Tar Lombardia, Milano, Sez. I, ordinanza 15 gennaio 2013, n. 123
Tar Lombardia, Milano, Sez. I, ordinanza 15 gennaio 2013, n. 123
Presidente Mariuzzo; Estensore Fanizza
In rapporto alla disciplina prevista dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, va rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale inerente l’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ovvero se sia o meno contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione secondo cui, nell’ipotesi in cui un’impresa partecipante ad una procedura di gara abbia omesso di dichiarare, nella propria domanda di partecipazione, l’assenza dei procedimenti e delle condanne previste dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) nei confronti di un proprio direttore tecnico, la stazione appaltante debba disporre l’esclusione di tale impresa anche nel caso in cui quest’ultima abbia congruamente provato che la qualificazione di direttore tecnico era stata indicata per mero errore materiale;
In rapporto alla disciplina prevista dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, va rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale inerente l’ interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, ovvero se sia o meno contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione secondo cui, nell’ipotesi in cui un’impresa partecipante ad una procedura di gara abbia offerto un’utile e congrua prova dell’assenza, nei confronti dei soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), dei procedimenti e delle condanne ivi previste, la stazione appaltante debba disporre l’esclusione di tale impresa quale conseguenza dell’inottemperanza ad una previsione della lex specialis con cui sia stata indetta la pubblica gara.
BREVI ANNOTAZIONI
OGGETTO DELLA PRONUNCIA
Con l’ordinanza in oggetto, il Tar Lombardia ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea due questioni pregiudiziali inerenti la corretta interpretazione dell’art. 38, comma 1 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) in rapporto alla disciplina prevista dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE. La prima questione attiene alla conformità al diritto comunitario dell’interpretazione dell’art. 38 in base alla quale, nell’ipotesi in cui un’impresa partecipante ad una procedura di gara abbia omesso di dichiarare, nella propria domanda di partecipazione, l’assenza dei procedimenti e delle condanne previste dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del d.lgs. n. 163/2006 nei confronti del direttore tecnico, la stazione appaltante debba disporre l’esclusione di tale impresa. La seconda questione, concerne la conformità al diritto comunitario dell’interpretazione dell’art. 38 secondo cui, nell’ipotesi in cui un’impresa partecipante ad una procedura di gara abbia offerto una utile e congrua prova dell’assenza, nei confronti dei soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), dei procedimenti e delle condanne ivi previste, la stazione appaltante sia tenuta ad escludere tale impresa quale conseguenza dell’inottemperanza ad una previsione della lex specialis con cui sia stata indetta la gara.
PERCORSO ARGOMENTATIVO
Al fine di porre in luce con maggiore efficacia il contenuto e la portata dell’ordinanza in commento, appare utile procedere ad una breve ricostruzione del fatto.
A seguito dell’indizione di una gara pubblica finalizzata all’individuazione di un soggetto con cui stipulare un contratto per la cessione di carta/cartone provenienti dalle raccolte differenziate, una delle società partecipanti, in sede di apertura dei plichi contenenti le offerta, veniva esclusa per non aver presentato la dichiarazione di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c) d.lgs. n. 163/2006 riferita al direttore tecnico indicato dalla stessa società in sede di domanda di partecipazione. La società, impugnato il provvedimento di esclusione, vedeva accolte le proprie doglianze di fronte al Tar Lombardia. Invero, il giudice di primo grado (Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 25 maggio 2011, n. 1324) ha ritenuto che “l’omesso inserimento della dichiarazione resa ex art. 38 nel plico dell’ offerta, stante la mancata contestazione dell’esistenza, a carico del preteso Direttore tecnico, di elementi preclusivi alla partecipazione, integri una mera irregolarità formale, sanabile ex art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006”. Tale decisione veniva impugnata da parte della stazione appaltante di fronte al Consiglio di Stato, il quale, nel valorizzare l’indirizzo giurisprudenziale più recente, accoglieva il ricorso in appello e riformava la sentenza di primo grado. Come appena accennato, il Consiglio di Stato accoglieva l’orientamento, che verrà evidenziato fra poco, più rigoroso. Nelle more del giudizio d’appello, la società originariamente ricorrente presentava domanda per l’ottemperanza della sentenza di primo grado al giudice di prime cure. Nel corso di tale giudizio, il Tar Lombardia emanava l’ordinanza in commento rimettendo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione interpretativa inerente l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici in relazione al cd. principio del falso innocuo e all’obbligo di soccorso di cui all’art. 46 del Codice.
Con l’ordinanza in esame, i giudici ripercorrono il contrasto, interno alla giurisprudenza amministrativa italiana, sull’interpretazione dell’art. 38 d.lgs. n. 163/2006 e sugli effetti che un’eventuale dichiarazione sui requisiti incompleta, non veritiera o omessa possa comportare.
In base ad un primo orientamento, “l’adozione dei provvedimenti che riguardino la partecipazione delle imprese è da subordinare all’accertamento della completezza formale della documentazione amministrativa contenuta nei plichi contenenti le offerte presentate entro il termine di ricezione previsto dalla lex specialis, con la conseguenza che non può essere riconosciuto alla commissione giudicatrice il potere di acquisire – successivamente alla scadenza del visto termine, e quindi nel corso del procedimento di gara – le informazioni sulla base delle quali un’impresa concorrente possa dimostrare che quanto dichiarato nella documentazione amministrativa è il frutto di un errore incolpevole o di una dichiarazione priva di offensività ai fini dello svolgimento della procedura, ovvero possa congruamente provare l’inesistenza, in capo ai propri rappresentanti, di precedenti penali o comunque incidenti sulla propria moralità professionale”.
Seguendo un secondo indirizzo interpretativo, viene accordato “preminente rilievo ad una verifica sostanziale sull’effettiva sussistenza dei requisiti per la partecipazione alle procedure di gara, ed ammette la possibilità di esercitare, se del caso, il potere-dovere, riconosciuto alla commissione giudicatrice dall’art. 46 del d.lgs. 163/2006, di chiedere ai concorrenti eventuali integrazioni documentali e, in tal modo, consentire, nel rispetto della par condicio, una rettifica delle dichiarazioni lacunose o incomplete”. Secondo tale orientamento, le prescrizioni formali – in forza di un criterio teleologico, preordinato all’individuazione della migliore offerta al prezzo più vantaggioso, e, quindi, a favorire la maggiore partecipazione possibile dei concorrenti alle gare pubbliche – assolvono ad una funzione di garanzia soltanto se rispondano ad un interesse sostanziale della pubblica Amministrazione (cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 759). Occorre, tuttavia, considerare che il cosiddetto dovere di soccorso, cioè la potestà della stazione appaltante di chiedere, nel corso della procedura di gara, i chiarimenti o le integrazioni ritenute necessarie, vale soltanto per le tassative ipotesi previste nella medesima norma. In tal senso resterebbe, invece, preclusa, per la commissione giudicatrice, la possibilità di effettuare una libera istruttoria nel caso in cui le dichiarazioni siano state omesse.
Un ulteriore indirizzo interpretativo rappresentato dai giudici rimettenti, compositivo dei contrasti appena delineati, è quello attraverso cui si è proposto di trasferire nella materia degli appalti pubblici la categoria penalistica del falso innocuo, e ciò "quando tale condotta sia priva di offensività rispetto agli interessi presidiati dalle regole che governano la procedura di evidenza pubblica, e, come tale, non sanzionabile con l’esclusione" (cfr. Cons. St., Sez. V, 13 febbraio 2009, n. 829). Secondo tale tesi, la presentazione da parte dei soggetti partecipanti di dichiarazioni non veritiere, incomplete, inesatte o omesse non sarebbe, di per sé solo, sufficiente a determinare l’esclusione dalla gara pubblica. Secondo tale pensiero, infatti, “sarebbe oggetto di sanzione unicamente il mendacio idoneo, in chiave funzionale, ad influenzare lo svolgimento della procedura competitiva, ragione che escluderebbe la rilevanza, in chiave ostativa, del falso omissivo, ad esempio, relativo all’esplicitazione di soggetti titolari di cariche rilevanti nel triennio ma non gravati da alcun precedente penale” (cfr. Cons. St, Sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1017).
Infine, è andato consolidandosi un indirizzo giurisprudenziale più rigoroso. Di recente, infatti, il Consiglio di Stato ha più volte sottolineato come “il falso è innocuo quando non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati. Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente – anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità – la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti ‘sostanzialmente’ di partecipare alla gara” (Cons. St., Sez. III, 16 marzo 2012, n. 1471). Secondo tale rigoroso nonché maggioritario orientamento, il cd. falso innocuo non avrebbe cittadinanza nel sistema degli appalti pubblici.
In conclusione, secondo il Collegio remittente, l’interpretazione che la commissione giudicatrice, prima, e il Consiglio di Stato, poi, hanno ritenuto di adottare è da considerarsi in contrasto con l’art. 45 della Direttiva 2004/18 (secondo il Collegio immediatamente applicabile) e con i principi in tale norma contenuti. Invero, in base al paragrafo 3 dell’art. 45, la partecipazione alle gare per l’affidamento di appalti pubblici sarebbe informata ad una verifica di tipo sostanziale sulla sussistenza di nominate cause ostative. In particolare bisogna riferirsi – per quel che interessa la vicenda di causa – alle condanne definitive eventualmente riportate dai rappresentanti degli operatori economici che concorrano nelle indette procedure di appalto, essendo valorizzati dall’art. 45 i principi di integrazione e completezza delle informazioni e di completezza della prova.
Sulla scorta di tale incertezza interpretativa ed in base alle perplessità manifestate, i giudici del Tar Lombardia hanno ritenuto di presentare la questione di fronte alla Corte di Giustizia. D’altronde, come nell’ipotesi in esame, una volta assunta una posizione interpretativa tra le differenti enucleate, si addiverrebbe, com’è evidente, a soluzioni diametralmente opposte. In alcuni casi, la mancata o incompleta presentazione delle dichiarazioni di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163/2006 porterebbe all’immediata esclusione, in altri, alla possibilità di sanare vizi da ritenersi formali e, in sostanza, non incidenti sulla procedura di gara.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La questione inerente il c.d. falso innocuo investe da tempo dottrina e giurisprudenza e la pronuncia in esame conferma come il dibattito in tema di applicabilità di tale istituto alla materia degli appalti pubblici possa dirsi tutt’altro che concluso. D’altro canto, tale concetto giuridico è estraneo alla disciplina puramente amministrativistica, trovando origine nel diritto penale (in tale ambito applicativo il falso viene distinto tra falso inoffensivo, grossolano, inutile e innocuo). Ciò spiega, in parte, la difficoltà di delinearne i confini e i limiti, non solo da parte della giurisprudenza.
In ambito amministrativo, come già ampiamente esposto, si è assistito principalmente alla contrapposizione di opposte differenti posizioni, le quali – nonostante l’ordinanza in commento ne individui quattro – possono esser così delineate: indirizzo sostanzialistico, intermedio e formalistico.
La prima, sostanzialistica, non esclude l’applicabilità del c.d. falso innocuo. Tale impostazione si fonda sulla lettura dell’art. 38, commi 1 e 2 combinato all’art. 46 del Codice dei contratti. Sul solco di tale tracciato, infatti, l’art. 38, comma 1, farebbe riferimento al dato sostanziale e non formale del mancato possesso dei requisiti e il comma 2 non prevedrebbe la sanzione dell’esclusione in caso di mancata presentazione delle dichiarazioni. Inoltre, l’art. 46, in base al quale per la stazione appaltante sussiste in alcuni casi potere-dovere di soccorso, implicherebbe una verifica sostanziale delle dichiarazioni fornite e sull’effettiva sussistenza dei requisiti. Va però precisato che, l’art. 46 d.lgs. n. 163/2006, pur codificando uno strumento inteso a far valere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma nell'esibizione della documentazione ai fini della procedura selettiva, onde non sacrificare l'esigenza della più ampia partecipazione per carenze meramente formali nella documentazione, pone limiti molto stringenti al potere-dovere di chiedere una integrazione documentale e regolarizzare le dichiarazioni lacunose o incomplete, dovendo tale possibilità conciliarsi con la esigenza di par condicio. In tali casi, infatti, va escluso il soccorso a fronte di inosservanza di adempimenti procedimentali significativi o di omessa produzione di documenti richiesti dalla lex specialis a pena di esclusione dalla gara (Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2011, n. 2906). Secondo l’ordinanza in commento, le norme contenute negli artt. 38 e 46 del Codice andrebbero, inoltre, interpretate alla luce dell’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE e dei principi in essa contenuti, quali: il principio di concorrenza, di massima partecipazione alle gare pubbliche e di proporzionalità. Ancora, è stato affermato che “agli effetti della esclusione di una impresa da una gara pubblica la falsa dichiarazione resa dalla stessa non rileva in sé, ma solo per la sua inerenza ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alla procedura comparativa, atteso che la “ratio” sottesa alla disciplina “in subiecta materia” è quella di sanzionare con l'esclusione dalla gara il mendacio idoneo, in chiave funzionale, ad influenzare il suo svolgimento, e non il falso innocuo, costituito (in quel caso) dalla incompleta indicazione dei soggetti titolari di cariche rilevanti nel triennio, ma non gravati da alcun precedente penale” (Cons. St., Sez. V, 13 febbraio 2009, n. 829). Secondo tale orientamento, in sostanza, le prescrizioni formali assolverebbero ad una funzione di garanzia soltanto in quanto rispondenti ad un interesse sostanziale della pubblica Amministrazione, e ciò in forza di un criterio teleologico, preordinato all’individuazione della migliore offerta al prezzo più vantaggioso, e, quindi, a favorire la maggiore partecipazione possibile dei concorrenti alle gare pubbliche (in questo senso cfr., tra le altre, Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 759; Sez. V, 24 novembre 2011, n. 6240; Sez. V, 9 novembre 2010, n. 7967; Sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3655; Sez. V, 13 febbraio 2009, n. 829; Sez. VI, 4 agosto 2009, n. 4906; Sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1017; Tar Lazio, Roma, Sez. III, 12 dicembre 2011, n. 9696).
La posizione intermedia considera il falso come innocuo nell’ipotesi in cui esso sia inidoneo a ledere l’interesse tutelato della genuinità dei documenti, ossia quando non abbia finalità antigiuridiche e non attribuisca al soggetto una posizione di vantaggio, neppure morale (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 1 marzo 2011, n. 599; Cons. St., Sez. VI, 8 luglio 2010, n. 4436). Sembra più vicina, tale interpretazione, alla tesi, tutta penalistica, in base alla quale il c.d. falso innocuo andrebbe ravvisato nei soli casi in cui il falso si riveli in concreto inidoneo a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiono irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e pertanto inidonee al conseguimento delle finalità che con l’atto falso si intendevano raggiungere. In altre parole, nel riconoscere la natura plurioffensiva del reato di falso, l’innocuità viene correlata alla funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere e non all’uso che dell’atto falso venga fatto. Il falso viene inteso in senso finalistico ed è quindi individuabile solo se idoneo a conseguire un effettivo vantaggio.
L’indirizzo giurisprudenziale più recente è quello c.d. formalistico. In questo caso, il falso è innocuo quando non incida, neppure minimamente, sugli interessi tutelati. La completezza delle dichiarazioni nelle procedure di evidenza pubblica, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente – anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità – la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara (Cons. St., Sez. III, 16 marzo 2012, n. 1471). Secondo tale tesi, l’applicazione del c.d. falso innocuo avrebbe anche una portata elusiva del principio della par condicio competitorum, lasciando ampi margini discrezionali in capo alla stazione appaltante di scegliere quali partecipanti “soccorrere” e quali no (Tar Veneto, Sez. I, 6 giugno 2012, n. 778). Inoltre, l’applicazione di tale controverso istituto, consentirebbe alle imprese partecipanti alla gara di fornire dichiarazioni mendaci o insufficienti nella consapevolezza di, una volta scoperte, modificarle o integrarle. In conclusione, il c.d. falso innocuo non avrebbe diritto di cittadinanza nella materia degli appalti.
Tali distinte nonché contrapposte posizioni giurisprudenziali hanno generato un indubbio senso di incertezza tra gli operatori del diritto. In questo senso, non resta che salutare con favore la pronuncia in esame, in attesa di definitivi chiarimenti in merito da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
PERCORSO BIBLIOGRAFICO
M. Giustiniani, A. Carella, Il Consiglio di Stato ‘revoca la cittadinanza’ del falso innocuo negli appalti pubblici, in www.ilnuovodirittoamministrativo.it; F. Mascia, Il c.d. “falso innocuo”, in Il nuovo Diritto Amministrativo n. 4/2012, pp. 66 ss.; A. Larussa, Dal settore penale a quello amministrativo: la rilevanza del falso innocuo nell’ordinamento giuridico, in www.giustamm.it; R. Proietti, Falso innocuo negli appalti pubblici, in Il Quotidiano Giuridico, n. 22/6, 2011; P. Pittaro, Il falso innocuo: ovverossia, per la Cassazione, quasi mai, in Il Quotidiano Giuridico, 2008.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
Ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con domanda di applicazione di procedimento accelerato (art. 105, paragrafo 1 del regolamento di procedura).
sul ricorso numero di registro generale 2021 del 2011, proposto da:
Cartiera dell'Adda S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Stefano Soncini, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Viale Elvezia, 12
contro
CEM Ambiente S.p.A, rappresentata e difesa dagli avv.ti Enzo Robaldo e Pietro Ferraris, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Pietro Mascagni, 24
per l'accertamento
del diritto di ottenere la riammissione nella selezione pubblica per la stipulazione del contratto di cessione di carta/cartone provenienti dalle raccolte differenziate di rifiuti solidi urbani, già dichiarato dalla sentenza n. 1324 del 25.5.2011 del TAR Lombardia – Milano in accoglimento del ricorso n. 185 del 2011, annullata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1896 del 31.3.2012; nonché per l’annullamento degli atti di indizione della procedura di cui all'avviso pubblicato sul sito internet della CEM Ambiente in data 11.1.2011.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'art. 267 del TFUE;
Visto l'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di CEM Ambiente S.p.A.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2012 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1. L’oggetto della controversia e l’illustrazione dei fatti pertinenti.
1.1.) La stazione appaltante CEM Ambiente ha indetto, mediante avviso pubblico, una gara per la selezione dell’operatore con cui stipulare un contratto "per la cessione di carta/cartone provenienti dalle raccolte differenziate" di rifiuti solidi urbani per il periodo 1 aprile 2011 – 31 marzo 2014, da aggiudicarsi "a favore del concorrente che avrà offerto di ritirare i quantitativi indicati riconoscendo il maggior incremento sui prezzi indicati dal listino CCIAA di Milano secondo le modalità dettagliatamente precisate nel disciplinare di gara".
Nella seduta del 21 dicembre 2010 la commissione giudicatrice ha aperto i plichi di offerta ed ha rilevato la mancanza della dichiarazione prevista dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 relativa al sig. Aldo Galbiati, indicato quale "direttore tecnico" della Cartiera di Cologno Monzese S.p.A., mandante della costituenda A.T.I. (associazione temporanea di imprese, d’ora in poi "ricorrente").
Per tale ragione, la commissione giudicatrice ha escluso la ricorrente dalla gara, nonché, contestualmente (per difetto di un requisito minimo di capacità tecnica), l’unica, ulteriore, concorrente partecipante alla gara (Boninsegna s.r.l.), conseguentemente dichiarando deserta l’indetta procedura.
Dopo aver appreso di essere stata esclusa, la ricorrente ha trasmesso alla stazione appaltante, via fax, in data 28 dicembre 2010, una dichiarazione nella quale il sig. Aldo Galbiati ha precisato che nei propri confronti "non è pendente alcun procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575"; che "nei propri confronti non sono state pronunciate sentenze di condanna passata in giudicato né emessi decreti penali di condanna divenuti irrevocabili né sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sull’affidabilità professionale" e, infine, "di non essere soggetto a condanne anche se per le stesse sia stato applicato il beneficio della non menzione".
Occorre soggiungere che, con avviso pubblicato l’11 gennaio 2011, la stazione appaltante ha indetto una nuova selezione pubblica, con previsione del termine di scadenza per la presentazione delle domande al 26 gennaio 2011.
1.2.) In data 14 gennaio 2011 la società ricorrente ha trasmesso alla stazione appaltante un’ulteriore comunicazione, nella quale ha fatto presente che l’indicazione "della qualità di direttore tecnico in capo al predetto sig. Aldo Galbiati è stata erroneamente effettuata, poiché il medesimo, come risulta dall’estratto camerale riportante le cariche sociali ad egli attribuite, che vi alleghiamo alla presente, non riveste la qualifica di direttore tecnico della società, ma è semplicemente consigliere di amministrazione senza alcun potere di rappresentanza".
Nella stessa lettera ha, inoltre, chiesto l’annullamento in autotutela del disposto provvedimento di esclusione e, per l’effetto, la riammissione in gara, nonché l’annullamento, sempre in via di autotutela, della nuova gara indetta con avviso pubblicato in data 11 gennaio 2011.
1.3.) Preso, tuttavia, atto dell’inerzia serbata dalla stazione appaltante su tali domande, la ricorrente ha impugnato innanzi a questo Tribunale (giudizio R.G. n. 185/2011), chiedendone l’annullamento, sia il provvedimento di esclusione dalla gara, sia l’avviso pubblico per la nuova procedura, deducendone l’illegittimità con un unico ed articolato motivo, nuovamente contestando la sussistenza del presupposto di fatto all’origine della disposta esclusione, in quanto il sig. Aldo Galbiati, non ricoprendo la carica di direttore tecnico, ma rivestendo, al contrario, la carica di componente del consiglio di amministrazione senza alcun potere di rappresentanza, non sarebbe stato soggetto agli obblighi di dichiarazione previsti dall’art. 38 del D.lgs. n. 163/2006.
L’indicazione della carica di direttore tecnico, specificata nella documentazione amministrativa contenuta nell’offerta, sarebbe stata, quindi, ascrivibile ad un mero errore materiale nella compilazione del facsimile predisposto dalla stazione appaltante.
Con decreto presidenziale n. 197 del 21.1.2011 è stata accolta in via provvisoria la domanda cautelare, sicché la ricorrente è stata riammessa in gara ed è stato, altresì, sospeso l’avviso pubblico di indizione della nuova selezione.
Nel merito, con sentenza n. 1324 del 25.5.2011 questo Tribunale ha successivamente accolto il ricorso "relativamente alla domanda di riammissione alla gara" e al "travolgimento degli atti d’indizione della nuova procedura", respingendo, invece, la domanda volta ad ottenere l’aggiudicazione del contratto; e ciò in quanto la lex specialis avrebbe comunque riservato alla stazione appaltante la facoltà di "di procedere ad aggiudicazione anche in caso di unica offerta valida, sempreché la stessa sia ritenuta vantaggiosa, ovvero di revocare la procedura per l’intervenuta valutazione di situazioni tali da rendere inapplicabile il modello di affidamento prospettato, ovvero per mancato accordo interno tra gli stessi Enti Affidanti".
1.4.) La sentenza di primo grado è stata impugnata dalla stazione appaltante (CEM Ambiente) con ricorso proposto in data 23 giugno 2011 innanzi al Consiglio di Stato (giudizio R.G. n. 5542/2011).
Nel frattempo, la società ricorrente ha proposto in data 24 giugno 2011, innanzi a questo Tribunale, il ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 1324/11 (giudizio R.G. n. 2021/2011), chiedendo, tra l’altro:
– di ordinare alla stazione appaltante di convocare la ricorrente "per l’apertura dell’offerta economica" ovvero "ordinare al CEM Ambiente di convocare la commissione giudicatrice per la riammissione alla procedura delle ricorrenti";
– di "dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato";
– di "fissare la somma di denaro dovuta dai resistenti (cioè CEM Ambiente) per ogni eventuale violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato con statuizione avente forza di titolo esecutivo".
La Sezione V del Consiglio di Stato, dopo aver sospeso in via cautelare la sentenza impugnata con ordinanza n. 3722 del 31 agosto 2011, ha accolto nel merito il ricorso in appello con sentenza n. 1896 del 31.3.2012, rilevando, in particolare, che:
– "i primi giudici, pur non ignorando l’orientamento giurisprudenziale ispirato ad un approccio più rigoroso, in base al quale la semplice omessa produzione della dichiarazione determina di per sé l’esclusione dell’impresa concorrente dalla gara, hanno preferito valorizzare il profilo sostanziale dell’istituto aderendo all’opposto orientamento, ogni volta che non sussistano in concreto situazioni ostative alla partecipazione";
– "il Collegio non condivide la scelta dei primi giudici e ritiene di dover confermare l’indirizzo più rigoroso, che, invero, ha ormai assunto rilievo prevalente, quanto meno nei casi, come quello in esame, in cui l’omessa dichiarazione risulti espressamente sanzionata con l’esclusione dalla legge della gara";
– "nella fattispecie si era in presenza non di una esigenza di integrazione o di regolarizzazione di un documento incompleto o difettoso sotto un qualche profilo, bensì nella plateale omissione di una dichiarazione obbligatoria, che, fra l’altro, ha condotto alla esclusione di altre concorrenti".
Va, al riguardo, sottolineato che il Consiglio di Stato, pur ammettendo l’esistenza di una questione interpretativa controversa negli orientamenti dei Tribunali amministrativi regionali e delle Sezioni dello stesso Consiglio di Stato, non ha ritenuto, quantunque "giudice di ultima istanza", di disporne il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Nel corso del pendente giudizio di ottemperanza innanzi a questa Sezione, la ricorrente ha depositato, in data 26 giugno 2012, una memoria nella quale ha dedotto che il giudicato formatosi in dipendenza dell’accoglimento del suddetto appello sarebbe in contrasto con l’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, che "preclude la partecipazione a coloro che si trovino nella condizione sostanziale di avere ricevuto condanne passate in giudicato", chiedendone la disapplicazione diretta ovvero previa remissione della questione alla Corte di Giustizia, richiamando, per il resto, le conclusioni precedentemente rassegnate.
