1. Premessa

L’articolo 28, comma 1 lettera (d) del Decreto Legislativo 19 agosto 2016 n. 175 recante il “Testo Unico in materia di società partecipate dalla pubblica amministrazione” (di seguito per comodità “TUSPPA”), in attuazione dell’articolo 18 della Legge 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. “Legge Madia”) prevede l’abrogazione dell’articolo 13 del Decreto Legge 4 luglio 2006 n.223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006 n. 248 (meglio noto come “Decreto Bersani”) ([1]).

 

2. L’articolo 13 del “Decreto Bersani”  e la sua applicazione giurisprudenziale.

L’articolo 13 del “Decreto Bersani” prevedeva dei vincoli per le cosiddette “società strumentali” delle pubbliche amministrazioni regionali e locali (intendendosi come tali quelle che - anticipando quanto si illustrerà infra - sono appunto caratterizzate dal requisito della “strumentalità”, che sussiste “allorquando l’attività che le società sono chiamate a svolgere sia rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo” e per il perseguimento dei loro fini istituzionali”([2])) nonché quelle costituite per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative, sia a capitale interamente pubblico che misto.

L’articolo 13 escludeva invece espressamente dal suo ambito di applicazione le società aventi ad oggetto la prestazione di servizi pubblici locali, nonché dei servizi di committenza o di centrali di committenza.

I vincoli posti dall’articolo 13 del “Decreto Bersani” per le società strumentali e le altre società ad esso soggette erano, segnatamente, i seguenti:

- l’obbligo di operare per oggetto sociale esclusivo con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti;

- il divieto di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, sia in affidamento diretto che con gara;

- il divieto di partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale.

La norma in questione prevedeva che i contratti conclusi in violazione della stessa fossero nulli.

Si imponeva infine che le predette società dovessero cessare le attività non consentite entro quarantadue mesi ed a tal fine potessero cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società.

L’articolo 13 del “Decreto Bersani” è stato oggetto anche di un intervento della Corte Costituzionale, che ne ha confermato la legittimità, illustrandone la ratio. In particolare, la Corte Costituzionale, nel rigettare la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione in questione, ha affermato che le disposizioni di cui all’articolo 13 sono fondate sulla distinzione fra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici. L’una e l’altra, secondo la Corte, possono essere svolte attraverso società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti) in regime di concorrenza ([3]).

 

Come precisato dallo stesso articolo 13 (l’incipit della norma “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale…” è già sufficientemente esplicativo al riguardo ([4])) e ribadito dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, la finalità del divieto per le società strumentali di operare per soggetti pubblici e privati diversi dall’ente di riferimento era quella di evitare che la missione strumentale della società rispetto all’ente costituente o partecipante potesse determinare una posizione privilegiata sul mercato, proprio in virtù della predetta strumentalità, ritenuta dal legislatore fonte di alterazione o di distorsione della concorrenza e del mercato e di violazione del principio di parità degli operatori ([5]). 

 

La giurisprudenza amministrativa e di controllo ([6]) relativa all’articolo 13 del “Decreto Bersani” ne ha parimenti definito e delimitato l’ambito di applicazione. Sulla stessa linea si è mossa anche la dottrina ([7]).

 

Il Consiglio di Stato ha confermato in particolare che la suddetta norma si applica solo alle società strumentali e non a quelle preposte all’erogazione di un servizio pubblico. Il divieto di cui all'articolo 13 in parola infatti discende non tanto dalla partecipazione delle amministrazioni pubbliche al capitale delle società predette, ma dall'elemento oggettivo della strumentalità, che fa di questo tipo di persone giuridiche null'altro che una naturale proiezione delle amministrazioni costituenti o partecipanti ([8]).

