Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2025, n. 368

In materia di responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione da provvedimento amministrativo illegittimo, la responsabilità non consegue automaticamente all’annullamento del provvedimento amministrativo (ovvero all’accertamento della sua illegittimità) in sede giurisdizionale, occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, secondo un giudizio di regolarità causale, un pregiudizio direttamente riferibile all’assunzione o all’esecuzione della determinazione contra ius, lesiva del bene della vita spettante alla parte ricorrente.

Inoltre, ai fini della condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, è necessario fornire la prova di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, previsti dall’art. 2043 c.c., quali presupposti indefettibili della responsabilità aquiliana.

Le disposizioni di cui all’art. 2043 c.c. devono essere poi coordinate con quelle di cui all’art. 1227 c.c. e con quelle di cui all’art. 30 c.p.a.

Con particolare riguardo al danno da mancata aggiudicazione, il Consiglio di Stato rammenta l’indirizzo consolidato della giurisprudenza secondo il quale:  

a) la relativa imputazione opera in termini obiettivi, che prescindono dalla colpa della stazione appaltante, in quanto – in conformità alle indicazioni di matrice eurounitaria – la responsabilità assume, in tema di risarcimento del danno, una coloritura funzionale compensativo – surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, n. 2429 del 2019);

b) ai sensi dell’art. 124, comma 1, c.p.a., che fa riferimento al danno ‘subito e provato’, è onere del concorrente danneggiato offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64, comma 1 e 3 c.p.a., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra l’Amministrazione e privato (Cons. Stato, n. 3448 del 2017);

c) non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretendere il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile, onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (Cons. Stato, n. 5803 del 2019; id. n. 4283 del 3015);

d) spetta, per contro, il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende il mancato profitto cioè l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale ed alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto e il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale ed imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali;

e) relativamente alla prima posta risarcitoria, deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento, o di altra percentuale, dell’importo a base d’asta: e ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, non avendo fondamento la presunzione che la perdita sia, secondo un canone di normalità, ancorata alla ridetta percentuale, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e dimostrazione (Cons. Stato, n. 2184 del 2017), sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire la prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito.

f) che, ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può pretendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata e dalla relativa offerta;

g) inoltre, il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non avere potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori; e ciò, perché, in assenza di suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2 del 2017), che tenga conto, in concreto, della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura dei costi, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche, nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo ed in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali , all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile (Cons. Stato, n. 7262 del 2020);

h) anche il danno curriculare, ancorato alla perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio sociale occasionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quale conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione (Cons. Stato, n. 5803 del 2019; id. n. 689 del 2019).

 

 

N. 00368/2025 REG.PROV.COLL. 

                                                                  N. 01607/2023 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1607 del 2023, proposto da
Ortu Giuseppe titolare dell'omonima impresa edile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Cuccu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Consorzio Industriale Provinciale Oristanese – C.I.P.Or., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Asciano e Lauro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Asciano in Roma, via Giunio Bazzoni n. 1;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 778/2022, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consorzio Industriale Provinciale Oristanese – C.I.P.Or.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2024 il Cons. Annamaria Fasano e udito per le parti l’avvocato Carlo Cuccu;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il Consorzio Industriale Provinciale Oristanese (in seguito anche solo Consorzio) indiceva una procedura negoziata per l’affidamento, secondo il criterio del massimo ribasso percentuale sull’importo a base d’asta, dei lavori di manutenzione straordinaria delle ‘Infrastrutture primarie del Corpo Nord dell’Agglomerato industriale di Oristano – Intervento di efficientamento energetico dell’impianto di illuminazione pubblica a servizio degli insediamenti produttivi (PMI)’.

All’esito delle operazioni di selezione, si collocavano, rispettivamente, al primo e al secondo posto della graduatoria finale la S.A.D. Costruzioni s.r.l. e la Millenium, mentre l’impresa edile Ortu Giuseppe si posizionava al terzo posto.

2. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, Ortu Giuseppe titolare dell’omonima impresa edile, impugnava la procedura di gara, proponendo domanda cautelare. Il Collegio di prima istanza, con ordinanza n. 192 del 2015, respingeva la richiesta di sospensiva perché l’atto introduttivo del giudizio era stato notificato dal ricorrente alla sola prima classificata, la società S.A.D. Costruzioni s.r.l., e non anche alla seconda classificata, la società Millenium, con violazione del contraddittorio processuale.

