Cons. Stato, Sez. III, 7 luglio 2016, n. 3012.

1.Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.

2.Un’influenza reciproca all’interno di contesti familiari può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.

 

1) Conformi: Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; 7 ottobre 2015, n. 4657; Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709.

2) Conformi: Cons. Stato,Sez. III, 13 marzo 2015, n. 1345.

 

 

 

Guida alla lettura

L’informativa antimafia, secondo le previsioni degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6,  D.lgs. n. 159 del 2011, è un istituto mediante il quale l’autorità prefettizia esprime un motivato giudizio, in chiave preventiva, circa il pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa, interdicendole l’inizio o la prosecuzione di qualsivoglia rapporto con l’Amministrazione o l’ottenimento di qualsiasi sussidio, beneficio economico o sovvenzione.

La valutazione circa il pericolo di infiltrazione mafiosa fa venir meno, infatti, quella imprescindibile fiducia che l’Amministrazione deve riporre nell’affidabilità dell’imprenditore, allorché entra in rapporto con essa, poiché questa affidabilità è data dalla capacità di questi, oggettivamente verificabile, di non cooperare né di prestarsi in alcun modo, con la sua attività economica, ai disegni della criminalità mafiosa.

La motivazione del provvedimento prefettizio, ispirato a finalità preventive, deve indicare gli elementi di fatto posti alla base di tale valutazione, desunti da provvedimenti giudiziari, atti di indagine, accertamenti svolti dalle Forze di Polizia in sede istruttoria, ed esplicitare le ragioni in base alle quali, secondo la logica del «più probabile che non», sia ragionevole dedurre da uno o più di tali elementi indiziari, gravi, precisi e, se plurimi, anche concordanti il rischio di infiltrazione mafiosa nell’impresa, anche solo eventualmente, per relationem, con richiamo ai provvedimenti giudiziari o agli atti delle stesse Forze di Polizia, laddove già contengano con chiarezza il percorso logico di siffatta valutazione.

Nella sentenza in commento i supremi giudici amministrativi hanno, poi, ribadito il principio secondo il quale il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), dovendo l’informativa antimafia indicare (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti.

Occorre, altresì, che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la Pubblica Amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.

E' ovvio, altresì, che il giudizio espresso si collega ad un'ampia sfera di discrezionalità dell' Autorità cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell'ordine pubblico quanto alla ricerca ed alla valutazione degli elementi rilevatori delle condizioni di pericolo ipotizzate dall' art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994. Nei confronti delle misure di prevenzione adottate il sindacato in sede giurisdizionale si attesta nei limiti dell' assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere quanto alla completezza dei dati acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti ed alla logicità delle conclusioni.

Ed infatti, la valutazione discrezionale, per non sconfinare in mero arbitrio, può dirsi ragionevole e attendibile se sorretta almeno da presunzioni semplici, ovvero da una pluralità di indizi seri, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che secondo l’esperienza comune assumono un significato univoco. Si è, così, sottolineata l’importanza che, seppure in ragione della speciale pervasività e pericolosità sociale riconosciuti al fenomeno mafioso sia giustificato il carattere preventivo/repressivo di provvedimenti di limitazione e contenimento della libertà di iniziativa economica, la deroga non può spingersi fino al punto da giustificare provvedimenti interdittivi basati su un semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, pena, altrimenti lo stravolgimento dei principi di legalità e di certezza del diritto del nostro ordinamento democratico. Pertanto, la giurisprudenza indica nella ‘attualità’ ‘obiettiva congruità’ e ‘concretezza’ i caratteri che debbono manifestare gli elementi assunti dai provvedimenti interdittivi come base per giustificare la loro adozione da parte dell’autorità prefettizia competente, in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.

La giurisprudenza è concorde nel ritenere che i rapporti di coniugio od affinità non siano sufficienti a suffragare l’ipotesi della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, dovendo tale circostanza accompagnarsi ad ulteriori elementi che inducano a sospettare che il vincolo assuma particolare significatività sotto il profilo della contiguità con ambienti malavitosi.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10493 del 2015, proposto dal Ministero dell'Interno, dall’U.T.G. - Prefettura di Vibo Valentia e dalla Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei legali rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati per legge;

contro

la -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Di Lieto, con domicilio eletto presso la dott.ssa Santina Murano in Roma, via Pelagio I, n. 10;

