Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 maggio 2013, n. 13
Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 maggio 2013, n. 13
Presidente Giovannini; Estensore De Felice
Nell’ordinamento comunitario il tratto distintivo tra appalto e concessione di servizi viene individuato nelle modalità di remunerazione del soggetto affidatario e nella attribuzione o meno in capo al soggetto stesso del rischio economico connesso alla gestione economico-funzionale dell’opera o del servizio. La distinzione attiene alla struttura del rapporto, che nell’appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell’amministrazione), mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti.
In sede di affidamento di una concessione di servizi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 84, comma 4 (relativo alle incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice) e comma 10 (relativo ai tempi di nomina della commissione) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall’art. 30, comma 3 del medesimo d.lgs.
BREVI ANNOTAZIONI
L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA
Con la pronuncia in esame, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato interviene a dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine all’applicabilità o meno dell’art. 84, commi 4 e 10 del d.l.gs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) anche alle concessioni di servizi. Dette disposizioni, dedicate alla commissione aggiudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ne prescrivono specifiche incompatibilità (comma 4) ed il momento di nomina (comma 10).
IL PERCORSO ARGOMENTATIVO
La Plenaria, nel risolvere la questione, dà atto della presenza di due opposti orientamenti interpretativi: secondo il primo sarebbe da escludere che l’art. 84, commi 4 e 10, sia applicabile alle concessioni di servizi, in quanto le relative prescrizioni non potrebbero essere ritenute espressione dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, principi dichiarati (solo essi) applicabili alle concessioni di servizi dall’art. 30, comma 3 del Codice. In omaggio al secondo, invece, le regole contenute nei commi 4 e 10 dell’art. 84 si applicherebbero anche alle procedure di affidamento nelle concessioni di servizi, in quanto entrambe da ritenere riconducibili al principio di trasparenza, testualmente richiamato dall’art. 30 del medesimo Codice.
L’Adunanza Plenaria aderisce a quest’ultimo orientamento, sulla base di un percorso argomentativo articolato per fasi susseguenti.
Muovendo dall’esame dell’istituto della concessione di servizi così come configurato nell’ordinamento comunitario (nel cui ambito la distinzione tra appalto e concessione di servizi viene rinvenuta nelle modalità di remunerazione e nella attribuzione o meno al soggetto affidatario del rischio economico connesso alla gestione del servizio, nonché nella struttura del rapporto), la pronuncia in esame procede nell’analizzare la disciplina che il Codice riserva alla fattispecie in esame.
L’art. 30 distingue tra principi e disposizioni applicabili alle concessioni di servizi: ai sensi del comma 1 le disposizioni del Codice non sono applicabili alle concessioni di servizi; quanto ai principi (ossia tanto quelli desumibili dal Trattato, quanto i principi generali relativi ai contratti pubblici), invece, gli stessi sono certamente applicabili anche alle concessioni di servizi, tenendo presente che i principi - quali criteri di valutazione che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, che hanno anche una funzione genetica rispetto alle singole norme - non sono soltanto quelli che il Codice (che aspira ad essere "un sistema") definisce, di massima nelle sue parti iniziali, come principi generali di una data materia, nel senso di superprincipi o valori o finalità teleologiche del sistema.
Ciò chiarito, l’Adunanza Plenaria prosegue verso il cuore della questione ed, esaminate le ragioni e le funzioni dei commi 4 e 10 dell’art. 84, ne deduce come le stesse disposizioni siano espressione di principio generale del Codice (e non già mere disposizioni, applicabili soltanto specificamente alle fattispecie richiamate), costituendo un predicato dei principi di trasparenza e di imparzialità.
Inoltre, i Supremi Giudici considerano come la regola di cui all’art. 84, comma 10 (sulla posteriorità della nomina dei commissari rispetto alla presentazione delle offerte) sia a maggior ragione invocabile quando il criterio di gara prescelto sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, stante la più ampia discrezionalità della valutazione e, di conseguenza, il minore ambito di profondità di sindacato giurisdizionale.
Infine, da un punto di vista logico, si valuta come le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 non presentino grandi svantaggi e non costituiscano oneri amministrativi e procedurali di particolare gravità, né riguardo al rispetto delle stesse si appalesano particolari controindicazioni, a fronte invece di indubbi vantaggi a tutela della trasparenza, imparzialità, buon andamento dell’operare amministrativo, assurto, nell’ordinamento, anche e ben oltre la disciplina degli affidamenti, a valore fondante del sistema.
