1. Ratio della procedura ad evidenza pubblica che precede la stipulazione del contratto pubblico. Rapporto fra l’annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto alla luce della “nuova dimensione” dell’interesse legittimo.
 
2. L’annullamento dell’aggiudicazione e dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto: disciplina sulle modalità di esercizio del potere del giudice amministrativo nelle ipotesi di violazioni più o meno gravi delle norme di evidenza pubblica.
 
3.Problemi interpretativi circa la natura dell’inefficacia prevista dagli artt.121 e 122: principali tesi a confronto.
 
4.Lannullamento dell’aggiudicazione in autotutela ed effetti sul contratto. Orientamenti giurisprudenziali: effetto immediatamente caducante – esclusione in radice del potere di autotutela in materia di contratti pubblici.
 
Riferimenti giurisprudenziali: Consiglio di stato, sentenze n.2817 – 5232 – 6638 del 2011
 
1. Ratio della procedura ad evidenza pubblica che precede la stipulazione del contratto pubblico. Rapporto fra l’annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto alla luce della “nuova dimensione” dell’interesse legittimo.
I contratti pubblici, come previsto dal Codice dei Contratti Pubblici, D.Lgs. 163/2006, che ha recepito i principi comunitari, sono stipulati all’esito di una procedura di evidenza pubblica.
La P.A., dunque, non può scegliere liberamente l’interlocutore, salvo casi eccezionali e residuali, né può stipulare in modo fiduciario il contratto, ma deve selezionare il contraente attraverso un modulo procedimentale, caratterizzato da una serie di atti coordinati e funzionalmente preordinati, e perciò stabilito dalla legge. La ragione di una procedura di selezione pubblicistica è duplice: da un lato, si realizza la funzionalizzazione dell’azione amministrativa al perseguimento degli interessi pubblici, poiché nella procedura devono essere evidenziate le ragioni di interesse pubblico che orientano l’attività discrezionale di selezione del contraente, dall’altro, viene garantito e promosso il fondamentale principio comunitario della concorrenza, perché attraverso la procedura pubblica è consentito a tutti gli operatori economici dell’Unione Europea di partecipare a parità di condizioni alla c.d. “gara europea”.
La procedura di affidamento del contratto pubblico termina con il provvedimento di aggiudicazione definitiva del contratto al miglior offerente in base al criterio fissato nel bando di gara. Si tratta quindi di una fattispecie complessa che si inaugura con la pubblicazione di un bando e si conclude con l’aggiudicazione definitiva, alla quale segue la stipulazione del contratto che si definisce pubblico perché è pubblico l’interesse ad esso sotteso. In ragione di tale interesse la stipulazione del contratto viene perlopiù concepita come una fase del procedimento di natura pubblicistica piuttosto che un momento in cui la P.A. esercita un potere privatistico. Pertanto, si ritiene che l’aggiudicazione definitiva sia l’atto presupposto del contratto, il quale, a sua volta, in questo peculiare collegamento fra atti giuridici, è l’atto consequenziale.
In riferimento al contratto pubblico di appalto, la questione più dibattuta negli ultimi anni dalla giurisprudenza e dalla dottrina attiene agli effetti prodotti dall’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto ad essa conseguente.
Più esattamente, si è discusso sulla sorte che deve seguire il contratto, probabilmente in tutto o in parte eseguito, quando al termine di una gara pubblica per l’aggiudicazione di un contratto di appalto, a cui sia seguita la stipula del contratto con l’impresa aggiudicataria, l’impresa non aggiudicataria (solitamente la seconda classificata) abbia chiesto l’annullamento dell’aggiudicazione: in tal caso il contratto viene sempre travolto dall’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione?
Il tema risulta oggi più che mai importante perché il rapporto fra annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto esprime la nuova configurazione sostanziale del rapporto giuridico fra P.A. e privato (impresa aggiudicataria o impresa pretermessa a seconda che si tratti di annullamento giurisdizionale o in autotutela).