 

Il Consiglio di Stato ha inoltre chiarito che la circostanza che il comma secondo dell’articolo 13 preveda che le società su cui ricade il divieto sono quelle che hanno “oggetto sociale esclusivo”, non significa che le società c.d. “multiutilities” siano escluse in modo automatico dal divieto stesso. Anche tali società, se integralmente partecipate da enti locali e caratterizzate dall’avere tra i loro scopi quello di svolgere attività strumentale a favore delle amministrazioni partecipanti, devono rivolgere la loro attività in via esclusiva verso le stesse. I giudici hanno rilevato che una diversa interpretazione condurrebbe ad un’interpretazione sostanzialmente abrogatrice dell’articolo 13, in quanto sarebbe sufficiente contemplare nello Statuto un oggetto sociale plurimo per scongiurarne l’applicazione ([9]).

 

Va infine segnalato come la giurisprudenza maggioritaria del Consiglio di Stato ([10]) abbia rilevato che l’articolo 13 del “Decreto Bersani” sia destinato a trovare applicazione anche alle società c.d. di “terzo grado”, intendendosi per tali quelle società caratterizzate da forme di partecipazione indiretta o mediata da parte della società strumentali direttamente soggette all’applicazione della norma. La finalità perseguibile del legislatore di evitare effetti distorsivi della libera concorrenza si persegue infatti non solo vietando le attività diverse da quelle classificabili come strumentali rispetto alle finalità dell’ente pubblico, ma anche vietando la partecipazione delle società strumentali ad altre società. In effetti, l’alterazione della libera concorrenza può realizzarsi anche in via mediata, ossia fruendo dei vantaggi derivanti dall’investimento del capitale di una società strumentale in altro soggetto societario costituito con finalità neppure indirettamente strumentali, ma anzi intrinsecamente imprenditoriali.

 

3. Le disposizioni del TUSPPA sulle società strumentali

 

3.1 Generalità

 

L’articolo 4, comma 1, del TUSPPA fissa un principio importante, statuendo che “Le  amministrazioni  pubbliche  non  possono,  direttamente   o indirettamente, costituire società aventi per oggetto  attività  di produzione di beni e  servizi  non  strettamente  necessarie  per  il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire  o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”.

 

Si tratta evidentemente di un vincolo di scopo per le amministrazioni e le società partecipate pubbliche, a cui lo stesso articolo 4 - al successivo comma 2 - affianca anche un vincolo di attività, prevedendo un elenco chiuso (“esclusivamente  per lo svolgimento delle attività sotto indicate”) di finalità istituzionali per il perseguimento delle quali le amministrazioni pubbliche possono costituire società o acquisire o mantenere partecipazioni nelle medesime.

 

Tra le finalità istituzionali ammesse (articolo 4, comma 2), viene citata espressamente la prestazione di servizi strumentali alla pubblica amministrazione, nei termini che seguono: “d) autoproduzione di beni o servizi  strumentali  all'ente  o  agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle  condizioni stabilite dalle direttive europee in materia  di  contratti  pubblici  e della relativa disciplina nazionale di recepimento”.

 

La suddetta norma, come sottolineato dalla Relazione Illustrativa al TUSPPA ed in risposta al parere del Consiglio di Stato, non fa riferimento alle sole società in house ma a qualsiasi società a partecipazione pubblica.

 

Tali società potranno essere o meno “a controllo pubblico” a seconda che (cfr. articolo 2 lettera b) TUSPPA) sussistano o meno i presupposti del controllo ai sensi dell’articolo 2359 codice civile per un’amministrazione partecipante o comunque “quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di  patti  parasociali, per  le  decisioni  finanziarie  e  gestionali  strategiche  relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime  di  tutte  le parti che condividono il controllo” (previsione verosimilmente pensata per le joint ventures controllate da due amministrazioni in misura paritaria) ([11]).

 

3.2 Le società strumentali in house nel TUSPPA

 

L’articolo 16 del TUSPPA contiene delle norme ad hoc sulle società in house, che sono definite dalla presenza simultanea di tre requisiti, secondo quanto previsto dalle più recenti direttive comunitarie in materia, che a loro volta tengono conto, non senza profili innovativi,  della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia sul tema ([12]):

 

a) nessuna partecipazione di capitali privati, “ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né  l'esercizio  di   un'influenza   determinante   sulla   società controllata”;

 

b) controllo analogo dell’amministrazione di riferimento ([13]); oppure controllo analogo di più amministrazioni di riferimento, o altrimenti detto “controllo analogo congiunto” ([14]);

 

c) attività svolta in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, sulla base di quanto previsto dagli articoli 4, comma 4 e 16 del TUSPPA.