In definitiva, la Plenaria conclude nel senso dell’estensibilità delle suddette disposizioni alle commissioni di gara per l’affidamento di concessioni di pubblici servizi, enunciando il seguente principio di diritto: “In sede di affidamento di una concessione di servizi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 84, comma 4 (relativo alle incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice) e 10 (relativo ai tempi di nomina della commissione) del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall’art. 30, comma 3, del medesimo d.lgs.”.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La pronuncia annotata conduce a due ordini di considerazioni.
Per un verso, trova conferma l’importante ruolo che, in tema di concessioni, sta svolgendo la giurisprudenza, nazionale ma anche comunitaria. È infatti un’evenienza inevitabile quella per cui, almeno sino a quando non troverà avveramento concreto quella che per il momento è solo una proposta di direttiva (cfr. Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, COM/2011/897), spetterà alla giurisprudenza individuare le regole che la Stazione Appaltante deve effettivamente seguire per ritenere rispettato il disposto di cui all’art. 30, comma 3 del Codice. In tale contesto, non può quindi che apprezzarsi la funzione di nomofilachia svolta dall’Adunanza Plenaria nel caso di specie, rimeditando con un’unica e unitaria regola le pregresse difformi interpretazioni giurisprudenziali.
Per altro verso, tuttavia, sempre in attesa di una direttiva che, al pari di quella appalti, disciplini uniformemente le fattispecie concessorie, si dovrebbe far molta attenzione nell’evitare che quella che per il momento è solo una “tendenziale assimilazione” tra appalti e concessione di servizi, non diventi totale e radicale, così di fatto snaturando la scelta del legislatore di considerare e disciplinare diversamente l’istituto delle concessioni di servizi. In altri termini, è fortemente scongiurabile il rischio per cui, invocando i principi generali, si addivenga indirettamente all’applicazione generalizzata delle disposizioni delle direttive appalti o del Codice dei contratti pubblici. Se così fosse, l’intero corpus del Codice sarebbe di fatto applicabile alle concessioni di servizi, rendendo del tutto superflui i precetti dettati nell’art. 30 che, come si è visto, pretende l’applicazione dei soli principi, ma non anche delle disposizioni del Codice stesso.
PERCORSO BIBLIOGRAFICO
R. Giani, Commento all’art. 30, in F. Caringella, M. Protto (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Ed. Dike, 2012, pp. 198 ss.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8 di A.P. del 2013, proposto da: Acsm - Agam Reti Gas Acqua S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Danilo Tassan Mazzocco, Giorgio Lezzi, Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
G6 Rete Gas Spa, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, 142;
nei confronti di
Comune di Lomazzo;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 01171/2012, resa tra le parti, concernente affidamento in concessione del servizio pubblico locale di distribuzione del gas naturale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G6 Rete Gas Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Tassan Mazzocco e Ferrari.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In primo grado la G6 Rete gas s.p.a., concessionaria del servizio di distribuzione del gas naturale per il Comune di Lomazzo, impugnava davanti al TAR Lombardia – sede di Milano, il bando pubblicato in data 22 febbraio 2011 con cui l’amministrazione comunale aveva indetto una gara per l’affidamento di detto servizio, nonché, con motivi aggiunti, l’aggiudicazione definitiva del servizio a favore della ditta Acsm-Agam Reti Gas Acqua s.r.l.
La ricorrente deduceva che la commissione di gara era stata illegittimamente formata in violazione dell’art. 84, comma 10, d.lgs. 163 del 2006, per essere stata nominata prima dello spirare del termine stabilito per la presentazione delle offerte; deduceva altresì violazione del comma 4 dell’art.84 su menzionato, in quanto un componente del predetto organo, ing. Nicola Bufalo, aveva prestato la sua opera professionale per la predisposizione degli atti della procedura di gara, redigendo il relativo disciplinare ed individuando i sub-criteri di aggiudicazione.
Il primo giudice accoglieva entrambe le censure ed annullava la gara.
Superata l’eccezione di inammissibilità, dedotta per mancata specifica impugnazione del disciplinare di gara, nella parte in cui aveva escluso il rinvio alle norme del codice dei contratti pubblici non richiamate dal citato art. 84, perché tale regola aveva funzione integrativa della legge speciale, il Giudice di primo grado reputava le norme invocate dalla società ricorrente espressive dei principi di imparzialità e trasparenza.
In particolare, al comma 10 veniva attribuita la funzione di prevenire “possibili contatti fra imprese interessate a partecipare alla gara ed i commissari” in sede di formulazione dell’offerta tecnica, a presidio quindi del leale confronto concorrenziale che deve attuarsi anche nelle gare per l’affidamento di concessioni, ed a nulla rilevando in contrario che la nomina dell’organo era avvenuta quando le manifestazioni di interesse erano in fatto già tutte pervenute all’amministrazione aggiudicatrice.
In relazione alla regola di cui al quarto comma, se ne desumeva la generale operatività dal testuale riferimento a “qualsiasi attività in grado di interferire con il giudizio di merito sull'appalto”, e pertanto applicabile al caso di specie, visto che il citato professionista era stato incaricato dal Comune di predisporre la legge di gara.
Con l’appello la Acsm-Agam riproponeva l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa rispetto ai contenuti della legge speciale e, nel merito, deduceva l’erronea applicazione del comma 10 del ridetto art. 84, avendo la sentenza reputato decisivo ai fini della legittimità il momento della nomina della commissione di gara, e, sotto l’altro profilo, perchè il predetto ing. Bufalo si era limitato alla predisposizione del bando e del disciplinare di gara. Inoltre, lamentava l’erroneità della sentenza per avere disposto la rinnovazione della gara senza previa formale dichiarazione di inefficacia del contratto nel frattempo stipulato.
L’appellata G6 Rete Gas dal canto suo riproponeva ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm.: 1) la censura di violazione del principio di concentrazione delle sedute di gara (oltre quattro mesi impiegati dalla commissione per le valutazione delle offerte, dei quali oltre due per le offerte tecniche), che il primo giudice aveva ritenuto assorbita in ragione dell’accoglimento delle altre censure; 2) la domanda di inefficacia ex art. 122 cod. proc. amm. del contratto stipulato dall’amministrazione resistente con la controinteressata.
Su quest’ultima riproposizione la società appellante prendeva posizione eccependone a sua volta l’inammissibilità, a causa della sua mancata riproposizione in questo grado di giudizio a mezzo di appello incidentale, in base al principio secondo cui la dichiarazione di inefficacia non sarebbe conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione, con conseguente impossibilità per il giudice d’appello di pronunciarla in assenza di relativa devoluzione a mezzo di rituale impugnazione.
A ciò l’appellata G6 Rete Gas replicava facendo leva sulla nota in data 21 giugno 2012, con cui il Comune di Lomazzo si era determinato nel senso di riattivare il procedimento di gara in seguito all’annullamento giurisdizionale (salvo poi riferire di una successiva sospensione in ragione del presente giudizio d’appello), argomentando da tale comportamento che l’amministrazione aggiudicatrice aveva “annullato e/o dichiarato inefficace” il contratto concluso con la controinteressata Acsm-Agam.
Con la ordinanza di rimessione a questa Adunanza Plenaria, la Quinta Sezione ha esaminato dapprima il motivo di appello consistente nella deduzione di inammissibilità del ricorso di primo grado a causa dell’omessa specifica impugnativa da parte della GG Rete Gas del disciplinare, nella parte in cui non ha fatto richiamo all’art. 84 del codice dei contratti pubblici.
La sezione rimettente ha rigettato tale motivo sul rilievo che la clausola della legge di gara in questione è in realtà riproduttiva del disposto di legge.
Il paragrafo 1 del disciplinare contiene infatti la precisazione che, in quanto preordinata all’affidamento di una concessione di servizi, la gara è assoggettata agli artt. 30 e 216 del codice dei contratti, con esclusione delle restanti disposizioni di tale testo normativo “salvi gli espressi richiami al medesimo d.lgs. n. 163/2006 contenuti nel presente disciplinare”.
La previsione, secondo la ordinanza di rimessione, è dunque sovrapponibile a quella di legge, visto che anche il predetto art. 30 sancisce la non applicabilità delle disposizioni del codice dei contratti, mentre la salvezza di quelle richiamate altro non sarebbe che la esplicitazione di una pacifica facoltà della amministrazione aggiudicatrice di conformare la legge di gara attraverso il rinvio a precetti normativi puntuali.