Si è osservato che proprio nella materia dei contratti pubblici, in particolare in punto di sorte del contratto dopo l’annullamento dell’aggiudicazione, è possibile misurare la capacità dell’ordinamento di assicurare la pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale così come prevista dall’art. 1 c.p.a. Attraverso tale disposizione, infatti, viene riaffermata la nuova dimensione dell’interesse legittimo ormai da tempo non più concepito come una situazione qualificata e differenziata solo occasionalmente protetta, e perciò tutelabile solo nei casi in cui l’interesse del privato non contrasti quello della P.A., ma come una posizione di vantaggio riconosciuta ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico.
Dunque, si riconosce all’interesse legittimo una dignità giuridica pari a quella del diritto soggettivo, dal quale si distingue solo per le diverse tecniche di tutela previste dall’ordinamento.
 
 
2. Annullamento dell’aggiudicazione e dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto: disciplina sulle modalità di esercizio del potere del giudice amministrativo nelle ipotesi di violazioni più o meno gravi delle norme di evidenza pubblica.  
Orbene, il Codice dei Contratti Pubblici, modificato nel 2010 dal D.Lgs.53/2010 in esecuzione della direttiva comunitaria 66/2007, c.d. “ricorsi” e, da ultimo, il Codice del Processo Amministrativo, D.Lgs.104/2010, hanno risolto l’anzidetta questione optando per la soluzione “dell’inefficacia”, così come risulta dagli artt. 121 e 122 del c.p.a.
Occorre subito precisare che i due articoli disciplinano l’inefficacia in modo diverso. L’art.121 c.p.a., che contempla i casi di violazione della procedura più gravi (cioè quando la gara è stata omessa, il bando non è stato pubblicato o non è stato pubblicato adeguatamente, non è stato rispettato il termine dilatorio procedimentale per la stipulazione del contratto o il termine processuale della sospensione obbligatoria derivante dal ricorso con contestuale domanda cautelare, c.d. stand still period) stabilisce la regola secondo cui il giudice, che ha annullato l’aggiudicazione definitiva, dichiara sempre l’inefficacia del contratto. Questa regola, però, a mente della stessa norma, può subire eccezioni molto limitate e concernenti esigenze imperative di interesse pubblico, che consentirebbero al giudice di non dichiarare l’inefficacia o di dichiararla limitatamente alle prestazioni ancora da eseguire con un’operatività ex nunc anziché ex tunc. Il giudice dunque deve valutare la sussistenza in concreto delle anzidette esigenze imperative attraverso un bilanciamento degli interessi delle parti che tenga conto degli aspetti tecnici legati all’esecuzione del contratto, degli aspetti economici alla luce del principio di proporzionalità tra sacrificio della P.A. e beneficio del privato, dell’effettiva possibilità di subentro nel contratto (ex art.121, comma 2).
Diversamente, l’art.122, che disciplina l’ipotesi di violazioni meno gravi della procedura di evidenza pubblica, riconosce al giudice il potere discrezionale di decidere se dichiarare o non dichiarare l’inefficacia della stipulazione contrattuale alla luce della comparazione degli interessi delle parti, della valutazione dei fatti, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentro del ricorrente nel contratto, sempre che la domanda di subentro sia stata presentata e che il vizio (meno grave) dell’aggiudicazione non comporti per la P.A. l’obbligo di rinnovare la gara. Anche in questa norma è prevista la possibilità che il giudice stabilisca l’operatività retroattiva, o solo per il futuro, della dichiarazione d’inefficacia.
Si può immediatamente dedurre che in entrambi i casi di violazione la nuova disciplina, piuttosto articolata, affida al giudice un compito sicuramente nuovo, ossia quello di adottare una soluzione che in punto di dichiarazione e decorrenza dell’inefficacia assicuri il bilanciamento della pluralità degli interessi coinvolti: a) interesse dell’impresa (pretermessa) ricorrente ad ottenere una tutela piena ed effettiva attraverso cui conseguire un bene della vita, cioè il subentro nel contratto; b) interesse dell’impresa aggiudicataria alla conferma dell’aggiudicazione, alla quale non può imputarsi l’illegittimità dell’aggiudicazione favorevole; c) interesse della P.A. a stipulare il contratto alle condizioni migliori con un soggetto affidabile, nonché alla stabilità e certezza dei rapporti contrattuali di cui è parte; d) interesse di ordine generale alla concorrenza, avuto principalmente di mira dall’ordinamento comunitario, anteposto dall’ordinamento all’interesse sia pure pubblico ma particolare, che deve essere assicurato dalla P.A. attraverso il rispetto delle norme di evidenza pubblica.      
