1. Alla ricerca dell’apriscatole giuridico
è nota la storiella raccontata nella prefazione all’ “Introduzione all’analisi economica del diritto” di A. Mitchell Polinsky. Un chimico, un fisico e un economista naufragano su un’isola deserta avendo in dotazione solo una scatola di fagioli per sfamarsi. Il chimico e il fisico, uomini del fare, si industriano per aprirla senza disperderne il prezioso contenuto. L’economista, uomo del pensiero, dichiara trionfale : “Assumiamo di avere un apriscatole”.
Non è una storia particolarmente divertente, ma fotografa il sogno di ogni giurista degno di questo nome: avere a disposizione un apriscatole giuridico, ossia una legge capace di risolvere i problemi della società e di placare le ansie dell’ uomo.
E’ l’ansia della riforma risolutiva.
Il codice dei contratti ha messo a punto dalla coraggiosa squadra capitanata dall’eroico Presidente Luigi Carbone sarà in grado di migliorare la qualità e l’efficienza delle gare pubbliche per portare un contributo serio alla crescita del Paese?
Sarà la legge non interpretabile di Voltaire?
Incarnerà il mito crociano della legislazione che produce spontanea e convinta obbedienza del cittadino?
Sempre improba l’”ars divinandi”, ma le premesse ci sono tutte.
2 Un cambio di paradigma
Il nuovo codice si segnala per un cambio di paradigma politico, ideologico, assiologico, persino filosofico.
Negli scorsi anni il diritto dei contratti pubblici è stato percepito, a tutti gli effetti, quale branca del diritto della concorrenza ispirata a principi unionali che impongono un’interpretazione estensiva e un’applicazione analogica dell’obbligo di ricorrere a procedura pro-competitive e concorrenziali (cd. “concorrenza imposta”).
La riforma in atto cambia paradigma. E lo fa in mood netto, senza timidezze, alieno dai giochi di parole
La centralità plastica del principio di risultato di cui all’articolo 1 dimostra, infatti, che il diritto dei contratti pubblici non è più un settore del diritto comunitario della concorrenza (cd. “ concorrenza imposta” agli agenti pubblici, naturaliter refrattari alla logiche della competizione e alla pressione del mercato), ma un capitolo fondamentale del diritto amministrativo nazionale. La concorrenza non è, quindi, fine o bene, ma mezzo per perseguire lo scopo del soddisfacimento dell’ interesse pubblico attraverso contratti utili e produttivi. Il diritto dei contratti pubblici regola, quindi, un’azione schiettamente amministrativa di cura concreta dell’interesse pubblico. La procedura costituisce strada per l’obiettivo del benessere sociale, veicolo della felicità individuale, mezzo per le utilità collettive. L’obiettivo non è la gara, ma la stipulazione di un negozio che assicuri prestazioni utili con il miglior rapporto qualità-prezzo-tempo, in omaggio al teorema di Coase sull’efficiente allocazione delle risorse in base alla relazione prezzo/valore.
Smaltita anche la sbornia della stagione penalistica post “Mani Pulite”, la concorrenza è, quindi, interesse da contemperare, metodo da calibrare, non fede da celebrare, rito da mitizzare, valore assoluto e intransigente da consacrare.
La concorrenza non serve alla concorrenza, esattamente come la gara non è funzionale alla gara (F. Cintioli, Per qualche gara in più).
Si tratta di strumenti, pur se preziosi, per il perseguimento di obiettivi efficienti in termini di amministrazione di risultato.
3.Dalla concorrenza assoluta alla concorrenza regolata
Il principio del risultato, quale direttiva regolatrice e parametro di legittimità dell’ azione amministrativa segna, allora, il passaggio dalla concorrenza assoluta alla concorrenza regolata.
Nel rispetto dei vincoli di legge spettano, infatti , alla discrezionalità amministrativa la graduazione e il dosaggio della competizione in modo da renderla funzionale e proporzionata alle esigenze da soddisfare. Tramontata l’epoca dell’iper-regolamentazione e l’ostracismo per le scelte, torna a campeggiare il primato della decisione amministrativa, chiamata a utilizzare la leva del mercato in una delicata azione di balancing focalizzata sulla specialità infungibile del caso concreto.
Un atto di stima, se non una dichiarazione d’amore per la capacità amministrativa di produrre norme concrete efficaci attraverso l’uso appropriato del potere di ponderazione.
Al centro del nuovo progetto si staglia, allora, la discrezionalità, nelle sue molteplici angolazioni.
Proviamo ad esplorarne tre.
3.1. Discrezionalità nella decisione sul ricorso al mercato
La prima è la discrezionalità nel decidere se rivolgersi al mercato.
Sappiamo che le norme europee sui contratti pubblici, infatti, disciplinano, ma non impongono il ricorso al mercato.
L’articolo 7 dello schema di codice non solo chiarisce, in questo quadro, che l’auto-produzione è una legittima alternativa alle procedure di outsourcing (Corte Cost. 100/2020; Corte Giust, IX, 6 febbraio 2020, cause riunite da c 89/19 a 91/2019), ma, in chiave innovativa rispetto al vigente testo di legge, prevede che l’ in house providing non è un’eccezione blasfema da sottoporre a regimi autorizzarti e regimi limitativi, ma via ordinariamente percorribile ove giustificata da un discrezionale apprezzamento dei bisogni e delle opportunità.
In questa prospettiva estensiva, può essere utile ricordare il recente e pregnante insegnamento della Corte di Giustizia secondo cui i requisiti dell’affidamento in house devono sussistere non solo via genetica, ma anche in chiave funzionale in quanto il valore della concorrenza osta a che la gestione di un servizio pubblico possa proseguire da parte di un operatore non più sottoposto a controllo analogo ex art. 12 della direttiva 24/2014 (Corte Giust. IV 12 maggio 2022, C-719/20). In definitiva, la direttiva 2014/24 osta a che l’esecuzione di un appalto pubblico che sia stato oggetto di affidamento in house, prosegua, senza indizione di gara, qualora l’amministrazione aggiudicatrice ( a seguito della vendita con gara della partecipata)non possieda più alcune partecipazione, neppure indiretta, nell’ente affidatario e non disponga più di alcun controllo su quest’ultimo (e tanto in base a un’interpretazione restrittiva e pro-concorrenziale dei requisiti dell’affidamento diretto secondo cui l’acquisizione privata della società pubblica durante l’appalto integra il cambiamento di una condizione fondamentale del contratto che impedisce l’assimilazione del nuovo ente affidatario ai servizi interni dell’amministrazione aggiudicatrice.
3.2. Discrezionalità nella scelta del contratto
E’ nota la lezione gianniana secondo cui il sintagma “contratto pubblico” è un ossimoro apparente. Trattati, infatti, di un’anomalia solo nominalistica che va sciolta sulla base della teoria della doppia capacità (art.11 cc) dei public bodies, da cui si ricava che la PA, oltre che autorità pubblica minute della clava del potere , è anche soggetto di diritto comune, titolare di una generale capacità privatistica (“L’’attività privatistica ha carattere istituzionale”, osserva Giannini).
L’articolo 8 del nuovo codice (Principio di autonomia contrattuale) ribadisce, allora, in modo netto e meritorio, che i “public bodies” sono dotati di una diffusa autonomia negoziale che non è sottoposta a generali limiti quantitativi o tipologici, ma solo, oltre che a norme speciali limitative (cd “riduttive della capacità”) ex articolo 1418, primo comma, c.c., al limite teleologico del ‘vincolo di scopo” (“nec ultra vires”). Sono, quindi, praticabili, sulla scorta di un’ampia valutazione discrezionalità comparativa, in assenza di divieti specifici (come per i contrati di società ex art. 4 del TU 175/2016 e per i derivati finanziari ex lege 147/2013), tutti i contratti- anche liberali, gratuiti, atipici e misti- che, in concreto, siano sorretti da una causa compatibile con gli scopi istituzionali, comprese donazioni, fideiussioni, sponsorizzazioni con clausole di tesoreria, advising, brokeraggio, acquisto di cosa futura, contratti in favore di terzi e aleatori
La riforma ci regala, allora, un’amministrazione munita di una generale autonomia negoziale che le consente di affiancare all’attività privata, diretta alla cura dei propri interessi nel disimpegno di attività di ordine interno (cosiddetta attività strumentale per il funzionamento degli uffici pubblici), anche l’attività in forma privata, ossia un’attività funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico e alla cura dell’interesse collettivo; il singolo contratto è, ex se, atto di diritto privato, ma l’attività contrattuale ne suo complesso è attività amministrativa, ossia esercizio di funzione pubblica in quanto soggetta a vincolo di scopo (cd. attività di diritto privato equivalente, da distinguere da quella di diritto privato istituzionale che caratterizza i soggetti pubblici che agiscono essenzialmente con strumenti di diritto comune, come nel caso degli enti pubblici economici e delle società pubbliche).
La meritoria e coraggiosa enunciazione del principio di autonomia contrattuale, ex art. 8 cit., precisa, in definitiva, che la funzionalità dell’attività contrattuale non si traduce certo nella tipicità e nominatività dei modelli e dei contenuti, ma nella vincolo funzionale di coerenza della scelta con i fini istituzionalmente fissati e, quindi, nella ragionevolezza della scelta discrezionale del decisore pubblico.
3.3. Discrezionalità nella scelta e nella gestione del modello di affidamento
L’essenza della nuova impostazione si manifesta, poi, nella latitudine della crescente discrezionalità che, in pieno ossequio al divieto di gold plating e in un quadro di eliminazione di vincoli puntuali non imposti dalla normativa europea, si annida nella “decisione” (termine ex art. 17, assai evocativo, che distingue e la vecchia “determinazione” a contrare)in ordine al contenuto del contratto e al modello procedurale. Spicca, poi, una tendenza alla semplificazione, testimoniata, per un verso, dal potenziamento degli affidamenti diretti del tutto deproceduralizzati per gli appalti sotto-soglia (non a caso non considerati più vere “procedure”) e dalla manifestazione del favor verso procedure “chiavi in mano” come l’accresciuto appalto integrato e il resuscitato “general contractor”.
4 I I temperamenti alla discrezionalità
La discrezionalità illimitata è, tuttavia, arbitrio e potenziale sopruso. Pertanto, la creazione degli spazi astratti concessi alla riserva amministrativa implica, fatalmente, limiti e compensazioni volti a garantire il virtuoso utilizzo della libertà d’azione
4.1. Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità
In prima battuta, emerge l’esigenza di un controllo rigoroso, in sede giurisdizionale, sulla discrezionalità amministrativa con il grimaldello dell’eccesso di potere forgiato dalla qualificazione del “principio di risultato di potere” come tegola di legittimità.
E’, poi, pregnante, con riguardo a procedure connotate da significativi margini di esercizio della discrezionalità tecnica, la necessità di un controllo intrinseco sulla discrezionalità tecnica esercitato con l’uso di regole tecniche e non di parametri schiettamente giuridici.
Si ricordi di recente la recente decisione (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624), secondo cui, a differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa») ‒ dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ‘ragionevole’ ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme ‒ le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica») vanno vagliate al lume del diverso e più severo parametro della ‘attendibilità’ tecnico-scientifica; è, quindi, ben possibile per l’interessato – oltre a far valere il rispetto delle garanzie formali e procedimentali strumentali alla tutela della propria posizione giuridica e gli indici di eccesso di potere ‒ contestare ab intrinseco il nucleo dell’apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l’onere di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica. Se questo onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato.
4.2. Responsabilità e tutela dell’affidamento
Particolarmente incisiva è, poi, l’affermazione della responsabilità della stazione appaltante non solo per l’illegittimità degli atti, ma anche per la non tempestività delle procedure (arg ex art. 17 ove si prevede un termine sollecitatorio sanzionato con il silenzio-inadempimento) e per la violazione dei canoni di correttezza delle condotte sul piano della buona fede e dell’affidamento (art. 10).
4.3. La trasparenza rende il potere amministrativo democratico
“Il potere amministrativo e’ autoritario per il solo fatto di essere invisibile.”
Le graffianti parole di Norberto Bobbio ci insegnano che nel mistero si annida la sopraffazione, mentre il bacino di coltura della democrazia è la casa di vetro cara a Mario Nigro, padre spirituale della legge n. 241/1990.
Il moderno rapporto amministrativo, plasmato dallo “jus comune europaeum” non più alla stregua di soggezione unilaterale dominata “a latere principis” , ma come autentica relazione calibrata “a latere civis”, impone, infatti, la soggezione dell’agire pubblicistico a canoni di pubblicità che consentano al singolo di elevarsi dalla condizione di suddito e di acquistare lo “status” di cittadino.
La piena informazione sulle dinamiche del potere e sulle variabili dell’azione pubblica assurge, quindi, a elemento costitutivo del moderno Stato di diritto, che investe le nozione e la funzione del diritto amministrativo: non più strumento dispotico usato dal potere per annichilire i diritti dei singoli, ma veicolo illuministico adoperato dal potere per soddisfare i diritti e nutrire le libertà.
Non il potere contro i diritti, ma i diritti serviti dal potere, direbbe Romagnosi.
La piena consapevolezza dell’individuo in merito allo svolgersi dell’azione del “public power” si atteggia, in questo contesto, a veicolo per ribaltare la visione gerarchica che mette l’interesse pubblico in una condizione di estraneità e superiorità rispetto all’interesse privato, per assecondare uva concezione moderna che postula la compenetrazione dell’uno nell’altro come interessi dotati di pari dignità e impreziositi dello stesso valore.
Il cittadino informato può allora dialogare in termini effettivi con l’autorità, vincendo l’amara visione di Carlo Rosselli secondo cui nei confronti del potere l’italiano medio mostra, alternativamente ma con uguale sterilità, “la rassegnazione della pecora o la ribellione dell’anarchico.”
Conoscenza vuol dire consapevolezza, democrazia, dinamismo, capacità di controllo e atteggiamento critico volto a verificare il corretto esercizio delega da parte del titolare reale della sovranità.
In questo quadro ben si comprende la portata delle innovazioni, di matrice unionale, recepite del nuovo codice dei contratti pubblici, che hanno trasformato l’accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni dei “public bodies” da istanza conoscitiva del titolare di un interesse egoistico ad ansia collaborativa del cittadino ansioso di collaborare, nella qualità di cittadino, alla gestione dell’interesse collettivo.
L’accento posto dal codice in gestazione su trasparenza, motivazione e informatica, consente di segnare una tappa saliente nel processo faticoso volto trasformare la pubblica amministrazione da luogo oscuro in casa di vetro e il potere amministrativo da meccanismo segreto in funzione conoscibile, controllabile e trasparente. Si può anche dire che si tratta di una tappa importante in direzione della democrazia, alla luce della citata lezione di Bobbio secondo cui la trasparenza distingue gli ordinamenti democratici da quelli autoritari, nei quali il segreto è la regola, la conoscibilità, l’eccezione. Un potere invisibile, si è già’ detto, è il contrario della democrazia, un potere trasparente è solo per questo democratico. Un’attività amministrativa ispirata ai principi di partecipazione, motivazione, accessibilità e condivisione è espressione di un potere amministrativo vicino al cittadino, come tale democraticamente legittimo e legittimato.
5.Conclusioni
Questo codice presenta il merito incommensurabile di non essere stato inficiato dalla mia partecipazione in sede redigente. Posso però assicurare il mio contributo, fatalmente imperfetto ma sicuramente appassionato, all’interpretazione e all’applicazione di una riforma dalla cui buona riuscita dipende, in misura cospicua, il futuro economico e sociale del nostro meraviglioso Paese.