Tar Lazio, Roma, Sez. II-Ter, 8 gennaio 2016, n. 173

 

Tar Lazio, Roma, Sez. II-Ter, 8 gennaio 2016, n. 173

Presidente Conti; Estensore Rotondo

 

1. Ai fini dell’esclusione da una gara per omessa dichiarazione di una condanna penale, assume rilievo centrale il dettato della lex specialis, dovendosi distinguere i casi in cui essa richiede ai legali rappresentanti di dichiarare tutte le condanne riportate, dai casi in cui è genericamente prevista una dichiarazione attestante l’assenza di cause impeditive. In quest’ultimo caso, la pretesa incompletezza della dichiarazione per mancata menzione di tutti i precedenti penali non può comportare l’esclusione ope legis della gara, allorquando all’omissione non corrisponda la sostanziale carenza del requisito. In quest’ottica, il concorrente può omettere di fare menzione dei precedenti penali che, secondo l’id plerumque accidit non ritiene idonei a compromettere la moralità professionale, cosicché non può in ogni caso essere qualificata come falsa una dichiarazione fondata su una valutazione di carattere soggettivo.

 

2. Nelle gare pubbliche, l’omessa dichiarazione di una condanna penale da parte dell’amministratore unico della società aggiudicataria per un reato non incidente sulla moralità professionale può essere sanzionata con l’esclusione dalla gara solo in presenza di un obbligo stringente imposto dal bando; diversamente, infatti, il concorrente può ritenersi esonerato dal dichiarare l’esistenza di condanne per infrazioni penalmente rilevanti, ma di lieve entità (in applicazione del principio nella specie è stato ritenuto che l’omessa dichiarazione di una condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza non poteva dare luogo ad esclusione dalla gara, atteso che la formula della dichiarazione predisposta dalla stazione appaltante era idonea a ingenerare l’errata convinzione nei partecipanti di non essere tenuti a dichiarare ogni tipo di condanna riportata, anche per i reati non significativi ai fini della valutazione circa la serietà e affidabilità nell’esecuzione dell’appalto).

 

3. Nelle gare pubbliche, il rigore formalistico (per il quale una dichiarazione inaffidabile, perché incompleta, sarebbe di per sé lesiva degli interessi tutelati dalla legge a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o meno, nella sostanza, di partecipare alla gara) deve cedere in presenza di una scusabilità dell’errore riconducibile a formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi interpretativi, tanto più che vige oggi la regola della tassatività delle cause di esclusione, di cui all’art. 46, co. I- bis, del d.lgs. n. 163/2006, che s’ispira a un criterio sostanzialistico e riafferma il favor partecipationis; principio che ha trovato ulteriore conferma nell’art. 39, co. III, del d.l. n. 90/2014 convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014.

 

 

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

 

La sentenza in commento riguarda la necessità o meno di escludere un’impresa da una gara ad evidenza pubblica in presenza di una condanna penale per guida in stato di ebbrezza non dichiarata in sede di partecipazione e, più in generale, l’esclusione dalla gara in caso di omissioni riconducibili all’equivocità del bando.

 

 

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

 

L’oggetto della presente decisione è la procedura di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento in concessione del servizio di caffetteria e ristorazione presso i “Musei Capitolini” da parte di una società in house del Comune di Roma. In particolare, la seconda classificata ha impugnato gli atti di gara contestando diversi profili di illegittimità sia con il ricorso introduttivo che con i successivi motivi aggiunti, mediante i quali è stata censurata l’aggiudicazione avversaria (principalmente) poiché l’amministratore unico della vincitrice avrebbe omesso di dichiarare l’esistenza di una condanna a pena patteggiata per il reato di guida in stato d’ebbrezza, emersa dal casellario giudiziario in sede di comprova dei requisiti di moralità professionale.

La risoluzione di questo motivo costituisce la parte più significativa della sentenza. Segnatamente, premessa la non convergenza degli orientamenti in tema di dichiarazioni ex art. 38 del d.lgs. 163/2006 e i relativi effetti in caso di omissioni, il Collegio espone le due tesi presenti in materia.

In primo luogo dà atto dell’orientamento maggioritario, secondo il quale l’omessa dichiarazione dei requisiti di partecipazione sarebbe in grado di determinare ex se l’esclusione dalla gara pubblica, senza la necessità di verificare in concreto l’esistenza degli stessi. Ne consegue, secondo questa impostazione, che la mancata dichiarazione delle sentenze penali di condanna comporta la non veridicità della dichiarazione e determina l’esclusione dalla gara.

In secondo luogo viene presentato l’orientamento minoritario che conferisce rilievo centrale alla disciplina di gara distinguendo due casi a seconda che (a) la lex specialis preveda espressamente l’obbligo di dichiarare tutte le condanne penali o, diversamente, (b) preveda la generica dichiarazione dell’insussistenza di cause impeditive. In quest’ultimo caso, ne deriverebbe che l’incompletezza della dichiarazione non può fondare ope legis l’esclusione dalla gara, ma solo nell’ipotesi in cui all’omessa dichiarazione sia attribuita anche la sostanziale carenza del requisito. Pertanto, seguendo questa linea interpretativa, il partecipante alla gara potrebbe omettere di dichiarare i precedenti penali non ritenuti idonei a compromettere la moralità professionale e andrebbe esente da esclusione, poiché non potrebbe essere qualificata falsa una dichiarazione basata su una valutazione di carattere soggettivo.