nei confronti di

il Consorzio per lo Sviluppo Industriale di Vibo Valentia, il Consorzio Cooperative Costruzioni, la C.L.C. Cooperativa Lavoro Costruzioni soc. coop.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Calabria, Sezione I di Catanzaro, n. 720 del 2015, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l'Avvocato dello Stato Marco La Greca e l’Avvocato Andrea Di Lieto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con il ricorso RG 10493/2015, le Amministrazioni statali indicate in epigrafe hanno proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Calabria, Sede di Catanzaro, n. 720 del 2015, che ha accolto il ricorso RG. 1636/2014 proposto dalla -OMISSIS- ed ha annullato l’informazione antimafia n. 27972 del 12 agosto 2014, emessa dal Prefetto della Provincia di Vibo Valentia a carico della stessa società, nonché gli atti ad essa consequenziali (atto n. 2515 del 19 agosto 2014 del Dirigente Tecnico del Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Reggio Calabria, di interruzione di un rapporto sorto con un contratto di fornitura).

2.- Il provvedimento interdittivo è basato sui seguenti presupposti:

- soci della società sono i -OMISSIS-ed -OMISSIS-;

- la signora -OMISSIS- è socia anche della -OMISSIS-destinataria di interdittiva antimafia;

- le due società hanno la sede presso lo stesso immobile;

- l’amministratore unico della «-OMISSIS-» è il signor -OMISSIS-, padre convivente della signora -OMISSIS-, il quale è stato controllato in numerose occasioni con soggetti nei cui confronti figurano vicende di polizia (SDI) per associazioni di tipo mafioso, estorsione, usura, omicidio doloso, violazione delle norme in materia di armi, ricettazione, violazione di norme in materia di stupefacenti, favoreggiamento personale, associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, insolvenza fraudolenta (due dei quali contigui alla famiglia mafiosa ‘Mancuso’ di Limbadi-Nicotera e coinvolti nell’operazione di polizia ‘Black Money/Purgatorio’, l’altro coinvolto nell’operazione di polizia denominata ‘Libra’);

- il signor -OMISSIS-, l’altro socio della società destinatario della interdittiva, è stato controllato con soggetti sul cui conto risultano vicende di polizia per estorsione in concorso, oltraggio, resistenza e violenza a P.U., associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, partecipazione a giochi d’azzardo, violazione di norme finanziarie ed altro;

- il signor -OMISSIS-, padre del socio -OMISSIS-e con lui convivente, è stato anch’egli socio della «-OMISSIS-» fino al 2012, ed è stato controllato con soggetti sul conto dei quali figurano vicende di polizia per rissa, minaccia, lesione personale, riciclaggio, nonché con un soggetto destinatario di un avviso orale;

- i signori -OMISSIS- e-OMISSIS-, rispettivamente, sono figlio e nipote del signor -OMISSIS-, soggetto sul cui conto figurano condanne per estorsione continuata in concorso, furto in concorso, frode nell’esercizio del commercio continuato, omicidio preterintenzionale, ricettazione in concorso, trasporti abusivi, violazioni in materia di armi, minaccia; egli è stato indagato nel procedimento penale nel quale sono stati coinvolti numerosi soggetti affiliati alla famiglia mafiosa ‘Anello’ di Filadelfia e alla consorteria ‘Fiumara’ di Francavilla Angitola, anche se poi egli è stato assolto dal Tribunale di Lamezia Terme dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, perché il fatto non sussiste;

- lo zio della signora -OMISSIS-, fratello del padre, signor -OMISSIS-è coniugato con la figlia del signor -OMISSIS-, elemento apicale della omonima famiglia mafiosa di Vibo Valentia;

- la signora -OMISSIS-(sorella del padre della signora -OMISSIS-) è coniugata con il signor -OMISSIS-, indagato per associazione mafiosa e cugino di primo grado di alcuni esponenti di spicco della cosca Tripodi, alcuni tratti in arresto nell’operazione ‘Libra’;

- altri due zii della -OMISSIS--, fratelli del padre, i signori-OMISSIS-e-OMISSIS-sono soci della «-OMISSIS-», in passato destinataria di una informativa antimafia interdittiva.

3. - Nel ricorso di primo grado, la società appellante ha dedotto che il provvedimento interdittivo sarebbe stato adottato in mancanza di presupposti, tenuto conto che nei confronti del socio -OMISSIS- risultavano solo dei controlli di polizia, e nei confronti della socia -OMISSIS- vi erano esclusivamente rapporti di parentela, di per sé non idonei a sostenere il provvedimento interdittivo.

4. - Il TAR ha accolto la tesi di parte ricorrente, sottolineando- in aggiunta - che le interdittive analoghe emesse nei confronti delle società -OMISSIS-, di cui erano soci i due zii della -OMISSIS--, erano state annullate in sede giurisdizionale.

5. - Nell’atto di appello, le Amministrazioni statali hanno sottolineato che il primo giudice non ha valutato il punto fondante dell’informativa antimafia, costituito dall’appartenenza della società interdetta all’orbita delle società facenti capo alla famiglia -OMISSIS-, la cui attività economica era stata già sottoposta a disamina in sede giurisdizionale nelle decisioni del Consiglio di Stato n. 4666 e 4667 del 2015.

Le Amministrazioni hanno rilevato che ambedue i due soci della «-OMISSIS-» erano stati (nel caso di -OMISSIS-), ed erano ancora (nel caso della -OMISSIS-) soci della «-OMISSIS-»,destinataria dell’interdittiva antimafia, il cui amministratore è il padre convivente della stessa--OMISSIS- (circostanza, questa, rilevante ai sensi dell’art. 85 c. 3 del D.Lgs. 159/11).

Le appellanti hanno poi sottolineato come il primo giudice non abbia dato alcun rilievo al collegamento con l’attività imprenditoriale della famiglia -OMISSIS-, tranne che per richiamare la vicenda relativa alla -OMISSIS-, la cui informativa antimafia atipica è stata annullata dal TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro, con la sentenza n. 300 del 2010, con sentenza confermata in appello con la sentenza n. 4754 del 2011.

Quanto ai rapporti di parentela – ritenuti dal TAR non idonei a supportare il provvedimento di prevenzione antimafia – hanno rilevato le Amministrazioni appellanti che, nel caso di specie, si evidenza molto di più di un mero rapporto di parentela, ricorrendo un ‘intreccio di rapporti parentali ed imprenditoriali’, riconducibili alla famiglia -OMISSIS- la cui contiguità con gli ambienti malavitosi è desumibile della vicende soggettive che hanno interessato i componenti della famiglia, come evidenziato nel provvedimento prefettizio impugnato.

Le Amministrazioni hanno poi criticato le affermazioni rese dal primo giudice con riferimento alla posizione del socio -OMISSIS-, rilevando che le sue frequentazioni si riferiscono a soggetti condannati per reati tipici della criminalità organizzata, ed hanno ribadito la rilevanza delle condotte dei familiari della socia--OMISSIS-, ritenute indicative della contiguità con ambienti malavitosi.

6. - Si è costituita in giudizio la società appellata, che ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, rilevando che questo non avrebbe censurato tutte le argomentazioni poste a base della sentenza di primo grado e che avrebbe, inoltre, introdotto elementi nuovi per integrare la motivazione dell’interdittiva impugnata.

La difesa dell’appellata ha poi sottolineato la correttezza della sentenza di primo grado ed ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

7. - L’ordinanza n. 404 del 2015, nel dispositivo, ha respinto la domanda incidentale, formulata dalle appellanti.

8. - All’udienza pubblica del 28 aprile 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. - Preliminarmente ritiene il Collegio di dover esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dell’appellata.

1.1 - Le eccezioni sono infondate.

1.2 - Contrariamente a quanto dedotto dalla -OMISSIS-, l’atto di appello ha censurato tutti i punti della motivazione della sentenza appellata, esaminando anche la posizione del socio -OMISSIS-, in merito alla quale ha rilevato che i soggetti con i quali è stato controllato non erano pregiudicati per reati comuni, ma per reati tipici della criminalità organizzata.

1.3 - Quanto al padre del medesimo socio, nell’atto di appello si richiama quanto rilevato nell’interdittiva antimafia, e cioè che egli – convivente con il figlio -OMISSIS- - è stato socio della --OMISSIS-fino al 2012 ed è stato controllato con soggetti più volte denunciati in sede penale.

1.4 – L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della società è quindi destituita di fondamento.

1.5 - Altrettanto infondata è l’ulteriore eccezione di inammissibilità diretta a sostenere che nell’appello sono stati dedotti elementi nuovi rispetto a quelli indicati nell’interdittiva impugnata, in quanto le Amministrazioni appellanti hanno fatto riferimento alle sentenze relative ad altre società riconducibili alla famiglia -OMISSIS-, al solo fine di dimostrare la correttezza della propria tesi difensiva, secondo cui i rapporti intercorrenti tra i componenti della famiglia -OMISSIS- presentano una connotazione di tale intensità tale da poter giustificare – come ritenuto da questa Sezione nelle sentenze n. 4666 e 4667 del 2015 – l’adozione del provvedimento interdittivo impugnato in primo grado.

1.6 - Le eccezioni devono essere quindi respinte.

2. - Prima di passare ad esaminare il merito dell’appello, è opportuno richiamare, sinteticamente, taluni principi espressi recentemente dalla Sezione in tema di interdittiva antimafia (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):

- l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;

- quanto alla ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

- ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

- pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;

- nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una «influenza reciproca» di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;

- una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione;

- hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:

- non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del «più probabile che non» - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4708; Cons. Stato n. 3057/10; 1559/10; 3491/09);

- la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall'utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011; Cons. Stato, n. 2783 del 2004; Cons. Stato, n. 4135 del 2006);

- l'ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001).

Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260 del 2010).

3. - Alla luce di tali criteri, deve essere esaminato il ricorso in appello.

3.1 - Il Collegio rileva, preliminarmente, che con il dispositivo dell’ordinanza n. 404 del 2016 – resa sulla base della cognizione sommaria propria della fase cautelare – l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado è stata respinta.

La lettura degli atti causa – in sede di definizione del secondo grado del giudizio - induce però il Collegio a ritenere fondato l’appello, anche alla luce della stessa sentenza n. 4666/2015 richiamata in sede cautelare, la cui considerazioni inducono a ritenere la piena legittimità dell’interdittiva antimafia oggetto di impugnazione nel presente giudizio.

4. - Ritiene il Collegio, infatti, che l’appello debba essere accolto, in quanto fondato.

4.1 - Correttamente le Amministrazioni statali, nel proprio atto di appello, hanno rappresentato che il dato saliente dell’informativa antimafia in questione è costituito da una serie di intrecci societari che collegano i vari membri della famiglia -OMISSIS-, dedita all’imprenditoria nella provincia di Vibo Valentia e le cui società sono state destinatarie di informative antimafia.

Nelle sentenze n 4666 e 4667 del 2015, la Sezione ha esaminato l’attività imprenditoriale della famiglia -OMISSIS-, con particolare riferimento alla società «--OMISSIS-», ritenendola contigua con la criminalità organizzata, società della quale la -OMISSIS-- è socia, suo padre convivente è amministratore ed il padre convivente del socio -OMISSIS-è stato anch’egli socio fino all’anno 2012.

4.2 - E’ opportuno riportare alcuni stralci della sentenza n. 4666 del 2015 relativa all’interdittiva antimafia emessa nei confronti della «--OMISSIS-».

« Innanzitutto, la famiglia -OMISSIS- è un nucleo familiare particolarmente unito e coeso che controlla diverse imprese operanti in alcuni settori verso i quali la criminalità organizzata di stampo mafioso ha da sempre mostrato particolare interesse (e l’attività di fornitura del calcestruzzo svolta dall’appellante ne è chiaro esempio) ».

«Costituisce fatto del tutto incontestato che alcuni esponenti di tale nucleo familiare sono coniugati con i figli di esponenti di vertice di sodalizio mafioso radicati nella zona in cui l’appellante è maggiormente attiva».

«La società appellante è nata come una delle imprese attraverso le quali era destinato ad operare il predetto nucleo familiare o almeno parte di esso, tanto che oltre a -OMISSIS-- annoverava tra i -OMISSIS-, che poco tempo prima dell’informativa impugnata, cedeva la propria quota alla figlia di -OMISSIS- ».

«La circostanza significativa è che la fuoruscita di -OMISSIS-interveniva poco tempo dopo che era stata assunta informativa nei confronti di altra società del predetto nucleo familiare dallo stesso amministrata (la -OMISSIS-.), con una cessione delle quote molto più fittizia che reale, tanto che alcuna prova viene offerta dell’avvenuto versamento da parte di-OMISSIS- del controvalore delle quote».

(…) «Da qui anche l’irrilevanza del fatto che il sig. -OMISSIS-- e i suoi fratelli abbiano un proprio nucleo familiare, essendo evidente che risultano uniti da comuni interessi economici, operando tutti nello stesso settore produttivo e risultando le varie società composte dai fratelli-soci».

(…) «Quanto alla assoluzione del padre -OMISSIS-- dal reato di estorsione (attività cui sono dedite di consueto le consorterie mafiose), il Collegio ritiene che non vale ad escludere la contiguità del predetto da ambienti di tipo mafioso».

«Difatti, non necessariamente il pericolo di infiltrazione viene desunto da condanne penali a carico dei soggetti prevenuti, essendo sufficiente il serio coinvolgimento in indagini di polizia riguardanti il fenomeno mafioso».

(…) «Tali considerazioni valgono anche per quanto riguarda l’eccepita incensuratezza di--OMISSIS- e di -OMISSIS--, quantomeno con riguardo ai reati di stampo mafioso».

(…) «A proposito delle frequentazioni (sporadiche e risalenti nel tempo) del -OMISSIS--, l’Amministrazione afferma in modo condivisibile che la circostanza, che di per sé potrebbe non essere decisiva, assume significato se considerata unitamente agli altri elementi e indizi».

Con riferimento al rapporto di parentela ritenuto dal TAR insufficiente a suffragare il provvedimento interdittivo, la Sezione ha ritenuto che: « Tuttavia, se è vero che non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione mafiosa il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata, non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell'impresa, è sufficiente che l'informativa indichi, oltre al rapporto di parentela, anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l'Autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l'impresa esercitata da loro congiunti; inoltre, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (C.d.S. III Sez.4447 dell’1.9.2014) ».

«Nel caso in esame, l’intreccio dei legami economici e familiari è evidente dalla composizione delle varie società facenti capo ai fratelli -OMISSIS- e il rischio di infiltrazione desumibile anche dalle vicende che hanno colpito negli anni le varie società sotto il profilo delle adottate informative antimafia».

«La circostanza che --OMISSIS-(coniugato con la figlia di presunto boss, sottoposto a sorveglianza speciale di P.S., ritenuto capo di omonima cosca Lo Bianco-Barba, operante nella provincia – cfr. pag. 2 dell’informativa impugnata) non abbia alcuna quota nella società ricorrente non è sufficiente ad escludere il pericolo di infiltrazione».

«--OMISSIS-è, infatti, incluso nel complesso intrecci di interessi economici che lega tra loro i fratelli -OMISSIS-» (sentenza della Sezione n. 4666/2015).

4.3 - Condivide il Collegio le affermazioni contenute in questa sentenza, rilevando che anche nel caso di specie viene in rilievo l’impugnazione di una interdittiva antimafia emessa nei confronti di una società riconducibile alla famiglia -OMISSIS-, della quale è socia la -OMISSIS--, che è socia anche della società --OMISSIS- nella quale è subentrata al posto dello -OMISSIS-, dopo l’adozione dell’interdittiva antimafia nei confronti di un’altra società riconducibile alla famiglia.

Dalla citata decisione emerge in modo palese che anche nel caso di specie non ricorrano quei semplici rapporti di parentela che secondo la giurisprudenza non consentono di supportare il giudizio prognostico del rischio di condizionamento mafioso, in quanto si è in presenza di un gruppo familiare che svolge la medesima attività imprenditoriale in modo coordinato, nel quale si evidenziano cointeressenze societarie tra i vari fratelli, spostamenti di quote tra parenti, partecipazioni societarie nelle diverse società variamente denominate, ma comunque riconducibili alla famiglia -OMISSIS-.

In questo contesto, i presupposti indicati nel provvedimento impugnato – e cioè la qualità di socia di--OMISSIS- non solo della -OMISSIS- ma anche della società --OMISSIS- colpita da interdittiva antimafia, la circostanza che entrambe le società sono ubicate presso lo stesso immobile, e lo stato di convivenza della socia--OMISSIS- con il padre -OMISSIS-- amministratore della società interdetta --OMISSIS- – costituiscono elementi idonei a fondare il giudizio prognostico secondo il criterio «del più probabile che non» del rischio di condizionamento mafioso dell’attività imprenditoriale svolta dalla società destinataria del provvedimento di prevenzione antimafia.

4.4 - Gli ulteriori rilievi indicati nel provvedimento prefettizio (ed in particolare, le frequentazioni, i contatti con personaggi della malavita organizzata) non costituiscono il presupposto che regge il provvedimento impugnato, ma assolvono alla sola funzione di rimarcare l’effettività dei contatti con le consorterie criminali, al fine di far emergere la concretezza del rischio di permeabilità o di condizionamento mafioso.

Ritiene dunque il Collegio, facendo applicazione dei principi individuati nella sentenza della Sezione n. 1743 del 2016 in precedenza richiamata, che nessuno dei rilievi svolti nella memoria difensiva della società appellata sia in grado di scalfire la logicità e la ragionevolezza del provvedimento impugnato, in quanto:

- non rileva lo stato di incensuratezza dei soci -OMISSIS- e--OMISSIS-, essendo sufficienti i collegamenti familiari connotati dalla particolare intensità ai quali si è fatto cenno in precedenza, che da soli – per le ragioni in precedenza indicate – sono indicativi, secondo il principio del «più probabile che non», del rischio di condizionamento mafioso;

- assumono rilievo, come già indicato, le frequentazioni con soggetti malavitosi o comunque nei confronti dei quali figurano vicende di polizia, specie se attinenti a reati tipici delle consorterie criminali, come quelli indicati nel provvedimento prefettizio;

- l’avvenuta assoluzione dal reato di associazione a delinquere di tipo mafioso non costituisce di per sé elemento idoneo a smentire il collegamento con la criminalità organizzata, se si considera che in materia di prevenzione antimafia non valgono i medesimi criteri probatori necessari nel processo penale, poiché detta logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non di punire nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

4.5 - Anche in merito alla rilevanza della citata sentenza n. 4754 del 2011, relativa all’interdittiva antimafia emessa nei confronti della --OMISSIS-, sulla quale si sofferma la difesa dell’appellata, va richiamato quanto statuito dalla Sezione nella stessa sentenza n. 4666 del 2015.

In detta decisione la Sezione ha rilevato che «La sentenza aveva esaminato la affermata qualità di ‘pluripregiudicato’ del padre dei legali rappresentanti dell'impresa (-OMISSIS--), a proposito del quale rilevava, tra l’altro, che i fatti di reato erano risalenti a vent'anni prima e per di più del tutto svincolati da qualsiasi matrice mafiosa, e concludeva nel senso che “non viene fornito dall'informativa medesima alcun concreto elemento nel senso ch'egli sia in grado di influire, favorendo l'infiltrazione di gruppi criminali organizzati, sulla conduzione dell'impresa, nella quale è incontestato ch'egli non rivesta alcun ruolo formale ed il cui intervento nelle attività delle imprese condotte dai figli viene solo in giudizio (e per di più in grado di appello) indebitamente prospettato (in aperta violazione del divieto di integrazione postuma dello stesso contenuto del provvedimento impugnato e, sotto diverso angolo prospettico, dell'art. 345 c.p.c.), con riferimento ad elementi (quale quello dell'influenza ritenuta esercitata dallo stesso su diversa società nei cui confronti venne a suo tempo emessa informativa interdittiva c.d. tipica) non puntualmente fatti oggetto di rilievo nell'informativa oggetto del presente giudizio” » .

E’ evidente che si tratta di valutazioni del giudice di appello che si attagliano a quella fattispecie e a quel provvedimento impugnato e non possono influire direttamente sulle valutazioni che questo Collegio è chiamato oggi a compiere su diverso provvedimento e su un diverso contesto societario, anche alla luce della ricognizione effettuata dalla Sezione con la più volte citata sentenza n. 1743 del 2016 sui principi che reggono l’informativa antimafia.

Quanto alla tipizzazione delle fattispecie dalle quali desumere i tentativi di infiltrazione mafiosa, va richiamata la medesima sentenza della Sezione n. 1743 del 2016, dovendosi ribadire che non occorre la certezza della permeabilità dell’impresa da parte della malavita organizzata, né occorre l’attualità del condizionamento mafioso, trattandosi di misura di prevenzione.

5. – Infine, deve essere respinto anche il motivo di impugnazione proposto in primo grado e reiterato in appello, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., diretto a sostenere l’illegittimità dell’interdittiva in quanto emessa in relazione ad una fattispecie per la quale non è richiesto il rilascio della documentazione antimafia, trattandosi di contratto di fornitura di calcestruzzo per l’importo di € 70.000, inferiore al limite minimo di € 150.000,00, tenuto conto che, come ha più volte rilevato questo Consiglio (sin dalla sentenza della Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 240), la previsione di un limite minimo non impedisce lo svolgimento di attività di indagine nei confronti dell’impresa e l’adozione del provvedimento interdittivo in presenza dei necessari presupposti.

6. - L’appello va dunque accolto e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso di primo grado.

7. - Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l’appello RG 10493 del 2015

e, per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR Calabria, Sezione di Catanzaro, n. 720 del 2015, respinge il ricorso di primo grado RG 1636 del 2014.

Condanna la parte appellata a rifondere all’Amministrazione appellante le spese relative al doppio grado di giudizio che liquida in complessivi € 6.000,00 (seimila/00) oltre accessori di legge, di cui duemila per il primo grado e quattromila per il secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e le società indicate nella sentenza.