Consiglio di Stato – Sezione III – sentenza 5 febbraio 2013, n. 689
Consiglio di Stato – Sezione III – sentenza 5 febbraio 2013, n. 689
Presidente Cirillo; Estensore Russo.In ordine all’impugnazione di un bando di gara contenente una clausola che prevede il divieto di partecipazione per le ATI cd. “sovrabbondanti”, non è sufficiente predicare l’illegittimità della clausola stessa, ma occorre dar contezza che l’interesse azionato sia non già di mero fatto, essendo invece necessario fornire un serio principio di prova dell’interesse concreto e differenziato, ossia del bisogno giuridico dell’appellante di partecipare alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante ed in quella sola peculiare modalità.
BREVI ANNOTAZIONI
L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA
Il Consiglio di Stato ha chiarito che l’eventuale valutazione dell’illegittimità del bando contenente il divieto di partecipazione alla gara per le ATI cd. “sovrabbondanti” presuppone logicamente la prova da parte della società appellante, attraverso la presentazione di un progetto d’offerta, dell’interesse concreto e differenziato, ossia del bisogno giuridico della stessa di partecipare alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante ed in quella sola peculiare modalità, non essendo sufficiente che l’interesse azionato sia invece di mero fatto, ovvero basato sulla sola ipotesi di una possibile ed eventuale ATI “sovrabbondante” con terzi.
IL PERCORSO ARGOMENTATIVO
Nell’ambito dell’argomentazione tracciata con la sentenza in commento, un ruolo di indubbia centralità riveste la funzione di garanzia della concorrenzialità, assolta dalla clausola di divieto di partecipazione alla gara per le ATI cd. “sovrabbondanti”: l’analisi effettuata dal Consiglio di Stato parte dalla considerazione che il divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione.
In particolare, la Sezione Terza ha precisato che detto divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve ad assicurare il non verificarsi di un’indebita o sproporzionata compressione della concorrenza nella specifica gara.
Punto centrale dell’argomento in esame è dunque sia il carattere non immediatamente escludente della clausola, trattandosi di divieto previsto non in assoluto, sia, per altro verso, la necessità per l’operatore economico che lamenti l’illegittimità del bando contenente detto divieto di fornire un serio principio di prova dell’interesse concreto e differenziato a partecipare alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante ed in quella sola peculiare modalità. In altri termini, il Collegio ha affermato che qualora l’interesse azionato non sia qualificato dalla dimostrazione d’una seria chance di offerta spendibile in quella determinata gara, tale interesse deve ritenersi di “mero fatto”, non diverso da quello di qualsiasi altro operatore del settore che non ha inteso partecipare alla gara stessa per i più diversi motivi e che, pur tuttavia, spera nella caducazione dell'intera selezione.
Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha affermato che in difetto di prova del concreto interesse alla partecipazione alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante, la mancata partecipazione deve ritenersi una scelta personale dell’operatore economico, da considerarsi quindi alla stregua di un qualunque soggetto di diritto estraneo al procedimento di gara e, come tale, non avente titolo legittimo per sindacarne lo svolgimento, l’esito e gli effetti verso i (ed a favore dei) reali partecipanti.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Dalla analisi della sentenza in commento si evince che la Terza sezione, in conformità con quanto già asserito in un’altra pronuncia (Cons. St., III, 11 giugno 2012 n. 3402), rileva come il divieto, contenuto in un bando di gara, di partecipazione delle ATI c.d. “sovrabbondanti” possa, nel caso specifico, assolvere la funzione di tutelare la concorrenza purché tale divieto, da intendersi in termini non assoluti, sia previsto in ossequio ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Nondimeno, il Collegio nuovamente ribadisce che, di regola, la legittimazione al ricorso avverso gli atti d’una gara ad evidenza pubblica spetta a chi partecipi alla gara stessa, in quanto solo a siffatta qualità si connette la titolarità, nel procedimento concorsuale ed in via d’azione, di una posizione soggettiva sostanziale differenziata e meritevole di tutela, coincidente con il bisogno giuridico di partecipazione alla gara in quello ed in quel solo peculiare modo. Poiché quest’ultimo, come già precisato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3402/2012 cit. “è ontologicamente diverso dal vizio dedotto, ossia dalla erroneità oggettiva della clausola che si assume lesiva, affinché il bisogno di tutela non trasmuti in una censura di diritto oggettivo o meramente emulativa, occorre fornire un serio principio di prova da cui evincasi, con pari rigore argomentativo, che l’effetto preclusivo dell’ATI “sovrabbondante” non corrisponda solo ad una generica difficoltà nell’offerta, ma impedisca la realizzazione d’un progetto di affare economico”.
Altrimenti, infatti, come correttamente precisato dalla Terza sezione, l’interesse dell’operatore equivarrebbe a quello di qualsiasi altro soggetto economico estraneo alla gara, qualificandosi, pertanto, quale interesse di mero fatto.