La CEM Ambiente si è opposta a entrambe le domande, eccependo l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso alla luce del giudicato medio tempore formatosi.
Con ordinanza collegiale n. 1825 del 28.6.2012 questo Tribunale, dopo aver premesso che "nel presente giudizio è stata proposta, oltre alla domanda di ottemperanza della sentenza n. 1324/11 di questo Tribunale, anche la domanda di risarcimento motivata sul ritardo nell’esecuzione di tale sentenza"; che "sotto il profilo processuale tale domanda non può trovare tutela nel giudizio di ottemperanza, bensì in un giudizio ordinario di merito"; che "nella fattispecie si ravvisano i presupposti per l’applicazione dell’art. 32, comma 2 del c.p.a.", ha disposto che "previa domanda di fissazione dell’udienza da parte del ricorrente, il giudizio prosegua nelle forme del rito ordinario".
Tale ordinanza è stata impugnata dalla CEM Ambiente innanzi al Consiglio di Stato, che con ordinanza n. 5106 del 26.9.2012 ha dichiarato inammissibile l’appello, attesa "la caratterizzazione non decisoria dell’ordinanza di prime cure", non avendo, infatti, questa Sezione assunto "neanche in via implicita, alcuna decisione in ordine all’ammissibilità e alla fondatezza della domanda risarcitoria".
In vista dell’udienza di discussione nel merito, fissata al 5 dicembre 2012, le parti hanno depositato le rispettive memorie.
In particolare, nel riportarsi alle proprie deduzioni e conclusioni, la ricorrente ha quantificato la proposta domanda di risarcimento dei danni in complessivi €. 9.447.240,00, oltre interessi legali; la CEM Ambiente ha, invece, eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva riguardo alla domanda risarcitoria, contestandone la fondatezza e la quantificazione del relativo danno, chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso perché inammissibile, irricevibile ed infondato.
All’udienza del 5 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
1.5.) In punto di fatto, occorre, infine, sottolineare che:
– nella vicenda di causa è incontestato tra le parti che il sig. Aldo Galbiati non era il "direttore tecnico"; che nei confronti di quest’ultimo non è pendente alcun procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, né che sono state pronunciate sentenze di condanna passate in giudicato, né emessi decreti penali di condanna divenuti irrevocabili, né sentenze di applicazione della pena su richiesta, né, infine, condanne per le quali sia stato applicato il beneficio della non menzione;
– la busta contenente l’offerta della ricorrente, relativa alla prima procedura di gara, è tutt’oggi chiusa e sigillata ed è custodita presso la stazione appaltante;
– la procedura successivamente indetta dalla stazione appaltante non ha avuto alcun seguito.
2. Le disposizioni nazionali applicabili al caso di specie e la giurisprudenza nazionale pertinente.
2.1.) La questione interpretativa che si sottopone all’esame della Corte di Giustizia riguarda il sopra richiamato contrasto tra l’art. 38 del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE" (pubblicato in G.U. n. 100 del 2 maggio 2006) e l’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE.
L’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del decreto citato prevede che:
"sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti (…) b) nei cui confronti è pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; l'esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società (…) c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima".
L’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE – di cui l’art. 38 del D.lgs. 163/2006 costituisce trasposizione nell’ordinamento nazionale – prevede, tra l’altro, che:
"è escluso dalla partecipazione ad un appalto pubblico il candidato o l’offerente condannato, con sentenza definitiva di cui l'amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza; per una o più delle ragioni elencate qui di seguito: a) partecipazione a un'organizzazione criminale (…) b) corruzione (…) c) frode ai sensi dell'articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee; d) riciclaggio dei proventi di attività illecite (…). Gli Stati membri precisano, in conformità del rispettivo diritto nazionale e nel rispetto del diritto comunitario, le condizioni di applicazione del presente paragrafo. Essi possono prevedere una deroga all'obbligo di cui al primo comma per esigenze imperative di interesse generale. Ai fini dell'applicazione del presente paragrafo, le amministrazioni aggiudicatrici chiedono, se del caso, ai candidati o agli offerenti di fornire i documenti di cui al paragrafo 3 e, qualora abbiano dubbi sulla situazione personale di tali candidati/offerenti, possono rivolgersi alle autorità competenti per ottenere le informazioni relative alla situazione personale dei candidati o offerenti che reputino necessarie (…). Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico (…) c) nei cui confronti sia stata pronunciata una condanna con sentenza passata in giudicato conformemente alle disposizioni di legge dello Stato, per un reato che incida sulla sua moralità professionale (…) g) che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni (…). Le amministrazioni aggiudicatrici accettano come prova sufficiente che attesta che l'operatore economico non si trova in nessuna delle situazioni di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a), b), c), e) e f) quanto segue: a) per i casi di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a), b) e c), la presentazione di un estratto del casellario giudiziale o, in mancanza di questo, di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa del paese d'origine o di provenienza, da cui risulti che tali requisiti sono soddisfatti".
2.2.) Come appare evidente al Collegio, la disciplina comunitaria sulla partecipazione alle gare per l’affidamento di appalti pubblici è informata ad una verifica di tipo sostanziale sulla sussistenza di nominate cause ostative, con particolare riferimento – per quel che interessa la vicenda di causa – alle condanne definitive eventualmente riportate dagli operatori economici che concorrano nelle indette procedure di appalto, essendo stati valorizzati, nell’art. 45 citato, i principi di integrazione e completezza delle informazioni (cfr. "le amministrazioni aggiudicatrici chiedono, se del caso, ai candidati o agli offerenti di fornire i documenti di cui al paragrafo 3 e, qualora abbiano dubbi sulla situazione personale di tali candidati/offerenti, possono rivolgersi alle autorità competenti per ottenere le informazioni relative alla situazione personale dei candidati o offerenti che reputino necessarie") e di sufficienza della prova (cfr. art. 45 cit., paragrafo 3).
2.3.) Al riguardo, occorre informare la Corte di Giustizia che, nella giurisprudenza italiana, si registra da tempo un contrasto sull’interpretazione, e, di riflesso, sulla corretta applicazione dell’art. 38 del D.lgs. 163/2006, del quale, peraltro, ha espressamente dato atto la richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 1896 del 31.3.2012, che ha definito la controversia, cassando la sentenza di questa Sezione.