Il T.A.R. ha ritenuto di aderire a questo secondo orientamento, giudicato più incline al favor partecipationis e in linea con gli ultimi interventi legislativi in materia di appalti pubblici. Segnatamente, facendo applicazione dei princìpi esposti, ha chiarito che la società aggiudicataria (il cui amministratore unico ha omesso di dichiarare la precedente condanna penale per guida in stato di ebbrezza) avrebbe potuto essere sanzionata con l’esclusione dalla gara solo in presenza di un obbligo stringente imposto dal bando. In assenza di clausole della legge di gara cogenti, infatti, la società concorrente poteva ritenersi esonerata dal dichiarare condanne per illeciti penalmente rilevanti ma di lieve entità. Inoltre, a sostegno del proprio rigetto, il Giudice aggiunge che nel caso di specie le indicazioni della lex specialis di gara sull’onere di dichiarazione di cui all’art. 38, co. I, lett. c), d.lgs. 163/2006 non erano chiare.

In sostanza, a opinione del T.A.R., la formula della dichiarazione predisposta dalla stazione appaltante era idonea a creare l’errata convinzione di non dovere dichiarare ogni tipo di condanna penale e, segnatamente, che non fosse necessario riportare le condanne per reati non significativi ai fini della valutazione circa la serietà e affidabilità nell’esecuzione dell’appalto. Nello specifico, il Giudice ritiene che l'elemento fuorviante sia la formulazione della dichiarazione – in negativo – in cui si fa espresso riferimento ai “reati gravi…che incidono sulla moralità professionale”. In ragione di queste premesse, il Collegio ritiene la dichiarazione resa dalla controinteressata non falsa ma, semmai, incompleta perché rilasciata in séguito a erronea interpretazione del disciplinare di gara che sul punto non era del tutto inequivoco.

Ciò posto, il Collegio ribadisce l'esistenza del consolidato indirizzo giurisprudenziale in tema di cause di esclusione dalle gare per reati incidenti sulla moralità professionale, secondo il quale - sostanzialmente - la valutazione è rimessa alla discrezionalità della P.A. Se la disamina di quali reati siano rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere fosse riservata alla concorrente, verrebbe implicato un giudizio necessariamente soggettivo e, come tale, inconciliabile con la finalità della norma. Tuttavia, il T.A.R. si discosta dall'opinione giurisprudenziale maggioritaria per aderire alla tesi minoritaria. La motivazione che viene apportata è che, nel caso, l'errore è stato indotto direttamente dalla formulazione stessa del bando. Sicché, non potrebbe essere determinata l'esclusione per incompletezza della dichiarazione resa - in presenza di atti di gara di dubbia interpretazione - alla luce (anche) dell'art. 46, co. I bis, d.lgs. 163/2006 statuente il princìpio di tassatività delle cause di esclusione e ispirato a un criterio sostazialistico, incline al favor partecipationis. Nel caso de quo, la lex specialis non prevedeva alcuna comminatoria di esclusione in caso di mancata dichiarazione sui requisiti di cui all'art. 38, d.lgs. 163/2006.

Da queste motivazioni, il T.A.R. deduce il rigetto del presente motivo di ricorso.

 

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

La pronuncia in commento si mostra di particolare rilievo poiché affronta un aperto contrasto giurisprudenziale in tema di equivocità delle clausole della legge di gara ed esclusione per omessa dichiarazione sui requisiti generali.

Nello specifico, come esposto nella parte motiva della sentenza, si hanno due opposti orientamenti. Il prevalente orientamento riconduce le omissioni rilevanti ai fini dell'art. 38 del d.lgs. 163/2006 nell’alveo delle false dichiarazioni, per dedurne la necessaria esclusione dalla gara (cfr., ex multis, T.A.R. Marche, sez. I, 11.12.2015, n. 911; T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. III, 12.3.2014, n. 723; Cons. Stato, sez. III, 15.1.2014, n. 123). Per l’orientamento minoritario, invece, l’esclusione è da comminare nella sola ipotesi in cui all’omessa dichiarazione corrisponda la sostanziale carenza del requisito (cfr. T.A.R. Liguria, sez. III, 21.3.2014, n. 453). Come visto in precedenza, quest’ultima opinione è stata seguita dal T.A.R. nel caso in oggetto.

Sebbene il Giudice affermi costantemente, nella parte motiva della sentenza, di aderire all’orientamento che valorizza il princìpio sostanzialistico a tutela del favor partecipationis, è utile chiedersi se in un’ottica di bilanciamento di interessi vengano, in qualche modo, compromessi altri interessi di pari rango.

In particolare, una riflessione potrebbe porsi sulla par condicio tra i partecipanti alla gara. Infatti, ciò che sembra criticabile di questo orientamento è la lesione dei princìpi della tutela della (leale) concorrenza e, di conseguenza, i princìpi di lealtà, diligenza e buona fede posti a presidio degli appalti pubblici. Invero, questi canoni di comportamento devono informare l’azione di entrambe le (potenziali e future) parti contrattuali – disciplinandone i reciproci rapporti – sia per diritto interno che per diritto di matrice europea. Sicché, lasciare al concorrente che formula domanda di partecipazione alla selezione pubblica, di porre un “filtro” sulle circostanze potenzialmente rilevanti ai fini delle valutazioni incidenti sulla moralità professionale, significherebbe consentire l’ingresso a valutazioni soggettive e, come tali, potenzialmente fuorvianti. Questa valutazione sembra, quindi, doversi riservare alla stazione appaltante e da ricondurre nell’àmbito della propria discrezionalità amministrativa.

L’omessa dichiarazione, in questi casi, potrebbe determinare la falsità della dichiarazione resa, giustificando – di per sé – l’esclusione dalla gara. Segnatamente, ciò che sembra difficile da sostenere è la ridurre queste omissioni a mere irregolarità o incompletezze, poiché si tratta di dichiarazioni scientemente rese difformi dalla realtà. Invero, il possesso sostanziale dei requisiti non potrebbe ritenersi idoneo a sanare le carenze dichiarative, poiché l’omessa o incompleta dichiarazione in relazione ai requisiti posseduti determina (quanto meno) un appesantimento e rallentamento delle operazioni di gara e, quindi, un pregiudizio sia per l’amministrazione che per gli altri concorrenti.

Consentire che l’omissione possa dirimersi con il possesso sostanziale dei requisiti, per altro verso, va oltre quelli che sono i princìpi fissati dall’Adunanza Plenaria n. 9/2014. Come ampiamente noto, infatti, il c.d. potere di soccorso istruttorio si sostanzia nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti, rettificare errori materiali ma non consente la produzione tardiva del documento, della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa previsti a pena di esclusione. Evaso ogni dubbio circa il fatto che la mancanza dei requisiti ex art. 38, d.lgs. 163/2006 si traduca in altrettante cause di esclusione (sul punto, tra le altre, T.A.R. Campania-Napoli, sez. I, 15.10.2012, n. 4130), ritenere l’omissione sanata dal possesso sostanziale del requisito esula, peraltro, dalle coordinate ermeneutiche relative al soccorso istruttorio.

Da un altro e diverso punto di vista, non può ignorarsi però che nelle ipotesi di c.d. falso innocuo – in concreto – la sanzione dell’esclusione possa apparire iniqua e, di conseguenza, possa ritenersi congrua la verifica sostanziale (e sanante) in sede di comprova del possesso dei requisiti. Ciò, in particolare, se l’omissione sia stata causata dall’effettiva equivocità della legge di gara o dai relativi moduli predisposti dalla stazione appaltante.

Sul punto, dunque, si segnalano orientamenti contrastanti e, invero, la pronuncia de qua risulta smentita dalla successiva del T.A.R. Toscana, 13.1.2016, n.11, la quale – aderendo all’orientamento maggioritario – ritiene dovuta l’esclusione ope legis nei casi di false dichiarazioni sui requisiti ex art. 38, d.lgs. 163/2006.

Poste queste premesse e considerata l’attualità del tema affrontato, potrebbe ritenersi utile una pronuncia da parte dell’Adunanza Plenaria, volta a fissare il contemperamento tra il princìpio del favor partecipationis e i princìpi di lealtà, diligenza e buona fede posti a presidio delle procedure a evidenza pubblica.

 

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

- F. Caringella, L. Tarantino, Codice Amministrativo annotato con la giurisprudenza, Dike, 2015.

- S. Baccarini, G. Chinè, R. Proietti, Codice dell’Appalto pubblico, Giuffrè editore, 2015.

 


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 9902 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Società Relais Le Jardin Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Federico Tedeschini, Tommaso Pallavicini, con domicilio eletto presso Studio Legale Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; 

 

contro

 

Società Zètema Progetto Cultura Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Paoletti, Emanuela Paoletti, con domicilio eletto presso Francesco Paoletti in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, 118;

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa per legge dall'avv. Luigi D'Ottavi, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;

Società Fagi Srl, non costituita;

 

nei confronti di

 

Società Bar Banqueting Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Giuliano Gruner, Federico Dinelli, con domicilio eletto presso Giuliano Gruner in Roma, Via del Quirinale, 26;

limitatamente al ricorso introduttivo; Società Nicolai Ricevimenti Srl, non costituita; 

 

per l'annullamento

 

- del provvedimento non conosciuto di determinazione a contrarre con il quale Zètema ha indetto la procedura aperta suddivisa in 3 lotti per l’affidamento in concessione del servizio di “caffetteria e ristorazione presso i Musei civici gestiti da Zètema s.r.l.(Musei Capitolini, Macro e Museo Carlo Bilotti) Lotto 1, “Musei Capitolini;

- del bando di gara, del disciplinare di gara, del capitolato d’oneri e di tutti gli allegati alla lex specialis;

- per quanto occorrer possa dei chiarimenti resi il 16.2.2015 da Zètema;

- del non conosciuto provvedimento di nomina della commissione;

- dei non conosciuti verbali di gara;

- dei non conosciuti esiti e relativi atti della verifica di congruità e sostenibilità in relazione all’offerta presentata dall’aggiudicatario provvisorio del lotto 1 società Bar Banqueting s.r.l.;

- del provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. L395/2015-AR/ni del 14.7.2015, con il quale è stata approvata l’aggiudicazione provvisoria dalla Commissione giudicatrice e dichiarati aggiudicatari definitivi: Bar Banqueting s.r.l.(lotto 1), Nicolai Ricevimenti s.r.l (lotto 2), Fagi s.r.l. (lotto 3);

per la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato con la società Bar Banqueting s.r.l per il lotto 1;

per la condanna della stazione appaltante al risarcimento in forma specifica, ovvero in subordine al risarcimento per equivalente relativamente al lotto 1;

con i motivi aggiunti:

- della nota Zètema prot. L 68/2015-AR/ni del 25.2.2015 di nomina della commissione giudicatrice;

- dei verbali della commissione di gara nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 (e scheda allegata), 9, 10, 11, 12 e 13;

- degli esiti della verifica circa la documentazione amministrativa presentata dalla soc. Bar Banqueting;

- degli esiti della verifica di congruità e sostenibilità economica dell’offerta della soc.Bar Banqueting (contenuti nei verbali 11, 12 e 13;

- della nota di richiesta di chiarimenti del 16.6.2015 e di chiarimenti resi dalla predetta soc.Bar Banqueting;

- del provvedimento di aggiudicazione definitiva prot. L395/2015-AR/ni del 14.7.2015 alla Bar Banqueting s.r.l.(lotto 1), alla Nicolai Ricevimenti s.r.l (lotto 2), alla Fagi s.r.l. (lotto 3);

- degli esiti della verifica di comprova dul possesso di tutti i requisiti auto dichiarati dalla soc. Bar Banqueting;

- per la declaratoria di inefficacia del contratto e per il risarcimento dei danni come già richiesto con il ricorso introduttivo

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Zètema Progetto Cultura Srl, di Roma Capitale e della Società Bar Banqueting Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2015 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

La ricorrente - benché nell’epigrafe del ricorso e dei motivi aggiunti abbia indicato gli atti relativi alla procedura di gara relativamente a tutti i lotti 1, 2 e 3, come emerge dai successivi atti e dalle stesse precisazioni fornite dalla stessa in sede di discussione orale - deve ritenersi avere impugnato unicamente gli atti di gara relativamente al solo lotto 1, con i quali “ZETEMA” (società in house di Roma Capitale) ha conclusivamente affidato in concessione alla società Bar Banqueting s.r.l. (controinteressata) il servizio di “caffetteria e ristorazione presso i Musei civici gestiti da Zètema s.r.l., il solo Lotto 1, “Musei Capitolini”.

La società Relais Le Jardin si è classificata (per il Lotto 1) al secondo posto della graduatoria con punti 79,99 mentre l’aggiudicataria è risultata prima con punti 93,05.

Essa contesta l’esistenza dei poteri in capo alla società Zètema di impegnarsi nei confronti dei terzi, le modalità di svolgimento della procedura (in ordine alla valutazione dell’offerta tecnica ed economica dell’aggiudicataria) nonché l’insussistenza di specifici requisiti soggettivi in capo alla controinteressata.

Con ricorso introduttivo, l’interessata ha dedotto le seguenti censure:

1) Zètema ha indetto una procedura di gara nonostante la carenza di potere di impegnarsi nei confronti di terzi e di impegnare i beni oggetto di concessione successivamente al 31/12/2015, ossia dopo la scadenza del vigente contratto di servizio posto in essere con Roma Capitale (il servizio scadeva il 31 marzo 2015 – la gara è stata indetta a fine 2014 – la durata del contratto messo a gara avrà durata triennale);

2) Il bando di gara prevedeva che, dopo l’aggiudicazione, se la proposta progettuale presentata dal vincitore fosse risultata incompatibile con le ragioni di tutela insistenti sull’area, allora la stessa avrebbe dovuto essere prontamente modificata e ricondotta all’interno delle prescrizioni imposte dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo: tale clausola, ad avviso della ricorrente, comporterebbe una modifica del progetto con riguardo alla terrazza Caffarelli (priva di allestimento), con conseguente illegittimità della procedura per violazione del principi di immodificabilità dell’offerta e modifica dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica.

Con successivi motivi aggiunti, proposti all’esito della acquisita e conosciuta documentazione di gara, la ricorrente ha dedotto le seguenti, ulteriori censure avverso il provvedimento di aggiudicazione della concessione:

3) l’amministratore unico della società Bar Banqueting s.r.l. avrebbe omesso di dichiarare l’esistenza di una sentenza di condanna a pena patteggiata per guida in stato di ebbrezza: sentenza che è risultata attestata dal casellario giudiziale in sede di comprova dei requisiti di moralità professionale;

4) la dichiarazione della controinteressatra sull’elencazione dei principali servizi di gestione/ristorazione, prestati negli ultimi tre anni, sarebbe incompleta, ovvero generica e priva delle necessarie indicazioni relative a luoghi, date, volumi di fatturato;

5) incompleta risulterebbe anche l’offerta tecnica sulle proposte gastronomiche, con plagio della proposta allestitiva della ricorrente commissionata nel 2003;

6) i costi di alcune figure professionali non sarebbero allocate nel prospetto costi/ricavi;

7) l’offerta dell’aggiudicataria sarebbe inaffidabilile, ciò nonostante è stata ritenuta congrua dalla Stazione appaltante .

Si sono costituite in giudizio le società Zètema s.r.l. e Bar Banqueting s.r.l. che, con articolate memorie, confutano le censure di parte ricorrente; la controinteressata, in particolare, controdeduce che la dichiarazione ex art. 38 del D.Lgs n. 163 del 2006 non era dovuta trattandosi di servizi di ristorazione di cui all’allegato II B) al citato Decreto, per l’appalto dei quali le disposizioni del Codice si applicherebbero solo se espressamente richiamate nel disciplinare di gara.

Alla camera di consiglio dell’ 8 ottobre 2015, la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati è stata respinta con ordinanza n. 4234/2015, contestualmente fissandosi la trattazione di merito del gravame per l’udienza pubblica del 19 novembre 2015.

Con ulteriori memorie - difensive, conclusive, di replica e contro replica - depositate in prossimità dell’udienza, le parti insistono nelle proprie, rispettive tesi.

All’udienza del 19 novembre 2015, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Preliminarmente, in punto di interesse al ricorso, il Collegio osserva che la ricorrente è il gestore uscente del medesimo servizio in concessione e, pertanto, agisce sia per ottenerne l’annullamento in toto della gara (come sopra precisato limitatamente al lotto 1), sia per ottenerne l’aggiudicazione in quanto seconda classificata nella gara relativa all’aggiudicazione del Lotto n. 1.

Considerata la portata strumentale di talune censure, infatti, non può essere escluso l’interesse della ricorrente ad ottenere il rifacimento della procedura di gara che comporterebbe, presumibilmente, il mantenimento della gestione uscente in termini di proroga o di affidamento temporaneo (oltre alla rinnovata chance di aggiudicazione derivante dalla possibilità di partecipare alla futura gara).

Nel merito, il ricorso è infondato.

Nell’ordine di trattazione delle censure, come seguono le considerazioni del Collegio.

1) Parte ricorrente ha dedotto la mancanza di legittimazione della società Zètema a disporre del bene.

In particolare, contesta la legittimazione di Zètema a disporre dell’immobile nel quale è stato individuato il servizio oggetto dell’appalto in concessione, che difetterebbe per scadenza del contratto di servizio tra Zètema stessa e Roma Capitale in un tempo anteriore alla esecuzione dell’appalto.

La censura non è persuasiva.

La gara in questione è stata indetta e conclusa da Zètema s.r.l. in costanza del rapporto di servizio tra questa e Roma Capitale, quindi nella sussistenza del potere di Zètema di disporre del bene; semmai, sono gli effetti della stessa che si produrranno anche oltre la scadenza del rapporto, ciò che tuttavia deve ritenersi intrinsecamente fisiologico ad ogni appalto/concessione di servizi che abbia ad oggetto un contratto di durata.

La circostanza, peraltro, che la gara avrà una durata (appena) triennale esclude anche profili di eccesso di potere sotto l’aspetto della ragionevolezza della scelta operata da Zètema.

Va soggiunto che, come chiarito dalla Sezione in un precedente analogo per il lotto 2 (v. Tar Lazio, sez. II ter, n. 12133/2015) dal quale il Collegio non ravvede motivi per cui discostarsi, la scadenza del contratto di servizio tra l’Ente locale ed una propria società di gestione “in house”, come (incontroverso tra le parti) è da qualificarsi la resistente, determina, in assenza di un rinnovo, il subentro del primo nella gestione e nelle funzioni in precedenza affidate alla seconda, senza soluzione di continuità sotto il profilo degli effetti dell’azione amministrativa, secondo il normale modello della successione tra Enti.

Ne deriva, che una gara di affidamento di servizi in concessione bandita e celebrata dalla società in house ben può prevedere un termine di scadenza del servizio successivo alla scadenza del rapporto che lega l’organo gestore all’ente locale, perché sarà quest’ultimo, eventualmente, a subentrare nel rapporto in essere con il privato affidatario nel caso in cui non dovesse essere rinnovata la delega alla società in house.

2) Con un secondo ordine di censure, è stata censurata la violazione del principio di immodificabilità dell’offerta. Parte ricorrente ritiene che il menzionato principio sarebbe stato vulnerato dalla clausola di bando previsiva di obbligatorio adeguamento del progetto (id est, allestimento esterno della terrazza “Caffarelli”) alle prescrizioni dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

La censura non è condivisa dal collegio alla luce delle osservazioni già espresse dalla sezione in un caso analogo (cfr. sentenza di questa sezione n. 12133 del 23.10.2015), dalle quali non sussistono ragioni per discostarsi.

Il Collegio osserva, infatti, che tale circostanza non incide affatto sul contenuto essenziale dell’offerta, né viola la par condicio competitorum.

Appare del tutto ragionevole che l’approntamento di suppellettili esterne, poste a contatto con beni monumentali, scontino il giudizio di compatibilità e di adeguamento (eventuale) alle prescrizioni impartite dall’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo. Tale verifica, peraltro, non potrebbe che essere logicamente successiva alla presentazione del progetto.

In questi termini, la stazione appaltante ha esercitato un potere discrezionale nel configurare in siffatti termini la procedura di gara, ovvero rinviando alla fase esecutiva della concessione l’acquisizione del parere della Soprintendenza, scelta che non appare irragionevole per evidenti ragioni di economia del procedimento di gara attesi i ristretti termini per confezionare e proporre le offerte.

Eventuali variazioni, pertanto, afferiscono all’alea del contratto e costituiscono un elemento stesso, variabile, dell’offerta tecnico-economica, percepibile ex ante dal concorrente.

Si tratta, infatti, all’evidenza di una scelta di merito dell’Amministrazione, ovvero quella di configurare tale onere tra gli adempimenti a carico del concessionario, così che esso costituisce un coelemento della prestazione cui quest’ultimo si obbliga, con la conseguenza che si assume il rischio della non conformità o non ammissibilità degli arredi siccome proposti e, nel caso in cui non dovesse risultare possibile eseguire l’allestimento come proposto in sede di gara, risulterà inadempiente, con ogni rilievo in termini di esecuzione del contratto.

Parte ricorrente sostiene che tale previsione, tuttavia, comporterebbe lo stravolgimento del contenuto dell’offerta del concorrente, la quale concorre in modo sostanziale a formare il punteggio in ordine all’offerta tecnica (da cui, la prospettiva implicita di un possibile travolgimento dell’intera gara).

Anche questo profilo di censura non ha pregio.

In primo luogo, le eventuali modifiche opererebbero soltanto in un momento successivo all’aggiudicazione e, pertanto, non si vede come esse avrebbero potuto essere influenti in sede di gara e di assegnazione del relativo punteggio: 13 su 60); inoltre, esse si imporrebbero nei riguardi dell’aggiudicatario, il solo che avrebbe, pertanto, interesse a far rilevare l’illegittimità della relativa prescrizione.

Ad ogni modo, e comunque, l’infondatezza della censura rileva anche in considerazione della esiguità dell’impatto degli allestimenti sul decoro e sul regime vincolistico dell’immobile, sia in termini economici che strutturali e tecnici.

Peraltro, sotto quest’ultimo profilo non risulta neppure dimostrato il presupposto in concreto della necessità del parere, attenendo le proposte progettuali a mere condizioni di arredo dell’immobile del quale non si prevedono alterazioni o trasformazioni strutturali di qualunque genere, anche solo estetico o del prospetto.

Quest’ultimo argomento porta, inoltre, a respingere il motivo di ricorso anche in applicazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, non incidendo la mancata acquisizione del parere sulla proposta di progetto, né sulla par condicio delle concorrenti, né sulla segretezza dell’offerta.

In conclusione, il ricorso introduttivo è infondato.

3) Con il primo motivo di ricorso dei motivi aggiunti, parte ricorrente sostiene che la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere la controinteressata dalla gara per avere costei omesso, in sede di presentazione della domanda di partecipazione, la dichiarazione in ordine alla sussistenza di una sentenza di condanna a pena patteggiata per il reato di guida in stato di ebbrezza: circostanza accertata in sede di verifica dei requisiti soggettivi dell’aggiudicataria.

La censura non è persuasiva per le ragioni che ora si esporranno.

Il Collegio è consapevole che sulla questione relativa alla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs n. 163 del 2006, e sui suoi effetti in caso di omissione della stessa, non vi sia un univoco indirizzo giurisprudenziale.

Secondo un primo orientamento, la mancata dichiarazione dei requisiti di partecipazione (con particolare riguardo a quello, che viene qui in considerazione, dell’assenza di condanne penali) sarebbe in grado di determinare ex se l'esclusione dalla gara, a prescindere dalla verifica in concreto delle sussistenza dei requisiti necessari, con la conseguenza che l'omessa dichiarazione delle sentenze di condanna comporterebbe sempre la non veridicità della dichiarazione, determinando l'esclusione dell'impresa (Cons. stato, sez. IV, 1 aprile 2011, n. 2068).

Una diversa impostazione, che si contrappone al citato orientamento, attribuisce rilievo centrale al dettato della lex specialis, distinguendo i casi in cui essa richiede di dichiarare tutte le condanne riportate da quelli in cui è genericamente prevista una dichiarazione relativa all'assenza di cause impeditive: nel secondo caso (dichiarazione sull’assenza di cause impeditive), la pretesa incompletezza della dichiarazione, nella quale non venga fatta menzione di tutti i precedenti penali, non potrebbe comportare l'esclusione ope legis dalla gara, laddove all'omissione non corrisponda la sostanziale carenza del requisito (Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2011, n. 1795).

In questa ottica, è stato anche precisato che il concorrente potrebbe omettere di fare menzione dei precedenti penali che non ritiene idonei a comprometterne, secondo l'id quod plerumque accidit, la moralità professionale, cosicché non potrebbe in ogni caso essere qualificata come falsa una dichiarazione fondata su una valutazione di carattere soggettivo (Cons. Stato, sez. V, 19 giugno 2009, n. 4082).

Il Collegio condivide questo secondo orientamento, meno rigoroso e formalistico, incline al favor partecipationis ed in sintonia anche con la ratio sottesa ai più recenti interventi del Legislatore in materia di appalti pubblici.

Applicando le suesposte coordinate al caso di specie, ne consegue che l'omessa dichiarazione della condanna penale da parte dell’amministratore unico della società aggiudicataria (per reato di guida in stato di ebbrezza) avrebbe potuto essere sanzionata con l'esclusione dalla gara solo in presenza di un obbligo stringente imposto dal bando; diversamente, infatti, il concorrente poteva ritenersi esonerato dal dichiarare l'esistenza di condanne per infrazioni penalmente rilevanti, ma di lieve entità (Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1799).

Ebbene, nella circostanza le norme del bando circa l'onere di dichiarazione di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. n. 163/2006 non erano univoche.

Innanzitutto, va subito in proposito sgombrato il campo da un equivoco interpretativo: il disciplinare di gara richiamava espressamente l’art. 38 citato e, segnatamente, l’obbligo di rendere l’autodichiarazione in ordine alle condizioni di esclusione colà indicate.

Nello specifico, la dichiarazione relativa al divisato requisito era contemplata espressamente al punto A.1- lett. c) del disciplinare di gara.

Ne consegue, che trova applicazione alla presente fattispecie (pur trattandosi di servizi ricompresi nell’Allegato II B al D.Lgs n. 263 del 2006), lo schema dichiarativo ex art. 38 del Codice degli appalti, in quanto espressamente inserito nel bando, ovvero negli atti di gara, con conseguente autovincolo dell’Amministrazione al rispetto dello stesso.

Ciò chiarito, ad avviso del Collegio la formula della dichiarazione predisposta dalla stazione appaltante era idonea ad ingenerare l’errata convinzione, in cui è incorsa la controinteressata, di non essere tenuta a dichiarare ogni tipo di condanna riportata, anche per reati non significativi ai fini della valutazione circa la serietà e affidabilità nell’esecuzione dell’appalto.

Ed invero, la dichiarazione da rendere era stata formulata dall’Amministrazione in senso negativo, vale a dire non con l’espressa specificazione (in positivo) che tutte le sentenze di condanna dovevano essere indicate (comprese quelle patteggiate e quelle per le quali si abbia beneficiato della non menzione).

La formulazione della dichiarazione (in negativo) in cui si fa espresso riferimento ai “reati gravi … che incidono sulla moralità professionale” appariva in effetti fuorviante, nel senso di ingenerare la convinzione che essa dovesse essere resa solo con riguardo ad alcune condanne, quelle appunto riguardanti reati “gravi” in grado di influire sulla valutazione della “moralità professionale”; e non anche con riferimento a qualunque tipo di condanna per reati non attinenti allo svolgimento dell’attività lavorativa, come la condanna per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. B D.Lvo 30.4.1992, n. 285 – nuovo codice della strada- per guida in stato di ebbrezza, pronunciata a carico dell’amministratore unico della società Bar Banqueting s.r.l..

La dichiarazione resa, pertanto, non può considerarsi falsa, ma semmai incompleta, perché erroneamente interpretata la clausola del punto A.1, lett. c) del disciplinare, in sé non del tutto inequivoca, relativa alle condanne riportate, tali intendendo solo quelle rilevanti ai fini della valutazione della “moralità professionale”.

Il Collegio non ignora il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in materia di cause di esclusione dalle gare per reati incidenti sulla moralità professionale, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato, non potendo la stessa concorrente valutare da sé quali reati siano rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere, ciò implicando un giudizio inevitabilmente soggettivo, inconciliabile con la finalità della norma (Consiglio Stato sez. V, 12 aprile 2007, n. 1723; Consiglio di Stato, sez. V, 06 marzo 2013, n. 1378).

Tuttavia – aderendo sul punto all’orientamento meno rigoroso e formalistico (v. anche C.d.S., sez. III, sent. 507/2014) - allorché la dichiarazione sia resa sulla scorta di una formulazione del bando ambigua ed equivoca (come nella fattispecie) ed il concorrente incorra in errore indotto dalla formulazione stessa del bando, non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa (C.d.S., sez. V, 26.1.2011, n. 550, Consiglio di Stato, sez. VI, 01/02/2013, n. 634).

Nel caso di specie, peraltro, il bando non conteneva al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, tale non potendosi considerare quella in calce al punto A.1 del disciplinare, che, laddove prevede che “tutte le suddette dichiarazioni vanno rese dall’operatore economico concorrente ...”, rende applicabile l’esclusione stessa in caso di assenza della dichiarazione e non in ipotesi di dichiarazione negativa od incompleta.

La disposta esclusione avrebbe potuto, pertanto, essere disposta soltanto là dove fosse stata effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione; vale a dire, non per l’insussistente ipotesi di omessa o falsa dichiarazione, bensì soltanto dopo che l’Amministrazione, in sede di verifica dei requisiti soggettivi, avesse accertato l’esistenza di condanne penali, per la presenza di gravi reati incidenti sulla moralità professionale; previo, cioè, un giudizio valutativo della Stazione appaltante circa la gravità dei reati emersi e circa la loro incidenza sulla moralità professionale: giudizio, questo, ch’è del tutto mancato nel caso in questione.

Il Collegio, aderendo all’orientamento più volte citato, ritiene che il rigore formalistico (per cui una dichiarazione inaffidabile, perché incompleta, sarebbe di per sé lesiva degli interessi considerati dal Legislatore, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o meno, nella sostanza, di partecipare alla gara) debba cedere, come si è sopra chiarito, in presenza di una scusabilità dell’errore riconducibile a formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi interpretativi, tanto più che vige oggi la regola della tassatività delle cause di esclusione, di cui all'art. 46, comma 1 bis, Codice dei contratti, che s'ispira ad un criterio sostanzialistico e riafferma il favor partecipationis (v. Consiglio di Stato, sez. III, n. 2006/2013; ibidem n. 507/2014); principio che ha trovato ulteriore conferma nel comma 3 dell'art. 39 del D.L. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 114 del 2014.

4)Con il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso aggiuntivo, la ricorrente sostiene che Zètema avrebbe dovuto escludere l’aggiudicataria per dichiarazione: generica sulle indicazioni relative ai luoghi, importi e date circa i principali servizi resi; inattendibile, circa le figure professionali e talune proposte gastronomiche; inaffidabile, per il contenuto economico dell’offerta; mendace, avuto riguardo all’indicazione dei volumi di fatturato medio annuo riferito al triennio 2012/2013/2014.

Le censure non sono persuasive.

L’esame della documentazione inerente l’offerta della società Bar Banqueting s.r.l. consente di fugare i dubbi in proposito avanzati dalla ricorrente.

Con riguardo alle proposte gastronomiche, le offerte relative al dinner buffet ed al lunch afferiscono alla medesima tipologia “buffet” e risultano identiche (anche per prezzi) per cui – come osservato anche da Zètema nei suoi scritti - non occorreva la specificazione ulteriore e dettagliata delle due tipologie di menù offerte, con la conseguenza che la proposta gastronomica non può ritenersi incompleta.

Con riguardo alla censura di “plagio”, la stessa s’appalesa generica e comunque infondata ove considerato che la valutazione del progetto allestitivo della Terrazza è stata operata dalla Stazione appaltante nella sua globalità, tenuto conto di vari elementi di giudizio (pregio estetico, funzionalità rispetto alle finalità del servizio, rispetto delle prescrizioni di gara). Va anche considerato che il progetto allestitivo della Terrazza riguarda uno spazio ben delimitato, caratterizzato da una ben precisa cornice ambientale, il cui utilizzo con tensostrutture, pertanto, non lascia in concreto grossi margini sulle alternative di scelta circa la tipologia dell’allestimento da approntare.

Per quanto concerne le figure professionali, il numero di addetti e la tabella dei costi relativi al personale impiegato nel punto di ristoro indicati nell’offerta dell’aggiudicataria, che parte ricorrente reputa inattendibili ed inaffidabili al punto che inficerebbero la congruità dell’offerta stessa, il Collegio osserva che le censure si basano su una lettura non completa dell’offerta tecnica contenuta nel Piano di Gestione e Organizzazione del Personale, in cui viene fornita una relazione precisa delle risorse adibite allo svolgimento del servizio, con indicazione specifica delle mansioni ricoperte dal personale, con i relativi livelli di inquadramento.

Sul punto, parte resistente ha ampiamente dimostrato le modalità effettive di gestione dell’intera attività.

In particolare, essa ha comprovato che i tre manager di cui parte ricorrente lamenta la omessa indicazione nella tabella dei costi per il personale permanente svolgono attività di “General Food and Beverage Manager”, “Capo Maitre” ed “Executive Chef”, le cui mansioni gestionali nell’attività societaria risultano dettagliate nella relazione tecnica a corredo.

Il fatto che due delle menzionate tre figure siano anche titolari di quote di proprietà della società stessa, ne fa comprendere la loro non inclusione tra il personale adibito in modo permanente allo svolgimento del servizio di bar/ristorazione presso la Terrazza “Caffarelli” e rende plausibili le ragioni per cui la spesa ad essi riferita non sia stata ricompresa nei costi del personale.

Ad ogni modo, risulta in atti che anche trattandosi di soci della società, e non di dipendenti in senso stretto, per costoro è stata prevista una retribuzione annua, assumendo un inquadramento di 2^ livello, in qualità di personale dedicato in modo permanente al servizio.

Parte ricorrente ha censurato l’offerta della ricorrente anche con riguardo ai costi del personale a “chiamata” (che sarebbero stati sottostimati) ed a quelli relativi alla figura dello “Chef” (che sarebbero stati omessi).

Anche questa censura è destituita di fondamento.

Parte ricorrente ha documentato che, sul punto specifico, l’offerta della ricorrente non diverge, in realtà, da quella dell’aggiudicataria (costi annuali per camerieri, addetti allo sbarazzo e maitre), discostandosi su base annua per circa € 5.000,00 (offerta dell’aggiudicataria € 45.000,00; offerta della ricorrente € 50.820,00): ciò che di per sé rende generica, contraddittoria e pretestuosa la censura secondo cui sarebbe stata sottostimata, da parte della Bar Banqueting srl, la spesa relativa al personale del “team a chiamata”.

Quanto alla figura dello “Chef”, il suo costo è stato ricompreso nel “team base”, di talché non se ne rendeva necessaria la duplicazione nel “team a chiamata”.

In ordine ai rilievi con cui si censura il mancato rispetto del costo orario del personale, in disparte ogni considerazione sulla illegittimità automatica di un eventuale scostamento dei costi dai parametri ministeriali, rileva in punto di fatto la circostanza per cui la controinteressata ha fatto ragionevole e pertinente riferimento alle tabelle previste per i dipendenti di aziende operanti nel settore turismo e ristorazione collettiva della provincia di Roma.

Per quanto concerne, infine, la dichiarazione dell’aggiudicataria sui dati del fatturato medio annuo 2012/2013/2014, che parte ricorrente reputa mendace a cagione di una loro non corrispondenza estrinseca, il Collegio osserva che l’unico requisito che la Stazione appaltante era tenuto ad attenzionare e valutare, ai fini della sussistenza della idoneità tecnico-professionale, riguardava non già il fatturato medio bensì, quello specifico indicato nel disciplinare di gara per il Lotto 1), nella misura di due milioni di euro ed atteneva, peraltro, al triennio 2011/2012/2013 (v. punto 5, lett. “c” del disciplinare di gara).

5)Con il quinto motivo del ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente censura l’offerta economica dell’aggiudicataria sospettandola di anomalia.

Il motivo è infondato.

La verifica di congruità dell’offerta sconta il c.d. sindacato debole, nei limiti e con la tecnica dell’eccesso di potere, ed è censurabile ab esterno per soli profili di illogicità e/o irragionevolezza manifesta o travisamento dei fatti.

Dalla documentazione versata in atti, si evince che la commissione di gara ha esaminato, verificato e valutato puntualmente i prospetti recanti l’analisi dei costi e ricavi, in rapporto all’offerta tecnica (v. seduta del 15/6/2015, verbale n. 11).

L’Amministrazione ha anche provveduto ad un supplemento di istruttoria, con richiesta di una specifica più dettagliata delle voci indicate nel progetto.

I chiarimenti sono stati esaminati dalla commissione (v. verbale n. 12).

Per quanto riguarda il costo relativo alla voce royalty, la Stazione appaltante ha chiesto ulteriori integrazioni documentali, che la controinteressata ha presentato all’Amministrazione.

Infine (v. verbale n. 13), dopo lo svolgimento della complessa istruttoria, la commissione, esaminata l’intera documentazione (chiarimenti, integrazioni, analisi dettagliata dei costi), ha giudicato congrua l’offerta presentata dalla società Bar Banqueting s.r.l..

Il Collegio non ravvede, nel comportamento di Zètema, alcun profilo viziante l’esercizio della funzione, in grado di emergere ictu oculi e che sia di macroscopica evidenza.

Parte resistente, peraltro, non ha mancato di rilevare che la critica della società Relais Le Jiardin, basata sul presupposto di una stima dei ricavi della concorrente aggiudicataria ritenuta “eccessivamente lusinghiera”, risulterebbe sconfessata dal confronto con la stima dei costi/ricavi della stessa ricorrente, dal quale emerge, in realtà, una sostanziale equivalenza (€ 3.295.000,00 per l’aggiudicataria; € 3.280.000,00 per la ricorrente).

In definitiva, per quanto sin qui argomentato, il ricorso impugnatorio (introduttivo e motivi aggiunti) è infondato e va, perciò, respinto.

La domanda risarcitoria va anch’essa respinta per mancanza di danno ingiusto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo in favore di Zètema srl e Bar Banqueting srl, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso e sui successivi motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 6.000,00 (seimila/00) oltre accessori di legge, di cui euro 2.000,00 in favore di Zètema s.r.l., € 2.000,00 in favore di Bar Banqueting s.r.l. ed € 2.000,00 in favore di Roma Capitale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Renzo Conti, Presidente

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore

Mariangela Caminiti, Consigliere