BIBLIOGRAFIA
Per un inquadramento generale sulle Ati cfr. R. Damonte, M. Bersi, Commento all’art. 37, in F. Caringella, M. Protto, Codice dei contratti pubblici, Ed. Dike, 2012, pp. 237 ss.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 5446/2012 RG, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Lavanderie Industriali – LAVIN s.p.a. (ora, ADAPTA s.p.a.), corrente in Pomezia (RM), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Francario, con domicilio eletto in Roma, via della Mercede n. 11,
contro
la Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Rodolfo Mazzei, con domicilio eletto in Roma, via XX Settembre n. 1 e
nei confronti di
- SOGESI s.p.a., corrente in Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Zanetti e Maurizio Brizzolari, con domicilio eletto in Roma, via della Conciliazione n. 44;
- Azienda USL Roma/A, Azienda USL Roma/C, ASFO Lazio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti nel presente giudizio e
- Azienda Policlinico Umberto I, con sede in Roma, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Paola Baglio, con domicilio eletto in Roma, v.le Policlinico n. 155,
per la riforma
della sentenza breve del TAR Lazio – Roma, sez. III-quater n. 6347/2012, resa tra le parti e concernente la gara per l'affidamento del servizio di lavanolo, relativamente alle Aziende sanitarie della Regione Lazio;
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio, della SOGESI s.p.a. e dell’Azienda Policlinico Umberto I;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, c. 10, c.p.a.;
Relatore all'udienza pubblica del 7 dicembre 2012 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Francario, Mazzei, Zanetti e Baglio;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – La Regione Lazio, quale centrale di committenza per le Aziende sanitarie regionali ai sensi dell’art. 1, c. 455 della l. 27 dicembre 2006 n. 296 e dell’art. 1, c. 68 , lett. c) della l. reg. Lazio 11 agosto 2008 n. 14, ha indetto una procedura aperta europea, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per il servizio quadriennale di lavanolo della biancheria piana e confezionata, dei materassi, dei guanciali, del vestiario e delle divise per il personale di tutte le ASL e delle Aziende ospedaliere regionali, diviso in otto lotti.
Il bando di gara ha previsto, tra l’altro, la possibilità di proporre offerte in ATI, con esclusione, però, di quelle tra le imprese in grado, già singolarmente, di soddisfare i requisiti economici e tecnici di partecipazione. In virtù dell’art. 5 del disciplinare di gara e dell’art. 5 del Capitolato tecnico, è posta, in capo alle Aziende beneficiarie dell’appalto stesso —peraltro obbligate a contrarre con l’impresa aggiudicataria, a seconda del o dei lotti aggiudicati—, una facoltà di jus variandi, ossia la possibilità di ampliare o ridurre «… il servizio sulla base di nuove esigenze e di una diversa organizzazione dello stesso…».
2. – Avverso tale lex specialis di gara sono stati proposti vari gravami innanzi al TAR Lazio, tra cui il ricorso n. 5790/2011 RG, notificato dalla LAVIN s.p.a. (ora, ADAPTA s.p.a.), corrente in Pomezia (RM), avverso il bando della gara in parola, senza, però, aver al contempo proposto istanza di partecipazione alla relativa procedura. Nelle more del giudizio, la Regione Lazio ha disposto la rettifica del citato bando, contro la quale la Società ricorrente ha notificato un primo atto per motivi aggiunti, contestando l’attendibilità dei dati inerenti alle degenze, forniti dalla P.A. stessa. Detta Società ha poi, nel tempo, proposto altri quattro atti per motivi aggiunti, in particolare contestando, tra l’altro, l’aggiudicazione definitiva di alcuni dei lotti in gara a favore della SOGESI s.p.a., corrente in Perugia, unica partecipante nelle rispettive procedure.
È poi intervenuta una nuova gara, il cui bando è stato inviato alla GUCE il 12 giugno 2012 e pubblicato in G.U. il successivo giorno 15, indetta dalla Regione Lazio per il servizio di lavanolo a favore delle Aziende i cui lotti erano andati deserti in esito alla prima gara.
Infine, l’adito TAR, con sentenza n. 6347 del 12 luglio 2012, ha in parte respinto ed in parte ha dichiarato inammissibile il ricorso della LAVIN s.p.a.