Secondo la prima delle norme citate, “Le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e)  del  comma 2”. Si segnala in particolare che la lettera d) dell’articolo 4, comma 2 contiene il riferimento alle attività strumentali, come già visto al precedente paragrafo 3.1.

L’articolo 16 contiene inoltre delle disposizioni puntuali in materia di fatturato. In particolare, gli statuti delle società in house devono prevedere che oltre l'ottanta per  cento  del  loro  fatturato  sia effettuato nello svolgimento dei compiti a  esse  affidati  dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci e  che  la  produzione  ulteriore rispetto al suddetto  limite  di  fatturato  sia  consentita  solo  a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività  principale della società.

 

3.3 Le altre società strumentali nel TUSPPA

 

Il rispetto del limite quantitativo dell’ottanta per cento del fatturato descritto alla lettera c) del precedente paragrafo 3.2 è estremamente delicato per una società in house. L’articolo 16 prevede al riguardo che il mancato rispetto dello stesso costituisce grave irregolarità della gestione ai sensi dell’articolo 2409 codice civile (che contempla in tale caso la denuncia al tribunale da parte di percentuali qualificate dei soci) e dell’articolo 15 del medesimo TUSPPA (che regola i poteri di monitoraggio, indirizzo e coordinamento sulle società a partecipazione pubblica da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze).

 

Ciò nondimeno, il TUSPPA chiarisce comunque (articolo 16, commi 5 e 6) che la  società in house possa sanare l'irregolarità con un’apposita procedura, oggetto peraltro di non poche critiche da parte del Consiglio di Stato nel parere n. 968 sul TUSPPA emesso il 21 aprile 2016 ([15]).

 

In base alla procedura in parola, entro tre mesi dalla data in cui l’irregolarità si è manifestata, la società può rinunciare ad  una  parte  dei  rapporti  di  fornitura  con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero può rinunciare agli affidamenti diretti da  parte  dell'ente  o  degli  enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti.

 

In quest'ultimo caso, le  attività  precedentemente  affidate  alla  società  controllata devono essere riaffidate,  dall'ente  o  dagli  enti  pubblici  soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo  scioglimento del  rapporto  contrattuale.  Nelle  more  dello  svolgimento   delle procedure di gara i beni o servizi continueranno  ad  essere  forniti dalla stessa società controllata.

 

Se la società in house opta per la rinuncia agli affidamenti diretti, può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i  requisiti  di  cui  all'articolo  4 del TUSPPA, già esaminato in precedenza al paragrafo 3.1, che prevede un vincolo sia di scopo che di attività per le amministrazioni e le società dalle stesse partecipate.

 

Ipotizzando quindi che una società strumentale non rispetti il requisito dell’ottanta per cento del fatturato, potrebbe continuare ad operare solo esercitando una delle attività previste dall’articolo 4 per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’amministrazione. In caso contrario, dovrebbe evidentemente essere inclusa dall’amministrazione di riferimento tra le partecipazioni oggetto di razionalizzazione ai sensi dell’articolo 20 del TUSPPA (e quindi tra quelle potenzialmente soggette a liquidazione o cessione).

 

4. Limiti per le attività “extra moenia” delle società strumentali. Analisi della disciplina del TUSPPA

 

Il quadro sopra delineato ai precedenti paragrafi 3.2 e 3.3 relativo alle società strumentali è apparentemente coerente con l’abrogazione dell’articolo 13 del “Decreto Bersani” disposta dallo stesso TUSPPA.

 

Per effetto del nuovo regime normativo – come detto, di derivazione comunitaria – anche le società in house, per natura tradizionalmente intese come società operanti al di fuori del mercato, possono destinare una quota rilevante del fatturato ad attività “extra moenia”, siano esse attività svolte con altre amministrazioni pubbliche diverse da quella di riferimento o con soggetti privati.

 

Il limite posto dall’articolo 16 del TUSPPA secondo cui la  produzione  ulteriore rispetto al limite  di  fatturato dell’ottanta per cento  è  consentita  solo  a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di  scala  o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società, pur non brillando per chiarezza, non sembra costituire un ostacolo insormontabile per la società in house che volesse estendere il suo perimetro di attività. E’ infatti facilmente dimostrabile che una differenziazione delle attività in mercati diversi rispetto a quello di riferimento possa comportare un più efficiente utilizzo delle risorse umane e strumentali della società ed avere così un ritorno economico positivo per la stessa.       

 

Se un’attività “extra moenia” è ammessa per le società strumentale in house, sarebbe irragionevole non ammetterla anche per una società strumentale a partecipazione pubblica non in house, i cui limiti e vincoli rispetto ad una proiezione nel mercato sono inevitabilmente meno stringenti.

 

Anche con riferimento alle società a partecipazione pubblica non in house, l’abrogazione dell’articolo 13 del “Decreto Bersani” trova quindi una sua giustificazione.

 

La domanda cui il TUSPPA non fornisce una risposta chiara è a quali limiti siano soggette le attività “extra moenia” delle predette società. Non esiste infatti una norma analoga a quella prevista per le società in house che indichi una soglia di fatturato o identifichi comunque il livello di attività “extra moenia” “tollerabile” per una società che nasce per definizione come strumentale ai bisogni di una pubblica amministrazione.

 

Il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 968 sul TUSPPA, si era interrogato in merito ai limiti delle attività “extra moenia” delle società strumentali: “Occorre, inoltre, chiarire in modo espresso se è vietata completamente l’attività “extramoenia” – in coerenza con l’impostazione del d.l. n. 223 del 2006 e come sarebbe preferibile – ovvero se essa può essere svolta nel rispetto del principio di prevalenza nei confronti degli enti costituenti o partecipanti e del principio di separazione tra le attività”)” ([16]).

 

Tuttavia, tali rilievi non hanno trovato risposta nella versione definitiva del TUSPPA. In particolare, il legislatore non si è fatto carico delle osservazioni del Consiglio di Stato e quindi - mentre ha previsto per le società in house il limite dell’ottanta per cento del fatturato  - ha omesso di chiarire espressamente se le società strumentali a partecipazione pubblica che non siano in house debbano svolgere la loro attività nel rispetto del principio di prevalenza e/o di separazione tra le due attività.

 

A tale ultimo proposito, anche la Corte dei Conti sembra avere recentemente mostrato preoccupazione rispetto all’abrogazione dell’articolo 13 del “Decreto Bersani”: “È, quindi, una criticità la circostanza che i servizi strumentali, in concreto, abbiano ad oggetto attività economiche potenzialmente contendibili sul mercato e, quindi, regolate da norme di diritto privato, in contrasto con la finalità istituzionale della società strumentale, che resta quella dello svolgimento di attività amministrativa in forma privatistica” ([17]).

 

5. Limiti per le attività “extra moenia”. Una proposta interpretativa.

 

In attesa di un eventuale intervento correttivo del legislatore ([18]), può essere utile verificare se il principio di prevalenza dell’attività nei confronti degli enti costituenti o partecipanti e quello di separazione menzionati nel parere del Consiglio di Stato possano essere ricavati per via interpretativa dalle disposizioni vigenti del TUSPPA.

 

Quanto al principio di separazione contabile, esso è attualmente previsto in modo espresso dal TUSPPA (cfr. articolo 6) solo per le società a controllo pubblico, che svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all'obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell'articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287. Un’ estensione analogica di tale norma - data la sua natura di norma apparentemente a carattere eccezionale -  non sembra certo agevole.

 

Mentre la strada della separazione contabile è difficilmente percorribile, il TUSPPA concede invece qualche apertura sul versante della separazione societaria. Se è infatti vero che l’articolo 4 comma 5 sancisce un espresso divieto per le società strumentali di costituire nuove società e di acquisire nuove partecipazioni in società, la medesima disposizione prevede contemporaneamente delle deroghe, facendo salve le diverse previsioni di legge regionali applicabili e comunque non estendendo il divieto in questione alle società holding degli enti locali (fermo comunque restando, in tale ultimo caso, il rispetto degli obblighi di trasparenza dei dati finanziari e di consolidamento del bilancio degli enti partecipanti).

 

La soluzione della separazione societaria non avrebbe rilevanti vantaggi sul piano del tutela della concorrenza (valgono a questo proposito le considerazioni svolte dalla giurisprudenza amministrativa sull’applicabilità dell’articolo 13 alle società di terzo “grado” di cui si è detto supra al paragrafo 2) ma avrebbe almeno l’effetto di segregare le attività - per così dire - “istituzionali” da quelle di “mercato” delle società strumentali, con benefici in termini di trasparenza.    

 

Quanto al principio di prevalenza delle attività, sembra che il rispetto dello stesso per una società pubblica strumentale, nonostante l’assenza di un’espressa previsione al riguardo, si renda necessario per la tutela della concorrenza e del mercato. Depone in tal senso l’articolo 1 comma 2 del TUSPPA, che prevede quanto segue: “Le disposizioni contenute nel presente decreto sono applicate avendo riguardo all'efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica”.

 

Il principio di prevalenza è comunque non solo imposto dai principi ispiratori del TUSPPA cristallizzati dall’articolo 1 come criteri interpretativi ma è anche il presupposto di diverse disposizioni del medesimo TUSPPA.

 

Risulterebbe in effetti difficile per la pubblica amministrazione partecipante o controllante giustificare sia la costituzione (o l’acquisizione di una partecipazione) di una società strumentale sia, alternativamente, il mantenimento di una partecipazione in una società strumentale, se, in entrambi i casi, tale società opera (o comincia ad operare) in modo prevalente nel mercato e non con la pubblica amministrazione di riferimento.

 

Nel caso di società strumentale di nuova costituzione (o di acquisizione di una partecipazione nella medesima), va ricordato che il TUSPPA contiene all’articolo 5 una procedura estremamente articolata e con oneri di motivazione analitica, che impongono altresì l’invio dell’atto deliberativo di costituzione della società alla Corte dei Conti a fini conoscitivi nonché soprattutto (per quanto qui rileva) all’Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato, ai fini dell’esercizio dei poteri di cui all’articolo 21 bis della legge 10 ottobre 1990 n. 287. Non si vede come l’Autorità Garante possa reagire positivamente ad una proposta di business plan di società pubblica strumentale di nuova costituzione che preveda, per ipotesi, un fatturato verso l’ente pubblico (che si propone come) costituente del 20/30%.    

 

Nel caso di società strumentale già costituita, sarebbe parimenti  difficile per la pubblica amministrazione partecipante o controllante motivare che una partecipazione di questo genere debba essere inclusa tra quelle “strettamente  necessarie  per  il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” ai sensi dell’articolo 4 del TUSPPA e non invece tra quelle che – proprio perché non conformi alle finalità richieste dall’articolo 4 – siano soggette obbligatoriamente a razionalizzazione in sede di redazione del piano periodico per il riassetto delle partecipazioni ai sensi dell’articolo 20 del TUSPPA.  

 

Sotto questo profilo, è utile precisare che il più volte citato articolo 4, nel richiedere il requisito della “stretta necessità” per l’utilizzo dello strumento societario da parte della Pubblica Amministrazione, non è certo una norma di nuovo conio ma - nella sostanza - la riedizione di disposizioni che erano già presenti nell’ordinamento, quali l’articolo 3, comma 27 e seguenti della Legge Finanziaria 2008 e da ultimo, l’articolo 1, comma 611, lett. a), della legge  n. 190/2014.

 

La giurisprudenza relativa alle norme da ultimo richiamate ha da sempre individuato la finalità delle stesse nell’assicurare che lo strumento societario sia utilizzato essenzialmente per lo svolgimento dell’attività dell’amministrazione ed evitare che il ricorso a tale strumento possa essere utilizzato in modo abusivo, con finalità anticoncorrenziali ([19]).

 

Anche la Corte Costituzionale si è espressa sul punto, con la recentissima sentenza n.144 del 16 giugno 2016, confermando la legittimità costituzionale delle disposizioni dell’articolo 1, comma 611, lett. a), della legge  n. 190/2014 e dei criteri di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche in esso contenuti, che erano stati impugnati da alcune Regioni. La Corte ha rilevato al riguardo come tale previsione sia collegata con le disposizioni della Legge Finanziaria 2008 e risponde alla stessa finalità di evitare abusi del “tipo” societario e/o delle partecipazioni societarie, finalità da ricondurre alla materia “tutela della concorrenza”, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

 

In altri termini, nonostante l’abrogazione espressa dell’articolo 13 del “Decreto Bersani”, può affermarsi che dei vincoli a tutela della concorrenza e del mercato rimangono comunque fermi in base ai principi e alle disposizioni del TUSPPA.

 

6. Conclusioni

  

L’abrogazione dell’articolo 13 del “Decreto Bersani” ha lasciato alle società strumentali a partecipazione pubblica un maggiore margine di libertà per lo svolgimento di attività “extra moenia” ma non ha eliminato ogni vincolo. Esiste un limite espresso alle attività “extra moenia” solo per le società strumentali in house, nella misura, come detto, del venti per cento del fatturato. Pur non esistendo un analogo limite per le altre società a partecipazione pubblica e nonostante sia venuto meno il divieto previsto dal “Decreto Bersani” di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, sembra ragionevole affermare che le società pubbliche strumentali, pur non essendo più tenute a svolgere le attività affidate dall’ente costituente o partecipante in via esclusiva, dovranno continuare a farlo con carattere almeno prevalente rispetto alle attività “extra moenia”.

 

 


[1] L’articolo 13 del Decreto Bersani recita come segue:

1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti.

2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.

3. Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro quarantadue mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma.

4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data”.

[2] Cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 5 marzo 2010 n. 1282 e riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti.

[3] Corte Costituzionale 1 agosto 2008 n. 326. Considerazioni non dissimili si riscontrano nelle successive sentenze costituzionali 4 maggio 2009, n. 148 e 23 luglio 2013, n. 229. In particolare, quest’ultima ha rilevato come “in tali previsioni restrittive [i.e. l’articolo 13 del “Decreto Bersani”] si è ravvisata la finalità di assicurare che le società pubbliche che svolgono servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni non approfittino del vantaggio che ad esse deriva dal particolare rapporto con le predette pubbliche amministrazioni operando sul mercato, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, ma concentrino il proprio operato esclusivamente nell’“attività amministrativa svolta in forma privatistica” per le medesime amministrazioni pubbliche”. A tale proposito, interessanti risultano le considerazioni critiche di VOLPE, La disciplina delle società pubbliche e l’evoluzione normativa – Relazione nel Convegno su “Forum Nazionale: Le Società Partecipate” organizzato da Ius Conference a Torino il 26 novembre 2014, pag. 9, secondo cui “La costruzione della Corte costituzionale non convince. Anche le società strumentali quando svolgono attività nei confronti di pubbliche amministrazioni rimangono pur sempre soggetti regolati dal diritto privato ed aventi scopo di lucro. E non è perché le stesse si sono aggiudicate appalti pubblici di servizi e forniture che la loro attività diviene attività amministrativa. Nella sostanza si tratta di escamotage creato dalla Corte per considerare costituzionalmente legittime norme limitative della capacità di agire di alcune società pubbliche, quelle strumentali, oltre che della capacità delle pubbliche amministrazioni stesse di costituire società pubbliche, al fine di tutelare la concorrenza; evitando che tali tipi di società, usufruendo dei vantaggi conseguenti allo svolgimento di attività nei confronti della pubblica amministrazione, possano godere di privilegi rispetto agli altri operatori. Ma è difficile sostenere che le società strumentali non svolgano anch’esse attività d’impresa”.  

[4] Oltre all’incipit della norma già menzionato, va ricordato che l’articolo 13 è contenuto nel Titolo I del Decreto Legge 223/2006, che è denominato nei termini che seguono: “Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi”.

[5] Nella Sentenza n.326/2008 sopra citata, la Corte ha rilevato che le norme dell’articolo 13 “mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione” ed ha inoltre puntualizzato che “non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza”. Tra le pronunce della giurisprudenza amministrativa cfr. ex multis Consiglio di Stato A.P. 4 agosto 2011 n. 17 e Consiglio di Stato, Sezione V, 5 marzo 2010 n. 1282 cit..

[6] Per quanto riguarda la giurisprudenza di controllo, cfr. da ultimo Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Campania, 24/4/2015 n. 143 con rinvio ad altri precedenti giurisprudenziali più risalenti.

[7] Cfr. a tale proposito i rilievi di CINTIOLI, La pubblica amministrazione come socio, l’interesse pubblico e la tutela dei terzi, in Il nuovo diritto ammnistrativo, 2014, I, 7 e ss.. secondo cui il regime giuridico delle società strumentali per effetto del “Decreto Bersani” è così influenzato da queste norme che si producono, inter alia, le seguenti conseguenze: (i) determinazione di un oggetto sociale delimitato; (ii) configurazione di un rapporto peculiare tra socio pubblico e società, nel quale emerge un interesse pubblico peculiare, che non è l’interesse collettivo in senso ampio ma l’interesse del socio-amministrazione.

[8] Cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sezione V, 22 gennaio 2015 n. 257; Consiglio di Stato, Sezione V, 1 aprile 2011 n. 2012. In questo senso vedi in precedenza anche Consiglio di Stato A.P. 4 agosto 2011 n. 17 cit..

[9] Cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 3 giugno 2013 n. 3022.

[10] Cfr. in particolare Consiglio di Stato, Sezione V, 10 settembre 2010 n. 6527. Nello stesso senso anche la Deliberazione 9 maggio 2007 n. 135 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

[11] Il TUSPPA prevede all’articolo 17 anche le società a partecipazione mista pubblico-privata ma le stesse sono espressamente riservate alla realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero all’organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale. Non sembrano quindi utilizzabili per la prestazione di attività strumentali.

[12] Tre le norme del TUSPPA cui le società in house sono assoggettate in base al TUSPPA, oltre all’articolo 16 vanno inoltre ricordate le seguenti

- articolo 11, comma 15, secondo cui “Agli organi di amministrazione e controllo  delle  società  in house si applica il decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444”, ovvero le norme speciali sulla prorogatio degli organi di amministrazione;

- articolo 12, comma 1, secondo cui viene fatta “salva la giurisdizione della Corte dei conti per  il  danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house” mentre in base alla stessa disposizione “I componenti degli organi di amministrazione e  controllo  delle società  partecipate   sono   soggetti   alle   azioni   civili   di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali”.

[13] Trattasi della “situazione  in  cui  l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri  servizi,  esercitando  un'influenza determinante  sia  sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo  può  anche  essere  esercitato  da  una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo  stesso  modo dall'amministrazione partecipante”, secondo quanto previsto dall’articolo 2, lettera (c) del TUSPPA.

[14] Trattasi della “ situazione  in  cui l'amministrazione esercita congiuntamente con  altre  amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato  sui  propri servizi. La  suddetta  situazione  si  verifica  al  ricorrere  delle condizioni di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50” secondo quanto previsto dall’articolo 2, lettera (d) del TUSPPA.

L’articolo 5 comma 5 del decreto legislativo 50/2016 a sua volta prevede quanto segue: “Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a)  gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;

b)  tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;

c)  la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti”.