In altri termini, la soluzione interpretativa adottata nel caso di specie costituisce il risultato della preferenza per una delle possibili letture della ricordata disposizione, così distinte:
A) in base alla prima interpretazione, l’adozione dei provvedimenti che riguardino la partecipazione delle imprese è da subordinare all’accertamento della completezza formale della documentazione amministrativa contenuta nei plichi contenenti le offerte presentate entro il termine di ricezione previsto dalla lex specialis, con la conseguenza che non può essere riconosciuto alla commissione giudicatrice il potere di acquisire – successivamente alla scadenza del visto termine, e quindi nel corso del procedimento di gara – le informazioni sulla base delle quali un’impresa concorrente possa dimostrare che quanto dichiarato nella documentazione amministrativa è il frutto di un errore incolpevole o di una dichiarazione priva di offensività ai fini dello svolgimento della procedura, ovvero possa congruamente provare l’inesistenza, in capo ai propri rappresentanti, di precedenti penali o comunque incidenti sulla propria moralità professionale;
B) la seconda interpretazione, all’opposto, accorda preminente rilievo ad una verifica sostanziale sull’effettiva sussistenza dei requisiti per la partecipazione alle procedure di gara, ed ammette la possibilità di esercitare, se del caso, il potere-dovere, riconosciuto alla commissione giudicatrice dall’art. 46 del D.lgs. 163/2006, di chiedere ai concorrenti eventuali integrazioni documentali e, in tal modo, consentire, nel rispetto della par condicio, una rettifica delle dichiarazioni lacunose o incomplete.
Secondo tale orientamento, le prescrizioni formali assolvono ad una funzione di garanzia soltanto se rispondano ad un interesse sostanziale della pubblica Amministrazione, e ciò in forza di un criterio teleologico, preordinato all’individuazione della migliore offerta al prezzo più vantaggioso, e, quindi, a favorire la maggiore partecipazione possibile dei concorrenti alle gare pubbliche (cfr., tra le prime pronunce, Consiglio di Stato, sez. VI, 12 maggio 1994, n. 759).
Occorre, tuttavia, considerare che il cosiddetto dovere di soccorso, cioè la potestà della stazione appaltante di chiedere, nel corso della procedura di gara, i chiarimenti o le integrazioni ritenute necessarie, vale soltanto per le tassative ipotesi previste nella medesima norma, restando, invece, preclusa, per la commissione giudicatrice, la possibilità di effettuare una libera istruttoria nel caso in cui le dichiarazioni siano state omesse.
Il che non consente, nella concreta realtà applicativa, di consentire l’allargamento della partecipazione alle imprese concorrenti, e, quindi, assicurare il pieno dispiegarsi del principio di libera concorrenza.
In sostanza, né il primo né il secondo, più aperto, indirizzo interpretativo sembrano in grado di evitare che si verifichino limitazioni alla partecipazione dei concorrenti alle procedure di evidenza pubblica, ciò pregiudicando non soltanto le imprese nazionali, ma anche, dopo la pubblicazione del bando di gara sulla G.U.U.E, le imprese aventi sede in aree diverse dal territorio italiano, le quali sono assoggettate ad una rigida applicazione formale delle regole di gara senza, invece, poter fare affidamento su una tutela sostantiva, dipendente dalla concreta verifica sul possesso dei requisiti di partecipazione: il che integra invero l’oggetto del giudizio per il quale si opera il rinvio alla Corte, posto che non vi era alcun documento o alcuna dichiarazione da integrare successivamente, ma soltanto la necessità di accertare o meno la veridicità della qualifica di direttore tecnico e, in ogni caso, l’assenza di precedenti penali incidenti sulla moralità professionale dell’impresa.
2.4.) Per tentare di comporre le ragioni di contrasto emerse nella giurisprudenza, finanche negli orientamenti delle diverse Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, in tempi più recenti aveva trovato diffusione l’indirizzo interpretativo che consentiva di ritenere ammissibile la partecipazione dei soggetti che avessero reso, in sede di gara, dichiarazioni che, sebbene qualificabili come omesse, incomplete, inesatte o addirittura non veritiere, fossero tuttavia ascrivibili alla categoria del cosiddetto "falso innocuo".
Secondo tale orientamento, "sarebbe oggetto di sanzione unicamente il mendacio idoneo, in chiave funzionale, ad influenzare lo svolgimento della procedura competitiva, ragione che escluderebbe la rilevanza, in chiave ostativa, del falso omissivo, ad esempio, relativo all’esplicitazione di soggetti titolari di cariche rilevanti nel triennio ma non gravati da alcun precedente penale" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1017).
Detto indirizzo si è quindi proposto di trasferire nella materia degli appalti pubblici la categoria penalistica del falso innocuo, e ciò "quando tale condotta sia priva di offensività rispetto agli interessi presidiati dalle regole che governano la procedura di evidenza pubblica, e, come tale, non sanzionabile con l’esclusione" (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 febbraio 2009, n. 829).
Ma anche tale indirizzo pretorio si è rivelato incapace di sedare il contrasto interpretativo, di cui si è prima detto, essendo stato superato da una rilettura giurisprudenziale di segno esattamente opposto, che appare allo stato maggioritaria.
Infatti, nella sentenza n. 1471 del 16.3.2012 la Sezione III del Consiglio di Stato ha statuito che "il falso è innocuo quando non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati. Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente – anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità – la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti ‘sostanzialmente’ di partecipare alla gara".
Applicando tale sopraggiunto orientamento alla fattispecie di causa, si dovrebbe, perciò, concludere che l’omissione – da parte della ricorrente – della dichiarazione (prevista dall’art. 38 del D.lgs. 163/2006) relativa all’indicazione delle condanne (come si è detto, pacificamente inesistenti) riportate dal sig. Aldo Galbiati (oltre tutto, erroneamente indicato come direttore tecnico), avendo ad oggetto un "valore da perseguire", integrato dalla formale completezza della stessa, costituirebbe – come in effetti è avvenuto – un motivo sufficiente per giustificare la disposta esclusione, restando inutile qualsiasi verifica di carattere sostanziale.
2.5) Al Collegio, però, ciò sembra contrastare con l’art. 45 della richiamata Direttiva e con la tutela dei citati princìpi comunitari.
Pertanto, l’esercizio della funzione interpretativa della Corte di Giustizia appare essenziale ai fini di un soddisfacente bilanciamento tra la certezza del diritto, nell’interpretazione della disciplina comunitaria, e l’effettività della tutela giurisdizionale, una volta che la questione all’esame sia portata all’attenzione dei giudici nazionali.
3. I motivi del rinvio.
3.1.) Come più sopra brevemente anticipato, il Collegio è persuaso che l’applicazione della disciplina sulla verifica del possesso dei requisiti generali previsti dall’art. 38 del D.lgs. 163/2006, nell’interpretazione che, nel caso specifico, sia la commissione giudicatrice (nel corso delle operazioni di gara e, in particolare, durante l’esame della documentazione amministrativa), sia il Consiglio di Stato (adìto in secondo e ultimo grado dalla CEM Ambiente) hanno ritenuto di adottare, sia contrastante con il diritto comunitario, per le seguenti ragioni:
a) qualsiasi lettura dell’art. 38, costituente disposizione legislativa di fondamentale importanza nel quadro di un codice emanato "in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE", deve finalisticamente correlarsi a quanto stabilito dall’art. 45 della Direttiva 2004/18 e dai princìpi che in tale norma trovano espressione.
Come si è innanzi detto, nonostante l’inoffensività, ai fini dello svolgimento della procedura di gara, dell’omessa dichiarazione concernente le condanne (pacificamente inesistenti) riportate dal sig. Aldo Galbiati, la commissione giudicatrice ha disposto l’esclusione della ricorrente ritenendo di applicare il principio di par condicio tra i concorrenti (cfr., tra le sentenze che avvalorano tale orientamento, Consiglio di Stato, sez. III, 13 maggio 2011, n. 2906, che esclude il dovere di soccorso "a fronte di inosservanza di adempimenti procedimentali significativi o di omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dalla gara").
A parere del Tribunale, però, né la commissione giudicatrice nel corso delle operazioni di gara, né la Sezione V del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, hanno valutato l’immediata applicabilità del richiamato art. 45 della Direttiva, e, prima ancora, dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ("nuove norme sul procedimento amministrativo"), in cui si prevede che "l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell'ordinamento comunitario".
Si tratta, ad avviso del Collegio, di disposizioni legislative che, ove applicate, avrebbero consentito di far utilmente prevalere l’accertamento sostanziale dei requisiti di partecipazione della ricorrente sull’applicazione formale delle previsioni di gara concernenti la mera completezza delle dichiarazioni da rendere ai sensi del citato art. 38.
Assumendo tale decisione, la stazione appaltante avrebbe concluso la procedura di gara, affidando l’indetto appalto, senza, inoltre, minimamente incidere sulla par condicio con l’altra concorrente, tenuto conto che le uniche due imprese ammesse alla selezione (oltre alla ricorrente, ha partecipato la società Boninsegna s.r.l.) sono state contestualmente escluse in data 21 dicembre 2010 e, in esito a tale circostanza, la procedura è stata dichiarata infruttuosamente esperita;
b) il Consiglio di Stato, in qualità di giudice di ultima istanza, non ha provveduto a disporre in via pregiudiziale il rinvio della questione alla Corte di Giustizia, pur sussistendovi un obbligo (art. 267, terzo comma, TFUE) discendente non già dalla posizione formalmente di vertice che tale organo occupa nell’ordinamento giudiziario, quanto dall’impossibilità che avverso le proprie sentenze sia possibile proporre un mezzo ordinario di impugnazione.
Né, a giustificazione di tale omessa iniziativa, potevano dirsi sussistenti i presupposti per potervi derogare.
La giurisprudenza comunitaria ha, infatti, precisato che l’obbligo di rinvio a carico dei giudici di ultima istanza non trovi applicazione esclusivamente in tre ipotesi (cfr. Corte di Giustizia, 6 ottobre 1982, Cilfit, C-283/81; 15 settembre 2005, Intermodal Transports, C-495/03): 1) quando la sollevata questione di diritto dell’Unione non sia influente sulla causa di merito; 2) quando la risposta al quesito da sottoporre risulti da una giurisprudenza costante, indipendentemente dalla natura del procedimento in cui sia stata prodotta; 3) quando la corretta applicazione del diritto dell'Unione europea si imponga con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da apprestare alla questione sollevata.
3.2.) In secondo luogo, occorre rilevare che la disposta cassazione della sentenza di primo grado, con definitiva conferma dell’esclusione della ricorrente dalla gara, appare illegittima per contrasto con il principio di proporzionalità, di cui l’art. 45 della Direttiva 2004/18 pure costituisce puntuale espressione.
Tale norma prevede, infatti, al paragrafo 1 che "ai fini dell'applicazione del presente paragrafo, le amministrazioni aggiudicatrici chiedono, se del caso, ai candidati o agli offerenti di fornire i documenti di cui al paragrafo 3 e, qualora abbiano dubbi sulla situazione personale di tali candidati/offerenti, possono rivolgersi alle autorità competenti per ottenere le informazioni relative alla situazione personale dei candidati o offerenti che reputino necessarie".
Detta disciplina è inoltre integrata dal paragrafo 3, in cui si prevede che "le amministrazioni aggiudicatrici accettano come prova sufficiente che attesta che l'operatore economico non si trova in nessuna delle situazioni di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a), b), c), e) e f) quanto segue: a) per i casi di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a), b) e c), la presentazione di un estratto del casellario giudiziale o, in mancanza di questo, di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità giudiziaria o amministrativa del paese d'origine o di provenienza, da cui risulti che tali requisiti sono soddisfatti".
Come appare evidente, l’apertura del diritto comunitario in favore di una verifica sostanziale della situazione personale del concorrente è finalizzata alla tutela di due fondamentali princìpi:
- il principio di concorrenza nell’area del mercato unico, direttamente ricavabile dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, che, come si è innanzi detto, ha come proprio corollario la massima partecipazione di offerenti alle procedure di evidenza pubblica;
- il principio di proporzionalità, manifestamente violato, nel caso di specie, nel momento in cui la commissione giudicatrice ha disposto l’esclusione della ricorrente sulla base di un giudizio determinato da una presunzione iuris et de iure, indotta dall’omessa dichiarazione del direttore tecnico indicato nella domanda di partecipazione, senza tenere conto, come avrebbe imposto una presunzione iuris tantum, della prova dell’erronea qualificazione di "direttore tecnico" attribuita al sig. Aldo Galbiati, puntualmente fornita mediante la trasmissione, in data 14 gennaio 2011, dell’"estratto camerale riportante le cariche sociali", nonché dell’assenza di precedenti penali a suo carico.
Il Collegio è, quindi, dell’avviso che l’applicazione dell’art. 38 del D.lgs. 163/2006 fatta propria dalla Sezione V del Consiglio di Stato, costituendo il risultato di un’interpretazione formalistica, che ha fondato il disposto provvedimento di esclusione dalla procedura di gara su una presunzione assoluta, sia in contrasto con il diritto comunitario.
Tale conclusione è rafforzata dal fatto che la Corte di Giustizia ha affrontato profili analoghi, nel recente passato, in tema di collegamento tra imprese partecipanti alla stessa gara di appalto, e ciò a seguito di un rinvio pregiudiziale disposto dalla Sezione III di questo Tribunale.
Nell’occasione, la Corte ha rilevato che la presunzione assoluta "secondo cui le diverse offerte presentate per un medesimo appalto da imprese collegate si sarebbero necessariamente influenzate l’una con l’altra, viola il principio di proporzionalità, in quanto non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro caso, non sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti" (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. IV, 19 maggio 2009, causa C-538/2007; 3 marzo 2005, cause riunite C 21/03 e C-34/03).
3.3.) Sul fondamento delle svolte argomentazioni, il Collegio ritiene, quindi, che il giudicato formatosi per effetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 1896 del 31.3.2012 sia suscettibile di essere disapplicato in quanto contrastante con il diritto comunitario, in linea di continuità con alcune, significative, pronunce che hanno confermato il fermo orientamento della Corte di Giustizia per una verifica di tipo sostanziale dei requisiti per la partecipazione agli appalti pubblici.
Si richiamano, al riguardo:
– 24 gennaio 2008, C-532/06, sulla distinzione tra criteri di selezione degli offerenti e criteri di valutazione delle offerte e sui poteri della commissione giudicatrice di definire sub-criteri e sub-elementi;
– 19 maggio 2009, C-538/07, sulla contrarietà al diritto comunitario di una norma nazionale che stabilisca un divieto assoluto (sentenza più sopra richiamata);
– 14 aprile 1994, C-389/92, sulla legittimazione di una impresa a comprovare il possesso dei requisiti di qualificazione attraverso i requisiti di una società dello stesso gruppo imprenditoriale.
3.4.) Con riferimento, infine, alla possibilità di disapplicare le sentenze di giudici nazionali, passate in giudicato, che abbiano statuito in modo difforme dalla disciplina comunitaria, si fa rinvio ai precedenti della Corte (31 gennaio 2004, C- 453/00, Khune und Hitz; 16 marzo 2006, C-234/04, Kapferer; 8 luglio 2007, C-119/05, Lucchini; 3 settembre 2009, C-2/08, Olimpiclub).
Deve in particolare sottolinearsi che, nel caso Kuhne e in quello Kempter (Corte di Giustizia, 12 febbraio 2008, C-2/06), la Corte di Giustizia ha affrontato il problema del riesame, da parte di un organo amministrativo, di una precedente decisione, divenuta definitiva in forza di una sentenza passata in giudicato, risultata, però, in contrasto col diritto comunitario a seguito di una sentenza della Corte stessa.
In tale ultima pronuncia si è stabilito che un organo amministrativo "può essere tenuto, in applicazione del principio di cooperazione derivante dall’art. 10 CE, a riesaminare una decisione amministrativa divenuta definitiva, al fine di tener conto dell’interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo accolta dalla Corte".
Ha soggiunto la Corte che "tra le condizioni che possono fondare un tale obbligo di riesame, il fatto che la sentenza del giudice di ultima istanza, in virtù della quale la decisione amministrativa contestata è divenuta definitiva, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva, risultasse fondata su un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse stata adita in via pregiudiziale, non può essere interpretato in modo da imporre alle parti l’obbligo di sollevare dinanzi al giudice nazionale la questione del diritto comunitario di cui trattasi. A tal proposito, è sufficiente che detta questione di diritto comunitario, la cui interpretazione si è rivelata erronea alla luce di una sentenza successiva della Corte, sia stata esaminata dal giudice nazionale che ha statuito in ultima istanza, oppure che avesse potuto essere sollevata d’ufficio da quest’ultimo".
Nel caso di specie, si è già precisato che il Consiglio di Stato, quale giudice di ultima istanza, non ha provveduto a rinviare in via pregiudiziale la questione concernente l’interpretazione dell’art. 38 del D.lgs. 163/2006 in rapporto alla disciplina di cui al richiamato art. 45 della Direttiva comunitaria 2004/18 CE.
Una questione che, al contrario, il Collegio ritiene rilevante, in quanto attiene ad un’interpretazione del diritto comunitario; è influente nella causa di merito; è oggetto di notevoli contrasti nella giurisprudenza nazionale; è caratterizzata da forti dubbi di compatibilità comunitaria e, infine, non risulta essere mai stata affrontata puntualmente dalla Corte di Giustizia.
4. Questioni pregiudiziali.
In conclusione, si rimettono alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. 12.4.2006, n. 163 in rapporto alla disciplina prevista dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE:
4.1.) se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione secondo cui, nell’ipotesi che un’impresa partecipante ad una procedura di gara abbia omesso di dichiarare, nella propria domanda di partecipazione, l’assenza dei procedimenti e delle condanne previste dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del D.lgs. 163/2006 nei confronti di un proprio direttore tecnico, la stazione appaltante debba disporre l’esclusione di tale impresa anche nel caso in cui quest’ultima abbia congruamente provato che la qualificazione di direttore tecnico era stata indicata per mero errore materiale;
4.2.) se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione secondo cui, nell’ipotesi che un’impresa partecipante ad una procedura di gara abbia offerto un’utile e congrua prova dell’assenza, nei confronti dei soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), dei procedimenti e delle condanne ivi previste, la stazione appaltante debba disporre l’esclusione di tale impresa quale conseguenza dell’inottemperanza ad una previsione della lex specialis con cui sia stata indetta la pubblica gara.
Alla luce delle sentenze della Corte richiamate in motivazione per vicende analoghe a quella oggetto del presente rinvio, il Tribunale chiede l’applicazione del procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105, paragrafo 1 del regolamento di procedura.
In attuazione delle raccomandazioni "all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale" (2012/C 338/01), si dispone la trasmissione alla cancelleria della Corte di Giustizia di copia del fascicolo della causa.
Il presente giudizio viene sospeso fino alla pronuncia della Corte di Giustizia, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone:
1) la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea delle questioni pregiudiziali indicate in motivazione;
2) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dell’art. 105, paragrafo 1 del regolamento di procedura, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia del fascicolo di causa;
3) la sospensione del presente giudizio;
4) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Raffaello Gisondi, Primo Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore