Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247
In talune ipotesi di urgenza, ovvero di superamento dei termini previsti per il rilascio dell’informativa da parte del Prefetto (ex art. 92, comma 3, del D. Lgs. 159/2011), l’eventuale stipulazione del contratto, pur consentita dalla legge al fine di tutelare l’efficienza, e dunque il buon andamento dell’attività amministrativa, avviene tuttavia sub condicione del possesso (non tanto di requisiti di ordine generale, ma più precisamente) della indispensabile capacità giuridica.
Di modo che, laddove l’informativa antimafia interdittiva sopravvenga in corso di esecuzione di un contratto stipulato con la pubblica amministrazione (e segnatamente, come nel caso di specie, di un contratto di appalto), ciò non costituisce una “sopravvenienza” impeditiva dell’ulteriore esecuzione del contratto stipulato, bensì l’accertamento dell’incapacità originaria del privato ad essere parte contrattuale della pubblica amministrazione. (1)
Da ciò consegue, la riconduzione del provvedimento così adottato (ovvero il recesso unilaterale della P.A. dal contratto, per effetto di una sopravvenuta informativa antimafia interdittiva) tra gli atti che concernono l’affidamento dell’appalto (avvenuto in favore di un soggetto a ciò interdetto, e dunque in difetto dei presupposti necessari per essere destinatario dell’affidamento), con conseguente applicazione dell’art. 120 Cpa e dei termini dimidiati ivi previsti. (2)
(1) Conforme Consiglio di Stato, sez. III, 15 settembre 2016, n. 3889; Consiglio di Stato, sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754.
(2) Conforme Consiglio di Stato, sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754; Consiglio di Stato, sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 661 del 2016, proposto da:
Eurotel Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Bonaccorsi Di Patti, Alberto Stagno D'Alcontres, con domicilio eletto presso Domenico Bonaccorsi in Roma, Via Federico Cesi 72;
contro
Aeroporti di Roma S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. Marco Annoni, con domicilio eletto presso Marco Annoni in Roma, Via Udine N. 6;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III TER n. 11692/2015, resa tra le parti, concernente risoluzione contratto di appalto per realizzazione sistema di regolazione per proiettori torri faro aeroporto l da vinci - fiumicino - ris.danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Aeroporti di Roma S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2016 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Annoni e Massimo Colarizi (su delega di Bonaccorsi di Patti);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, la società Eurotel s.r.l. impugna la sentenza 15 ottobre 2015 n. 11692, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III-ter ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto avverso gli atti con i quali si è disposta, da parte di Aeroporti di Roma s.p.a., la risoluzione del contratto di appalto per la realizzazione di un sistema di regolazione per i proiettori torri faro dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma.
Tale risoluzione è stata determinata dalla ricezione della informativa antimafia 24 aprile 2015 del Prefetto di Palermo. Inoltre, la stazione appaltante ha comunicato l’applicazione di una penale pari al 10% del valore maturato del contratto.
La sentenza ha dichiarato irricevibile il ricorso in quanto “il provvedimento impugnato, datato 29 aprile 2015 e comunicato in pari data alla ricorrente, è stato tardivamente impugnato con ricorso notificato in data 26 giugno 2015 e quindi ben oltre il termine impugnatorio di decadenza dimidiato a trenta giorni dall’art. 120 Cpa”.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello (il primo specificamente avverso la declaratoria di irricevibilità, i successivi quale riproposizione dei motivi di ricorso assorbiti in I grado):
a) error in iudicando, per errata valutazione di tardività del ricorso per violazione del termine di decadenza; ciò in quanto, per effetto della scomparsa nel testo dell’art. 120 Cpa del riferimento alla fase di esecuzione dell’appalto, già contemplato dall’art. 23-bis l. n. 1034/1971, “il rito applicabile è quello ordinario, e non quello abbreviato, riservato solo alla fase della procedura di affidamento”;
b) violazione e falsa applicazione artt. 7 ss. l. n. 241/1990 e dei principi in materia di procedimento amministrativo; violazione artt. 21-bis, 21quinquies e 21novies l. n. 241/1990 e dei principi in tema di revoca ed annullamento degli atti amministrativi;
c) illegittimità derivata; violazione e/o falsa applicazione art. 94, co. 3, d.lgs. n. 159/2011; poiché l’appaltante “non avrebbe in alcun modo potuto disporre il recesso dal contratto . . . senza valutare adeguatamente la situazione anche in relazione allo stato di avanzamento dell’appalto”;
d) eccesso di potere per difetto di istruttoria e per mancanza dei presupposti; poiché, con riferimento all’applicazione della penale, non si configura il presupposto della imputabilità dell’inadempimento all’affidatario.
L’appellante richiede, inoltre, la condanna della società Aeroporti di Roma al risarcimento del danno, nella misura da determinarsi in corso di giudizio.
Si è costituita in giudizio l’appellata Aeroporti di Roma s.p.a., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
In linea generale, ai sensi dell’art. 91 d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, i soggetti che vi sono tenuti devono acquisire la cd. informazione antimafia, in particolare “prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti” (co. 1).
Ciò in quanto la sussistenza di condizioni per l’emissione di informativa antimafia interdittiva determina (così argomentando dall’art. 67 d. lgs. n. 159/2011) una particolare forma di incapacità giuridica, riferita in particolare alla stipulazione di contatti e ad essere parte nei conseguenti rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.
Tuttavia, in talune ipotesi di urgenza, ovvero di superamento dei termini previsti per il rilascio dell’informativa da parte del Prefetto, è possibile procedere anche in assenza di informativa antimafia; in questa ipotesi, però, “i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’art. 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” (art. 92, co. 3).
Nelle ipotesi ora descritte, l’eventuale stipulazione del contratto, pur consentita dalla legge al fine di tutelare l’efficienza, e dunque il buon andamento dell’attività amministrativa, avviene tuttavia sub condicione del possesso (non tanto di requisiti di ordine generale, ma più precisamente) della indispensabile capacità giuridica.
Di modo che, laddove l’informativa antimafia interdittiva sopravvenga in corso di esecuzione di un contratto stipulato con la pubblica amministrazione (e segnatamente, come nel caso di specie, di un contratto di appalto), ciò non costituisce una “sopravvenienza” impeditiva dell’ulteriore esecuzione del contratto stipulato, bensì l’accertamento dell’incapacità originaria del privato ad essere parte contrattuale della pubblica amministrazione.
Da ciò consegue:
- per un verso, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo (ex art. 133, co. 1, lett. e), n. 1 Cpa) in ordine ai provvedimenti con i quali l’amministrazione committente revoca il provvedimento di affidamento di un appalto ovvero recede unilateralmente dal contratto, per effetto di una sopravvenuta informativa antimafia interdittiva ;
- per altro verso, la riconduzione del provvedimento così adottato agli atti che concernono l’affidamento dell’appalto (avvenuto in favore di un soggetto a ciò interdetto, e dunque in difetto dei presupposti necessari per essere destinatario dell’affidamento), con conseguente applicazione dell’art. 120 Cpa e dei termini dimidiati ivi previsti (il che fonda il rigetto del primo motivo di appello);
- per altro verso ancora, l’esclusione dell’obbligo di invio della comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell’atto di affidamento ovvero di recesso dal contratto, non potendosi l’amministrazione appaltante determinare diversamente (art. 21-octies, co. 2, l. n. 241/1990), né potendo, peraltro, la stessa né procedere ad istruttoria ed a valutazioni autonome su quanto risultante dall’informativa, né valutare lo stato di esecuzione del contratto, stante il chiaro disposto dell’art. 92 d. lgs. n. 159/2011 (il che determinerebbe, in ogni caso, il rigetto dei motivi proposti con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado e riproposti in appello: sub lett. b), c) e d) dell’esposizione in fatto).
Per tutte le ragioni esposte, il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto) deve essere rigettato, stante la sua infondatezza, con conseguente reiezione dell’appello proposto e conferma della sentenza impugnata.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Eurotel s.r.l. (n. 661/2016 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti spese ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Guida alla lettura
La sentenza proposta affronta due questioni principali, di cui una costituisce il presupposto per la risoluzione dell’altra:
a) la prima, di ordine sostanziale, permette di indagare l’ubi consistam dell’informativa antimafia che risulti interdittiva sia per un mero contatto che per esser parte nei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
b) la seconda, in virtù della natura ascritta all’informativa suddetta, consente di trarre le conseguenze di ordine più squisitamente processuale.
Ai fini di un corretto inquadramento della prima tematica, il Collegio ritiene opportuno effettuare una puntuale disamina delle disposizioni di rilievo contenute nel D. Lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia).
A tal proposito, l’iter logico-giuridico prende le mosse dalla regola generale secondo cui i soggetti che vi sono tenuti devono acquisire la cd. informazione antimafia, “prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti” (ai sensi dall’art. 91, comma 1). La ratio di tale previsione, secondo la Sezione, si rinviene in una particolare forma di incapacità giuridica che colpisce gli operatori economici destinatari dell’informativa ad instaurare rapporti, anche di natura non contrattuale, con i soggetti pubblici. Tale regola, tuttavia, può essere eccezionalmente derogata in talune ipotesi, come situazioni di urgenza, ovvero in caso di superamento dei termini previsti per il rilascio dell’informativa da parte del Prefetto (ex art. 92, comma 3, D. Lgs. 159/2011). In queste circostanze, però, l’eventuale stipula contrattuale, pur ammessa dalla legge per assicurare l’efficienza, e, quindi, il buon andamento dell’attività amministrativa, è condizionata alla verifica ex post del possesso della capacità giuridica indispensabile per interloquire con la P.A., requisito che, invece, deve sussistere ab origine.
Se questo è dunque il presupposto per poter comunque procedere anche in assenza dell’informativa antimafia, prosegue il Collegio, ne deriva che laddove quest’ultima sopravvenga durante l’esecuzione di un contratto già perfezionato (nel caso di specie, un contratto di appalto), ciò non rappresenta una “sopravvenienza” impeditiva dell’ulteriore esecuzione, “bensì l’accertamento dell’incapacità originaria del privato ad essere parte contrattuale della pubblica amministrazione”.
Una volta chiarito il corretto significato da attribuire all’informativa antimafia intervenuta nella fase esecutiva di un contratto pubblico, i Giudici della Quarta Sezione procedono a scandagliare le conseguenze che ne derivano sotto il versante processuale:
- in primis, si riconosce la devoluzione delle controversie concernenti i provvedimenti adottati dall’amministrazione committente per effetto di una sopravvenuta informativa antimafia interdittiva (revoca del provvedimento di affidamento di un appalto ovvero recesso unilaterale dal contratto stipulato) alla giurisdizione del Giudice Amministrativo (ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 c.p.a.);
- in secondo luogo, si riconducono i provvedimenti suddetti tra gli atti relativi alla procedura di affidamento (avvenuto in favore di un soggetto a ciò interdetto e, dunque, in difetto dei presupposti necessari per esserne destinatario) e non tra quelli annoverabili nella successiva fase di esecuzione dell’appalto. Da tale assunto deriva l’applicazione del disposto di cui all’art. 120 del c.p.a. e dei termini dimidiati ivi previsti (ovvero del termine impugnatorio decadenziale di trenta giorni, anziché quello ordinario di sessanta giorni valido per gli atti riconducibili alla fase esecutiva). Pertanto, oltre che infondato nel merito, tale ultima considerazione rende l’appello anche irricevibile per impugnazione tardiva, confermando così l’esito cui era pervenuto il Tar.
In chiusura, è interessante segnalare come, considerata la stretta correlazione tra il Codice dei Contratti Pubblici e il Codice Antimafia, in sede prima politica e poi dottrinale si era ravvisata non solo l’opportunità, ma anche la necessità di prevedere un raccordo tra le due discipline, onde scongiurare incertezze interpretative sui relativi ambiti di applicazione. In effetti, il rinvio previsto dall’art. 247 del D. Lgs. 163/2006, in forza del quale “restano ferme le vigenti disposizioni in materia di prevenzione della delinquenza di stampo mafioso e di comunicazioni e informazioni antimafia” non appariva sufficiente a garantire un coordinamento adeguato.
Ebbene, sul punto deve riconoscersi un merito al nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. n. 50 del 2016), che si è preoccupato di valutare l’impatto di eventuali infiltrazioni mafiose sia nel corso della procedura di evidenza pubblica (cfr. art. 80, comma 2) che durante la fase di esecuzione del contratto già stipulato. Soffermandoci su questo secondo aspetto, connesso al thema decidedum della pronuncia in commento, giova sottolineare come l’art. 108, rubricato “risoluzione”, al comma 2, prevede che “Le stazioni appaltanti devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso qualora:…b) nei confronti dell'appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i reati di cui all'articolo 80”. Oltre all’evidente raccordo tra le due discipline, di cui prima si lamentava l’assenza, è da evidenziare l’utilizzo del verbo “dovere”, a differenza di quanto previsto per le ipotesi elencate nel comma 1 in cui le stazioni appaltanti “possono risolvere un contratto pubblico”; in tal modo, dunque, si impone un obbligo di risoluzione contrattuale per le amministrazioni aggiudicatrici nei casi di cui al comma 2, precludendo qualsivoglia valutazione di natura discrezionale.