[15] Nel parere del Consiglio di Stato si era chiesta l’abrogazione delle norme dell’articolo 16 che consentono alla società in house di violare la soglia dell’ottanta per cento e successivamente di decidere se tornare nei limiti dell’in house o abbandonarlo, nei termini descritti. Si segnala quanto segue: “Infine, il potere di “sanatoria” non è previsto dal legislatore europeo né dalla legge delega e sembra contraddire la configurazione strutturale dell’in house ammettendo una estensione dell’attività nel mercato, salva la possibilità successiva di “ritrattare” la violazione commessa. Si tenga conto che la valenza “retroattiva” della rinuncia rischia anche di incidere su posizioni di terzi con cui la società è entrata in rapporto. In definitiva, tale norma potrebbe comportare una sostanziale perdita di effettività della prescrizione di cui al comma 4, che è centrale nel nuovo sistema di partecipazione pubblica alle società di capitali. Detta impropria “sanatoria a regime” va perciò eliminata”. Vedi a tale proposito anche le critiche della dottrina che ha commentato la disposizione tra cui DURANTE, L’affidamento in house in “Relazione resa al convegno sul tema “I sistemi di realizzazione”, organizzato presso il T.A.R. del Lazio il 29 settembre2016, nell’ambito dei “Workshop sul D.lgs. n. 50/2016””, pag. 10.

 

 

[16] Il Consiglio di Stato, nel citato parere, aveva anche ipotizzato dei limiti “qualitativi” alle società strumentali, nei termini che seguono: “Le società strumentali dovrebbero anch’esse rispettare il “vincolo di attività”. Se si mantiene l’impostazione del d.l. n. 223 del 2006, l’attività che esse possono svolgere è soltanto quella che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 326 del 2008, ha definito «attività amministrativa di diritto privato». che, in quanto tale, si colloca in una posizione peculiare e in parte differenziata rispetto a quella indicata nella norma in esame)”. Sotto questo profilo, la Relazione Illustrativa al TUSPPA ha indirettamente risposto al Consiglio di Stato rilevando come “non sono state accolte le proposte della Conferenza Unificata volte ad includere le ipotesi di svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative, in quanto la scelta del legislatore delegato è di limitare la previsione ai servizi strumentali”.

[17] Cfr. Deliberazione Corte dei Conti 20 settembre 2016 n. 27/SEZAUT/2016/FRG – Gli Organismi partecipati dagli enti territoriali - Osservatorio sugli organismo partecipati/controllati da Comuni, Province e Regioni e relative analisi - Relazione 2016, pag. 17 (nella stessa pagina cfr. anche la nota 37 per il riferimento all’articolo 13 del “Decreto Bersani”).

[18] La necessità di un intervento correttivo del legislatore risulta tanto più utile se si considera che il TUSPPA - evidentemente non per “dimenticanza”, avendo abrogato espressamente altri commi del medesimo articolo - ha mantenuto i commi 7 e 8 dell’articolo 4 del D.L. 95/2012 (convertito in legge con modificazioni dalla legge di conversione 7 agosto 2012 n. 135), che richiedono alle pubbliche amministrazioni di acquisire sul mercato con procedure concorrenziali i beni o servizi strumentali per la propria attività, prevedendo l’affidamento diretto a soggetti in house come “modalità eccezionale” (cfr. sul punto Consiglio di Stato, Sezione III, 7 maggio 2015 n. 2291 e Consiglio di Stato, Sezione III, 17 dicembre 2015 n. 5732). Risulta chiara la distonia tra l’intervento “pro-mercato” del legislatore del 2012 (che cerca di limitare ab origine l’affidamento a società strumentali ponendo come regola generale quello dell’affidamento tramite gara per l’approvvigionamento di beni e servizi e quello del 2016 che invece non solo salvaguarda le società strumentali ma ne ammette un “raggio d’azione” più esteso rispetto al passato con riferimento ad attività non legate alle finalità istituzionali dell’ente di riferimento.      

[19] Cfr. la recente Deliberazione Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia 6 novembre 2015 n. 387/2015/PAR.