 
 
3. Problemi interpretativi circa la natura dell’inefficacia prevista dagli artt.121 e 122: principali tesi a confronto.
 
A fronte delle due previsioni normative, può dunque affermarsi che certamente l’inefficacia del contratto pubblico non è una conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, essendo invece rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, e che la diversa disciplina rende difficile l’interpretazione circa la natura giuridica dell’inefficacia appena descritta. Infatti, alcuni commentatori hanno definito l’inefficacia in questione a geometrie variabili.
Invero, l’inefficacia diversamente dalla nullità e dalla annullabilità non è un istituto giuridico unitario dotato di una propria regolamentazione, bensì è un fenomeno giuridico che descrive la perdita di effetti di una norma, di un contratto, di un negozio giuridico oppure di un provvedimento.
Ebbene questa configurazione piuttosto variabile e flessibile dell’inefficacia del contratto pubblico, allorquando sia dichiarata, ha fatto emergere tesi differenti fra le quali: 1) tesi dell’inefficacia-nullità; 2) tesi dell’inefficacia derivante da risoluzione giudiziale.
Secondo i sostenitori dell’inefficacia-nullità il contratto stipulato con l’aggiudicatario illegittimo è inefficace perché nullo, laddove la nullità sarebbe determinata dalla violazione di norme imperative, ossia dalla violazione delle norme di evidenza pubblica, che sono di derivazione comunitaria e che pacificamente al pari delle norme nazionali hanno carattere imperativo. Inoltre, si sostiene in riferimento al dato letterale degli artt. 121-122 c.p.a. che la previsione di una dichiarazione di inefficacia da parte del giudice (che annulla l’aggiudicazione) evidenzia la natura dichiarativa e non costitutiva della pronuncia, attraverso la quale il giudice per l’appunto accerta che il contratto non ha potuto o non potrà produrre più effetti. E poi ancora, dalla struttura dei suddetti articoli si deduce un meccanismo di rilevazione ufficiosa dell’inefficacia, tale che non risulta necessaria alcuna domanda o allegazione di parte. Questi tre argomenti individuati dai sostenitori della prima tesi coincidono in sostanza con i requisiti tipici della nullità: violazione di norma imperativa, natura dichiarativa della pronuncia, rilevazione d’ufficio. Risulta evidente allora che l’applicazione di tale canone interpretativo produce conseguenze sulla disciplina dei termini e sul piano dei rapporti con i terzi, originati dal contratto successivamente dichiarato inefficace perché colpito da un vizio che ha invalidato l’atto presupposto, ossia l’aggiudicazione.
Diversamente opinando, i sostenitori della tesi dell’inefficacia determinata da una risoluzione giudiziale escludono la sussistenza dei requisiti fondamentali della nullità.
Secondo tali autori l’inefficacia del contratto conseguente all’annullamento giudiziale dell’aggiudicazione definitiva descrive una risoluzione giudiziale del contratto piuttosto che una nullità originaria dello stesso. A riguardo, si sostiene che, nonostante il processo di frammentazione ed atomizzazione delle nullità (disciplina consumeristica, nullità di protezione, nullità relative), essa conserva, in mancanza di specifiche ed eccezionali deroghe, tre caratteristiche genetiche fondamentali: a) inefficacia originaria del contratto sin dal momento della stipulazione, di cui il giudice prende atto in una pronuncia ricognitiva-dichiarativa; b) automatismo e obbligatorietà della rilevazione della nullità, compatibilmente con il principio della domanda, che non è discrezionale né facoltativa, essendo prevista a tutela di interessi pubblici superiori; c) sussistenza di una patologia genetica del contratto sin dal momento della stipulazione, che quindi non può derivare da vicende sopravvenute.