Con riguardo alla domanda volta alla declaratoria di inefficacia del contratto, la Sezione rimettente ha osservato come essa fosse stata formulata dalla G6 Rete Gas in modo perplesso, ivi prospettandosi come fatto meramente eventuale la stipula del contratto con la controinteressata odierna appellante; inoltre, vengono trovati condivisibili i rilievi secondo cui tale domanda avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale, a fronte di una espressa statuizione del TAR che demanderebbe alla “rinnovazione parziale” della procedura di gara il conseguimento del bene della vita anelato con l’impugnativa di primo grado.
Con l’ordinanza di rimessione, la Quinta Sezione ha quindi deferito l’esame dell’appello all’Adunanza plenaria, evidenziando il contrasto tra due opposti orientamenti interpretativi, emersi di recente nella giurisprudenza di questo Consiglio, in ordine al campo di applicazione dei commi 4 e 10 dell’articolo 84 del codice dei contratti pubblici anche alle concessioni di servizi.
Secondo la tesi dell’appellante, l’art. 84, commi 10 e comma 4, del d.lgs n. 163 del 2006 non sarebbe applicabile alla gara oggetto di giudizio, tanto perché la relativa lex specialis non lo richiama (in particolare il citato art. 1 del disciplinare), quanto perché le relative prescrizioni non potrebbero essere ritenute dei precipitati dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, principi dichiarati (solo essi) applicabili alle concessioni di servizi dal comma 3 dell’art. 30.
Secondo la ordinanza di rimessione, in caso di soluzione del quesito in senso affermativo, sarebbe necessario poi ancora stabilire, con riguardo al comma 10, se sia illegittima anche la commissione costituita dopo la presentazione effettiva della domanda di partecipazione ma prima della scadenza del termine per la presentazione dell’offerta; mentre, in merito alla fattispecie di cui al comma 4, se determini la preclusione a far parte della commissione aggiudicatrice la predisposizione del progetto posto a base della gara da parte di uno dei commissari.
La rimessione espone quindi gli orientamenti contrastanti della giurisprudenza del Consiglio di Stato
Un primo indirizzo (sentenza della III Sezione n. 5547 del 2011) ha negato l’esistenza di un nesso di inscindibilità tra il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e le regole di cui all’art. 84 sulla nomina della commissione di gara. Ancorché resa in una procedura di affidamento di servizi di cui all’all. II B del codice del contratti, detto precedente rileva nel presente giudizio, in quanto l’art. 27 opera per detta tipologia di contratti un richiamo ai principi generali non dissimile da quello dell’art. 30.
La sentenza della quinta sezione n. 4311 del 2010 ha perentoriamente escluso che l’art. 84, comma 10, sia applicabile alle concessioni di servizi in generale (e con riguardo all’art. 84 in generale, la pronuncia 3 maggio 2012, n. 2552 della quinta sezione; v. anche sent. 4 gennaio 2011, n. 2 della medesima sezione).
In senso contrario, la stessa quinta sezione, oltre a ritenere applicabile l’art. 84 nel suo complesso alle concessioni di servizi pubblico (con sentenza 17 gennaio 2011, n. 224), dapprima a livello di obiter dictum (con sentenza 22 marzo 2011, n. 1784), poi con statuizione pienamente rientrante nella ratio decidendi (con sentenze 23 maggio 2011, n. 3086 e 27 ottobre 2011, n. 5740), ha giudicato operante nelle procedure di affidamento di detti contratti la regola della posteriorità della nomina della commissione di gara rispetto alla presentazione delle offerte stabilita dall’art. 84, comma 10.
Con l’ordinanza di rimessione n.803 del 2013, la quinta sezione, nel rimettere la soluzione del contrasto alla Adunanza Plenaria, conclude propendendo chiaramente nel senso della più ampia applicazione delle regole contenute nei commi 4 e 10 dell’art. 84 anche alle procedure di affidamento nelle concessioni di servizi, in quanto entrambe da ritenere riconducibili al principio di trasparenza testualmente richiamato dall’art. 30 del medesimo codice, sulla base di argomenti sia letterali, sia logici e sistematici.
Alla udienza pubblica del 22 aprile 2013 la causa, dopo discussione orale, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Per risolvere la controversia, occorre esaminare dapprima l’istituto della concessione di servizi e la disciplina scarna che ad essa riserva il codice, distinguendo tra principi e disposizioni ad esso istituto applicabili e tenendo conto, quanto ai primi, che alle concessioni di pubblici servizi sono applicabili sia i principi desumibili dal Trattato, sia i principi generali relativi ai contratti pubblici.
Successivamente, sulla base della ragione intrinseca delle due disposizioni relative alla nomina della commissione giudicatrice, contenute nei commi 4 e 10 dell’art. 84, occorrerà valutarne la estensibilità o meno alle commissioni di gara per l’affidamento di concessioni di pubblici servizi, argomentando sulla natura di norme di principio o esplicative di principi generali oppure di mere disposizioni, applicabili soltanto specificamente alle fattispecie richiamate.
1.1.Nell’ordinamento comunitario il tratto distintivo della concessione viene individuato nelle modalità di remunerazione del soggetto affidatario e nella attribuzione o meno in capo al soggetto stesso del rischio economico connesso alla gestione economico-funzionale dell’opera o del servizio.
Con riguardo alla definizione, la concessione di servizi viene definita dalla direttiva 2004/18/CE, nonché dal Codice dei contratti pubblici (art. 3, comma 12) come «il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
Più specificamente, l'art. 30 del medesimo Codice al comma 2 afferma che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio.
La distinzione attiene alla struttura del rapporto, che nell’appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell’amministrazione), mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti.
Sebbene le direttive appalti abbiano tendenzialmente escluso dal proprio ambito di applicazione le concessioni di servizi, l’affidamento delle stesse, secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale, non può essere sottratto ai principi espressi dal Trattato in tema di concorrenza.
Tale regola viene codificata nell’articolo 30, comma 3, il quale, unitamente alla definizione dell’istituto stesso (al comma 2), recepisce gli orientamenti espressi dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000 (in GUCE C-121 del 29 aprile 2000) nonché, nell’ordinamento interno, dalle circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.3944 del 1 marzo 2002 e n.8756 del 6 giugno 2002 (rispettivamente in GURI n.102 del 3 maggio 2002 e n.178 del 31 luglio 2002).
2. Sulla base di quanto prevede il primo comma del menzionato articolo 30 – “Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi” – l’interprete deve porsi il problema della differenza tra principi e disposizioni (principi desumibili, come si è accennato, dal Trattato ma anche principi generali relativi ai contratti pubblici), certamente applicabili anche alle concessioni di servizi e disposizioni del codice, viceversa espressamente escluse dal campo di applicazione.
Per effettuare in modo compiuto tale distinzione tra principi generali e disposizioni, non può trascurarsi di rilevare che i principi non sono soltanto quelli che il codice definisce, di massima nelle sue parti iniziali (v. in specie l’art. 2), come principi generali di una data materia, nel senso di superprincipi o valori o finalità teleologiche del sistema.
Come è infatti noto, l’aspetto rilevante di un codice, anche nel senso ristretto della nuova codificazione moderna secondo codici di settore, è la sua aspirazione ad essere un “sistema”; il sistema consente di spostare l’attenzione anche su principi, che rendono possibile la comprensione delle singole parti connettendole al tutto e che, finalmente, rendono intellegibile il disegno armonico, organico ed unitario sotteso rispetto alla frammentarietà delle parti.
I principi generali di un settore esprimono valori e criteri di valutazione immanenti all’ordine giuridico, che hanno una memoria del tutto che le singole e specifiche disposizioni non possono avere e ai quali esse sono riconducibili; sono inoltre caratterizzati da una eccedenza di contenuto deontologico in confronto con le singole norme, anche ricostruite nel loro sistema, con la conseguenza che essi, quali criteri di valutazione che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, hanno anche una funzione genetica (“nomogenetica”) rispetto alle singole norme.
Sotto tale profilo, sulla base di quanto dispone l’art. 30, non potrebbe sostenersi l’applicabilità di tutte le disposizioni del codice, in quanto tutte le norme di dettaglio costituiscono una più o meno immediata applicazione di principi generali.
E’ evidente, tuttavia, che i principi generali comunitari o di rilievo nazionale, secondo gli articoli 2 e 30 del codice dei contratti pubblici, abbisognano anche di declinazioni in disposizioni specifiche legislative, che trovano la propria ratio immediata nei medesimi principi, sia pure calati rispetto ad esigenze più particolari e che a loro volta si caratterizzano, questo è il punto centrale, per essere tradizionalmente considerati principi generali della specifica materia (nella specie, dei contratti pubblici).
Secondo il terzo comma dell’art. 30, la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
Sulla base di tali principi, è pacifico, per esempio, che la scelta del concessionario debba essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo.
L’art. 2 comma 1 del codice prevede che l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nello stesso codice.
Inoltre nella interpretazione della giurisprudenza comunitaria la normativa di principio di derivazione comunitaria trova applicazione non limitatamente agli appalti di lavori, servizi e forniture ma presenta una valenza pressoché generalizzata nel settore dei contratti pubblici.
3. Occorre ora esaminare la funzione (sia la ratio che il fine) delle disposizioni che l’articolo 84 riserva alla formazione della commissione, al momento della nomina e alle specifiche incompatibilità.
Nella fattispecie vengono in rilievo le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 dell’articolo 84, dedicati alla commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il quarto comma prevede che i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.
Il decimo comma prevede che la nomina dei commissari e la costituzione della commissione devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte.
Occorre ora individuare le intrinseche rationes di tali disposizioni, al fine di qualificarne la natura di principio generale, o di stretta derivazione da tali principi, oppure, alternativamente, di mere disposizioni procedurali che, ove ritenute tali, non possono applicarsi tout court alle procedure per le concessioni di servizi, alle quali non si applica il codice inteso nella sua interezza.
La tesi della sentenza appellata è nel senso della applicabilità delle su indicate regole alle concessioni di servizi come conseguenza della loro riconducibilità ai principi generali del codice dei contratti pubblici e dei principi generali del procedimento amministrativo, quali l’imparzialità e trasparenza, espressamente contemplati anche dal comma 3 dell’art. 2 del codice dei contratti.
L’articolo 30, come detto, stabilisce che alle concessioni di servizi, salvo quanto disposto dallo stesso articolo, non si applicano le disposizioni del codice.
L’appellante argomenta a contrario, per esempio, dall’articolo 206 del codice, che, riferendosi ai contratti pubblici di cui al capo interessato (nei settori speciali, più precisamente), nel richiamare un lungo elenco di parti e di articoli, richiama, tra i tanti, anche l’articolo 84, che qui interessa.
Pertanto, ad un ragionamento puro e semplice, che dovesse far riferimento al richiamo o meno della disciplina specifica riguardante, tra l’altro, le regole sulla nomina e sui componenti della commissione giudicatrice, l’interprete dovrebbe rispondere in senso negativo e cioè nel senso che tali disposizioni non sono applicabili alle concessioni di servizi, alle quali il codice non si applica e perché non sono espressamente richiamate (salva l’ipotesi del richiamo o autolimite nella legge di gara).
Tuttavia, il problema consiste nel verificare, come propone la ordinanza di rimessione, se tali regole siano in qualche modo corrispondenti o almeno riconducibili a taluno dei principi comunitari o nazionali (“desumibili dal Trattato e…relativi ai contratti pubblici”) o espressione di principi generali e quindi da ritenere applicabili e da applicare anche nella specie.
Come ha osservato l’ordinanza di rimessione, nell’ottica della possibile natura imperativa – nel caso fossero individuate come disposizioni inderogabili – delle regole contenute nei commi su richiamati, non sarebbe rilevante una eventuale mancanza di impugnativa rispetto alla lex specialis che nulla avesse stabilito al riguardo o che non avesse provveduto a richiamare ad hoc l’articolo 84 o le sue regole – e in tal senso pertanto non sarebbero decisivi orientamenti che argomentassero sulla base della previsione o omissione della regola di gara oppure della sua tempestiva impugnazione -, proprio perché su tale mancato richiamo prevarrebbe, secondo la tesi della ordinanza di rimessione, la imperatività o inderogabilità del precetto normativo.
Con riguardo alla funzione e agli obiettivi di tali disposizioni, deve osservarsi quanto segue.
La previsione di legge di cui al comma 4, come il precedente storico contenuto nell’art. 21 comma 5 legge n.109 del 1994, è evidentemente destinata a prevenire il pericolo concreto di possibili effetti disfunzionali derivanti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti, dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale.
Tale regola mira ad impedire la partecipazione alla Commissione di soggetti che, nell’interesse proprio o in quello privato di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano assunto o possano avere assunto compiti di progettazione, di esecuzione o di direzione di lavori oggetto della procedura di gara e ciò a tutela del diritto delle parti del procedimento ad una decisione amministrativa adottata da un organo terzo ed imparziale.
Tale motivo di incompatibilità riguarda soltanto i commissari diversi dal presidente.
La ratio consiste nella volontà di conservare, almeno in parte, la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte.
L’interesse pubblico rilevante diventa quindi non tanto e non solo quello della imparzialità, cui è in ogni caso riconducibile, (anche se la deroga per il presidente ne costituisce evidente attenuazione), ma anche la volontà di assicurare che la valutazione sia il più possibile “oggettiva” e cioè non “influenzata” dalle scelte che la hanno preceduta, se non per ciò che è stato dedotto formalmente negli atti di gara.
A sua volta la regola della posteriorità della nomina della commissione rispetto alla scadenza del termine di presentazione delle offerte risponde alla convinzione diffusa che tale vincolo temporale sia posto a presidio della trasparenza (intesa in senso più lato rispetto al senso della generale accessibilità alla attività amministrativa) e della imparzialità della procedura, tanto che l’orientamento più rigoroso ne fa discendere dalla inosservanza la invalidità (per annullabilità) degli atti successivi alla nomina (tra tante, Cons. Stato, V, 29 aprile 2009, n.2738).
In pratica, la posticipazione della nomina dovrebbe evitare situazioni in cui le offerte siano influenzate dalle preferenze, anche solo presunte o supposte, dei commissari, o da loro suggerimenti e che vi possano essere tentativi di collusione o anche solo di contatti con imprese “amiche”.
Tale regola deve essere ritenuta, dunque, pur essa espressione di un principio generale della materia dei contratti pubblici, inerente il corretto funzionamento delle procedure selettive di scelta dell’affidatario.
4.Esaminate la ragione e la funzione di tali precetti normativi, non si può non concludere nel senso che, in quanto tese ad evitare il pericolo concreto di violazione della imparzialità della commissione e quindi poste a tutela della correttezza del procedimento, della trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa, tali regole possano ben essere intese come imperative e come tali inderogabili e nel sistema applicabili, perché implicitamente richiamate, anche per la disciplina delle concessioni di servizi, sulla base di canoni di interpretazione sistematica, letterale (solo in apparenza di segno contrario, per la mancanza di un espresso richiamo) e logica.
Il principio generale nel quale sussumere le disposizioni interessate è quindi quello della trasparenza e imparzialità, a maggior ragione considerando che l’articolo 2 al comma 3 prevede che debbano essere rispettate – “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo…” - anche le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n.241, a sua volta contenente all’art. 1 i principi generali dell’azione amministrativa (art.1 Principi generali dell'attività amministrativa “L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario”).
Pertanto, l’imparzialità, sicuramente principio generale, non richiamato espressamente dall’articolo 2 del codice contratti pubblici, ma richiamato a mezzo del rinvio alla legge n.241 del 1990, deve ritenersi vincolante, unitamente alla sua declinazione immediata (lo stesso principio di imparzialità è invece compreso nei principi enunciati dall’articolo 27 del codice, tra i principi relativi ai contratti esclusi).
L’art. 30 si inserisce nell’ottica di una progressiva assimilazione delle concessioni agli appalti, con l’obiettivo, di matrice europea, di vincolare i soggetti aggiudicatori a rispettare anche nelle procedure di affidamento delle prime i principi dell’evidenza pubblica comunitaria, tra i quali i canoni di trasparenza invalsi nelle seconde attraverso una procedura tipica di gara, nella quale si impone l’esigenza che il confronto competitivo sia effettivo e leale, pena altrimenti la vanificazione delle finalità stesse del procedimento selettivo di stampo concorsuale.
Stante la tendenziale assimilazione delle diverse fattispecie, almeno sotto il profilo del procedimento di scelta dell’altro contraente, dal punto di vista sistematico, il mancato rinvio da parte della legge di gara non può quindi ritenersi decisivo al fine di escludere l’operatività di precetti che dovessero ritenersi, proprio per la loro natura di derivazione diretta da principi generali, norme imperative, espressive di principi generali e consolidati della materia e quindi come tali, in grado di integrare e sovrapporsi alla lex specialis.
Deve ritenersi, quindi, che le regole, quali quelle contenute nell’art. 84 sui “tempi” della formazione e sulla “regolare composizione” di un organo amministrativo (tali regole aventi natura sostanziale e non ogni diversa disposizione procedurale) siano un predicato dei principi di trasparenza e di imparzialità, per cui le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 devono ritenersi espressione di principio generale del codice e, pertanto, applicabile, ai sensi dello stesso articolo 30, anche alle concessioni di servizi pubblici.
Tra l’altro, nella pratica e nel senso comune della esperienza di tali procedure per la scelta dell’altro contraente, la valenza generale della regola sulla posteriorità della nomina si ritiene a maggior ragione invocabile quando il sistema di gara, come nella specie, sia quello della offerta economicamente più vantaggiosa, stante da un canto la lata discrezionalità della valutazione e dall’altro canto, conseguentemente, il minore ambito di profondità di sindacato giurisdizionale.
Dal punto di vista logico, d’altra parte, come non ha mancato di rilevare la ordinanza di rimessione, le disposizioni di cui ai commi 4 e 10, che hanno una loro logica ratio, non presentano grandi svantaggi e non costituiscono oneri amministrativi e procedurali di particolare gravità né riguardo al rispetto delle stesse si appalesano particolari controindicazioni, a fronte invece di indubbi vantaggi a tutela della trasparenza, imparzialità, buon andamento dell’operare amministrativo, assurto, nell’ordinamento, anche e ben oltre la disciplina degli affidamenti, a valore fondante del sistema.
Inoltre, in presenza di minime se non assenti maggiori attenzioni procedurali, poiché il principio generale di giustizia impone di trattare giuridicamente in modo eguale situazioni equivalenti, sarebbe irragionevole trattare diversamente situazioni tutto sommato sostanzialmente assimilabili e che sotto il profilo esaminato (cioè delle regole sulla nomina della commissione) non presentano significative differenze.
5.Sotto il secondo dei profili esaminati, deve ravvisarsi la situazione di incompatibilità del componente della commissione giudicatrice, ing. Del Bufalo, professionista precedentemente incaricato della redazione del bando e del disciplinare di gara (dell’ “assistenza specialistica […] per l’espletamento della procedura di gara relativa all’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale”, comprendente tra l’altro l’individuazione dei criteri di valutazione delle offerte e dei relativi sub criteri, secondo la determina n. 48 dell’11 febbraio 2011).
Il dettato della disposizione codicistica (comma 4 dell’art. 84) risponde alla esigenza di rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di gara con quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi.
6.Il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata esime questo Collegio giudicante dall’esame degli ulteriori motivi di censura riproposti dalla parte appellata.
E’ naturale che, secondo i principi generali, la caducazione della nomina, ove si accerti, come nella specie, essere stata effettuata in violazione delle regole di cui all’art. 84, comma 4 e 10, comporterà in modo caducante il travolgimento per illegittimità derivata di tutti gli atti successivi della procedura di gara fino all’affidamento del servizio ed impone quindi la rinnovazione dell’intero procedimento.
Il primo giudice ha specificato nella sentenza appellata (pagina 10, rigo settimo e quartultimo rigo) come si imponeva la rinnovazione integrale della procedura e come ciò costituisse il vero ristoro per la ricorrente.
Si tratta cioè di ipotesi in cui il vizio dell’aggiudicazione comporta l’obbligo di rinnovare la gara integralmente (arg. ex art. 122 c.p.a., che fa riferimento proprio “alla luce dei vizi riscontrati” per i casi in cui il vizio dell’aggiudicazione determini necessariamente “l’obbligo di rinnovare la gara”) e non potrebbe essere altrimenti, a differenza di quanto sostiene parte appellante, a prescindere dalla declaratoria formale di inefficacia del contratto.
7.Sono assorbite tutte le altre censure, come in particolare quella di violazione del principio di concentrazione delle sedute di gara (oltre quattro mesi impiegati dalla commissione per le valutazione delle offerte, dei quali oltre due per le offerte tecniche), che il primo giudice ha ritenuto assorbita in ragione dell’accoglimento delle altre censure e che la G6 Rete Gas aveva dal canto suo riproposto ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm.
8.Per le sopra esposte considerazioni, va rigettato l’appello, con conseguente conferma dell’appellata sentenza e con l’enunciazione del seguente principio di diritto:
“In sede di affidamento di una concessione di servizi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 84, comma 4 (relativo alle incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice) e 10 (relativo ai tempi di nomina della commissione) del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall’art. 30, comma 3, del medesimo d.lgs.”.
A causa della diversità di opinioni giurisprudenziali, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede: rigetta l’appello, confermando l’appellata sentenza.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere