predetto Comitato, che, per le ragioni dette, potrebbe essere però composto, anche nella sua totalità, da sindaci di enti che non gestiscono il servizio tramite ECOLAN. La qual cosa evidenzia che la decisione finale sul “diritto di veto” non fa capo né al Comune direttamente interessato, per cui il potere in parola non ha una reale portata impeditiva, né ad un organismo che, in quanto specificamente preposto a controllare le tematiche afferenti la gestione, sia emanazione dei comuni che in quella gestione hanno specifico titolo a ingerirsi essendone i diretti fruitori”.

Infine, avuto riguardo alla  composizione del Comitato,  la medesima “ non soddisfa l’esigenza evidenziata dalla stessa controinteressata, che cioè gli azionisti che affidano in via diretta alla società l'erogazione dei propri servizi siano titolari di un potere di direttiva e di controllo capace di esplicarsi mediante indirizzi vincolanti sulle modalità di erogazione del servizio affidato”.

Infatti, conclude la sentenza, “ Benché finalizzato al controllo su attività che si svolge essenzialmente nell’ambito di determinati Comuni, il Comitato è invece rappresentativo della totalità degli enti e pertanto di interessi non omogenei, con la conseguenza che il suddetto organismo non necessariamente è in grado di riflettere l’esigenza di un penetrante controllo sulla gestione, propria degli enti che hanno affidato il servizio alla Società.

  Sulla scorta di tale articolata impostazione il ricorso è stato accolto, con l’annullamento delle delibere di affidamento e la declaratoria di inefficacia dei contratti stipulati.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

          La sentenza in esame, seppure riferita ad un affidamento disposto prima dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, offre spunti  teorici ed operativi molto interessanti per quanto attiene la novella legislativa  dell’affidamento in house, utili anche per il processo di armonizzazione delle disposizioni al dictum della citata Sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2016.

           Il principio generale che se ne ricava  è che “il concetto di un controllo che sia analogo a quello esercitato sui propri servizi evoca infatti una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante e perciò designa il rapporto di delegazione interorganica tra gli enti che affidano tali servizi e la Società che li gestisce”.

         1.- Dal punto di vista  processuale e della legittimazione dei soggetti terzi ad impugnare  gli affidamenti in house, condivisibilmente  precisa  i concetti di tutela dell’interesse strumentale e di operatore del settore ed in particolare quali siano i presupposti e quale tipologia di atti possano essere impugnati dai medesimi operatori del settore che, ovviamente, non abbiano partecipato alla procedura di gara.

         Chi  avrebbe voluto e non ha potuto partecipare perché gara non vi è stata è legittimato ed ha interesse a dolersi delle determinazioni con le quali si concretizza la scelta organizzativa e gestionale di ricorrere all’affidamento in house  ed impugnare, entro il termine di legge decorrente, di norma, dalla scadenza del periodo di pubblicazione degli atti sul sito istituzionale degli  enti interessati, ovvero dalla comunicazione o notificazione o comunque dalla piena conoscenza, oggi della data degli atti eventualmente acquisibili attraverso la sezione “amministrazione trasparente” dei siti web istituzionali delle singole amministrazioni e delle stazioni appaltanti, dove obbligatoriamente devono essere pubblicate le delibere  relative ai contratti pubblici ed in particolare sempre  ovvero nell’apposita sezione  relativa alla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante (cfr. art. 120, comma 2 bis, primo periodo C.P.A.).

          Legittimazione che viene riconosciuta, nella sentenza,  a coloro che  sono qualificabili, in base all’attività ed agli scopi sociali,  come  “imprenditore di settore” che agisce a tutela dell’interesse strumentale ad avere una chance di aggiudicazione in una gara ad evidenza pubblica, essendo sufficiente dimostrare nel ricorso “di avere le caratteristiche di impresa operante nel settore in grado di consentirle l’assunzione del ruolo di potenziale concorrente in una eventuale gara da indirsi all’esito dell’annullamento dell’affidamento diretto”.

         E ciò  anche attraverso una interpretazione della disposizione processuale che inibisce al Giudice  di assumere decisioni “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34, co. 2, cod. proc. amm.), nel cui ambito vanno  certamente collocati i provvedimenti con cui la stazione appaltante ammette o esclude le imprese da una gara, mentre chi non ha partecipato alla procedura può solo impugnare a monte gli atti  di indizione della gara, sussistendone i presupposti come è stato ritenuto nel caso di specie, anche se in una ipotetica gara  ad evidenza pubblica non avrebbe i tutti i requisiti di partecipazione, ma solo la potenzialità  di acquisirli.

           Sul punto, il percorso argomentativo sopra riferito, potrebbe suscitare qualche perplessità o quanto meno alcuni spunti  che meriterebbero approfondimenti e riflessioni che, in ipotesi,comporterebbero almeno due diverse opzioni.

         La prima, che è quella accolta nella sentenza, è rappresentata dal fatto che lo scrutinio della domanda applicando l’art 34, comma 4, C.P.A., debba essere fatto in senso “oggettivo” e cioè facendo rifermento esclusivamente o in via prevalente alla natura e tipologia di atti o comportamenti  che avrebbero potuto essere esserci ma che non ci sono stati e/o poteri  che non sono stati ancora esercitati.

         Per cui, secondo tale opzione, essendo  nella specie collocati al di fuori di una procedura di gara, il possesso o meno dei requisiti di partecipazione alla gara -  che avrebbero  potuto e dovuto esserci- non può rilevare ai fini della legittimazione  a ricorrere, essendo sufficiente il ruolo di potenziale concorrente in una eventuale gara da indirsi  in sede di riedizione del potere.

         E ciò sicuramente  nella more  e fino alla piena operatività dalla disposizione di cui  al comma 1 dell’art. 192,  che introduce un  quarto elemento fondamentale per la validità degli affidamenti diretti, stabilendo che: “è istituito presso l’ANAC… l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house… L’iscrizione nell’elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’Autorità definisce con proprio atto…”(sul punto si veda altresì il Comunicato  del Presidente Cantone del 3 agosto 2016, a chiarire alcuni elementi fondamentali).

          Sicuramente, dopo l’istituzione dell’elenco, gli operatori del settore dovranno innanzitutto impugnare e dimostrare l’illegittimità dell’iscrizione nell’elenco che, in via preventiva, ha  vagliato l’esistenza dei presupposti per l’affidamento in house e poi, a cascata, le determinazioni di non  bandire una gara.

L’altra opzione, che invero sarebbe tendenzialmente preferibile se contestualizzata caso per caso alla questione sottoposta al vaglio del giudice amministrativo, invece potrebbe passare attraverso la necessità, anche di ufficio, o comunque sulla eccezione o doglianza della parte che ne abbia interesse, di accertare  la legittimazione processuale  anche attraverso la verifica  effettiva del possesso dei requisiti soggettivi ( quanto meno della capacità tecnica) dell’operatore del settore di potere essere un imprenditore del settore abilitato a partecipare.

          Del resto,  tale opzione ricalcherebbe appieno l’impostazione seguita proprio in materia di appalti dalla giurisprudenza amministrativa (Ad. Plen. n. 4/2011)   quando riconosce la legittimazione ad impugnare  i bandi di gara alle imprese del settore che non abbiano presentato domanda di partecipazione, tenendo presente che in generale può valere il principio in base al quale l’interesse strumentale alla caducazione dell'intera gara ed alla sua riedizione assume consistenza sempre che sussistano in concreto ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta; esso deve cioè aderire in modo rigoroso e con carattere di immediatezza e di attualità all’oggetto del giudizio  ( per il principio: Cons. Stato, Ad. Plen., 3 febbraio 2014, n. 8).

          Al riguardo, il recente intervento della Corte costituzionale, offre  elementi che militano in favore di tale impostazione, seppure indirettamente.

          Invero, la Corte costituzionale,  con la sentenza del 22 novembre 2016 n. 245, ribadisce la piena conformità all’ordinamento dell’orientamento dei giudici ammnistrativi,   affermando in linea generale, che conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, deve ritenersi che l’impresa che non abbia partecipato alla gara di appalto non possa contestare la relativa procedura e l’aggiudicazione in favore di imprese terze, perché la sua posizione giuridica sostanziale non è sufficientemente differenziata ma riconducibile a un mero interesse di fatto (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1).

Tuttavia,  a questa regola, che discende dalla piana applicazione alle procedure di gara dei principi generali in materia di legittimazione e interesse a ricorrere, fanno eccezione le ipotesi in cui si contesti che la gara sia mancata, perché la sua contestazione in radice fa emergere ex se una situazione giuridica differenziata  ed una sua lesione attuale e concreta in capo all’impresa di settore cui è impedita la partecipazione.

          Tuttavia, la Corte non è chiamata ad esprimersi sulla necessità o meno della verifica  della esistenza o meno della capacità tecnica ed economica delle imprese di settore ad essere potenzialmente affidatarie.

    Di contro,  tale scelta più rigorosa, parrebbe trovare indiretta conferma da quanto condivisibilmente affermato da quella opinione secondo cui, nelle more dell’emanazione del predetto elenco, stante anche la mancata definizione dell’ANAC delle modalità e dei criteri per effettuare la verifica della sussistenza dei  requisiti necessari per l’iscrizione all’elenco, ha rimarcato la funzione meramente dichiarativa e non costitutiva della stessa iscrizione (cfr. sul punto Consiglio di Stato, nel parere del 1° aprile 2016 n. 855).

 Orbene se occorre verificare il possesso dei requisiti per essere qualificati come società in house abilitata ad essere diretta affidataria del servizio, non si ravvisano ragioni per le quali anche gli operatori del settore - che si ritengano illegittimamente pretermessi per la pretesa inosservanza degli obblighi di indizione di una gara per mancanza dei presupposti per l’affidamento diretto -  non debbano dimostrare, seppure con meno rigore, l’effettiva potenzialità a partecipare alla gara intesa anche come possesso dei requisiti ella capacità tecnica ed economica ovvero, quanto meno,  come impresa che potrebbe partecipare ad un raggruppamento temporaneo.

          Tale impostazione si mostra in linea con la ratio della concentrazione dei giudizi e dell’intento acceleratorio ( cfr art. 120, comma 2 e 2 bis, CPA) nella rapida definizione delle controversie in una materia rilevante anche per l’economia del paese.

          2.- Nel merito, il Giudice territoriale, fornisce una interpretazione del cd. controllo analogo, oggi indicato  in via generale dall’art. 5, comma 1, lett. a), D.lgs. 50/2016 e, in particolare, in materia di società a partecipazione pubblica, dall’art. 16  del D.P.R. 175/ 2016, nel testo allo stato vigente.

 Tale quadro, dovrebbe essere presto completato e meglio puntualizzato e reso operativo quando verrà  formato e pubblicato il citato elenco.  

         Al riguardo, a tutta prima, la sentenza fornisce alcune utili indicazioni valide per il periodo di prima, rectius più consapevole applicazione e ricorso allo strumento  dell’affidamento in house in attesa che si sedimenti il quadro di riferimento e le opzioni applicative per un corretto utilizzo dello stesso, tenuto conto degli effetti derogatori che scaturiscono  e che rendono cedevoli i  principi della libera  circolazione di beni e servizi, destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza.

 In particolare: a) nella sentenza si  da ulteriore supporto risolutivo rispetto alle questioni poste e si  ricava il principio in base al quale qualora una società sia costituta da più comuni, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse, trattandosi di concetti codificati dall’art. 12, paragrafo 3, della Direttiva 2014/24/UE (e art. 17 della Direttiva 2014/23/UE), e nell’ordinamento interno dall’art. 5 D.lgs. 50/2016 nonché dall’art. 2, lett. c) e d), D.lgs. 175/2016. 

E ciò, come sopra accennato,  nelle more dell’emanazione dell’elenco  di cui all’art. 192 dal nuovo codice del contratti e della definizione dell’ANAC delle modalità e dei criteri per effettuare la verifica della sussistenza dei  requisiti necessari per l’iscrizione all’elenco delle società in house, posto che  il Consiglio di Stato, nel citato parere del 1° aprile 2016 n. 855, ha rimarcato la funzione meramente dichiarativa e non costitutiva della stessa iscrizione, inducendo l’ANAC, attraverso il Comunicato  del Presidente Cantone del 3 agosto 2016, a chiarire alcuni elementi fondamentali. Come ribadito nella recente sentenza, già nel  comunicato del Presidente ANAC  si  puntualizza che “Nelle more…, l’affidamento  diretto alle società in house può essere effettuato, sotto la propria responsabilità, dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori in presenza dei presupposti  legittimanti definiti dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nei  medesimi termini nell’art. 5 del d.lgs. n. 50 del 2016 e nel rispetto delle  prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 192, a prescindere dall’inoltro  della domanda di iscrizione”;   

 b)  le misure organizzative e precettive per garantire  l’esercizio del controllo analogo ai singoli comuni soci, da coordinare  anche con i soci che abbiano optato  di non affidare i servizi alla società, devono essere chiare e funzionalmente idonee a garantire ogni effetto utile del controllo stesso. Occorre cioè  che il concetto di un controllo che sia analogo a quello esercitato sui propri servizi  implica  una gestione in qualche modo riconducibile allo stesso ente affidante e perciò designa il rapporto di delegazione interorganica tra gli enti che affidano tali servizi e la Società che li gestisce.

         Se si ritiene di istituire un Comitato, lo stesso deve essere rappresentativo della totalità degli enti, e cioè degli azionisti che affidano in via diretta alla società l'erogazione dei propri servizi e che siano titolari di un potere di direttiva e di controllo capace di esplicarsi mediante indirizzi vincolanti sulle modalità di erogazione del servizio affidato.

Nel caso in cui, come quello in esame, non tutti  i comuni azionisti abbiano affidato il servizio alla società in house, occorre articolare lo statuto in guisa tale che, pur in presenza di interessi non omogenei, il suddetto organismo deve riflettere l’esigenza di un penetrante controllo sulla gestione, propria degli enti che hanno affidato il servizio, finalizzato al controllo su attività che si svolge essenzialmente nell’ambito di determinati Comuni.

Ovviamente, lo statuto in questi casi dovrà contenere modalità  e  strumenti di bilanciamento degli interessi in ipotesi affidando poteri più penetranti ai comuni diretti interessati, con previsione di norme non rigide per modificare l’assetto nel caso in cui altri ovvero tutti i comuni intendano aderire e disporre l’affidamento in house in momenti successivi. 

    Conclusivamente, il principio che se ne ricava è che le adeguate misure organizzative e gli strumenti operativi per  assicurare il controllo analogo debbono essere contenute nello statuto ovvero nei regolamenti, con possibilità di prendere il cd. diritto di veto, nonché  nei patti parasociali con l’obbiettivo  operativo e irrinunciabile di  assicurare un controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante.

Il potere di controllo, eventualmente anche preventivo,  deve essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti e  agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni di gestione ordinaria e straordinaria.

 In particolare, è necessario  un controllo “al tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti: sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici.

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

 Sull’art. 5 D.lgs. 50/2016 e in particolare sulle questioni aperte degli affidamenti in house, cfr. Commento di CRESTA S.,  in Il Nuovo Codice dei Contratti pubblici, a cura di CARINGELLA- PROTTO, Dike Editrice, Roma 2016, 31 e ss., spec. 35; Sulle società in house nel nuovo codice, in attesa delle linee guida ANAC,  cfr. GARZIA D.I presupposti degli affidamenti “in house” nel nuovo codice dei contratti pubblici, in LexItalia.it, n. 11/2016;  PANI M.- SANNA C., Le società in house nel nuovo codice degli appalti pubblici e delle concessioni (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), in LexItalia.it, n. 7/2016; In generale, sulla legittimazione e l’interesse al ricorso in materia di appalti cfr. TRAVI, Lezioni di Giustizia amministrativa; Torino 2016, pag. 198; Sui profili di responsabilità PERIN M., Prime osservazioni sul riassetto della disciplina delle responsabilità nelle Società a partecipazione pubblica con riferimento al nuovo codice del processo contabile, in LexItalia.it, n. 10/2016. Sulla materia in generale, si veda altresì la sentenza della Corte Costituzionale del 25 novembre 2016, n. 251 che ha dichiarato, tra l’altro,  l’illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche): Omissis. 3) dell’art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), della legge n. 124 del 2015, nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata. Nel contempo al punto 9 della motivazione ha precisato che “Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione”.