E poiché l’inefficacia, come prevista dagli artt.121-122 c.p.a., non risulta originaria, infatti, il giudice può decidere di farla operare anche solo per il futuro, non è automatica né obbligatoria, ma è discrezionale e facoltativa, non è causata da una invalidità genetica del contratto ma dalla propagazione della caducazione dell’atto ad esso presupposto, gli autori di questa tesi ritengono che si tratta di una inefficacia consequenziale ad una pronuncia giudiziale che risolve il contratto. Si tratterebbe allora di una inefficacia del contratto indifferente all’invalidità dell’atto in sé, sugellata da una pronuncia costitutiva di risoluzione giudiziale. Accogliendo questo canone interpretativo, è bene specificare che l’anzidetta risoluzione giudiziale non è riconducibile a nessuna delle ipotesi di risoluzione già previste dall’ordinamento (inadempimento, eccessiva onerosità, impossibilità sopravvenuta), perché viene introdotta da norme speciali, ossia dalle norme del Cod. del Proc. Amm.
Da una prospettiva diversa l’interpretazione prevalente afferma che l’inefficacia del contratto nei casi previsti dall’art.121 costituisce una vera e propria sanzione che può essere irrogata dal giudice amministrativo alla stazione appaltante anche d’ufficio, e dunque in assenza di domanda di parte, con la specificazione che in caso di violazione dello stand still period  il ricorrente deve pur sempre manifestare l’interesse al subentro nel contratto, dal momento che questo interesse costituisce uno dei parametri oggetto di valutazione del giudice. A sostegno di tale argomentazione viene richiamata la gravità delle violazioni (lesive della concorrenza e della possibilità di accordare al ricorrente una tutela piena ed effettiva in relazione al bene della vita a cui aspira) ed anche l’applicazione in caso di mancata dichiarazione di inefficacia delle sanzioni alternative previste dall’art.123, cui il comma 4 dell’art.121 rinvia espressamente.
In seno a tale argomentazione si afferma anche la natura costitutiva della pronuncia in ragione del fatto che l’inefficacia prevista dall’art.121 consegue solo al giudizio di bilanciamento degli interessi coinvolti e in assenza di esigenze imperative che impongano la conservazione del contratto, di talché l’inefficacia non può risultare preesistente. A tale argomento non risulta neanche ostativo il verbo “dichiara” utilizzato nella norma in riferimento al giudice, poiché quest’ultimo anche nelle pronunce costitutive volte a creare o modificare un rapporto giuridico dichiara il nuovo assetto giuridico dei rapporti.
Per ciò che concerne invece l’inefficacia contemplata nell’art.122, a mente del quale “il giudice stabilisce se dichiarare inefficace il contratto … tenendo conto dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione”, un diverso approccio interpretativo mette in risalto lo stretto collegamento fra dichiarazione di inefficacia del contratto e interesse finale del ricorrente da identificarsi non già nell’annullamento dell’aggiudicazione (che può comunque dar luogo a pretese risarcitorie), bensì nell’aggiudicazione stessa mediante il subentro nel contratto. In tal caso dunque la dichiarazione di inefficacia risulta sempre funzionale al soddisfacimento dell’interesse sostanziale del ricorrente di subentrare nel contratto. Da ciò si può dedurre la diversa natura di questa inefficacia, che non è sanzionatoria del comportamento della P.A. ma satisfattoria dell’interesse dell’aggiudicatario pretermesso, con la conseguenza che se il giudice non può dichiarare il subentro nel contratto del ricorrente vittorioso non può dichiarare neanche l’inefficacia del contratto. In tal caso troverà applicazione l’art. 34, comma 3, del c.p.a., a tenore del quale, quando nel corso del giudizio non risulta più utile per il ricorrente l’annullamento del provvedimento impugnato, il giudice ne accerta l’illegittimità se sussiste l’interesse a fini risarcitori. Sul punto la giurisprudenza (C.d.S. 2817/2011) ha affermato che il giudice dovrà convertire, anche d’ufficio, la domanda di annullamento del provvedimento impugnato in domanda di accertamento dell’illegittimità ai soli fini risarcitori. Anche in questo caso per le stesse ragioni su esposte la pronuncia che dichiara l’inefficacia del contratto ha natura costitutiva.
In ultimo, giova riportare l’ulteriore questione riguardante la possibilità che la dichiarazione di inefficacia (ex art.122), concepita come funzionale al subentro del ricorrente illegittimamente pretermesso nel contratto, e la sua conseguente portata conformativa (che impone alla P.A. di sostituire il contraente), costituisca condanna al risarcimento in forma specifica.
Ebbene, si sostiene che non sembra ragionevole ricondurre la dichiarazione di inefficacia del contratto, ed il connesso obbligo di far subentrare il ricorrente vittorioso, nella categoria del risarcimento del danno, perché la lesione del ricorrente consiste nel mancato conseguimento del bene della vita a cui si aspira, ossia il contratto, non già nel danno conseguente al mancato conseguimento del contratto da ristorare mediante il conseguimento dello stesso. Dunque, il conseguimento del contratto risulta essere l’effetto della tutela in forma specifica accordata dall’ordinamento alla situazione soggettiva lesa, piuttosto che il risarcimento in forma specifica conseguente a tale lesione. Del resto, anche la rubrica dell’art.124 c.p.a. depone in tal senso perché fa letteralmente riferimento alla “tutela”in forma specifica.
 
 
4. Annullamento dell’aggiudicazione in autotutela ed effetti sul contratto.
Orientamenti giurisprudenziali: effetto immediatamente caducante – esclusio ne in radice del potere di autotutela in materia di contratti pubblici.
 Dopo aver riportato sinteticamente le tesi principali sulla natura dell’inefficacia, in quanto soluzione adottata dal legislatore negli artt.121-122 c.p.a., che contemplano le ipotesi di dichiarazione di inefficacia del contratto in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione, occorre evidenziare la diversa incidenza che il provvedimento amministrativo di annullamento in autotutela ha sul contratto.
è noto che la P.A., qualora ricorrano i presupposti fissati dall’art.21-nonies della Legge 241/1990 (illegittimità, interesse pubblico attuale e concreto, interesse delle parti, termine ragionevole), può esercitare il potere di annullamento in autotutela attivando un procedimento di secondo grado, che ha per oggetto il riesame di un precedente provvedimento e che può, dunque, concludersi con l’annullamento dello stesso.
Pertanto, è possibile almeno secondo l’opinione dominante che il provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione definitiva adottato dalla P.A. in sede di autotutela comporti, diversamente dall’annullamento giurisdizionale, la caducazione automatica del contratto successivamente stipulato con l’aggiudicatario. E la ragione della perdita di efficacia del contratto, conseguente all’annullamento in autotutela del provvedimento di affidamento del contratto, risiederebbe nello stretto collegamento sostanziale che intercorre fra i due atti, aggiudicazione e contratto, dei quali il primo è presupposto del secondo, sicché “simul stabunt, simul cadent”. La giurisprudenza amministrativa prevalente, dunque, affermando proprio la rilevanza della stretta consequenzialità, intercorrente fra i due atti, e quindi della loro preordinazione funzionale, riconosce la caducazione automatica degli effetti derivanti dal contratto. Lo stesso orientamento giurisprudenziale, inoltre, muovendo dall’assunto secondo il quale l’atto di annullamento dell’aggiudicazione successivo al contratto ha la stessa natura giuridica del procedimento ad evidenza pubblica (pertanto espressione dell’esercizio di un potere pubblicistico) e rimarcando la compresenza inscindibile di un aspetto pubblico e privato nel rapporto fra P.A. ed aggiudicatario, afferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie concernenti l’annullamento in autotutela e le relative conseguenze. A sostegno di tale posizione viene richiamata la previsione dell’art.133 c.p.a, che, nell’estendere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla dichiarazione di inefficacia del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, non specifica la sede dell’annullamento. Perciò, può ragionevolmente intendersi che la norma si riferisce sia all’annullamento giurisdizionale, sia all’annullamento in autotutela.
Riguardo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dall’art.133 c.p.a. giova evidenziare che secondo un’autorevole dottrina al di là del nomen utilizzato dal legislatore si tratterebbe di una giurisdizione di merito, nonostante prevalga nell’ordinamento la tendenza a ridurre i casi di giurisdizione di merito, perché ritenuti contrastanti con il principio della separazione dei poteri.
Ciò in virtù del fatto che in caso di dichiarazione di inefficacia del contratto il giudice è indubbiamente chiamato ad operare una scelta in base ai presupposti fissati dalla legge; questi ultimi però richiedono una valutazione discrezionale circa l’opportunità e la convenienza della dichiarazione di inefficacia alla luce degli interessi comparati delle parti: si tratta quindi di una valutazione che si pone sulla stessa lunghezza d’onda della discrezionalità amministrativa.  
D’altronde, è bene anche ricordare che la suddetta estensione di giurisdizione del giudice amministrativo alla dichiarazione di inefficacia corrisponde all’esigenza di semplificazione e concentrazione delle tutele al fine di garantire la loro effettività, in sintonia con la stessa ratio che sottende le disposizioni degli artt.121e122, riguardanti le modalità di esercizio del potere del giudice di cognizione e decisione.
In più, riguardo alle medesime norme, occorre evidenziare che esse, in quanto di natura processuale, trovano piena applicazione anche in relazione ai contratti stipulati sulla base di aggiudicazioni annullate in un periodo precedente alla loro entrata in vigore, sempre che sia ancora controversa l’efficacia del contratto.
Diversamente opinando, e dunque non condividendo la tesi dell’effetto immediatamente caducante dell’annullamento in autotutela sul contratto successivamente stipulato, l’inefficacia dovrebbe conseguire soltanto in seguito ad una decisione (valutazione) del giudice amministrativo, secondo le modalità previste dagli artt.121 e 122. Né può ammettersi una diversa disciplina ché comporterebbe la reviviscenza del potere del giudice ordinario sulla sorte del contratto, allorquando l’annullamento dell’aggiudicazione sia il risultato dell’esercizio del potere di autotutela. Non solo, alla luce di questa argomentazione si potrebbe dubitare della stessa sussistenza in capo al giudice amministrativo del potere processuale, e come tale strumentale alla tutela delle parti, di dichiarare o non dichiarare l’inefficacia del contratto, dal momento che lo stesso potere sarebbe assorbito dall’esercizio del potere di autotutela.
Ebbene, sul tema in questione è opportuno richiamare anche gli orientamenti giurisprudenziali minoritari che, diversamente, alla luce della disciplina del Codice del Processo Amministrativo, escludono alla radice la sussistenza in capo alla P.A. del potere di annullare in autotutela l’aggiudicazione ed il conseguente contratto. Secondo una prima argomentazione la caducazione del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione deve necessariamente essere prevista dalla legge (come nell’ipotesi di fallimento o grave inadempimento dell’esecutore prevista dall’art. 140 del D.Lgs.163/2006). Pertanto, non essendoci alcuna norma che in caso di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione prevede l’automatico effetto caducante del contratto, si afferma che la P.A. difetti di tale potere e del suo conseguente effetto. Né la P.A. potrebbe esercitare i poteri analoghi riconosciuti in capo al giudice amministrativo, dal momento che quest’ultimo è chiamato a perseguire una finalità diversa ed estranea alla P.A., ossia oltre la finalità di bilanciare gli interessi contrapposti anche quella di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale. Tale argomentazione, però, non risulta decisiva perché l’art.11, comma 9, del D.Lgs.163/2006 prevede espressamente per la stazione appaltante l’esercizio del potere di autotutela dopo l’aggiudicazione definitiva nei casi consentiti dalla legge. Sicché non può certo affermarsi che la P.A. sia stata privata del potere di autotutela in questa materia, nonostante l’inciso della norma sia riferito all’esercizio del potere di autotutela in momento antecedente alla stipula del contratto. Inoltre, la fonte normativa della caducazione automatica del contratto è ravvisabile nell’art.125 c.p.c., a tenore del quale, in ipotesi di contratti pubblici riguardanti settori speciali, quali le infrastruttutre strategiche, l’annullamento dell’aggiudicazione non comporta la caducazione del contratto. Di conseguenza, si può affermare che a contrario in tutti gli altri casi l’annullamento determina la caducazione del conseguente contratto a causa della stretta connessione che intercorre fra i due atti.
E ancora, secondo un altro orientamento giurisprudenziale largamente minoritario, il fatto che negli artt.121 e 122 il legislatore non abbia menzionato accanto al potere discrezionale del giudice quello analogo (di autotutela) della P.A. di caducare il procedimento travolgendo il contratto ad esso conseguente, deve essere interpretato nel senso di una implicita esclusione in radice, dopo la stipulazione contrattuale, del potere ufficioso della P.A. di annullare l’aggiudicazione con un effetto caducante del contratto. Secondo tale impostazione, allora, la P.A. dovrebbe adire il giudice ordinario per ottenere una pronuncia che dichiari l’inefficacia del contratto, quando questa derivi dall’illegittimità, accertata in sede di autotutela, della procedura di evidenza pubblica. E la ragione del riconoscimento in capo al giudice ordinario della competenza a conoscere dell’esecuzione del contratto, e quindi a pronunciarsi sulla sorte dello stesso in caso di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione, risiederebbe nella natura degli interessi connessi all’esecuzione di un contratto. Con tale opzione, dunque, sarebbe esclusa la possibilità per la P.A. di incidere unilateralmente in sede di autotutela sul contratto. Per vero, una eventuale ed arbitraria incisione unilaterale sul contratto da parte della P.A. può essere contrastata dall’aggiudicatario impugnando entro il termine di decadenza (60 giorni) il provvedimento di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione.
Ad ogni buon conto questo canone interpretativo non sembra convincente prima di tutto perché disattende quella esigenza di concentrazione e semplificazione delle tutele, a cui tutta la disciplina del Codice del Processo Amministrativo si ispira per assicurare al privato cittadino una tutela piena ed effettiva nei confronti della P.A., così come espressamente previsto dall’art.1 del c.p.a.
E poi, sarebbe più ragionevole interpretare il silenzio delle norme in esame sul potere di autotutela della P.A. come conseguenza dell’estraneità di quest’ultimo rispetto alla materia disciplinata dal Codice del Processo Amministrativo, che ha per l’appunto recepito una direttiva comunitaria, contenente una disciplina di tipo processuale, e che per tale ragione può occuparsi soltanto del potere del giudice.
Il silenzio delle norme, dunque, non equivale ad escludere il potere amministrativo di caducare il contratto in conseguenza dell’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione, bensì corrisponde proprio alla tipologia delle norme in questione.
Del resto, la persistenza di tale potere in capo all’Amministrazione è confermata dall’art.1, comma 136, della legge finanziaria del 2005, che prevede espressamente il potere della P.A. di annullare d’ufficio i provvedimenti illegittimi, a cui accedono contratti o convenzioni, per conseguire risparmi o minori oneri finanziari con un limite economico (dell’indennizzo per l’eventuale pregiudizio patrimoniale) ed un limite temporale (non oltre tre anni dall’emanazione del provvedimento).
In ultimo, giova anche riportare quanto affermato da alcuni studiosi in punto di principi e regole che la P.A. deve rispettare nell’esercizio del potere di autotutela, coinvolgente l’aggiudicazione ed il contratto, alla luce della disciplina introdotta dagli att.121 e 122. Si afferma che queste norme sono strutturalmente omogenee alle norme che disciplinano l’autotutela decisoria della P.A. (artt. 21-quinquies, 21-nonies, L.241/1990), perché impongono al giudice una valutazione comparata degli interessi coinvolti e, pur essendo dirette al giudice, esprimono principi generali dell’ordinamento comunitario e nazionale, pertanto risultano applicabili anche alla P.A. In altri termini, la P.A. quando esercita il potere discrezionale volto all’annullamento dell’aggiudicazione deve valutare gli interessi dell’aggiudicatario non solo alla luce dei parametri fissati dalla Legge 241/1990, ma anche alla luce di quelli stabiliti dagli artt.121 e 122, che in tal caso si configurerebbero come norme speciali rispetto agli artt.21-quinquies e21-nonies.
Sicché, la comparazione degli interessi coinvolti, prevista per l’annullamento d’ufficio dall’art. 21-nonies, nel caso in cui l’annullamento abbia ad oggetto l’aggiudicazione, per poter risultare legittima deve essere effettuata dalla P.A. tenendo conto anche della sussistenza “di esigenze imperative”, dello stato di esecuzione del contratto e della proporzione tra interesse economico della P.A. e sacrificio richiesto al privato (che legittimamente abbia fatto affidamento sul contratto portandolo ad esecuzione).