L’impresa edile Ortu Giuseppe integrava il contraddittorio nei confronti della seconda graduata, ma prendeva atto che, nelle more del giudizio, i lavori oggetto dell’appalto erano stati eseguiti dall’aggiudicataria S.A.D. Costruzioni s.r.l., pertanto, con le memorie conclusive, formulava richiesta di declaratoria di illegittimità degli atti impugnati al solo fine del risarcimento del danno, che il Collegio accoglieva con la sentenza 29 aprile 2016, n. 376, sulla base della mancata esclusione dalla gara delle due imprese che precedevano la ditta Ortu Giuseppe in graduatoria, le quali non avevano indicato separatamente i costi relativi agli oneri di sicurezza aziendale.

3. In relazione al presente procedimento, Ortu Giuseppe, nella qualità di titolare dell’omonima impresa edile, ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna chiedendo la condanna del Consorzio Industriale Provinciale Oristanese – C.I.P.Or. al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, dal momento che, ad avviso del ricorrente, una volta accertata, a seguito della sentenza del T.A.R. n. 376 del 2016, l’illegittimità della mancata esclusione dalla procedura di gara delle imprese risultate prima e seconda in graduatoria, la commessa sarebbe senz’altro spettata.

4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con sentenza n. 778 del 2022, ha respinto il ricorso, rilevando che la condanna al risarcimento del danno non si pone come automatica conseguenza dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento lesivo, essendo la stessa, anche nel processo amministrativo, soggetta al generale principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., per cui grava sul danneggiato l’onere di allegare e provare tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria, tra i quali il nesso causale tra il provvedimento illegittimo (id est la condotta illecita della pubblica amministrazione) e le conseguenze dannose subite dal suo destinatario.

Secondo il Collegio di prima istanza, a tale onere processuale il ricorrente non ha ottemperato, dovendosi ravvisare il concorso dell’impresa edile di Giuseppe Ortu nella causazione del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c. e 30 c.p.a., posto che inizialmente il ricorso introduttivo (R.G. n. 605/2015) era stato notificato solo all’impresa prima in graduatoria, la S.A.D. Costruzioni s.r.l., e non anche alla seconda graduata, l’impresa Millenium, con la conseguenza che l’incompleta instaurazione del contraddittorio processuale ha inevitabilmente comportato il rigetto dell’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia degli atti di gara e, quindi, impedito il subentro nel rapporto contrattuale dell’impresa ricorrente prima dell’esecuzione del contratto da parte dell’originaria aggiudicataria.

5. Giuseppe Ortu, titolare dell’omonima impresa edile, ha proposto appello avverso la suddetta pronuncia, chiedendone l’integrale riforma, sollevando le seguenti doglianze: “1. Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1227 e 2056 c.c. e 30 c.p.a.; violazione e omessa/falsa applicazione degli artt. 30 e 55, c.12 c.p.a.; 2. Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1227 e 2056 c.c. e 30 c.p.a.; violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 55 c.p.a.; 3. Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1227 e 2056 c.c. e 30 c.p.a.; violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 55 c.p.a.; 4. Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli arttt. 1223, 1227 e 2056 c.c. e 30 c.p.a.; violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 55 c.p.a.”.

L’appellante deduce che, in accoglimento delle suindicate censure, avrebbe diritto al risarcimento dell’equivalente monetario di tutti i danni patiti a causa della mancata aggiudicazione dei lavori oggetto della gara in esame, consistenti nel lucro cessante da mancato utile e nel danno curriculare.

In subordine, nell’ipotesi in cui non si ritenesse dimostrata l’entità del danno patito come quantificato nel gravame, l’appellante chiede la liquidazione del pregiudizio in via equitativa, nella misura del 10% dell’offerta a base di gara a titolo di lucro cessante, e quindi per l’importo di euro 25.783,07, nonchè del danno curriculare nella misura di un ulteriore 10%, per un totale di euro 28.361,38.

6. Il Consorzio Industriale Provinciale Oristanese – C.I.P.Or. si è costituito in resistenza, concludendo per il rigetto dell’appello e riproponendo le argomentazioni sostenute nel corso del giudizio di primo grado, non esaminate dal Collegio di prima istanza.

7. All’udienza del 17 ottobre 2024, la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

8. Con il primo mezzo, l’appellante contesta la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui il Collegio ha affermato che: ‘tale incompleta instaurazione del contraddittorio aveva inevitabilmente comportato il rigetto – giusta l’ordinanza di questa Sezione 29.7.2015, n. 192, espressamente motivata in questi termini – dell’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia degli atti di gara’, posto che, diversamente da quanto sostenuto dal T.A.R., il ricorrente aveva diligentemente proposto la domanda cautelare, e, quindi, non può essere ritenuto colpevole del fatto che il T.A.R. ha ritenuto ingiustamente di negarla. Pertanto, il Collegio di primo grado avrebbe errato nel ritenere il concorso di colpa ex artt. 1223, 1227, 2056 c.c. e 30 c.p.a., omettendo di valutare che la domanda cautelare proposta dalla ditta Ortu nel giudizio di primo grado era stata spiegata ritualmente, e che il T.A.R. l’aveva respinta violando l’art. 55, comma 12, c.p.a., omettendo di disporre l’integrazione del contraddittorio.

9. Con il secondo mezzo, l’appellante contesta la tesi sostenuta dal T.A.R., rilevando che la sospensiva avrebbe evitato solo il danno grave e irreparabile, perché senza tale presupposto la domanda cautelare sarebbe stata non accoglibile. Secondo l’esponente, tuttavia, la sentenza gravata avrebbe dovuto considerare che, in questo caso, il danno da mancata aggiudicazione non sarebbe stato irreparabile proprio a causa della sua risarcibilità diretta e, quindi, la sospensiva non avrebbe potuto essere concessa, pertanto, il danno non sarebbe stato comunque evitato neppure notificando ab origine il ricorso anche al secondo classificato.

10. Con la terza doglianza, Ortu Giuseppe ribadisce di non essere incorso in negligenza, atteso che il T.A.R. avrebbe potuto decidere la cautela salva l’integrazione del contradditorio per la fase di merito, con la conseguenza che la sentenza appellata sarebbe errata nella parte in cui ha attribuito al ricorrente la corresponsabilità nella causazione del danno, essendo invece vero il contrario.

11. Con la quarta critica, l’appellante denuncia che il Giudice di prima istanza avrebbe ingiustamente omesso di valorizzare la condotta della P.A. la quale, pur a fronte di evidenti vizi di legittimità, ha proceduto sollecitamente alla stipula del contratto, invece di agire in autotutela. Il Collegio avrebbe erroneamente affermato che il ricorrente aveva integrato il contraddittorio tardivamente, addirittura ‘con atto depositato il 9.10.2015’, ma tale circostanza di fatto non sarebbe veritiera in quanto la notifica è stata effettuata il 30.7/1.8.2015, ossia il giorno dopo la camera di consiglio con la quale il Tribunale amministrativo ha ritenuto che andasse integrato il contraddittorio anche nei confronti del secondo classificato. Il ricorrente, pur avendo chiesto, nel corso del giudizio, di depositare la prova della notifica, dalla quale sarebbe risultata l’integrazione del contraddittorio prima della stipula del contratto di appalto, non è stato autorizzato, in questo modo non sarebbe emersa la prova dell’assenza di colpa nella causazione del danno. Al contrario, ad avviso dell’appellante, il T.A.R. avrebbe dovuto valutare la condotta gravemente colposa dell’Amministrazione, la quale ha sottoscritto il contratto d’appalto con l’aggiudicataria nonostante la palese illegittimità degli atti gravati.

12. L’appellante conclude che, in esito all’accoglimento delle suddette censure, dovrebbe essere risarcito il danno patito a causa della mancata aggiudicazione dei lavori oggetto della gara, consistenti nel lucro cessante da mancato utile, oltre al danno curriculare. Con riferimento al lucro cessante, il ricorrente fa riferimento al guadagno netto che l’impresa Ortu avrebbe conseguito dall’appalto, pari ad euro 137.261,77, mentre con riferimento al danno curriculare (pari al 10% del lucro cessante nella misura di un ulteriore 10% trattandosi di voce di danno specifico, derivante dal mancato arricchimento del curriculum professionale), chiede la somma di euro 150.987,95. Ad avviso del ricorrente, nell’ipotesi in cui si intenda liquidare il danno in via equitativa, il risarcimento a titolo di lucro cessante dovrebbe essere quantificato in euro 55.188,88, incrementato di un ulteriore 10% a titolo di risarcimento per danno curriculare subito dall’impresa, per un totale di euro 60.707,77.

L’esponente, in subordine, chiede la liquidazione del danno in via equitativa nella misura del 10% dell’offerta a base di gara a titolo di lucro cessante, e quindi per l’importo di euro 25.783,07, e del danno curriculare nella misura di un ulteriore 10% per un totale di euro 28.361,38.

13. Le critiche prospettate con il gravame, in ragione dell’attinenza a profili connessi, vanno esaminate congiuntamente.

L’appello è in parte fondato e va accolto nei termini di cui in motivazione.

14. Il Tribunale amministrativo adito ha respinto la domanda spiegata dal ricorrente di risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, escludendo il nesso causale tra il provvedimento illegittimo (id est condotta illecita della pubblica amministrazione) e le conseguenze dannose subite dal suo destinatario. Nello specifico, il Collegio ha ravvisato il concorso di responsabilità della ditta Ortu nella causazione del danno, ai sensi degli artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a., che ha inizialmente notificato il ricorso soltanto all’impresa prima in graduatoria e non anche alla seconda graduata, con la conseguenza che l’incompleta instaurazione del contraddittorio processuale avrebbe inevitabilmente comportato il rigetto dell’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia degli atti di gara, impedendogli il subentro nel rapporto contrattuale prima della sua esecuzione da parte dell’originaria aggiudicataria.

Il T.A.R. ha concluso: “una tempestiva notifica del ricorso a tutti i controinteressati avrebbe potuto assicurare alla ditta Ortu una pronuncia cautelare favorevole già alla data del 29 luglio 2015 (quando fu pronunciata l’ordinanza cautelare: vedi supra), o quanto meno una rapida fissazione della causa nel merito, e ciò le avrebbe consentito di subentrare nel rapporto contrattuale prima della sua esecuzione da parte dell’originaria aggiudicataria”.

Tale approdo argomentativo non può essere condiviso.

15. E’ noto a questo Collegio che, secondo principi giurisprudenziali consolidati, cui questa Sezione ha già avuto modo di prestare adesione, in materia di responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione da provvedimento amministrativo illegittimo, la responsabilità non consegue automaticamente all’annullamento del provvedimento amministrativo (ovvero all’accertamento della sua illegittimità) in sede giurisdizionale, occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, secondo un giudizio di regolarità causale, un pregiudizio direttamente riferibile all’assunzione o all’esecuzione della determinazione contra ius, lesiva del bene della vita spettante alla parte ricorrente (cfr. ex multis Cons. Stato, n. 1709 del 2018; id. n. 1615 del 2018).

Inoltre, ai fini della condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, è necessario fornire la prova di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, previsti dall’art. 2043 c.c., quali presupposti indefettibili della responsabilità aquiliana.

Le disposizioni di cui all’art. 2043 c.c. devono essere poi coordinate con quelle di cui all’art. 1227 c.c. e con quelle di cui all’art. 30 c.p.a.

L’art. 1227 c.c. dispone: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

L’art. 30, comma 3, secondo periodo, del c.p.a. stabilisce che: “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento del danno che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

15.1. L’esame della questione impone l’accertamento del rispetto del canone di diligenza processuale che si deve pretendere dalla parte nel presente giudizio, diligenza che va necessariamente, per dettato legislativo (art. 30 c.p.a.), rapportata a quella ordinaria, ossia alla condizione soggettiva che si concreta nel doveroso adempimento di quegli oneri processuali che l’ordinamento pretende per la proposizione rituale della domanda, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.

La valutazione del rispetto del dovere di diligenza non può non tenere conto, ai fini della graduazione della ‘colpa’, dei temperamenti e/o correttivi previsti dal sistema ordinamentale in ipotesi di inesatto adempimento degli oneri processuali, laddove, come nella specie, in ipotesi di violazione, non è prevista una specifica sanzione (inammissibilità, improcedibilità ecc.).

Tanto premesso, ritiene il Collegio che nella vicenda in esame non possa essere ravvisato un concorso di colpa del danneggiato, riconducibile alle norme invocate, idoneo a precludere ogni pretesa risarcitoria.

Invero, la giurisprudenza processualistica ha in più occasioni ribadito che l’omessa attivazione degli ‘strumenti di tutela’, tra i quali è inclusa la tutela cautelare, rappresenta un dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini della mitigazione e finanche della esclusione del danno, in quanto evitabile con l’ordinaria diligenza (Cons. Stato, n. 962 del 2021; id. n. 7699 del 2020).

L’art. 30 del c.p.a., infatti, opera una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di principio di autoresponsabilità e sancisce la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, anche processuale, contraria al principio di buona fede e al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati, recide il nesso causale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la presunta condotta antigiuridica alle conseguenze risarcibili.

Nondimeno, nella specie, non sussiste violazione alla diligenza ordinaria, come esigibile nella fase cautelare da parte del danneggiato ai sensi degli artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a., tenuto conto che la contestata violazione procedimentale non ha integrato un pregiudizio alla ‘buona fede processuale’ e, quindi, non è idonea a recidere il suindicato nesso causale.

Ortu Giuseppe ha, invero, provveduto ritualmente a proporre l’istanza cautelare, facendo buon governo dei principi imposti dall’art. 30 c.p.a., pertanto allo stesso non può essere addebitata alcuna responsabilità per omissione dei doveri processuali ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, avendo ottemperato alle regole del processo secondo la diligenza esigibile come declinata dalla suddetta disposizione, per non incorrere nel concorso di colpa ex art. 1227 c.c.

Né può assumere un rilievo determinante, a tale fine, la circostanza che il danneggiato abbia omesso di provvedere correttamente, con il ricorso introduttivo, alla integrazione del contraddittorio processuale, posto che il giudizio cautelare è stato ritualmente instaurato nei confronti dell’impresa aggiudicataria.

L’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’impresa seconda graduata non è circostanza di per sé idonea a recidere il nesso di causalità giuridica ex art. 1227, comma 2, c.c., potendo al più rilevare, secondo una interpretazione rigorosa che il Collegio non condivide, ai fini di una riduzione del quantum risarcitorio dovuto ai sensi del primo comma del medesimo articolo.

Va rammentato, infatti, che l’art. 27, comma 2, c.p.a. statuisce che: “Se il giudizio è promosso solo contro alcune delle parti e non si è verificata alcuna decadenza, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre entro un termine perentorio. Nelle more dell’integrazione del contraddittorio il giudice può pronunciare provvedimenti cautelari interinali”.

L’art. 55, comma 12, c.p.a., dispone altresì che: “In sede di esame della domanda cautelare il collegio adotta, su istanza di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria e l’integrità del contraddittorio”.

Il sistema processuale, quindi, prevede un correttivo perché si possa impedire un arretramento del diritto di difesa della parte processuale pretermessa, posto che, come noto, l’art. 101 c.p.c. stabilisce che il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.

Il Collegio rileva che, nella fase cautelare, le regole processuali non comminano alcuna sanzione in ipotesi di omissione della completa integrazione del contraddittorio, se non l’obbligo imposto dall’art. 27 c.p.a. sopra richiamato.

E va, altresì, tenuto conto che vi è una eccezione al divieto di pronunciarsi da parte del giudice della cautela, che riguarda le ipotesi di tutela cautelare anticipata, in cui l’irreparabilità del pregiudizio non consente di attendere una pronuncia del giudice emessa nel contraddittorio delle parti e rende necessaria la tutela ante causam o comunque inaudita altera parte.

La norma in commento conferma che, nelle more dell’integrazione del contraddittorio, il giudice può pronunciare provvedimenti cautelari interinali (da intendersi come provvisori in attesa dell’integrazione e della possibilità del controinteressato di contraddire e di dedurre sul punto).

In ragione dei rilievi espressi, le censure prospettate con il primo e terzo motivo di gravame sono fondate, con conseguente assorbimento degli ulteriori mezzi.

16. Con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno, va osservato quanto segue.

16.1. Nella vicenda processuale, essendo l’annullamento dell’aggiudicazione intervenuto quando i lavori erano stati ormai eseguiti, stante il rigetto dell’istanza cautelare proposta in prime cure, alla impresa edile di Ortu Giuseppe non restava che chiedere il risarcimento del danno per l’equivalente monetario.

Secondo i principi che regolano la domanda di risarcimento del danno, la tutela risarcitoria è, sotto il profilo del danno ristorabile, variamente modulata, secondo che:

a) il concorrente danneggiato sia in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa (e cioè che – ove il contratto fosse stato dichiarato inefficace, ricorrendone le condizioni – avrebbe senz’altro avuto diritto alla stipula o al subentro): trattandosi, in tal caso, propriamente di danno da mancata aggiudicazione;

b) non sia, per contro, possibile accedere – in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento della stazione appaltante – ad un giudizio di effettiva spettanza: prospettandosi, in tal caso, il danno in termini di mera perdita di chance di aggiudicazione.

In relazione al danno da mancata aggiudicazione, che qui viene in considerazione – stante l’annullamento dell’aggiudicazione nel precedente giudizio, conclusosi con sentenza del T.A.R. 29 aprile 2016, n. 376, passata in giudicato, va rammentato che l’indirizzo consolidato della giurisprudenza ha chiarito:

a) che la relativa imputazione opera in termini obiettivi, che prescindono dalla colpa della stazione appaltante, in quanto – in conformità alle indicazioni di matrice eurounitaria – la responsabilità assume, in tema di risarcimento del danno, una coloritura funzionale compensativo – surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, n. 2429 del 2019);

b) che, ai sensi dell’art. 124, comma 1, c.p.a., che fa riferimento al danno ‘subito e provato’, è onere del concorrente danneggiato offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64, comma 1 e 3 c.p.a., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra l’Amministrazione e privato (Cons. Stato, n. 3448 del 2017);

c) che non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretendere il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile, onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (Cons. Stato, n. 5803 del 2019; id. n. 4283 del 3015);

d) che spetta, per contro, il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende il mancato profitto cioè l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale ed alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto e il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale ed imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali;

e) che, relativamente alla prima posta risarcitoria, deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento, o di altra percentuale, dell’importo a base d’asta: e ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, non avendo fondamento la presunzione che la perdita sia, secondo un canone di normalità, ancorata alla ridetta percentuale, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e dimostrazione (Cons. Stato, n. 2184 del 2017), sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire la prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito.

f) che, ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può pretendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata e dalla relativa offerta;

g) che, inoltre, il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non avere potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori; e ciò, perché, in assenza di suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2 del 2017), che tenga conto, in concreto, della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura dei costi, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche, nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo ed in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali , all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile (Cons. Stato, n. 7262 del 2020);

h) che anche il danno curriculare, ancorato alla perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio sociale occasionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quale conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione (Cons. Stato, n. 5803 del 2019; id. n. 689 del 2019).

Infine, il complessivo importo riconosciuto va incrementato, trattandosi di un debito di valore, della rivalutazione monetaria, a decorrere dalla data della stipula del contratto di appalto fino all’attualità, e degli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, n. 4857 del 2019).

16.2. In applicazione dei suindicati principi giurisprudenziali, la domanda di risarcimento del danno va accolta nei termini di cui in motivazione, tenuto conto che l’impresa ricorrente non ha ottemperato agli oneri processuali sopra specificamente puntualizzati.

La documentazione versata in atti (es. preventivo Sonepar Italia, la ‘stima dei costi’, il ‘prospetto offerta di gara, la fattura n. 08/2015) non è idonea a supportare la richiesta delle somme indicate nel ricorso a titolo di risarcimento con riferimento alle singole voci di riferimento, tenuto conto dei criteri rigorosi sopra enunciati, circa la prova del danno lamentato. La ricorrente avrebbe dovuto, invece, depositare tutta la documentazione utile alla stima del danno, e in particolare l’offerta tecnica ed economica (e non un semplice prospetto), nonché gli atti della procedura di gara, essenziali per comprendere la sussistenza dell’utile derivante dall’affidamento della commessa e il suo ammontare.

Va rammentato, inoltre, con riferimento al mancato utile, che il ricorrente pretende in misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, lo stesso spetta, come sopra si è precisato, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum (Cons. Stato n. 8568 del 2023).

A tale onere processuale l’impresa Ortu Giuseppe non ha ottemperato.

16.3. Stante la mancanza di prova del quantum del mancato utile, non è possibile parametrare a tale dato il danno curriculare, nella specie comunque insussistente, essendosi l’impresa limitata a porre a fondamento della stima la semplice dichiarazione della mancata realizzazione di lavori che le avrebbero consentito di ottenere la variazione in aumento della classifica alla categoria OG10 senza fornire alcun ulteriore elemento. Invero, come sopra precisato, con riferimento al danno curriculare, il creditore deve offrire una prova puntuale del noncumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), che nella specie non è stato puntualmente né allegato, nè provato.

Ne consegue che va riconosciuto all’appellante solo il danno da lucro cessante che, per i rilievi espressi, non può essere provato nel suo preciso ammontare, pertanto la liquidazione va effettuata con valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., nella misura di euro 10.000,00 (diecimila/00).

Il complessivo importo riconosciuto va incrementato, trattandosi di un debito di valore, della rivalutazione monetaria, a decorrere dalla data della stipula del contratto di appalto fino all’attualità, e degli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo (Cass. n. 8766 del 2018; Cons. Stato n. 3461 del 2018).

17. In definitiva, l’appello va accolto nei limiti sopra specificati, ed ogni altra questione prospettata dalle parti deve ritenersi assorbita, con conseguente riforma della sentenza impugnata, cui segue l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno spiegata dal ricorrente con il ricorso introduttivo, che va liquidato equitativamente nella misura di euro 10.000,00 (diecimila/00), somma incrementata nei termini sopra specificati.

18. Le spese del doppio grado di giudizio seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Condanna il Consorzio Industriale Provinciale Oristanese alla rifusione, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del giudizio, che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre spese generali e accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Elena Quadri, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere, Estensore

 

Guida alla lettura

Con sentenza n. 368 dello scorso 17 gennaio la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, ha affermato che: “In materia di responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione da provvedimento amministrativo illegittimo, la responsabilità non consegue automaticamente all’annullamento del provvedimento amministrativo (ovvero all’accertamento della sua illegittimità) in sede giurisdizionale, occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, secondo un giudizio di regolarità causale, un pregiudizio direttamente riferibile all’assunzione o all’esecuzione della determinazione contra ius, lesiva del bene della vita spettante alla parte ricorrente.

Inoltre, ai fini della condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, è necessario fornire la prova di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, previsti dall’art. 2043 c.c., quali presupposti indefettibili della responsabilità aquiliana.

Le disposizioni di cui all’art. 2043 c.c. devono essere poi coordinate con quelle di cui all’art. 1227 c.c. e con quelle di cui all’art. 30 c.p.a.”.

In particolare, ai sensi dell’articolo 1127 c.c.: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”; ai sensi dell’articolo 30 c.p.a.: “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento del danno che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Ciò posto, ad avviso del Collegio, l’esame della questione posta al suo vaglio impone l’accertamento del rispetto del canone di diligenza processuale che si deve pretendere dalla parte nel presente giudizio.

Tale diligenza va necessariamente, per dettato legislativo (art. 30 c.p.a.), rapportata a quella ordinaria, ossia alla condizione soggettiva che si concreta nel doveroso adempimento di quegli oneri processuali che l’ordinamento pretende per la proposizione rituale della domanda, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.

I Giudici sottolineano che la valutazione del rispetto del dovere di diligenza deve tener conto, ai fini della graduazione della ‘colpa’, dei temperamenti e/o correttivi previsti dal sistema ordinamentale in ipotesi di inesatto adempimento degli oneri processuali, laddove, in ipotesi di violazione, non è prevista una specifica sanzione (inammissibilità, improcedibilità ecc.).

Premettendo che l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’impresa seconda graduata non è circostanza di per sé idonea a recidere il nesso di causalità giuridica ex art. 1227, comma 2, c.c., potendo al più rilevare, secondo una interpretazione rigorosa che il Collegio non condivide, ai fini di una riduzione del quantum risarcitorio dovuto ai sensi del primo comma del medesimo articolo, la Quinta Sezione ha affermato che nella specie, non sussiste violazione alla diligenza ordinaria, come esigibile nella fase cautelare da parte del danneggiato ai sensi degli artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a., tenuto conto che la contestata violazione procedimentale non ha integrato un pregiudizio alla ‘buona fede processuale’ e, quindi, non è idonea a recidere il suindicato nesso causale.

Invero, il Collegio evidenzia che il ricorrente ha  provveduto ritualmente a proporre l’istanza cautelare, facendo buon governo dei principi imposti dall’art. 30 c.p.a., pertanto allo stesso non può essere addebitata alcuna responsabilità per omissione dei doveri processuali ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, avendo ottemperato alle regole del processo secondo la diligenza esigibile come declinata dalla suddetta disposizione, per non incorrere nel concorso di colpa ex art. 1227 c.c.

Nella fase cautelare, le regole processuali non comminano alcuna sanzione in ipotesi di omissione della completa integrazione del contraddittorio, se non l’obbligo imposto dall’art. 27 c.p.a.

Ad avviso della Quinta Sezione, va altresì tenuto conto che vi è una eccezione al divieto di pronunciarsi da parte del giudice della cautela, che riguarda le ipotesi di tutela cautelare anticipata, in cui l’irreparabilità del pregiudizio non consente di attendere una pronuncia del giudice emessa nel contraddittorio delle parti e rende necessaria la tutela ante causam o comunque inaudita altera parte.

Inoltre, il Collegio afferma che, secondo i principi che regolano la domanda di risarcimento del danno, la tutela risarcitoria è, sotto il profilo del danno ristorabile, variamente modulata, secondo che:

a) il concorrente danneggiato sia in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa (e cioè che – ove il contratto fosse stato dichiarato inefficace, ricorrendone le condizioni – avrebbe senz’altro avuto diritto alla stipula o al subentro): trattandosi, in tal caso, propriamente di danno da mancata aggiudicazione;

b) non sia, per contro, possibile accedere – in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento della stazione appaltante – ad un giudizio di effettiva spettanza: prospettandosi, in tal caso, il danno in termini di mera perdita di chance di aggiudicazione.

Con particolare riguardo al danno da mancata aggiudicazione, il Consiglio di Stato rammenta l’indirizzo consolidato della giurisprudenza secondo il quale:  

a) la relativa imputazione opera in termini obiettivi, che prescindono dalla colpa della stazione appaltante, in quanto – in conformità alle indicazioni di matrice eurounitaria – la responsabilità assume, in tema di risarcimento del danno, una coloritura funzionale compensativo – surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, n. 2429 del 2019);

b) ai sensi dell’art. 124, comma 1, c.p.a., che fa riferimento al danno ‘subito e provato, è onere del concorrente danneggiato offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an  sia sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64, comma 1 e 3 c.p.a., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra l’Amministrazione e privato (Cons. Stato, n. 3448 del 2017);

c) non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretendere il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile, onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (Cons. Stato, n. 5803 del 2019; id. n. 4283 del 3015);

d) spetta, per contro, il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende il mancato profitto cioè l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale e alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto e il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale e imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali;

e) relativamente alla prima posta risarcitoria, deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento, o di altra percentuale, dell’importo a base d’asta: e ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, non avendo fondamento la presunzione che la perdita sia, secondo un canone di normalità, ancorata alla ridetta percentuale, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e dimostrazione (Cons. Stato, n. 2184 del 2017), sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire la prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito.

f) ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può pretendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata e dalla relativa offerta;

g) inoltre, il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non avere potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori; e ciò, perché, in assenza di suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2 del 2017), che tenga conto, in concreto, della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura dei costi, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche, nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo e in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali , all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile (Cons. Stato, n. 7262 del 2020);

h) anche il danno curriculare, ancorato alla perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio sociale occasionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quale conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione (Cons. Stato, n. 5803 del 2019; Id., n. 689 del 2019).