Cons. Stato, Sez. V, 18 aprile 2025 n. 3418

  1. Presupposto per l’operatività della causa escludente è infatti quello per cui la liquidazione giudiziale (e in precedenza il fallimento), oltre alle procedure indicate, determina la perdita dell’amministrazione e della disponibilità dei beni da parte del titolare dell’impresa, con nomina di un curatore che agisce a tutela dell’interesse dei creditori, superando la precedente prospettiva dell’interesse dell’impresa, in funzione della quale è stata decisa la partecipazione alla gara pubblica.
  2. Nel caso di specie il rischio non si concretizza dal momento che il contratto di affitto di ramo di azienda stipulato dal Consorzio stabile con altra società, sottoposta a liquidazione giudiziale, è soggetto alla specifica disciplina recata dall’art. 184 del d.lgs n. 14/2019 (che non impedisce la continuazione e quindi la conservazione dei requisiti di partecipazione).

Guida alla lettura

Con la sentenza in rassegna, la V Sezione del Consiglio di Stato ha affrontato il delicato tema della possibilità per gli operatori economici in stato di crisi di partecipare a gare pubbliche.

La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte dell’operatore economico secondo classificato, del provvedimento di aggiudicazione di un appalto di servizi in favore di un Consorzio stabile che si è avvalso, per i requisiti di capacità tecnica e professionale di un contratto di affitto di ramo d’azienda con altra società in stato di liquidazione giudiziale.

Il Collegio ha rigettato il ricorso, ritenendo che nel caso di specie, non si fosse concretizzato il rischio di impedimento dell’esecuzione del contratto.

Per comprendere le ragioni della decisione, è opportuno ricostruire il quadro normativo di riferimento. La sentenza si fonda principalmente sull’art. 94, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 36 del 2023 il quale prevede l’esclusione automatica dalla partecipazione alle gare dell’operatore economico che si trovi in stato di liquidazione giudiziale, liquidazione coatta, concordato preventivo o che abbia pendente una domanda per accedere a tali procedure. Tuttavia, detta esclusione è derogabile nei casi in cui intervengano specifici provvedimenti autorizzativi da parte del giudice della crisi, come previsti dall’art. 95 del d.lgs. n. 14 del 2019 e dall’art. 186-bis r.d. n. 267/1942.

Nel caso esaminato, l’impresa partecipante alla gara pubblica operava tramite affitto di ramo d’azienda da una società sottoposta a liquidazione giudiziale. La stazione appaltante aveva dubitato della legittimità della partecipazione, ritenendo che la situazione del concedente integrasse la causa di esclusione automatica. Il Consiglio di Stato ha però chiarito che, ai sensi dell’art. 184 del d.lgs. n. 14/2019, il contratto di affitto di ramo d’azienda non viene automaticamente meno con l’apertura della liquidazione giudiziale e non determina ex se l’inaffidabilità del concorrente.

La Sezione V ricorda come la ratio dell’esclusione automatica sia da rinvenirsi nel timore che un operatore in crisi non garantisca l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali. Tuttavia, tale presunzione di inaffidabilità deve essere modulata sulla base della possibilità che il giudice della crisi autorizzi l’impresa a partecipare alla gara. In altri termini, ai fini dell’esclusione dalla gara, l’elemento dirimente non è la condizione soggettiva dell’imprenditore, ma l’affidabilità del soggetto rispetto allo specifico contratto oggetto della gara. A tal fine, il Consiglio di Stato evidenzia che nel contratto di affitto d’azienda, l’impresa concedente (in stato di liquidazione giudiziale) assume la veste di creditore del canone d’affitto, mentre è l’affittuario ad assumere in proprio la responsabilità dell’esercizio d’impresa. Pertanto, la posizione soggettiva della società in crisi non influisce sulla capacità tecnica e organizzativa del soggetto partecipante alla gara, che resta titolare dei requisiti di carattere tecnico e professionale.

Il Consiglio di Stato ha statuito, quindi, che non è lo stato di crisi in sé ad escludere un operatore, ma la mancata autorizzazione giudiziale che ne attesti l’idoneità a partecipare, introducendo un giudizio prognostico qualificato sull’affidabilità futura dell’impresa, ponendosi in linea con la direttiva UE 2019/1023, che cerca di coniugare rigore e apertura, legalità e pragmatismo.

Viene, pertanto, superata l’antinomia tra procedure concorsuali e contratti pubblici (risalente all’art. 68 del r.d. 827/1924), che vedeva l’impresa in crisi come automaticamente inidonea. Questa lettura si dimostra conforme al diritto euro unitario, che rimette agli Stati membri il bilanciamento fra tutela del mercato e salvaguardia dell’economia reale. Il Consiglio ribadisce che le norme europee consentono agli Stati di adottare regimi flessibili di esclusione, basati su esigenze interne, senza imporre automatismi.

 

 

Pubblicato il 18/04/2025

N. 03418/2025REG.PROV.COLL.

N. 08981/2024 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8981 del 2024, proposto da

Consorzio Istant Service s.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG A024B910DC, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Clarizia ed Enzo Perrettini, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde n.2;

contro

Ministero della cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero della cultura - Istituto Villa Adriana e Villa D'Este, non costituito in giudizio;

nei confronti

Consorzio Stabile Eternity s.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Simone Abrate, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 15416/2024, resa tra le parti,

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della cultura e di Consorzio Stabile Eternity s.c. a r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2025 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati Perrettini, Abrate e dello Stato Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La controversia riguarda la procedura aperta per l’affidamento del servizio di “pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este”, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ai sensi dell’art. 71 del d. lgs. n. 36 del 2023, per una base d’asta di euro 643.715,60 (oltre IVA), per la durata di un anno e con la previsione della “possibilità di rinnovo, a discrezione dell’Ente, per ulteriori due anni”, indetta con determina n. 203 del 27 ottobre 2023 dall’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este.

2. Con determina n. 48 del 19 marzo 2023, comunicata in pari data agli operatori economici ex art. 90 comma 1 lett. b) e c) d. lgs. n. 36 del 2023, è stata disposta l’aggiudicazione dell’appalto in favore del Consorzio stabile Eternity s.c.a.r.l. (di seguito: “Consorzio stabile”), risultato primo classificato con un punteggio complessivo di 90,56 punti.

3. Consorzio Istant Service s.c.a.r.l. (di seguito: “Consorzio Istant”), classificatosi al secondo posto della graduatoria con il punteggio di 88,98 punti, dopo aver presentato due istanze di accesso agli atti (rispettivamente nelle date 20 marzo 2024 e 9 aprile 2024), parzialmente riscontrate dalla stazione appaltante, ha impugnato la suddetta determina di aggiudicazione e la relativa comunicazione del 19 marzo 2024, unitamente a:

- i verbali di gara n. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, nella parte nella quale ammettono e/o non escludono il Consorzio Stabile Eternity Scarl e/o assoggettano la sua offerta a valutazione e attribuzione di punteggio;

- il verbale n. 5 del 23 gennaio 2024, recante la graduatoria provvisoria;

- ogni altro atto presupposto, antecedente, consequenziale o, comunque, connesso alla procedura ivi impugnata, compresi il Verbale n. 6 del 25.1.2024, recante “Verifica spiegazioni all'offerta della società Consorzio Stabile Eternity Scarl e adempimenti connessi e conseguenti”, e la Relazione finale del RUP, con la quale questo ha comunicato l'esito positivo della verifica di congruità effettuata sull'offerta anomala presentata dal concorrente Consorzio Stabile Eternity Scarl; - della nota 697-P del 27.3.2024 e della nota prot. n. 780-P del 10.4.2024, con le quali la Stazione appaltante ha negato l'accesso all'offerta tecnica, ai giustificativi resi dall'aggiudicatario nel subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta e ai documenti a comprova del possesso, da parte di quest'ultimo, dei requisiti di ordine generale;

- all'occorrenza, il bando, il disciplinare e tutti gli atti e documenti facenti parte della lex specialis, nelle parti di interesse.

Con il medesimo ricorso il Consorzio Istant ha chiesto:

- la declaratoria di inefficacia o, comunque, per la caducazione del contratto di appalto, ove stipulato, e per il risarcimento in forma specifica consistente nell'aggiudicazione in favore della ricorrente con subentro;

- la condanna della Stazione Appaltante all'esibizione ai sensi dell'art. 116 c.p.a. della documentazione richiesta con istanze del 20.3.2024 e 5.4.2024, allo stato resa disponibile solo parzialmente, e per l'accoglimento dell'istanza istruttoria ai sensi dell'art. 65 c.p.a., affinchè sia ordinata alla Stazione appaltante la produzione in giudizio di tutta la documentazione di gara, ivi compresa l'offerta tecnica prodotta in gara e i giustificativi in versione non oscurata, indispensabili per la tutela giurisdizionale richiesta.

4. Con motivi aggiunti Consorzio Istant ha impugnato, oltre agli atti già gravati, altresì:

- la nota del Ministero della cultura – Istituto Villa Adriana e Villa D'Este prot. n. 870-P del 23.4.2024, con la quale la Stazione appaltante ha osteso “le spiegazioni rese dall'aggiudicatario, in relazione al sub-procedimento di anomalia dell'offerta ex art. 110 D.Lgs. 36/23, instaurato dallo scrivente RUP nei confronti del Consorzio Stabile Eternity” e ha negato l'accesso all'offerta tecnica dell'operatore economico aggiudicatario e alla documentazione a comprova circa il possesso da parte di quest'ultimo dei requisiti di ordine generale.

5. Il Tar Lazio – Roma, con sentenza 29 luglio 2024 n. 15416, ha respinto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.

6. Consorzio Istant ha appellato la sentenza con ricorso n. 8981 del 2024.

7. Nel corso del presente grado di giudizio si sono costituiti il Ministero della cultura e il Consorzio stabile.

8. All’udienza del 3 aprile 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. L’appello è infondato.

10. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto infondata la censura di difetto dei requisiti di capacità tecnica e professionale da parte del Consorzio stabile, che si è avvalsa a tal fine di un contratto di affitto di ramo d’azienda con altra società. E ciò in quanto:

- il contratto di affitto ha durata biennale, inferiore a quella (di tre anni) prevista dall’art. 16, co. 9, dell’Allegato II.12 al d. lgs. n. 36/2023;

- l’Amministrazione non avrebbe verificato il possesso dei requisiti di carattere generale da parte della società affittante;

- l’Amministrazione non avrebbe verificato il possesso dei requisiti di carattere generale da parte dell’aggiudicataria, in asserita violazione dell’art. 99 del d. lgs. n. 36 del 2023.

10.1. Il motivo è infondato. Ciò esime il Collegio dal valutare le eccezioni di inammissibilità del motivo e di alcuni profili dello stesso.

10.2. In base all’art. 16 comma 9 dell’Allegato II.12 al d. lgs. n. 36 del 2023, recante “Sistema di qualificazione e requisiti per gli esecutori di lavori” (come già il precedente art. 76 comma 9 del d.P.R. n. 207 del 2010), in caso di affitto di azienda, “l'affittuario può avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa locatrice se il contratto di affitto abbia durata non inferiore a tre anni”.

In particolare il requisito può essere integrato a mezzo di affitto d’azienda “a prescindere dalla perfetta sovrapponibilità temporale tra la durata dell’affitto e quella dell’affidamento” (Cons. St., sez. V, 15 febbraio 2021 n. 1335), in quanto, “Una volta soddisfatto tale requisito, non è consentito indagare oltre circa l’esatta corrispondenza tra durata dei due rapporti contratti (contratto di affitto e contratto di appalto)” (Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2020, n. 3585).

La previsione, dettata per gli appalti di lavori, è ritenuta applicabile, dalla giurisprudenza formatasi sulla base della previgente, e analoga, previsione, anche all’appalto di servizi (Cons. St., sez. V, 17 giugno 2022 n. 4967 e 4 febbraio 2019, n. 827).

Essa è infatti espressione di un principio generale, che consente all’operatore economico di avvalersi, a determinate condizioni, dell’affitto del ramo d’azienda ai fini dell’attestazione di possesso dei requisiti di qualificazione, così fissando, per gli appalti di lavori, il punto di equilibrio fra favor partecipationis e tendenziale stabilità del requisito.

In particolare, decidendo in merito a un appalto di servizi, la Sezione ha ritenuto che “la regola iuris di cui trattasi è logicamente concepibile e quindi valevole solo se riferita ai requisiti connessi ad affidamenti di durata pari o superiore a 3 anni”. Mentre, nel caso di un servizio avente durata inferiore, è sufficiente che l’affitto abbia durata “superiore alla durata dell’appalto” (Cons. St., sez. V, 17 giugno 2022 n. 4967).

In caso di appalti di servizi di durata inferiore a tre anni, come è quello de quo¸ l’applicazione in via di principio della norma richiede che la durata del contratto di affitto “sia almeno pari a quella dell’affidamento”, come nel caso di specie.

Né la circostanza che il ramo d’azienda sia stato successivamente venduto al Consorzio stabile (come da comunicazione 10 luglio 2024) depone in senso contrario (così esimendo il Collegio dal valutare l’ammissibilità della deduzione), in quanto rende stabile il rapporto fra il ramo di azienda e il Consorzio aggiudicatario, così assorbendo il profilo della durata del contratto di affitto, funzionale proprio ad assicurare un’idonea solidità a detta relazione (allorquando è funzionale al “prestito” dei requisiti di carattere speciale).

Pertanto la censura (la prima contenuta nel motivo in esame) è infondata, atteso che si appunta sull’impossibilità di spendere, ai fini della sussistenza dei requisiti di capacità tecnica e professionale, un contratto di affitto di ramo di azienda avente durata inferiore al triennio.

In tali termini è stata infatti formulata la censura in primo grado (il contratto di affitto “ha una durata inferiore a quella minima di tre anni”) e nel ricorso in appello (“il contratto di affitto ha durata biennale, inferiore a quella minima ex lege di tre anni”).

Solo con memoria 21 marzo 2025 il Consorzio Istant ha infatti dedotto che “il motivo d’appello è comunque fondato” sul punto, “anche a voler (quod non) accedere all’interpretazione della norma effettuata ex adverso”, aggiungendo che “il contratto d’affitto “scadeva” il 31 dicembre 2024, ossia prima della scadenza annuale del contratto d’appalto”.

Senonché la doglianza relativa all’impossibilità di spendere i requisiti “portati” dalla società affittante non è stata formulata in ragione della scadenza del contratto di affitto prima della scadenza del termine annuale dell’appalto (sul quale si richiama la giurisprudenza citata sopra), aggiunta solo con memoria, ma in ragione della durata inferiore al triennio del primo.

Peraltro il contratto di affitto prevede il rinnovo tacito per ulteriori due anni se non disdettato entro il 31 ottobre 2024 (sul punto si richiama Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2019 n. 827).

10.3. E’ altresì infondata la seconda censura contenuta nel motivo in esame, che si appunta sull’omessa verifica verificato del possesso dei requisiti di carattere generale da parte della società affittante, dedotta in particolare in riferimento all’asserita carenza del requisito di carattere generale di cui all’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023 in quanto “assoggettata alla procedura di liquidazione giudiziale” e all’asserito mancato possesso del DURC e omessa corresponsione delle retribuzioni (“non aveva il DURC regolare e non pagava gli stipendi”).

Quanto al primo profilo di detta censura non è controverso che la società affittante è stata sottoposta a liquidazione giudiziale.

10.4. Detta circostanza non impedisce all’offerente di potersi avvalere dei requisiti posseduti dall'impresa affittante.

Nel caso di specie l’operatore economico soggetto alla liquidazione giudiziale non è l’offerente ma un soggetto terzo, collegato all’offerente da un contratto di affitto di ramo d’azienda (funzionale alla spendita dei requisiti posseduti dalla società affittante).

In caso di affitto di ramo d’azienda l’art. 184 comma 1 del d. lgs. n. 14 del 2019 dispone che “L'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non scioglie il contratto di affitto d'azienda, ma il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può recedere entro sessanta giorni […]”.

Sicché esiste una disposizione specifica che stabilisce come la liquidazione giudiziale non costituisce di per sé causa di scioglimento del contratto di affitto di ramo di azienda.

La disposizione è determinante nel caso di specie, atteso che la relazione esistente fra la società affittante e il Consorzio stabile (che consente a quest’ultimo di avvalersi dei requisiti di capacità della prima) è il contratto di affitto di ramo d’azienda.

Non osta a tal fine la disciplina contenuta nell’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023. E ciò anche tenendo conto della regola in base alla quale il soggetto che presta le qualificazioni deve essere in possesso dei requisiti di ordine generale, così come l’operatore che presenta l’offerta.

Ai sensi dell’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023 è escluso dalla partecipazione alle gare l’operatore economico che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale (o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l’accesso a una di tali procedure), fermo restando quanto previsto dall’art. 95 del d.lgs. n. 14 del 2019, dall’art. 186 bis comma 5 del r.d. n. 267 del 1942 e dall’art. 124 del d.lgs. n. 36 del 2023, con la precisazione che l’esclusione non opera se, entro la data dell’aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all’art. 186 bis comma 4 del r.d. n. 267 del 1942 e all’art. 95 commi 3 e 4 del d.lgs. n. 14 del 2019, a meno che non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali.

L’antinomia tradizionalmente sussistente fra procedure concorsuali e procedure ad evidenza pubblica, risalente all’art. 68 del r.d. n- 827 del 1924, e più di recente disciplinata dall’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 e successivamente dall’art. 80 comma 5 lett. b) e 110 del d. lgs. n. 50 del 2016 (così come successivamente modificai, anche a seguito del d. lgs. n. 14 del 2019), tutela l’esigenza di garantire la solidità imprenditoriale del futuro contraente, al fine di evitare che le amministrazioni abbiano come controparte contrattuale un soggetto inaffidabile, che non dia garanzia di esatto adempimento, con pericoli di compromissione dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento.

Presupposto per l’operatività della causa escludente è infatti quello per cui la liquidazione giudiziale (e in precedenza il fallimento), oltre alle altre procedure indicate, determina la perdita dell’amministrazione e della disponibilità dei beni da parte del titolare dell’impresa, con nomina di un curatore che agisce a tutela dell’interesse dei creditori, superando la precedente prospettiva dell’interesse dell’impresa, in funzione della quale è stata decisa la partecipazione alla gara pubblica.

Infatti, se la liquidazione giudiziale, la liquidazione coatta e il concordato preventivo intervengono in fase esecutiva l’Amministrazione provvede a stipulare un nuovo contratto sulla base della graduatoria “se tecnicamente ed economicamente possibile” (art. 124 comma 1 del d. lgs. n. 36 del 2023), fatta salva la specifica disciplina dettata per il concordato preventivo (artt. 95 commi 3 e 4 e 124 comma 5 del d. lgs. n. 14 del 2019) e la procedura di liquidazione giudiziale con autorizzazione all'esercizio provvisorio dell'impresa (art. 124 comma 4 del d. lgs. n. 14 del 2019).

Pertanto la ratio della causa escludente consiste nella volontà di evitare il rischio di un impedimento all’esecuzione del contratto.

Nel caso di specie il rischio non si concretizza dal momento che il contratto di affitto di ramo di azienda stipulato dal Consorzio stabile con altra società, sottoposta a liquidazione giudiziale, è soggetto alla specifica disciplina recata dall’art. 184 del d. lgs. n. 14 del 2019 (che non ne impedisce la continuazione e quindi la conservazione dei requisiti di partecipazione).

La stessa evoluzione della causa escludente correlata alla situazione di crisi dell’impresa in gara evidenzia una prospettiva che si appunta sulla necessità di valutare lo specifico contratto coinvolto, e non solo la situazione soggettiva di crisi dell’impresa nel suo complesso.

La causa di esclusione di cui all’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023, riferita ai casi di ricorrenza delle situazioni di liquidazione giudiziale, di stato di liquidazione coatta, di concordato preventivo e di pendenza di un procedimento per l’accesso a una di tali procedure, non opera infatti se, entro la data dell’aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all’art. 186 bis comma 4 del r.d. n. 267 del 1942 e all’art. 95 commi 3 e 4 del d.lgs. n. 14 del 2019.

Ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 95 del d.lgs. n. 14 del 2019 (recante “Disposizioni speciali per i contratti con le pubbliche amministrazioni”), depositata la domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale, “la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato”, alle condizioni ivi previste.

Pertanto, nel caso intervenga detta autorizzazione, la causa di esclusione di cui al comma 5 lett. d) dell’art. 94 del d. lgs. n. 36 del 2023 non si perfeziona.

L’antinomia tradizionalmente sussistente fra procedure concorsuali e procedure ad evidenza pubblica (risalente all’art. 68 del r.d. n. 827 del 1924) ha subito quindi un’evoluzione, dapprima con riferimento al concordato preventivo, in costanza del quale la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal giudice (art. 186-bis comma 5 del r.d. n. 267 del 1942), e attualmente in base all’art. 95 del d.lgs. n. 14 del 2019.

Quest’ultimo prevede la possibilità di partecipare a procedure a evidenza pubblica allorquando nei confronti dell’operatore economico sia stata depositata domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale di cui all'art. 40 del d. lgs. n. 14 del 2019, previa autorizzazione del giudice.

Sicché si è andata ampliando la possibilità di coesistenza della procedura di crisi d’impresa con la partecipazione a procedure a evidenza pubblica, ritenendo rilevante la valutazione di affidabilità dell’impresa rispetto al singolo contratto in gara e superando la concezione dell’antinomia con le procedure ad evidenza pubblica incentrata sul profilo soggettivo dell’imprenditore.

Detta evoluzione ha comportato il superamento della prospettiva meramente contabilistica, che muove dalla preoccupazione che la crisi possa minare alla radice l’affidabilità dell’appaltatore in vista della realizzazione della commessa pubblica, per approdare a un sistema che tenga conto (anche) della funzione delle gare pubbliche quale veicolo di implementazione del mercato interno e di superamento delle crisi economiche (direttiva n. 2019/1023/UE), consentendo “al debitore un precoce risanamento attraverso i quadri di ristrutturazione preventiva con gli obiettivi di evitare il default di imprese sane, ma in difficoltà finanziarie e, nel contempo, di tutelare sia i lavoratori che i creditori” (Cons. St., comm. spec., parere 13 maggio 2022 n. 832).

La ratio della causa escludente di cui all’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023 non è quindi quella di espellere dal mercato delle gare pubbliche l’impresa rispetto alla quale sia stata presentata domanda ex art. 40 del d. lgs. n. 14 del 2019 ma è quello di evitare che alle gare partecipino soggetti non in grado, in base a un giudizio prognostico qualificato, di garantire la corretta esecuzione del contratto affidando.

Non è quindi lo stato di insolvenza in sé a essere ostativo rispetto alla partecipazione alle gare pubbliche ma l’inaffidabilità dell’impresa in crisi rispetto al singolo contratto, insita nel primo in mancanza di autorizzazione.

Il bilanciamento fra le esigenze di certezza della stazione appaltante e le prerogative di superamento della crisi d’impresa è individuato nella condizione che detta idoneità sia accertata dal giudice (alle condizioni previste dall’art. 95 del d. lgs. n. 14 del 2019).

Sicché la stessa causa escludente di cui all’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023 si muove in una prospettiva che tiene conto dello specifico contratto rilevante nella gara.

Nella stessa prospettiva si inquadra la disciplina dell’affitto del ramo d’azienda da parte del terzo, con la specificità che nel caso di affitto il rapporto prosegue salvo diversa determinazione del curatore, previa valutazione del comitato dei creditori. Ciò in quanto il contratto si caratterizza per il fatto che ha ad oggetto il godimento di un complesso organizzato di beni, che l'avente causa intende organizzare in propria azienda (Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2020 n. 3888 e Cass., sez. III, 3 marzo 2025 n. 5657).

L’affittuario pertanto, a far tempo dalla data di efficacia dell’affitto, esercita l’impresa rispetto ai beni e alle risorse che fanno parte del ramo d’azienda e ne assume la responsabilità.

L’affittante assume invece la qualifica di creditore del corrispettivo pattuito e cede la responsabilità dell’esercizio dell’azienda in costanza di contratto, fatte salve alcune specifiche posizioni, quali quelle dei lavoratori, che, ai sensi dell’art. 2112 c.c., conservano i diritti pregressi.

Proprio la qualificazione dell’affittante di ramo di azienda come creditore, che viene in evidenza in questa sede in quanto connota, spiega il trattamento riservato a detto contratto. Da un lato, la disciplina detta dal d. lgs. n. 14 del 2019 prevede la continuazione del rapporto, salvo diversa determinazione, da assumere in un termine ristretto, in quanto il negozio risponde, in via generale, all’interesse di questi ultimi, aumentando la liquidità destinata a soddisfarli (a differenza dei rapporti pendenti di cui all’art. 172 del d. lgs. n. 14 del 2019, che soggiacciono a uno stadio di sospensione che si appunta sull’interesse dei creditori).

Nel contempo la qualificazione dell’affittante di ramo di azienda come creditore non supporta il superamento della disciplina speciale recata dall’art. 184 del d. lgs. n. 14 del 2019 ad opera dell’art. 94 comma 5 del d. lgs. n. 36 del 2023. In tal caso, infatti, non vengono in evidenza i profili di inaffidabilità che connotano la posizione dell’impresa in crisi (e che integrano, come visto, la ratio della causa escludente in esame) dal momento che la posizione della società sottoposta a liquidazione giudiziale (che presta i requisiti) è quella di creditore (fatti salvi gli specifici oneri imposti, che spiegano la facoltà di recedere del contratto, peraltro sottoposta a speciali guarentigie).

Né il diritto eurounitario osta all’interpretazione sopra illustrata.

Infatti l’Italia ha incluso la situazione di liquidazione giudiziale, di stato di liquidazione coatta, di concordato preventivo e di pendenza di un procedimento per l’accesso a una di tali procedure fra le cause di esclusione automatica, facendo “uso del proprio margine di scelta” (Ad. plen. 27 maggio 2021 n. 9, con riferimento alla disciplina ratione temporis vigente, contenuta nell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, e Cgue, sez. IX, 30 gennaio 2020 C-395/18).

Nondimeno le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014 (art. 57 par. 4 lett. b), pur contemplando il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni.

Pertanto l’ordinamento dell’UE non impone agli Stati membri di escludere gli operatori che si trovano in dette situazioni in quanto “gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale” (Cgue, sez. X, 28 marzo 2019 C-101/18).

Pertanto gli elementi addotti dall’appellante non consentono di ritenere violato dell’art. 94 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023 (mentre non è oggetto di censura l’art. 184 del d. lgs. n. 36 del 2023, la cui interpretazione necessiterebbe comunque di essere coordinata con le fattispecie rimediali di cui al d. lgs. n. 36 del 2023, considerato che non risulta che il curatore della liquidazione giudiziale abbia esercitato, in merito alla pregressa pattuizione contrattuale oggetto di indagine, alcun recesso).

10.5. E’ altresì infondato il profilo della censura in esame che si appunta sul fatto che l’Amministrazione non avrebbe verificato l’assenza delle cause ostative in capo alla società affittante, con specifico riferimento al DURC e alla corresponsione delle retribuzioni.

10.6. Il d. lgs. n. 36 del 2023 ha innovato (in parte) la precedente disciplina relativa ai requisiti di ordine generale.

In particolare, dall’art. 94 del d. lgs. n. 36 del 2023 “è stata espunta la disposizione del comma 3 dell’art. 80 in punto di esclusione per fattispecie attingente i soggetti cessati”, “in quanto non presente nella direttiva” (così la relazione) e quindi non rispondente all’obiettivo posto dal legislatore delegante, di “stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse” (art. 2 lett. a legge n. 78 del 2022).

Non rileva quindi la continuità, o meno, tra i due soggetti imprenditoriali coinvolti nell’operazione di affitto (e le argomentazioni spese a tal fine), volto proprio a valutare la necessità di verificare la sussistenza dei requisiti in capo ai “soggetti cessati dalla carica nel triennio (ora un anno: n.d.e.) antecedente la data di pubblicazione del bando di gara” (così l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 10 del 4 maggio 2012, poi richiamata nelle successive pronunce, fra tutte, Cons. St., sez. V, 11 gennaio 2023 n. 388).

Lo specifico tema affrontato dal precedente comma 3 dell’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016 risulta quindi superato dal d. lgs. n. 36 del 2023.

Pertanto i requisiti debbono essere verificati avendo come riferimento il tempo della gara.

Nel caso di specie il contratto di affitto di ramo di azienda è stato stipulato il 7 giugno 2022 (e registrato all’Agenzia delle entrate il successivo 22 giugno).

Il primo atto della procedura, cioè la determina di “avvio del procedimento per la procedura aperta, previa pubblicazione del bando per l’affidamento del “servizio di pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell’istituto Villa Adriana e Villa d’Este” da aggiudicare mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, ai sensi dell’art. 71 del d. lgs. 36/2023”, è datato 27 ottobre 2023.

Il bando è stato pubblicato sulla GURI n. 130 del 10 novembre 2023.

L’offerta è stata presentata dal Consorzio stabile il 15 dicembre 2023.

Pertanto il contratto di affitto precede di più di un anno il primo atto della procedura, di circa diciassette mesi la pubblicazione del bando e di circa un anno e mezzo la presentazione dell’offerta.

Maggiormente pregnante risulta invece il richiamo al criterio ubi commoda, ibi incommoda, di cui si rinviene traccia nella disciplina del principale istituto volto a consentire il “prestito” dei requisiti, l’avvalimento: l’impresa ausiliaria è infatti “tenuta a dichiarare alla stazione appaltante […] di essere in possesso dei requisiti di ordine generale” (art. 104 comma 4 del d. lgs. n. 36 del 2023).

Senonché viene in evidenza la connotazione propria del contratto di affitto d’azienda o di un suo ramo, con le correlate conseguenze in punto di applicazione del criterio ubi commoda, ibi incommoda.

Il contratto di affitto di ramo d’azienda si differenzia infatti dal contratto di avvalimento, nell’ambito del quale le due soggettività rimangono distinte e titolari della rispettiva impresa anche nel corso del rapporto (di avvalimento).

Il contratto di avvalimento consente all’offerente di beneficiare dei requisiti senza sopportare alcun peso riguardante l’impresa che ha acquisito quei titoli, se non il pagamento di un corrispettivo. Essendo quindi l’ausiliaria a sopportare gli oneri dell’esercizio dell’impresa a quest’ultima si richiede di dichiarare di essere in possesso dei requisiti di ordine generale.

In base all’art. 2558 c.c. invece la società affittuaria subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda (art. 2558 c.c.): “il contratto di cessione o di affitto d'azienda determina l'automatico trasferimento all'acquirente (o all'affittuario) di tutti i rapporti compresi nel complesso aziendale, sia attivi che passivi” (Cons. St., sez. V, 11 gennaio 2023 n. 388).

Sicché l’affittuaria beneficia dei commoda (i requisiti) sopportando gli incommoda, cioè gli obblighi che derivano dall’intervenuto affitto di ramo d’azienda, fra i quali l’obbligo di corrispondere le retribuzioni e di pagare i contributi.

La possibilità di fruire dei requisiti è quindi strettamente connessa con l’esercizio del ramo d’azienda da parte della società offerente: in altre parole, la ragione che la giustifica è strettamente connessa alla causa di detto contratto, connotata dal trasferimento dell’esercizio dell’impresa in capo all’affittuaria, che ne sopporta gli oneri.

Il disposto dell'art. 2112 c.c. prevede, in particolare, che, in caso di trasferimento di azienda - ivi compreso, nel senso previsto dal successivo comma 4, l'affitto di azienda - il rapporto di lavoro continua con il cessionario (comma 1), fatta salva la responsabilità solidale di entrambe le società per i “crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento” (comma 2).

Dunque, “l'affitto d'azienda, nel momento in cui si conclude e per tutta la sua durata, comporta una successione legale a titolo particolare nel rapporto di lavoro dal lato datoriale (Cass. 12919/2017, Cass. 10701/2002), dovendosi di conseguenza escludere la persistenza di un rapporto contrattuale anche con il concedente e la possibilità di continuare a includere i lavoratori operanti all'interno dell'azienda trasferita nel novero dei lavoratori subordinati alle dipendenze del medesimo trasferente” (Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2022 n. 4342).

Sicché è la società affittuaria, nel caso di specie il Consorzio stabile aggiudicatario, a dover corrispondere le retribuzioni e i contributi da quando è divenuto efficace il contratto di affitto. Infatti, a partire dal giugno del 2022, i rapporti compresi nel ramo d’azienda affittato sono stati trasferiti al Consorzio stabile e, in particolare, i rapporti di lavoro.

La conseguenza è che lo stesso è tenuto a presentare il DURC con riferimento ai lavoratori trasferiti nel 2022 (in quanto compresi nel ramo d’azienda oggetto dell’affitto) e quindi già transitati al Consorzio stabile all’epoca della gara.

10.7. E’ altresì infondata la terza censura contenuta nel motivo in esame, che si appunta sull’asserita carenza del possesso dei requisiti di carattere generale da parte del Consorzio aggiudicatario, in asserita violazione dell’art. 99 del d. lgs. n. 36 del 2023.

10.8. La censura è stata formulata in primo grado in modo generico.

In particolare “i provvedimenti gravati sono comunque illegittimi per difetto di istruttoria in quanto l’Amministrazione non ha comprovato o verificato il possesso dei requisiti generali da parte della C.R. Appalti e – alla stregua della documentazione ostesa – neanche del Consorzio aggiudicatario”.

Nelle successive argomentazioni si fa riferimento alla (sola) posizione della società affittante. La verifica dei requisiti rispetto al Consorzio aggiudicatario è richiamata nella chiosa finale, peraltro in riferimento ai soli requisiti di carattere speciale del Consorzio stabile (derivante dalla mancanza dei requisiti di ordine generale in capo alla società affittante, sui quali appunto si articola la censura). Si legge infatti che “l’esclusione del Consorzio si impone sia per difetto dei requisiti di carattere generale in capo all’impresa locatrice, sia per carenza dei requisiti di carattere speciale in capo all’aggiudicatario”.

Pertanto la censura di asserita carenza del possesso dei requisiti di carattere generale da parte del Consorzio aggiudicatario è generica, non facendo riferimento ad alcuna circostanza di fatto. E ciò tanto più se si considera che, nella determina di aggiudicazione n. 48 del 2024, si legge “che i requisiti di ordine generale nonché quelli di ordine speciale sono stati tutti comprovati, nessuno escluso, come da fascicolazione annessa agli atti dell’Ente”.

Peraltro, anche a ritenere che detta censura non sia generica, essa si appunta solo sull’an della verifica dei requisiti di carattere generale in capo al Consorzio stabile, con la conseguenza che la stessa è infondata in ragione del contenuto della determina di aggiudicazione.

Pertanto merita di essere confermata la sentenza impugnata sul punto, in quanto, a fronte della censura formulata in primo grado, il Tar ha correttamente ritenuto di superarla facendo riferimento agli atti di gara, non risultando invece necessario approfondire le modalità di tali verifiche.

10.9. Il primo motivo è quindi infondato.

11. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha ritenuto infondato il secondo motivo del ricorso introduttivo, così come integrato con i motivi aggiunti.

11.1. Il Tar ha ritenuto che:

- non merita pregio la doglianza con cui la parte ha lamentato che l’offerta sarebbe inferiore ai “minimi salariali retributivi” in quanto “la censura finisce per confondere il “costo medio orario” del lavoro con il distinto concetto di “minimo retributivo”;

- l’asserita sottostima del costo della manodopera rispetto alle tabelle ministeriali, nonché l’antieconomicità e incongruità dell’offerta dell’aggiudicataria, “si sostanzia nel proporre una determinazione del costo della manodopera (dettagliando quale dovrebbe essere il “Costo minimo feriale” e quale il “Costo minimo festivo”, sempre muovendo dai valori tabellari di riferimento) “alternativo” rispetto a quello indicato dall’aggiudicatario e di gran lunga superiore rispetto a quest’ultimo” e quindi “meramente soggettivo, e come tale del tutto opinabile”, considerato anche che “il capitolato speciale d’appalto non prevede alcun “minimo” di ore”;

- “la ricostruzione proposta dal ricorrente resta meramente astratta e generica, in quanto unicamente ancorata ai valori tabellari del “costo medio” per personale di II fascia asseritamente applicabili”;

- “è privo di pregio anche l’assunto con cui si lamenta l’applicazione, da parte dell’aggiudicatario, di “costi medi orari che si discostano oltremodo ed ingiustificatamente (rispettivamente per € 4,25 per il costo feriale ed € 3,03 per il costo festivo) rispetto ai parametri tabellari”, in quanto anch’esso risultante da un calcolo matematico che espressamente prende a base un dato (numero di “ore minime stimate dalla Stazione appaltante”) non assodato (appunto perché manca la previsione di un “minimo” da garantire)”;

- le censure proposte avverso i “nuovi giustificativi” depositati in giudizio dal Consorzio Eternity “sono in parte inammissibili laddove adducono circostanze fattuali diverse rispetto a quanto indicato nel ricorso e nei motivi aggiunti”, nonché “infondate nel merito” in quanto si sostanzierebbero “in una vera e propria “caccia all’errore” che si appunta su specifici aspetti di dettaglio delle singole voci del costo del lavoro al fine di evidenziarne l’erroneità, e che comunque non sono tali da inficiare l’attendibilità dell’offerta nel suo complesso”.

11.2. L’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza in ragione del fatto che:

- con i giustificativi prodotti in gara il Consorzio stabile non ha comprovato che il costo della manodopera offerto deriva da una più efficiente organizzazione aziendale, richiamando l’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023;

- non sussiste l’errore “consistente nell’aver confuso il costo medio stabilito dalle tabelle ministeriali con i minimi salariali previsti dal CCNL”;

- il metodo con il quale l’appellante ha determinato il costo della commessa è “costantemente utilizzato nella prassi e preso in considerazione dalla giurisprudenza”;

- sono inammissibili i “nuovi giustificativi non prodotti in sede di verifica di anomalia”;

- non sono sostenibili i costi esposti dal Consorzio aggiudicatario sulla base di specifici profili (su cui infra).

11.3. Il motivo è infondato.

11.4. Si premette quanto segue in merito alla censura relativa al difetto di istruttoria, considerando le due accezioni con la quale può essere dedotta.

11.5. Con riferimento alla verifica di anomalia rispetto al costo del personale determinato dall’offerente in misura ridotta rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante, il difetto di istruttoria può essere dedotto al fine di ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione e il bene della vita anelato (cioè l’aggiudicazione e l’esecuzione dell’appalto), in ragione del mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’offerente dall’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023.

In tal caso il difetto di istruttoria si appunta su una condotta dell’offerente non rispettosa dello standard stabilito dall’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023, che, se non adeguatamente stigmatizzata dall’Amministrazione nel provvedimento amministrativo, determina l’illegittimità di quest’ultimo.

In tale prospettiva la censura non risulta essere stata dedotta in primo grado dal Consorzio ricorrente.

Nel ricorso introduttivo non si rinvengono infatti riferimenti al difetto di istruttoria quale vizio che si appunta sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’offerente e che conduce quindi all’ottenimento del bene della vita anelato.

Con i motivi aggiunti detto difetto di istruttoria è stato lamentato facendo riferimento al fatto che “il Consorzio aggiudicatario non ha comprovato, con i giustificativi, le ragioni che legittimano lo scostamento dalle tabelle ministeriali” e che “il Consorzio non ha dimostrato neppure di poter usufruire” dei benefici fiscali, contributivi e di altra natura e di “poter far legittimo riferimento a un diverso divisore”.

Senonché, rispetto al costo del personale di cui all’offerta del Consorzio aggiudicatario (inferiore a quello stimato dalla stazione appaltante), il difetto di istruttoria quale vizio che si appunta sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’offerente e che conduce quindi all’ottenimento del bene della vita anelato si basa sull’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023.

Il ricorrente, qui appellante, non ha invece richiamato l’art. 41 comma 14, né l’art. 2 del disciplinare (di contenuto analogo al primo), né il contenuto dello stesso.

Senonché è proprio l’art. 41comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 il perno sul quale si basa l’onere probatorio imposto al concorrente allorquando presenta un’offerta contenete la riduzione dei costi della manodopera indicati a base d’asta. La violazione del medesimo determina infatti le conseguenze volute dal Consorzio Istant: “laddove il ribasso offerto dall’operatore economico implichi anche la riduzione dei costi della manodopera indicati a base d’asta, l’offerta si presume iuris tantum anomala, fatta salva la possibilità del concorrente di dimostrare ai sensi dell’art. 41, quattordicesimo comma, del d.lgs. n. 36 del 2023 che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale” (Cons. St., sez. V, 19 novembre 2024 n. 9254). In mancanza di detta prova l’offerta è quindi anomala e deve essere esclusa.

In base all’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023, infatti, “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera”, restando “ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.

Senonché negli atti notificati in primo grado non solo non si rinviene la censura di violazione dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023, ma neppure si leggono riferimenti alla maggiore efficienza aziendale e al parametro dell’asserita omessa prova, individuato dall’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 nel costo del personale quantificato dalla stazione appaltante (e non nelle tabelle ministeriali).

L’omessa censura di violazione dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 è rilevante. Ciò risulta evidente anche dall’incipit del secondo motivo di appello (qui in esame), laddove l’appellante ha affermato che in primo grado il Consorzio Istant avrebbe dedotto che il Consorzio aggiudicatario, “in violazione dell’art. 41, del D.lgs. 36/2023, non ha dedotto alcun elemento idoneo a giustificare l’abnorme ribasso, di circa il 33%, del costo della manodopera determinato dalla Stazione appaltante ai sensi della medesima disposizione”.

Così facendo l’appellante stesso ha evidenziato il ruolo che assume il disposto dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 ai fini della deduzione della censura, aggiungendo il riferimento normativo mancante in primo grado, oltre che i rilievi contenutistici ad esso afferenti, fra i quali il riferimento alla maggiore efficienza aziendale.

Considerata la rilevanza del portato dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 al fine di veicolare la doglianza con le finalità sopra indicate, non risulta adeguatamente dedotta in primo grado la censura di difetto di istruttoria quale vizio che si appunta sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’offerente e che conduce quindi all’ottenimento del bene della vita anelato (aggiudicazione ed esecuzione dell’appalto), e non solo alla tutela dell’interesse strumentale alla rinnovazione procedimentale (su cui infra).

Del resto, anche il riferimento, contenuto nei motivi aggiunti, alla mancata prova, da parte del Consorzio aggiudicatario, delle ragioni che giustificano lo scostamento dalle tabelle ministeriali è finalizzato a dimostrare che “il costo della manodopera calcolato dal Consorzio aggiudicatario, pari a Euro 347.031,02, è sottostimato di ben Euro 100.676,43” rispetto al conteggio derivante dalle tabelle ministeriali e che “l’offerta dell’aggiudicatario è senz’altro in perdita e, conseguentemente, avrebbe dovuto essere esclusa ai sensi dell’art. 110 D.lgs. n. 36/2023”.

Lo stesso art. 110 è richiamato al fine di sostenere l’anomalia dell’offerta in ragione degli specifici profili di incongruità che il ricorrente ha ritenuto di dimostrare, non in funzione del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del Consorzio aggiudicatario. Infatti, laddove il ricorrente ha richiamato l’art. 110 del d. lgs. n. 36 del 2023, ha omesso proprio il richiamo del comma, il secondo, che stabilisce il procedimento della verifica di anomalia (“In presenza di un'offerta che appaia anormalmente bassa le stazioni appaltanti richiedono per iscritto all'operatore economico le spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti, assegnando a tal fine un termine non superiore a quindici giorni”).

In particolare, l’art. 110 comma 5 lett. d) del d. lgs. n. 36 del 2023, che pure dispone che “La stazione appaltante esclude l’offerta se le spiegazioni fornite non giustificano adeguatamente il livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 3, oppure se l’offerta è anormalmente bassa in quanto […] il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all'articolo 41, comma 13”, è stato richiamato al fine di sostenere la violazione dei minimi salariali (su cui infra), benché faccia riferimento a profili procedurali.

Pertanto la censura è stata articolata nei motivi aggiunti al fine di allegare e comprovare l’incongruenza nel merito dell’offerta presentata dal Consorzio aggiudicatario per i profili ivi evidenziati (e scrutinati infra), non il il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto dall’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 autonomamente considerato (neppure richiamato, come visto), con la conseguenza che essa è fondata se l’appellante ha comprovato l’incongruenza dell’offerta presentata dal Consorzio aggiudicatario.

Peraltro, nel caso di specie, la legge di gara, pur quantificando il costo della manodopera, presenta alcune peculiarità che non agevolano, in mancanza di specifica censura o approfondimento, l’individuazione di un parametro certo di riferimento dell’asserito difetto di istruttoria, considerato che esso è rappresentato, ai sensi dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023, dalla maggiore efficienza aziendale rispetto alla quantificazione effettuata dalla stazione appaltante.

L’art. 2 del disciplinare individua infatti l’oggetto dell’appalto e stabilisce che “L’importo dell’affidamento è quantificato in euro 643.715,60 + IVA, di cui euro 5.555,70 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso”.

Esclusi gli oneri per la sicurezza, l’importo dell’affidamento deriva dalla somma di plurime voci: attività di cui al “Capo A – Attività ordinarie”, 351.336,96 €, attività di cui al “Capo B – Attività una tantum”, 14.430,65 €, attività di cui al “Capo C – Attività di presidio”, 250.859,16 €, e attività di cui al “Capo D – Attività ordinarie”, 6.629,13 €, e attività di cui al “Capo E – Attività a chiamata”, 14.904,00 €.

La stazione appaltante, rispetto all’importo complessivo di euro 643.715,60, ha quantificato i costi della manodopera, “sulla base di quanto previsto dall’articolo 41, co. 14 del D. Lgs 36/2023, per un importo complessivo pari ad euro 510.527,92 pari al 80% dell’importo complessivo a base d’asta al netto dell’IVA”, senza distinguere nell’ambito delle singole attività (A, B, C, D ed E) il cui costo determina l’ammontare complessivo dell’appalto.

Dall’art. 2 del disciplinare si evince altresì che:

- “I costi della manodopera non sono soggetti al ribasso” e “Tuttavia, resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”;

- “Eventuali riduzioni del costo della manodopera proposto dall’operatore nell’offerta saranno, poi, oggetto di verifica da parte della Stazione appaltante”;

- “Ai sensi dell’art. 11, comma 2 del codice, il contratto collettivo nazionale applicabile al personale dipendente impiegato nell'appalto è Pulizie/Multiservizi”.

L’art. 5 del capitolato speciale contiene la “quantificazione e la determinazione dei costi della manodopera”.

Da detta disposizione si evince che la stazione appaltante ha fatto riferimento, per determinare il costo del personale, al decreto direttoriale n. 25/2022 del 6 giugno 2022, di cui riporta il costo unitario suddiviso per i quattro livelli, e alle indennità per lavoro domenicale e per il lavoro festivo, suddivise per i quattro livelli.

L’Amministrazione ha poi quantificato il prezzo medio di manodopera in 19,44 €, applicando il compenso dell’operatore “di secondo livello, indennizzato come precedentemente descritto per la prestazione da eseguirsi nei giorni di domenica e festivo”.

Infine, essa ha aggiunto le “Spese generali ed utile di impresa” e le spese per l’acquisto di materiale, pervenendo a determinare “il costo della manodopera “alla base del presente affidamento”, “pari a 24,84 €/ora per ciascun addetto, indipendentemente dal livello, da intendersi quale importo onnicomprensivo di tutte le spese ed oneri anche relativi all’acquisto delle forniture e allo smaltimento dei propri rifiuti”.

Sicché la quantificazione effettuata dalla stazione appaltante ha riguardo al singolo addetto, appartenente al “secondo livello”, e muove dal “monte ore complessivamente previsto per le attività ordinarie e per i presidi come di seguito dettagliatamente descritti” e non anche delle altre attività, quali, ad esempio, le “attività una tantum”.

L’art. 5 del capitolato veicola pertanto una quantificazione del costo della manodopera che necessita, in base a un criterio di comune esperienza, di essere adattato alla situazione del singolo operatore. E ciò non solo in quanto la stazione appaltante non può essere a conoscenza delle singole realtà aziendali ma in quanto, nel caso di specie, sconta la presenza di variabili che impongono di superare la prima.

Infatti, la tabella del personale oggetto di riassorbimento reca un elenco che presenta dati non collimanti con il criterio utilizzato per la quantificazione del costo del personale da parte della stazione appaltante. Si riferisce infatti a diciotto dipendenti, di cui sette non appartenenti al secondo livello (ma al primo e al terzo livello) e di cui solo uno non in part time, mentre i rimanenti assunti in una percentuale variabile di part time, ricompresa fra il 37,5 % (cinque dipendenti) e l’87,5 % (due dipendenti), e di cui tre aventi un contratto stagionale.

Si rileva altresì che la presenza di personale part time, preventivabile in ragione dell’elenco del personale da riassorbire, è potenzialmente idonea ad alterare le stime dei costi del personale, anche considerando le conseguenze di un impegno lavorativo a tempo parziale sulle ore non lavorate.

Peraltro il costo totale della manodopera è stato stimato dalla stazione appaltante in 510.527,92 senza distinguere i costi del personale fra le varie attività oggetto dell’appalto (A, B, C, D ed E).

Invece le indicazioni di quantificazione di cui all’art. 5 del capitolato fanno riferimento non a tutte le attività ma alle sole attività “ordinarie e per i presidi”.

Esse, inoltre, danno conto del costo giornaliero per addetto, la cui conciliazione con il costo generale della manodopera determinato dalla stazione appaltante non risulta agevole, anche in ragione della presenza di lavoratori a tempo parziale e di una non completa determinazione del monte orario complessivo (su cui infra).

Pertanto, nel caso di specie, considerando la portata dell’art. 2 del disciplinare e dell’art. 5 del capitolato, l’Amministrazione ha fornito informazioni circa la quantificazione del costo del personale, che l’offerente avrebbe poi dovuto (necessariamente) adattare al caso concreto, sulla base di una stima effettuata in ragione delle specifiche circostanze di organizzazione del lavoro (conosciute, almeno in parte, dalla stazione appaltante).

Alla luce di quanto sopra deve essere interpretata la previsione dell’art. 2 del disciplinare, che onera “l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo “deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.

La formulazione dell’art. 5 del capitolato, al quale “rimanda integralmente” l’art. 2 del disciplinare, avrebbe quindi dovuto essere specificamente preso in considerazione nella domanda spiegata in primo grado, al fine di individuare correttamente il termine di riferimento del vincolo di cogenza individuato dall’art. 41 del d. lgs. n. 36 del 2023, richiamato nell’art. 2 del disciplinare, e quindi il parametro dell’asserita omessa istruttoria.

In una situazione siffatta, la censura di difetto di istruttoria quale vizio che si appunta sul mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’offerente e che conduce quindi all’ottenimento del bene della vita anelato, cioè l’aggiudicazione e l’esecuzione dell’appalto, non solo alla tutela dell’interesse strumentale alla rinnovazione procedimentale, non risulta adeguatamente dedotta.

11.6. Anche considerando la seconda accezione del difetto di istruttoria, la censura non è stata dedotta in modo specifico ed è quindi generica.

In detta prospettiva la censura di carenza di istruttoria è espressione dell’interesse strumentale del ricorrente, la cui utilità si rinviene nella rinnovazione dell’istruttoria, impregiudicata la valutazione sull’ottenimento del bene della vita finale, ed è volta a stigmatizzare le modalità di esercizio del potere da parte dell’Amministrazione.

Nell’ambito della verifica di anomalia, specie in relazione al costo del personale, detta accezione della censura presenta ambiti di rilevanza limitati, considerato il tenore dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023, non potendosi comunque escludere la deducibilità della stessa.

Nella prospettiva del difetto di istruttoria a tutela dell’interesse strumentale, si legge nel ricorso introduttivo che “la valutazione operata dalla Stazione appaltante circa la congruità del costo della manodopera indicato nell’offerta, nonché della congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta complessivamente considerata presentata dal Consorzio Stabile Eternity è senz’altro inficiata dai vizi compendiati in rubrica”.

In rubrica si fa riferimento, fra l’altro, al difetto di istruttoria.

Per il resto la censura, pur richiamando “pregnanti elementi di eccesso di potere che inficiano la valutazione di congruità”, è volta a evidenziare profili di incongruenza dell’offerta del Consorzio aggiudicatario, per quanto riguarda il costo del personale, con specifico riferimento alle tabelle ministeriali utilizzate per effettuare il conteggio (oggetto di scrutinio infra).

Sicché al più può ritenersi che la censura abbia riguardo all’asserita sussistenza dei profili di incongruenza evidenziati, così da comportare, in caso di fondatezza, l’annullamento dell’aggiudicazione per incongruenza dell’offerta (con conseguente scorrimento della graduatoria) e non per difetto di istruttoria (con conseguente effetto conformativo di rinnovazione della stessa).

Nei motivi aggiunti si rinviene il riferimento al difetto di istruttoria nell’incipit del motivo, laddove si richiama la censura dedotta con il ricorso introduttivo, con la formulazione appena sopra analizzata, e non conducente sul punto.

Nel prosieguo il ricorrente si è limitato a dedurre sul punto che la stazione appaltante, “incorrendo anche in un evidente vizio di difetto d’istruttoria”, avrebbe “operato in difformità alle norme ed ai principi di riferimento, ribaditi dalla costante giurisprudenza”.

Ha poi articolato le argomentazioni con riferimento alle tabelle ministeriali e a specifici profili dell’offerta del Consorzio aggiudicatario di cui ha dedotto l’incongruenza per quanto riguarda specifici aspetti del calcolo del costo del personale.

I suddetti profili (riguardanti le tabelle ministeriali e gli altri profili di incongruenza dell’offerta ivi declinati) saranno scrutinati infra, mentre la censura di difetto di istruttoria a tutela dell’interesse strumentale risulta generica. E ciò anche considerando che il ricorrente non ha fatto espresso riferimento all’interesse alla rinnovazione dell’istruttoria e che, rispetto alle spese del personale, eventuali omissioni dell’offerente in sede di verifica di anomalia ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 (la cui violazione non è stata dedotta in primo grado, come visto).

11.7. Ne deriva che, come eccepito in generale dal Consorzio stabile, la censura relativa al difetto di istruttoria è stata dedotta in primo grado in modo generico e comunque non nei termini di cui all’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023.

11.8. Lo stesso Tar non si è pronunciato sul difetto di istruttoria, non avendo evidentemente individuato un’autonoma doglianza in tale senso.

Il giudice di primo grado si è invece concentrato, come sopra riferito, sulle censure volte a sostenere e comprovare l’incongruenza dell’offerta (nell’ambito delle quali si rinviene il riferimento alle “economie di scala”) sulla base di un conteggio effettuato dall’appellante sulla base dei presupposti dallo stesso individuati (e infra scrutinati).

11.9. Né l’appellante ha censurato l’omessa pronuncia del Tar sulla censura di difetto di istruttoria.

11.10. Piuttosto il Consorzio Istant con il ricorso in appello, diversamente da quanto allegato in primo grado, ha dedotto l’erroneità della sentenza per non avere accolto il mezzo riguardante il costo del personale, che ha sintetizzato nei termini già richiamati (e che non trovano conferma nella domanda spiegata in primo grado).

In detta occasione l’appellante ha declinato la censura di carenza di istruttoria richiamando l’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023 e la legge di gara e mettendo a confronto il costo della manodopera esposto nell’offerta risultata migliore, di euro 347.031,02, con il “costo della manodopera posto a base di gara (pari, lo si ricorda, a Euro 510.527,92)”. Infatti ha fatto riferimento alla possibilità per l’offerente di comprovare un “una più efficiente organizzazione aziendale”: “il Consorzio Eternity – nonostante abbia ribassato il costo della manodopera individuato dalla Stazione appaltante dell’abnorme percentuale di circa il 33%, corrispondente alla somma di Euro 163.496,90 – non ha fornito alcuna giustificazione o alcun elemento per dimostrare che il predetto ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale e dalle – corrispondenti – economie di scala”.

Pertanto non ha dedotto la carenza di istruttoria a tutela dell’interesse strumentale alla rinnovazione della stessa (come in primo grado, nei termini generici già illustrati) ma quale vizio funzionale a ottenere l’aggiudicazione in ragione dell’onere probatorio imposto dall’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023.

11.11. Da quanto sopra deriva che la censura relativa al difetto di istruttoria è stata dedotta in primo grado in modo generico e comunque non nei termini di cui all’art. 41 comma 14 del d. lgs. n. 36 del 2023.

Inoltre essa non è stata ritualmente riproposta in appello, non essendo stata contestata specificamente l’omessa pronuncia sul punto del giudice di primo grado ed essendo stata diversamente articolata.

Pertanto la censura di difetto di istruttoria, in entrambe le prospettive sopra illustrate, è inammissibile, come eccepito dal Consorzio controinteressato.

11.12. Conseguentemente, non rientrano nel perimetro della cognizione di questo Giudice i profili di censura che riguardano gli aspetti istruttori e il mancato adempimento di oneri probatori da parte del Consorzio aggiudicatario (che non vengono quindi esaminati e quindi neppure specificamente richiamati nel prosieguo).

Il secondo motivo di appello, perimetrato nei termini anzidetti, è quindi fondato se l’appellante ha comprovato l’erroneità del conteggio dei costi del personale effettuato dal Consorzio aggiudicatario e l’incongruenza della relativa offerta.

11.13. In ragione di ciò non può convenirsi con l’appellante in merito al fatto che il documento, “depositato in giudizio in data 24.6.2024 dal Consorzio Eternity, recante nuovi giustificativi non prodotti in sede di verifica di anomalia” è inammissibile e irrilevante in quanto la documentazione “non è stata esaminata e valutata dalla Stazione appaltante in sede procedimentale ai fini de giudizio di anomalia”, non potendo essere apprezzata direttamente dal giudice amministrativo.

Nella prospettiva del motivo in esame, considerato che non comprende il profilo istruttorio e la valutazione dell’adempimento dell’onere probatorio del Consorzio aggiudicatario, ciò che rileva è la fondatezza, o meno, delle deduzioni dell’appellante in merito alla congruenza dell’offerta del Consorzio stabile.

In tale prospettiva non si apprezzano profili di inammissibilità di detta documentazione, in quanto finalizzata a contestare le deduzioni dell’appellante sul punto.

La problematica che detta documentazione (eventualmente) solleva riguarda infatti la completezza dell’istruttoria procedimentale (non oggetto di scrutinio), mentre nel caso di specie la documentazione è stata depositata dal Consorzio stabile per difendersi avverso il metodo di calcolo delle spese del personale, e i relativi i presupposti di fatto, indicati dall’appellante.

Né si pone un tema di sostituzione del giudice amministrativo all’Amministrazione. La valutazione da compiere, come visto, ha infatti ad oggetto i conteggi effettuati dall’appellante. Questi, nel contestare la sentenza impugnata laddove il Tar ha ritenuto inattendibile il metodo utilizzato dallo stesso per conteggiare le spese del personale di cui all’offerta del Consorzio controinteressato, non ha negato di avere censurato con tale modalità la congruenza dell’offerta dell’aggiudicatario, evidenziando piuttosto che “si tratta del metodo costantemente utilizzato nella prassi e preso in considerazione dalla giurisprudenza e, quindi, affatto “eccentrico” o “soggettivo”, o di scarsa intellegibilità”.

11.14. Si esamina quindi il motivo, così come già il giudice di primo grado, con riferimento ai profili di incongruenza allegati dall’appellante, con la conseguenza che esso è fondato se l’appellante ha comprovato l’erroneità del calcolo dei costi del personale effettuato dal Consorzio aggiudicatario (in disparte l’onere probatorio del Consorzio aggiudicatario).

11.15. Si premette che non risulta impugnata (essendoci un mero richiamo al ccnl 2023 nel paragrafo II.4.1 del ricorso in appello) la statuizione con la quale il Tar ha ritenuto che, “anche a voler ammettere, ipoteticamente, l’applicazione dei valori tabellari vigenti al luglio 2023, le censure dispiegate non sono in grado di disvelare palesi illegittimità nella valutazione di anomalia formulata dalla stazione appaltante”.

L’applicazione delle tabelle 2023 non determina l’incongruenza dell’offerta nel suo complesso in quanto la differenza di costo è compensata da altre voci, quali l’utile di impresa (€ 15.653,81), imprevisti adeguamenti contrattuali e incrementi (€ 3.000,00) e spese generali (€ 7.996,74), che ammontano a un totale di € 26.650,55 (così come allegato dallo stesso appellante).

Neppure risulta specificamente censurata, benché richiamata, la declaratoria di inammissibilità delle “deduzioni contenute nella memoria illustrativa prodotta dal ricorrente in data 28 giugno 2024”, che “sono in parte inammissibili laddove adducono circostanze fattuali diverse rispetto a quanto indicato nel ricorso e nei motivi aggiunti: in tal senso, come eccepito dal controinteressato nelle proprie repliche del 4 luglio 2024, vedasi l’affermazione, contenuta a pag. 16 della memoria, secondo cui il monte ore minimo “operativo” previsto dalla lex specialis sarebbe in realtà pari a “25.710,80 ore”, essendo ciò in contrasto con il numero – “24.386,80” – precedentemente quantificato” (punto 9.2).

L’appellante infatti, pur avendo argomentato in ordine al monte ore (in tesi) individuato nella legge di gara, non ha censurato la decisione di rito del Tar.

Nel successivo punto il giudice di primo grado ha rilevato, seppur “in disparte”, che “profili di inammissibilità” nella “memoria illustrativa del ricorrente” in quanto “contiene deduzioni “di dettaglio” che configurano censure nuove e diverse rispetto a quelle precedentemente proposte (quali sono, specificamente, quelle relative al “divisore” da applicarsi e alla ingiustificata riduzione rispetto ai valori percentuali tabellari di riferimento per i costi INPS/INAIL, nonché le doglianze concernenti il “monte ore non operativo” indicato dal controinteressato), in quanto atte a disvelare ulteriori e più specifiche ragioni di incongruità dell’offerta, che come tali avrebbero dovuto essere proposte con lo strumento del ricorso per motivi aggiunti”.

Senonché queste ultime sono poi state esaminate anche nel merito con motivazioni censurate dall’appellante nei termini che seguono.

11.16. L’esito dello scrutinio esime il Collegio dal valutare le ulteriori eccezioni in rito.

11.17. Merita conferma la statuizione impugnata nella parte in cui il Tar ha ritenuto non sovrapponibili i costi della manodopera esposti nelle tabelle ministeriali e i trattamenti salariali minimi inderogabili, non potendo desumersi dal mancato adeguamento ai primi la violazione dei secondi.

L’attuale disciplina in materia di costi dalla manodopera si ricava infatti dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023, dall’art. 41 commi 13, oltre che dal già richiamato comma 14, nonché dagli artt. 108 comma 9 e 110 commi 1 e 4 del d.lgs. n. 36 del 2023.

In particolare:

- l’art. 11 detta la regola di applicazione del “contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente”;

- ai sensi dell’art. 41 comma 13 “il costo medio del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali”, alle condizioni ivi indicate;

- l’art. 41 comma 14 precisa che “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”;

- ai sensi dell’art. 108 comma 9 “Nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale”;

- l’art. 110 comma 1 a sua volta dispone che “Le stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell'articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l'avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione”;

- l’art. 110 comma 4 stabilisce che non sono ammesse giustificazioni “in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge”.

11.18. Se ne desume, per quanto di interesse in questa sede, che:

- è ammesso il ribasso sui costi dalla manodopera indicati dalla stazione appaltante nella lex specialis di gara (Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2024 n. 9255 e 9 giungo 2023 n. 5665);

- “per l’operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera, la conseguenza non è l’esclusione dalla gara, ma l’assoggettamento della sua offerta alla verifica dell’anomalia” (Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2024 n. 9255);

- rimane ferma la regola dell’inderogabilità dei minimi salariali, che si distingue dalla disciplina relativa alla determinazione del costo della manodopera sulla base delle tabelle del Ministero del lavoro (“viene mantenuta la disciplina vigente di cui all’art. 23, comma 16 del d.lgs. n. 50/2016”, così la relazione al d. lgs. n. 36 del 2023).

11.19. Pertanto, rispetto ai costi della manodopera previsti nella lex specialis, e determinati considerando le tabelle ministeriali, in base al combinato disposto dei commi 13 e 14 dell’art. 41, oltre che gli altri fattori afferenti allo specifico appalto, il concorrente può dimostrare “che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale” (art. 41 comma 14).

I minimi salariali sono invece inderogabili, e non trovano fonte nelle tabelle ministeriali (sono queste ultime a dover tenere conto degli stessi, oltre che di altre circostanze).

Infatti “le tabelle ministeriali individuano il costo medio orario del lavoro, mentre la previsione di inderogabilità di cui all’art. 97, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016 si riferisce solo al trattamento minimo salariale stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva” (Cons. St., sez. V, 22 gennaio 2025 n. 488).

Altrimenti le due regole (possibilità di determinare il costo della manodopera in misura inferiore da quanto previsto nelle tabelle ministeriali e inderogabilità dei minimi salariali) sarebbero fra loro incompatibili.

Pertanto non può desumersi dal mancato adeguamento del costo del personale esposto nell’offerta alle quantificazioni contenute nelle tabelle ministeriali la violazione dei trattamenti salariali minimi inderogabili.

La conferma della statuizione del Tar sul punto coinvolge tutti i singoli rilievi dell’appellante (che non sono quindi specificamente richiamati e scrutinati) in punto di omesso rispetto dei minimi retributivi in quanto (in tesi) basati sulla non aderenza dei dati del calcolo del costo del personale alle tabelle ministeriali.

11.20. Né risultano determinanti gli assunti spesi dall’appellante per censurare la sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto inattendibile il metodo utilizzato dal ricorrente, qui appellante, per determinare il costo della manodopera.

In particolare il Tar ha ritenuto che l’asserita sottostima del costo della manodopera rispetto alle tabelle ministeriali, nonché l’antieconomicità e incongruità dell’offerta dell’aggiudicataria, “si sostanzia nel proporre una determinazione del costo della manodopera (dettagliando quale dovrebbe essere il “Costo minimo feriale” e quale il “Costo minimo festivo”, sempre muovendo dai valori tabellari di riferimento) “alternativo” rispetto a quello indicato dall’aggiudicatario e di gran lunga superiore rispetto a quest’ultimo” e quindi “meramente soggettivo, e come tale del tutto opinabile”, considerato anche che “il capitolato speciale d’appalto non prevede alcun “minimo” di ore”;

A fronte di ciò il Consorzio appellante ha ribadito l’attendibilità del metodo utilizzato per stimare il costo della manodopera, che nondimeno sconta le seguenti problematiche.

Innanzitutto il Consorzio Istant ha individuato come parametro di riferimento il costo orario di un addetto inquadrato nel secondo livello (muovendo dalla legge di gara, che presenta la stessa connotazione, come visto). Si è invece già illustrato come lo stesso elenco del personale da riassorbire dia conto di un’altra realtà, oltre al fatto che il Consorzio ha attestato gli specifici dati di riferimento (su cui infra) al fine di giustificare il costo della manodopera contenuto nell’offerta.

In secondo luogo, il calcolo si fonda su un conteggio delle ore non lavorate, utilizzate per l’individuazione delle ore di lavoro (1581), necessarie ai fini del calcolo del costo complessivo della manodopera, fondato sulle tabelle, che non tiene conto della realtà aziendale. Sulla base della stessa legge di gara è infatti preventivabile una diversa incidenza delle ore non lavorate anche in ragione dell’impiego di personale a tempo parziale (sul punto il Tar ha fatto riferimento all’”impiego pressoché totale di personale part time”, senza essere censurato sul punto), le cui ricadute sulle ore di assenza presentano peculiarità che lo distinguono dal lavoro a tempo pieno. Inoltre il Consorzio stabile ha allegato dati di assenteismo che consentono di superare il conteggio effettuato dall’appellante (su cui infra).

L’appellante ha poi basato la propria prospettazione su un monte ore complessivo per le attività ordinarie (di tipo A) e di presidio (di tipo C) stimato sulla base di un asserito monte ore vincolante stabilito dalla legge di gara (che l’appellante ha utilizzato quale fattore moltiplicativo del costo medio orario determinato dalle vigenti tabelle ministeriali). Senonché, rispetto alla prima attività, il monte ore complessivo è individuato nella tabella di cui all’art. 7 punto 7) del capitolato (“per un monte ore quotidiano complessivo individuato nella tabella seguente”), da ripartire “nel numero degli operatori presenti”. Per le attività di presidio sono invece individuate le fasce orarie nelle quali “Il presidio presso i servizi igienici devi visitatori deve essere garantito”, appunto “negli orari di seguito indicati” (art. 9 del capitolato), senza indicare il numero delle ore quotidiane complessive degli addetti destinati a tale servizio.

Pertanto non si rinviene nel capitolato un vincolo relativo al monte ore complessivo per le attività ordinarie (di tipo A) e di presidio (di tipo C), con la conseguenza che viene meno uno dei principali fattori sui quali si basa il conteggio effettuato dall’appellante.

Rispetto alla determinazione del monte ore si rileva comunque che, come visto, non risulta specificamente censurata la statuizione di inammissibilità di cui al punto 9.2 della sentenza impugnata (con i conseguenti effetti anche rispetto alle ulteriori deduzioni basate su detto monte ore, che scontano quindi detta tematica, che si intende richiamata anche nel prosieguo).

Anche in ragione di quanto sopra risulta poi generico il rilievo dell’appellante circa il fatto che “il Consorzio Eternity ha applicato costi medi orari che si discostano oltremodo ed ingiustificatamente (rispettivamente per € 4,25 per il costo feriale ed € 3,03 per il costo festivo) rispetto ai parametri tabellari”. Il Tar ha sul punto affermato infatti che “I costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle (ministeriali), del resto, svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali” e che “è privo di pregio anche l’assunto con cui si lamenta l’applicazione, da parte dell’aggiudicatario, di “costi medi orari che si discostano oltremodo ed ingiustificatamente (rispettivamente per € 4,25 per il costo feriale ed € 3,03 per il costo festivo) rispetto ai parametri tabellari”, in quanto anch’esso risultante da un calcolo matematico che espressamente prende a base un dato (numero di “ore minime stimate dalla Stazione appaltante”) non assodato (appunto perché manca la previsione di un “minimo” da garantire)”.

Il suddetto rilievo non supera, anche in ragione di quanto sopra, la decisione sul punto del Tar.

11.21. Con specifico riferimento ai giustificativi depositati in primo grado (della cui ammissibilità si è detto sopra) si osserva quanto segue.

L’appellante ha innanzitutto censurato il conteggio effettuato dal Consorzio stabile delle ore non lavorate in quanto “ha completamente azzerato le ore non lavorate per festività, per festività soppresse, per assemblee e permessi sindacali e per il diritto allo studio” e “ha ridotto a solo 7 ore annue (!) le 136 ore previste dalle tabelle Ministeriali per malattia infortuni e maternità”.

Quanto alle assenze per malattie, infortuni e maternità, il Tar ha affermato sono basate su “percentuali statistiche su cui non è ragione di dubitare (v. ad es. tasso di incidenza delle malattie, infortuni e maternità, di cui è stata offerta peraltro documentazione a comprova)”. Il Consorzio stabile ha inoltre allegato di avere documentalmente provato il dato delle assenze per malattie, infortuni e maternità attraverso l’estrazione dei dati Inps, riportando in memoria la schermata.

Rispetto a detta tipologie di ore non lavorate l’appellante ha detto che i “dati che si pongono in stridente contrasto con le tabelle ministeriali e con le tutele previste dal CCNL PulizieMultiservizi”.

Senonché il rilievo è generico e non coglie nel segno in quanto non è in sé inammissibile la riduzione delle ore non lavorate rispetto a quelle esposte nelle tabelle ministeriali. Sicché la deduzione dell’appellante non consente di superare la decisione del Tar sul punto.

Quanto alle assenze per festività e festività soppresse, il Consorzio stabile ha ritenuto di azzerarle in quanto “il servizio, come richiesto dal Capitolato, deve essere garantito tutto l’anno con turni di lavoro che devono ricoprire anche le festività (giorni di apertura ordinaria e straordinaria della struttura museale)”, precisando che “in accordo con l’art. 38, comma 5, punto n. 5 del CCNL Multiservizi del 08.06.2021 ha applicato una maggiorazione del 50% sul costo orario medio risultante dalla media pesata dei singoli costi orari per livello rapportato al relativo monte ore di esercizio” (così i giustificativi in esame).

Il Tar ha ritenuto che da detta motivazione non emergano profili di illegittimità.

L’appellante ha dedotto al riguardo che la circostanza che il capitolato preveda che il servizio debba essere svolto anche in occasione delle festività o nei giorni relativi alle c.d. festività soppresse non comporta che “l’addetto debba lavorare anche in questi giorni e non debba godere delle festività riconosciute dal CCNL” ma, “al contrario, comporta che l’impresa debba far svolgere il servizio da sostituti e sostenere il relativo onere”. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 38 del ccnl multiservizi “il lavoro compiuto nei giorni considerati festivi deve essere compensato con una percentuale di maggiorazione del 50%”, mentre l’art. 40 dispone che “Per i lavoratori per i quali è ammesso il lavoro nei giorni di domenica con riposo compensativo in altro giorno della settimana, la domenica sarà considerata giorno lavorativo mentre sarà considerato festivo a tutti gli effetti il giorno fissato per il riposo compensativo”.

Il richiamo all’art. 40 del ccnl non risulta conducente nella parte in cui qualifica la domenica come giorno lavorativo e individua il giorno festivo alternativo (alla domenica lavorativa) nel giorno di riposo compensativo, atteso che le festività e le festività soppresse si riferiscono a ricorrenze diverse (rispetto alla domenica). Peraltro, se il richiamo è funzionale ad applicare alle stesse il meccanismo previsto per le domeniche, se ne dedurrebbe che non risultano fruibili in aggiunta rispetto ai giorni di riposo compensativo.

Risulta maggiormente conferente il richiamo a quanto previsto dall’art. 41 del ccnl per le (sole) quattro festività religiose soppresse con legge n. 54 del 1997.

Senonché la regola richiamata, in base alla quale al lavoratore che in dette giornate presti la propria opera verranno “assegnati permessi compensativi retribuiti per quante sono state le giornate lavorate, in corrispondenza alle predette festività”, non risulta dettata in termini assoluti e quindi non supporta la tesi che dette quattro festività soppresse debbano necessariamente essere conteggiate nell’ambito delle ore non lavorate.

Infatti è stabilito nello stesso art. 41 che i permessi “saranno assegnati compatibilmente con le esigenze di servizio, tenute presenti le aspettative del lavoratore, e dovranno essere usufruiti entro l’anno in cui si riferiscono” e, “nel caso in cui il lavoratore non usufruisca nei termini suddetti dei permessi, allo stesso competeranno tante quote giornaliere di retribuzione globale mensile per quante sono state le giornate ex festive religiose lavorate”.

Inoltre, “nel caso di coincidenza delle 4 festività religiose con il riposo settimanale di cui all’art. 40 al lavoratore non spetterà alcun permesso compensativo, ma beneficerà del trattamento previsto al comma 3 del presente articolo” (con impatti sulla retribuzione).

Pertanto il trattamento riservato dal ccnl alle quattro giornate di festività soppresse non è sufficiente a superare la statuizione del giudice di primo grado sul punto.

11.22. Né risulta determinante il rilievo attribuito dall’appellante al numero di dipendenti del Consorzio e al fatto che esso attingerà la maggior parte dei lavoratori necessari per eseguire il contratto dal riassorbimento, con la conseguenza che non sarebbero indicativi i dati Inps riguardanti il passato.

Infatti l’operazione di riassorbimento non impedisce necessariamente l’utilizzo dei dati riguardanti la precedente realtà aziendale, che altrimenti la clausola sociale osterebbe sempre alla dimostrazione di una diversa organizzazione aziendale. E ciò a maggior ragione se si considera che il personale da riassorbire, come visto, è nella quasi interezza assunto a tempo parziale, così da incidere sulla tematica delle ore non lavorate a favore del Consorzio stabile.

11.23. Neppure è conducente l’assunto in base al quale il richiamo al lavoro a tempo parziale non costituisce ragione di calmierazione del costo del personale, atteso che il Tar ha richiamato la circostanza in merito alla quantificazione delle ore non lavorate, rispetto alle quali risulta invece rilevante l’impegno lavorativo per un numero di ore ridotto.

11.24. Ritenute non conducenti le deduzioni relative al tasso di ore non lavorate, vengono meno anche i rilievi riguardanti le aliquote Inps e Inail.

Il Tar, dopo avere richiamato l’inammissibilità del relativo rilievo (punto 9.3), ha deciso che “il dato indicato per i costi INPS ed Inail è stato documentato negli scritti difensivi;- il “monte ore non operativo” indicato non comprende anche le attività “capo Battività una tantum di 824 ore” e “capo E- attività a chiamata di 500 ore” previste dal capitolato, essendo state esse “prezzate” separatamente rispetto al costo del lavoro in sede di giustificativi (con importo determinato rispettivamente in euro € 6.703,40 e 6.923,28), e il corrispondente costo indicato nei giustificativi aggiuntivi (euro 3.087,42) rappresenta “un margine che il Consorzio si è lasciato per eventuali imprevisti” e non il costo delle ore non lavorate, atteso che “il costo medio orario (quindi per le ore operative) assorbe anche quello delle ore non lavorate proprio in base alle Tabelle ministeriali e comprende quindi tutte le voci di costo, incluse le festività”, aggiungendo che “anche sotto tale profilo ancora una volta il ricorrente muove da un presupposto (dato dalla presenza di un quantitativo di “ore minime necessarie previste dal Capitolato speciale d’appalto”) che non trova rispondenza nella lex specialis”.

L’appellante ha dedotto che “contrariamente a quanto asserito in sentenza il Consorzio Eternity non ha dimostrato di poter usufruire di […] aliquote INPS e INAIL inferiori a quelle previste dalle tabelle, ad es. per minor tasso di assenteismo e di infortuni etc.”.

Il rilievo è generico, considerando che non è oggetto di scrutinio l’adempimento dell’onere istruttorio da parte del Consorzio aggiudicatario (anche rispetto ai benefici contributivi, fiscali o di altra natura) e che lo stesso, nei giustificativi in esame, dà conto delle aliquote applicate con una motivazione che non risulta specificamente censurata in appello.

11.25. Sul monte ore necessario per l’esecuzione dell’appalto, pure oggetto di osservazioni da parte dell’appellante, si richiama quanto sopra illustrato in merito alla mancanza di una quantificazione complessiva per l’esecuzione delle attività ordinarie e a presidio e sulle difficoltà derivanti dal diverso trattamento riservato alle varie attività previste, e dalla mancata differenziazione delle spese del personale afferenti a ognuna di esse separatamente.

Né è conducente il rilievo relativo alla divisione dell’importo complessivo per le spese del personale esposto nei giustificativi dal Consorzio stabile, pari a € 347.031,02, con il numero complessivo del monte ore lavorato, pari a 24.438,40, in quanto sconta un monte ore “non lavorato” pari a 2.703,67.

Sicché considerata la censura qui scrutinata, che non comprende i profili relativi all’istruttoria e all’onere probatorio dell’aggiudicatario, non risulta conducente, in quanto l’appellante non ha dimostrato la fallacia del calcolo.

Risulta invece non determinante il rilievo riguardante la diminuzione del costo del lavoro feriale annuo, indicato nell’importo di euro 300.167,89 in luogo di quello originario di euro 304.824,54, atteso il ridotto ammontare dello scostamento e la presenza di voci idonee a coprire la differenza, quali l’utile di impresa (€ 15.653,81), imprevisti adeguamenti contrattuali e incrementi (€ 3.000,00) e spese generali (€ 7.996,74), che ammontano a un totale di € 26.650,55 (così come allegato dallo stesso appellante).

Neppure è determinante il rilievo relativo al richiamo, effettuato dal Tar, all’impegno del Consorzio stabile all’assorbimento del personale. Secondo l’appellante il Consorzio stabile si è così impegnato a garantire il monte ore svolto dalle diciotto unità di personale precedentemente impiegate nell’appalto, per un totale di 490 ore settimanali e di 25.480 ore annue, superiore a quello indicato dal Consorzio nei giustificativi in esame.

Posto che la clausola sociale comporta un vincolo non rigido ma elastico, contemperabile con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzazione imprenditoriale (Cons. St., sez. V, 1 agosto 2023 n. 7444), che il riassorbimento determina un vincolo rispetto al livello retributivo e che in detta tabella sono inseriti lavoratori stagionali, l’osservazione non è sufficiente a ritenere che il monte ore considerato dal Consorzio stabile al fine di determinare le spese del personale risulti contraddittorio e superato dall’obbligo di riassorbimento.

Infine non risulta comprovata l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha deciso che “il “monte ore non operativo” indicato non comprenderebbe “anche le attività “capo B attività una tantum di 824 ore” e “capo E- attività a chiamata di 500 ore” previste dal capitolato” poiché le stesse sarebbero state “prezzate separatamente rispetto al costo del lavoro in sede di giustificativi (con importo determinato rispettivamente in euro € 6.703,40 e 6.923,28), e il corrispondente costo indicato nei giustificativi aggiuntivi (euro 3.087,42) rappresenta “un margine che il Consorzio si è lasciato per eventuali imprevisti”.

Non si rinviene infatti, nei giustificativi in esame, la smentita di quanto sopra. Infatti il Consorzio aggiudicatario, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, non ha affermato, nei giustificativi in esame, di avere “fatto rientrare i costi per lo svolgimento delle ulteriori attività di cui al “Capo B – Attività una tantum” e “Capo E – Attività a chiamata”, all’interno del monte ore minimo per attività ordinarie e di presidio, stimato dalla stazione appaltante nel Capitolato in ore 24.386,80 annuali”, né ha affermato che “tali attività rientrerebbero nel già censurato “monte ore non operativo” di 2.703,67 ore”.

Piuttosto il Consorzio stabile ha dichiarato che “il monte ore non operativo indicato nella tabella precedente è una stima operata dalla scrivente sulla scorta del dato aziendale delle ore annue operative (1857 ore) e delle ore annue di assenteismo (231 ore)” che “per garantire il servizio la scrivente potrà rivolgersi ad un subappaltatore (volontà di impiegare un subappalto manifestata dalla scrivente in fase di partecipazione alla gara all’interno del DGUE)” al fine di “colmare le ore teoriche e stimate non operative”, “per le attività di cui al Capo B – Attività una tantum” e per le “attività di cui al Capo E – Attività a chiamata”. Sicché il Consorzio non ha distinto le varie attività anche nei giustificativi in esame.

12. Si rileva infine che la sentenza non è stata gravata nelle restanti parti, laddove il Tar ha ritenuto infondate le censure dedotte con i motivi aggiunti, che si appuntano sulla genericità e mancata dimostrazione di ciascuna delle ulteriori voci di costo indicate nei giustificativi, quali “spese generali, per attrezzature, ecc”, e inammissibile la censura sollevata con il terzo mezzo del ricorso introduttivo per difetto di interesse in ragione del mancato superamento della prova di resistenza.

13. In conclusione l’appello è infondato.

14. La peculiarità e la novità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2025 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente

Stefano Fantini, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Elena Quadri, Consigliere