TAR Lazio, Roma, Sez. IV 1° aprile 2025 n. 6540

In tal senso, si è recentemente espresso anche il Consiglio di Stato con parere n. 1984 del 28 dicembre 2021, chiarendo come “il rilievo d’ufficio dell’incostituzionalità della norma non incontra il limite dei motivi del ricorso quando la Corte costituzionale dichiari illegittima una norma sulla “genesi” del potere. In questo caso, sempre che il relativo giudizio sia ancora pendente al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, il giudice amministrativo può esercitare un potere di annullamento d’ufficio, anche quando il ricorrente abbia assunto come violate tutt’altre norme (così Consiglio di Stato, sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855 …)”.

Pubblicato il 01/04/2025

N. 06540/2025 REG.PROV.COLL.

N. 04359/2020 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4359 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da

SALT - Società Autostrada Ligure Toscana s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Annoni e Leonardo Frattesi, con domicilio digitale in atti e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Udine, n. 6;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo,- della nota prot. n. 4276 del 12 febbraio 2020 con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informativi e Statistici - Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali ha comunicato alla ricorrente che “i contratti stipulati da codesta Società concessionaria per l’esecuzione del Corridoio Plurimodale Tirreno Brennero saranno esclusi dalla base di calcolo per la determinazione delle percentuali dei lavori con affidamento a terzi, applicandosi il diverso regime convenzionale indicato dall’Unione Europea;

- di ogni ulteriore atto a questo presupposto, connesso e/o consequenziale ivi compresi:

(i) il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato prot. SVCA 27213 in data 11 novembre 2019 avente ad oggetto “Richiesta di parere inerente al rispetto dei limiti normativi sugli affidamenti da parte della Società SALT S.p.A. per il Tronco A15 Autocisa”;

(ii) la delibera n. 2 del 24 gennaio 2020 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione avente ad oggetto “Richiesta di parere del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in merito all’interpretazione dell’art. 177 del codice dei contratti pubblici e delle Linee Guida n. 11/2018 con riferimento alla convenzione con la società Autostrada Camionale della Cisa S.p.A. (oggi SALT S.p.A. – Tronco Autocisa) per la realizzazione del Corridoio Plurimodale Tirreno Brennero”,

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti,

- del provvedimento prot. U.005175 del 21 febbraio 2020 con il quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informativi e Statistici - Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali, rinviando alle proprie precedenti note prot. 4276 del 12 febbraio 2020 e prot. 29142 del 2 dicembre 2019, ha comunicato alla ricorrente l’impossibilità di accogliere il “Programma affidamenti per l’anno 2020 inviato per il Tronco A15 Autocisa con la nota n. 11422 del 28.12.2019 in quanto prevede nuovi affidamenti di lavori infragruppo che potrebbero aggravare l’attuale squilibrio e non consentire il rientro nei limiti normativi vigenti, nei tempi stabiliti dal comma 2 dell’art. 177 del D.Lgs. 50/2016”;

- di ogni ulteriore atto a questo presupposto, connesso e/o consequenziale ivi comprese, per quanto occorrer possa, le note MIT prot. 29142 del 2 dicembre 2019, prot. 22843 del 24 settembre 2019 e prot. 29138 del 2 dicembre 2019 in esso richiamate;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti,

- del provvedimento prot. U.0010600 del 16 aprile 2021 con il quale il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili - Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informativi e Statistici - Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali, rinviando alle proprie precedenti note prot. 23402 del 24 settembre 2020, prot. U.005175 del 21 febbraio 2020, prot. 29138 del 2 dicembre 2019, prot. 4276 del 12 febbraio 2020 e prot. 29142 del 2 dicembre 2019 tutte allegate al predetto provvedimento (e in parte impugnate con i precedenti motivi aggiunti), ha comunicato alla ricorrente, sempre quale concessionario del tronco autostradale A15 “Autocisa”, il mancato accoglimento del programma degli affidamenti per l’anno 2021 inviato dallo stesso concessionario con nota prot. 3773 del 29 marzo 2021 invitando la medesima ricorrente “a provvedere ad un aggiornamento dello stesso, prevedendo un incremento degli affidamenti a terzi rispetto a quelli comunicati con la nota in riferimento”;

- di ogni ulteriore atto a questo presupposto, connesso e/o consequenziale ivi comprese, per quanto occorrer possa, le note della Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali in esso richiamate prot. 23402 del 24 settembre 2020, prot. U.005175 del 21 febbraio 2020, prot. 29138 del 2 dicembre 2019, prot. 4276 del 12 febbraio 2020 e prot. 29142 del 2 dicembre 2019.


 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 21 febbraio 2025 la dott.ssa Eleonora Monica e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società Autostrada Ligure Toscana s.p.a. (nel prosieguo “SALT”, “Società” o “Concessionaria”) è titolare, a seguito di fusione per incorporazione di Autocamionale della Cisa s.p.a., della concessione autostradale avente ad oggetto l’esecuzione degli interventi di ammodernamento e la gestione della tratta autostradale “A15 Parma – La Spezia” nonché la realizzazione di un suo prolungamento attraverso la costruzione di un corridoio autostradale da Fontevivo (PR) a Nogarole Rocca (VR) della lunghezza complessiva di circa km 85+000 denominato “Corridoio Plurimodale Tirreno Brennero” (di seguito “TIBRE” o “Prolungamento”), giusta Convenzione sottoscritta in data 3 marzo 2010 con ANAS s.p.a., alla quale è poi subentrato a far data dal 1° ottobre 2012 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (nel prosieguo anche “MIT” o “Ministero”).

Tale Convenzione obbliga la Concessionaria a rispettare la normativa di legge vigente applicabile al rapporto concessorio e, per quel che qui interessa, l’art. 177 del d.lgs. n. 50/2016 che prevede l’obbligo di affidare a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica una quota non inferiore al 60% dei lavori, con facoltà di affidare l’esecuzione della quota residua a società controllate e/o collegate.

Con specifico riferimento ai lavori di realizzazione del Prolungamento, la Convenzione ne prevede, invece, l’integrale affidamento a terzi “mediante l’espletamento di gare di appalto conformi alle norme comunitarie in materia di lavori pubblici” (in tal senso l’art. 30, comma 1 bis, inserito in recepimento delle intese raggiunte dallo Stato Italiano a livello comunitario in relazione ad una procedura di infrazione in sede comunitaria, conclusasi nel 2009 con l’archiviazione della stessa a fronte dell’impegno assunto dal Governo italiano e dal Concessionario di “affidare a terzi il 100% (cento per cento) dei lavori di costruzione” relativi alla realizzazione del TIBRE).

SALT dava puntuale applicazione a tale previsione convenzionale, affidando a terzi l’esecuzione dei lavori del Prolungamento, all’esito di procedura di gara ad evidenza pubblica, giusto relativo contratto d’appalto stipulato in data 12 novembre 2013 e successivi atti aggiuntivi integrativi.

Tale affidamento, sin dalla sua aggiudicazione, veniva incluso dalla Società, nelle comunicazioni semestrali inviate al MIT ai fini del monitoraggio degli affidamenti disposti.

Ciò posto, con il ricorso introduttivo la Concessionaria impugna la nota in epigrafe con cui il Ministero le ha comunicato che “i contratti stipulati da codesta Società concessionaria per l’esecuzione del Corridoio Plurimodale Tirreno Brennero saranno esclusi dalla base di calcolo per la determinazione delle percentuali dei lavori con affidamento a terzi, applicandosi il diverso regime convenzionale indicato dall’Unione Europea”, sostanzialmente ritenendo che i lavori di realizzazione del TIBRE non concorrerebbero, dunque, alla determinazione della predetta quota del 60% di lavori che il Concessionario è tenuto ad affidare a terzi ai sensi dell’art. 177 del d.lgs. n. 50/2016.

La ricorrente chiede l’annullamento di tale atto nonché dei presupposti pareri al riguardo resi dall’Avvocatura Generale dello Stato e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione deducendone l’illegittimità per:

1. Violazione dell’art. 177, comma 1, del d.lgs. 50/2016 e delle Linee Guida dell’ANAC n. 11, ai sensi delle quali la quota del sessanta per cento di affidamenti a terzi che i concessionari autostradali sono tenuti a garantire deve essere calcolata sulla totalità “dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni” ad essi assentite, senza possibilità, dunque, di escludere arbitrariamente da tale computo singoli contratti di lavori comunque pacificamente ricompresi nell’oggetto concessorio;

2. Contrasto con fondamentali principi e norme dell’ordinamento eurounitario e nazionale e segnatamente con le libertà di cui agli artt. 49, 56 e 63 del TFUE, con i principi della certezza del diritto ex art. 10 del T.F.U.E. e del legittimo affidamento, nonché con i principi di cui agli artt. 1 e 6 del Protocollo CEDU, come interpretati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo che vietano l’adozione di atti normativi e/o di provvedimenti autoritativi “volti a interferire su rapporti in corso”, determinando significative modificazioni delle condizioni tecniche ed economiche originariamente negoziate ed in considerazione delle quali le parti avevano prestato il proprio consenso alla stipulazione.

Il Ministero si costituiva in giudizio, con memoria di pura forma.

Parte ricorrente con successivi ricorsi per motivi aggiunti contesta, poi, la legittimità dei provvedimenti con i quali il MIT, richiamando il provvedimento gravato con il ricorso introduttivo, ha negato l’accoglimento del “programma degli affidamenti” predisposto dalla Concessionaria per gli anni 2020 e 2021 in ragione della sussistenza di una pretesa “situazione di squilibrio” nel rapporto affidamenti terzi/infragruppo rispetto alla soglia prevista dall’art. 177 del d.lgs. n. 50/2016, pretesamente suscettibile di aggravamento per effetto della implementazione dei suddetti programmi predisposti da SALT.

La Concessionaria chiedeva, dunque, l’annullamento di tali determinazioni, affermandone l’illegittimità sotto il profilo:

1. della indebita esclusione dalla base di calcolo per la determinazione della percentuale di lavori affidati a terzi (e, correlativamente, della percentuale di lavori affidabili infragruppo) dei lavori di realizzazione del c.d. “TIBRE” affidati in appalto all’esito di procedura di gara ad evidenza pubblica;

2. dell’impossibilità per il MIT di contestare pretese situazioni di squilibrio e di assumere conseguenti misure inibitorie degli affidamenti infragruppo, ovvero sanzionatorie, stante l’assenza di un siffatto potere in capo al Concedente previsto dalla legge e/o dalla Convenzione e comunque prima che detto squilibrio risulti accertato in via definitiva alla scadenza della Concessione.

Il Ministero nulla replicava, astenendosi dallo svolgere qualsiasi attività difensiva.

Da ultimo, la Società con memoria depositata il 15 gennaio 2025 insisteva per l’accoglimento del gravame proposto anche in relazione all’intervento nelle more del giudizio della sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 23 novembre 2021, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 177 del d.lgs. n. 50/2016.

All’udienza di smaltimento del 21 febbraio 2025 la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.

Occorre, innanzi tutto, considerare le conseguenze sull’odierno giudizio della sentenza della Corte costituzionale 23 novembre 2021, n. 218 – richiamata dalla ricorrente nell’ultima memoria - con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016 per contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 41, comma 2, della Costituzione.

Il ricorso deve, infatti, essere accolto in relazione alla sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale art. 177, commi 1 e 2, nonché della norma della legge delega che ne era alla base, l’art. 1, comma 1, lettera iii) della l. n. 11/2016 (in tal senso, dal Consiglio di Stato, Sezione V, sentenze nn. 2221 e 2276 del 25 e 28 marzo 2022, di annullamento delle Linea Guida Anac n.11, anch’esse poste a fondamento degli atti avversati).

Assume, infatti, rilievo dirimente come, avendo la Corte Costituzionale con sentenza n. 218 del 23 novembre 2021 dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale normativa, sia venuto meno l’obbligo ivi previsto del Concessionario di esternalizzazione della percentuale del 60% dei lavori mediante procedura ad evidenza pubblica (in tal senso, Cassazione civile sez. un., 12/06/2024, n.16288), e, dunque, anche ogni connessa questione relativa ai lavori che concorrono alla determinazione di tale quota, quali, nel caso di specie, i lavori di realizzazione del TIBRE, così come lo stesso potere del Ministero di sindacarne il rispetto o meno da parte di SALT.

Con tale pronuncia la Corte Costituzionale, nel dichiarare incostituzionale tale disposizione, ha quindi, caducato erga omnes nonché ex tunc tale obbligo ed ogni relativo potere di controllo in capo al Ministero concedente, sicchè - pur non avendo SALT, con riferimento ai provvedimenti avversati, formulato alcun specifico motivo di gravame avente ad oggetto l’incostituzionalità (o comunque inapplicabilità) di detta norma - il ricorso proposto deve esse, comunque accolto, in ragione di tale sopravvenuta sentenza dichiarativa dell’incompatibilità con la Carta costituzionale di tale obbligo, in ragione del venir meno del potere nel caso di specie esercitato dal MIT mediante l’adozione degli atti avversati.

Come noto, in base al combinato disposto di cui all’art. 136 della Costituzione e all’art. 30, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina, infatti, la cessazione della sua efficacia erga omnes e, sotto il profilo temporale, impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che la norma possa essere applicata ai rapporti pendenti - nei quali devono essere ricompresi quelli ancora sub iudice - in relazione ai quali la norma dichiarata incostituzionale risulti comunque rilevante, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, fermo restando il principio che gli effetti dell'incostituzionalità non si estendono ai diritti quesiti e ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento al quale l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalità (ex plurimis, Cassazione civile, Sez. I, 20 novembre 2012 n. 1320; Cassazione civile, Sez. III, 06 maggio 2010 n. 10958; Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2011 n. 4494).

Quanto ai provvedimenti che sono stati emanati sulla base di una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima nel corso del giudizio d’impugnazione, gli stessi devono, quindi, essere conseguentemente annullati, a nulla rilevando che essi fossero legittimi alla data in cui furono adottati, considerato che, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, la declaratoria di incostituzionalità è efficace rispetto a situazioni pendenti, tra le quali sono da comprendere anche quelle relative a provvedimenti, correttamente adottati sul presupposto di fonti primarie oggetto della declaratoria di incostituzionalità e che – come avviene nella fattispecie in esame - non siano divenuti inoppugnabili o rispetto ai quali non sia intervenuto un giudicato di reiezione di eventuali impugnazioni.

Se, dunque, in linea generale, la legittimità di un provvedimento va verificata con riferimento alla normativa vigente alla data della sua emanazione, tuttavia, quando nel corso del giudizio sopraggiunga una sentenza di incostituzionalità della norma sulla cui base il provvedimento impugnato è stato adottato, lo stesso deve essere annullato, costituendo il sopravvenuto accertamento della incostituzionalità della norma profilo invalidante l’atto stesso.

Le sentenze che dichiarano l’incostituzionalità sono, inoltre, produttive di effetti nel processo amministrativo anche indipendentemente dalla proposizione da parte del ricorrente dell’eccezione di incostituzionalità, quando l’applicazione delle norme censurate di incostituzionalità rientri tra le questioni sottoposte al giudice con i motivi di ricorso, ovvero riguardi il potere sulla cui base è stato emanato l'atto impugnato o i correlativi interessi, come pure le eccezioni rilevabili d'ufficio, potendo quindi il giudice amministrativo, anche indipendentemente dalla prospettazione di specifici motivi di gravame in tal senso, rilevare d’ufficio l’intervenuta declaratoria, da parte della Consulta, dell’incostituzionalità di norme in applicazione delle quali risulti essere stato adottato il provvedimento impugnato e trarre da ciò le conseguenze del caso, in relazione all'atto ed al rapporto dedotto in giudizio, discendendo dalla sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma di legge sulla quale si fonda il provvedimento impugnato l'illegittimità derivata dell’atto medesimo.

In tal senso, si è recentemente espresso anche il Consiglio di Stato con parere n. 1984 del 28 dicembre 2021, chiarendo come “il rilievo d’ufficio dell’incostituzionalità della norma non incontra il limite dei motivi del ricorso quando la Corte costituzionale dichiari illegittima una norma sulla “genesi” del potere. In questo caso, sempre che il relativo giudizio sia ancora pendente al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, il giudice amministrativo può esercitare un potere di annullamento d’ufficio, anche quando il ricorrente abbia assunto come violate tutt’altre norme (così Consiglio di Stato, sez. VI, 20 novembre 1986, n. 855 …)”.

Dall’applicazione di tali principi alla presente controversia discende l’illegittimità degli atti avversati, trattandosi di provvedimenti adottati dal MIT nell’esercizio di poteri afferenti la verifica, anche mediante la determinazione delle modalità di computo della relativa percentuale, del rispetto da parte di SALT di quell’obbligo di esternalizzazione (prima) stabilito dalla norma ormai dichiarata incostituzionale con efficacia ex tunc.

Sussistono, infatti, nel caso di specie, i presupposti affinché questo Collegio possa annullare per illegittimità derivata (sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 23 novembre 2021) i provvedimenti gravati, atteso che, la presente controversia era ancora pendente alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale e la questione di costituzionalità è rilevante nel caso de quo in quanto finisce per investire l’obbligo al cui corretto adempimento si riferiscono i provvedimenti gravati.

Il ricorso deve, dunque, essere sotto tale profilo accolto, con assorbimento dei motivi di impugnazione articolati in ricorso, e gli atti impugnati devono, quindi, essere annullati.

Sussistono, comunque, giusti motivi - attesa la complessità della questione (tale da avere reso necessaria una pronuncia della Corte Costituzionale) - per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Achille Sinatra, Presidente FF

Eleonora Monica, Consigliere, Estensore

Antonietta Giudice, Referendario

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia n. 6540 del 1° aprile 2025 il TAR Lazio, Roma, Sez. IV, si è pronunciato in merito alla dibattuta applicazione dell’art. 177 del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei Contratti Pubblici) che, prima della sua caducazione per illegittimità costituzionale, imponeva ai concessionari pubblici l’obbligo di affidare a terzi, mediante procedure ad evidenza pubblica, una quota non inferiore al 60% delle attività oggetto della concessione. Nel caso di specie, la SALT S.p.A. (concessionaria della tratta autostradale A15 “Autocisa” e del relativo prolungamento noto come TIBRE), aveva contestato i provvedimenti con cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e l’ANAC avevano:

  • escluso i lavori del TIBRE dal computo della quota minima da affidare a terzi ex art. 177, cit.;
  • rigettato i programmi annuali di affidamento predisposti dalla concessionaria per il 2020 e 2021.

Il TAR Lazio, in accoglimento del ricorso, ha annullato tutti gli atti impugnati sulla base della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 177 D.Lgs. n. 50/2016 ad opera della sentenza n. 218/2021 della Corte costituzionale.

Il fulcro della decisione del TAR risiede nella corretta applicazione dell’efficacia erga omnes ed ex tunc della declaratoria di incostituzionalità. Come noto, ai sensi degli artt. 136 Cost. e 30 della L. n. 87/1953, una norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia non solo per il futuro, ma anche per il passato, travolgendo retroattivamente gli atti amministrativi che su di essa si fondano, se non ancora consolidati in via definitiva. In tal senso, il TAR ha affermato che, nonostante l’art. 177, cit. fosse vigente al momento dell’adozione dei provvedimenti impugnati, il sopravvenuto giudicato costituzionale:

  • priva di base legale gli atti del MIT;
  • rende illegittimi per derivazione tali atti;
  • consente l'annullamento anche in assenza di una specifica censura di incostituzionalità formulata dal ricorrente, in quanto il giudice amministrativo ha il potere-dovere di rilevarla d’ufficio qualora incidente sull’esercizio del potere autoritativo impugnato.

La sentenza affronta, seppur implicitamente, una questione sostanziale e di sistema: il corretto perimetro del potere del MIT quale concedente nei confronti del concessionario SALT. Il MIT aveva preteso di sindacare – sulla base di un parametro poi dichiarato incostituzionale – non solo il rispetto della soglia del 60% di affidamenti a terzi, ma anche la legittimità dei contratti infragruppo e la coerenza degli affidamenti futuri con tale obbligo. La decisione del TAR sancisce che tale potere di vigilanza era privo di fondamento legale, venuto meno a seguito della caducazione dell’art. 177, cit. Ne deriva un chiaro monito a non espandere illegittimamente l’ambito dei controlli pubblici sulle dinamiche contrattuali tra soggetti privati, se non fondati su una precisa base legislativa. Pur non costituendo il cuore motivazionale della sentenza, la questione del legittimo affidamento invocata da SALT – legato alla stabilità del quadro convenzionale e normativo al momento della sottoscrizione della concessione – è indirettamente riconosciuta nella decisione. La sentenza del TAR si allinea alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE e della Corte EDU, valorizzando i principi della certezza del diritto e della stabilità dei rapporti giuridici in corso, specialmente in ambiti – come quello concessorio – in cui il sinallagma contrattuale pubblico-privato è fondato su investimenti di lungo periodo e su piani finanziari complessi.

Conclusivamente può affermarsi che la sentenza in commento riveste particolare rilievo sistemico per i seguenti motivi:

  • conferma il primato delle sentenze della Corte costituzionale sul giudicato amministrativo, con effetti anche nei processi in cui la questione non era stata specificamente sollevata;
  • ribadisce i limiti del potere regolatorio e interpretativo delle autorità amministrative, ANAC compresa, che avevano avallato l’esclusione dei lavori del TIBRE dal computo;
  • si inserisce nel più ampio processo di revisione critica del Codice dei contratti pubblici del 2016, sfociato nell’adozione del nuovo D.Lgs. n. 36/2023, volto a rimediare proprio a rigidità e complessità generate dalle precedenti norme.

La pronuncia del TAR Lazio n. 6540/2025 si configura come una pronuncia di diritto vivente, nella quale il giudice amministrativo fa buon uso dei poteri officiosi riconosciutigli dall’ordinamento, traendo le conseguenze dirette da un sopravvenuto mutamento del quadro normativo costituzionale. Essa rappresenta un precedente importante per:

  • i concessionari autostradali e infrastrutturali, nella ridefinizione degli obblighi di esternalizzazione;
  • le amministrazioni concedenti, che dovranno esercitare con maggiore cautela i poteri di controllo;
  • la giurisprudenza amministrativa, che è chiamata a riflettere sul ruolo crescente delle pronunce costituzionali nei procedimenti pendenti.