3. – Dal che il presente appello, con cui detta Società deduce in punto di diritto l’erroneità della sentenza impugnata: A) – per mancato accoglimento della doglianza sulla decisione della Regione di aggiudicare comunque alcuni lotti alla SOGESI s.p.a., senza dichiarare deserta la gara; B) – per aver dichiarato inammissibile l’impugnazione del bando, ove ha previsto il divieto di partecipazione per le ATI c.d. “sovrabbondanti”; C) – per aver reputate tardive le censure avverso i criteri per la formulazione delle offerte; D) – per aver respinto l’istanza d’accesso ai documenti presentati in gara dalla controinteressata SOGESI s.p.a. Con atto depositato il 16 ottobre 2012, con contestuale domanda cautelare, l’appellante ha proposto motivi aggiunti, proponendo un’istanza di revoca o di riforma dell’ordinanza della Sezione n. 2080 del 27 luglio 2012 (di rigetto della domanda cautelare sulla sentenza appellata), in relazione sia alla sopravvenuta approvazione, da parte dell’AVCP, del nuovo listino prezzi per il servizio di lavanolo, sia all’entrata in vigore della c.d. spending review, sia alla mancata attivazione del servizio appaltato presso l’Azienda ospedaliera S. Giovanni di Roma
Resiste in giudizio la Regione Lazio, che confuta gli argomenti dell’appello della LAVIN s.p.a. e ne conclude per il rigetto. La Regione propone altresì un gravame incidentale, condizionato all’eventuale accoglimento di quello principale. Si sono costituite nel presente giudizio anche la controinteressata SOGESI s.p.a. e la Azienda Policlinico Umberto I, con sede in Roma, le quali concludono per l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello principale.
Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2012, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – L’appello principale è infondato e va respinto, nei limiti e per le considerazioni qui di seguito indicate.
Ha con ogni evidenza carattere assorbente la questione posta dall’appellante, che non ha presentato la domanda di partecipazione alla gara, contro le regole di non ammissione a gara nei confronti delle ATI c.d. “sovrabbondanti”, di cui essa afferma l’effetto immediatamente preclusivo, visto che impedisce il suo raggruppamento con altre imprese della medesima natura.
Rettamente il TAR ha considerato inammissibile tale doglianza, giacché l’appellante non ha comprovato la sua intenzione di partecipare in ATI c.d. “sovrabbondanti” alla gara. Ma siffatta dimostrazione è stata ritenuta necessaria anche dalla Sezione in vicenda analoga (cfr. Cons. St., III, 11 giugno 2012 n. 3402), dal cui precedente conforme il Collegio non ha motivo di discostarsi.
Invero, l’appellante s’è lamentata della predetta clausola, mentre non ha fornito la dimostrazione d’un progetto d’offerta, atto a qualificare l’interesse vantato quale necessario prius logico rispetto alla valutazione dell’eventuale illegittimità della clausola stessa. Non basta predicare l’illegittimità, ma occorre dar contezza che l’interesse azionato sia non già di mero fatto o, il che è in pratica lo stesso, basato su una mera ipotesi di possibile ed eventuale ATI ‘sovrabbondante’ con terzi. Occorre che l’interesse sia qualificato dalla dimostrazione d’una seria chance di offerta spendibile in quella gara coeteris paribus e senza dover attendere l’eventuale rinnovazione di essa. Altrimenti, tal interesse non è diverso da quello di qualsiasi altro operatore del settore che non ha inteso partecipare alla gara stessa per i più diversi motivi e che, pur tuttavia, spera nella caducazione dell'intera selezione. Né a qualificare l’interesse dell’appellante basta la sottoscrizione d’un preliminare di raggruppamento di imprese con un’altra Società, anch’essa già da sola qualificata alla gara, giacché questo è stato stipulato il 16 luglio, ossia ben dopo non solo il termine per la presentazione delle istanze di partecipazione alla gara, ma addirittura la pubblicazione della sentenza appellata.
Non sfugge certo al Collegio che la clausola in parola, nel riferirsi a pronunciamenti dell’AVCP sui possibili effetti anticoncorrenziali della partecipazione a gara delle ATI sovrabbondanti, assolve appunto a tal funzione, discendente dall’obbligo della stazione appaltante d’assicurare la maggior concorrenzialità possibile nella specifica procedura di gara.
Come si vede, il divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irruzione compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da ciò discende, per un verso, il carattere non immediatamente escludente della clausola e, per altro verso, la necessità di fornire un serio principio di prova dell’interesse concreto e differenziato, ossia del bisogno giuridico dell’appellante di partecipare alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante ed in quella sola peculiare modalità.
Se, dunque, la non partecipazione dell’appellante alla gara per cui è causa discende non da una clausola, come si vede, non affetta dai vizi censurati, bensì da una scelta personale di detta Società, allora essa non è che un qualunque soggetto di diritti estraneo al procedimento di gara e, come tale, non ha titolo legittimo per sindacarne lo svolgimento, l’esito e gli effetti verso i (ed a favore dei) reali partecipanti.
5. – Dal che il rigetto dell’appello, con contestuali legittimo assorbimento di ogni altra questione sul contenuto della predetta gara e declaratoria d’improcedibilità dell’impugnazione incidentale. Giusti motivi suggeriscono nondimeno l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 5446/2012 RG in epigrafe, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 7 dicembre 2012, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore