Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2025, n. 648
Con la sentenza in commento la Sezione Quarta del Consiglio di Stato aderisce ad una lettura non formalistica dell’istituto del subappalto nell’ottica funzionale e pragmatica che caratterizza il diritto dell’Unione Europea, nonchè nella piena consapevolezza che detto istituto favorisce la più ampia partecipazione degli operatori economici alle procedure di evidenza pubblica.
Il presupposto di partenza dell’intero impianto argomentativo della sentenza è che se l’operatore economico opera in qualità di “intermediario” del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti ex art. 183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (il quale definisce “intermediario” «qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti»), detto operatore – non avendo la materiale detenzione dei rifiuti – ricorre inevitabilmente alla collaborazione esterna di sub-contraenti in forza di contratti che vanno sussunti nella fattispecie del subappalto.
Da tale constatazione preliminare il Consiglio di Stato desume due corollari applicativi importanti.
Il primo corollario è che la dichiarazione ex art. 119, co. 4, lett. c), d.lgs. n. 36 del 2023 (e cioè la dichiarazione con cui l’operatore economico indica già all’atto dell’offerta i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture, o le parti di servizi e forniture, che egli intende subappaltare) – anche se erroneamente omessa in fase di compilazione del DGUE – può comunque evincersi aliunde da un esame complessivo di tutti i documenti che lo stesso operatore economico ha presentato in base alla lex specialis di gara (ivi incluse, pertanto, le specifiche dichiarazioni di disponibilità che l’intermediario riceve dai soggetti convenzionati di cui si avvale per i servizi di raccolta e smaltimento di rifiuti).
Il secondo corollario è che il divieto di subappalto integrale delle prestazioni oggetto di appalto ex art. 119, co. 1, d.lgs. n. 36 del 2023, non risulta violato da una fattispecie – quale per l’appunto quella dell’intermediario del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti senza detenzione di rifiuti ex art. 183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – in presenza della quale l’intermediario subappalta a terzi la parte prevalente (anche se non integrale) del servizio oggetto di appalto.
La sentenza in esame sottolinea che quest’ultima lettura è imposta dall’esigenza di tutelare l’istituto del subappalto e il principio di favor partecipationis di cui il subappalto è permeato.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6447 del 2024, proposto da Valli s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ernesto Stajano, Enrico Campagnano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Viveracqua s.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lorenzo Cuocolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Svet s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Peres, Francesca Masso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 02037/2024.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Svet. s.r.l. e di Viveracqua s.c.a.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale, quanto al passaggio in decisione.
FATTO
1. Con bando pubblicato in data 25 settembre 2023, Viveracqua s.c.a.r.l. (in seguito, Viveracqua), quale centrale di committenza permanente per le aziende consorziate, indiceva una procedura aperta per l’affidamento, mediante il criterio del minor prezzo, dell’appalto suddiviso in 12 lotti del servizio di “raccolta, trasporto, recupero di fanghi disidratati non pericolosi”, per la durata di 24 mesi, prorogabili di ulteriori 12 mesi.
1.1. Alla procedura relativa al lotto n. 10, del valore di euro 3.010.550,00, (CIG A00E99D976) oggetto del presente giudizio, partecipavano tra i vari operatori economici anche Valli s.p.a. (in seguito, Valli) Ecoambiente s.r.l. (in seguito, Ecoambiente) e Svet s.r.l. (in seguito, Svet), queste due ultime quali intermediari senza detenzione dei rifiuti ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. l), del d.lgs. n. 152 del 2006.
1.2. All’esito dell’apertura delle offerte economiche risultava prima Ecoambiente, seconda Svet e terza Valli.
Ecoambiente veniva tuttavia esclusa dalla gara con provvedimento del 2 gennaio 2024, impugnato avanti al T.a.r con ricorso n. 135/2024, respinto con sentenza n. 1559 del 21 giugno 2023.
Con determina n. 4/2024, del 16 gennaio 2024, il servizio veniva quindi aggiudicato a Svet.
1.3. Valli, dal canto suo, presentava istanza di accesso agli atti della procedura e altresì di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione disposta in favore di Svet, evidenziando che l’aggiudicataria era priva del requisito di cui alla lett. a.3) dell’art. 7.2.1 del disciplinare concernente l’iscrizione alla categoria 4 o 5 dell’Albo dei Gestori Ambientali (in seguito, ANGA) e non aveva presentato in gara la dovuta dichiarazione di subappalto.
1.4. La Stazione appaltante non dava riscontro all’istanza di autotutela e, in data 14 febbraio 2024, esibiva a Valli la documentazione richiesta.
2. Con ricorso notificato in data 15 febbraio 2024 e depositato in data 16 febbraio 2024, Valli ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione del servizio in favore di Svet sulla base dei seguenti motivi:
I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7.2.1. lettere a) e b) del disciplinare di gara. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. Violazione del principio dell’autovincolo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità e contraddittorietà manifesta”;
II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 119, c. 1, d.lgs. 36/2023. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del disciplinare di gara. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. Violazione del principio dell’auto-vincolo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità e contraddittorietà manifesta”.
3. Viveracqua e Svet si sono costituite nel giudizio di primo grado, evidenziando che la legge di gara aveva specificamente disciplinato la partecipazione alla procedura degli intermediari. In particolare, hanno rilevato che agli intermediari era richiesto di essere iscritti all’ANGA alla categoria 8 e di allegare una dichiarazione, di soggetti iscritti all’ANGA alle categorie 4 e 5, con la quale questi ultimi si impegnassero ad eseguire la raccolta e il trasporto del rifiuto per tutta la durata dell’appalto. Inoltre, hanno osservato che la possibilità dell’intermediario di affidare a terzi l’esecuzione delle principali prestazioni materiali sarebbe insita nella natura stessa di tale figura che svolge le attività di recupero, trasporto e smaltimento per conto di terzi, anche senza detenzione di rifiuti.
4. Esaminata la documentazione ostesa dalla Stazione appaltante a seguito dell’istanza di accesso, la Valli ha proposto ricorso per motivi aggiunti avverso gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo e altresì avverso l’art. 7.2.1. lett. b.1) e b.2) del disciplinare, sulla base dei seguenti ulteriori motivi:
I – “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7.2.1. lettere a) e b) e dell’art. 9 del disciplinare di gara. Violazione e falsa applicazione dell’art. 119, comma 1, d.lgs. n. 36/2023. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. Violazione del principio dell’autovincolo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità e contraddittorietà manifesta”;
II –“In via subordinata: violazione e falsa applicazione dell’art. 7.2.1. lettere b.1) e b.2) del disciplinare. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del disciplinare di gara. Violazione e falsa applicazione dell’art. 119, comma 1, d.lgs. n. 36/2023. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. Violazione del principio dell’autovincolo. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità e contraddittorietà manifesta”.
5. Il T.a.r, con la decisione 31 luglio 2024, n. 2037, ha respinto il ricorso.
6. Valli ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.
7. Si sono costituite nel giudizio di appello Svet e Viveracqua, chiedendo di dichiarare l’appello in parte inammissibile e, in ogni caso, infondato.
8. All’udienza del 24 ottobre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello non è fondato.
2. In via preliminare, il Collegio può prescindere dalle eccezioni in rito proposte dalle parti resistenti, essendo come detto l’appello infondato nel merito.
3. Con il primo mezzo di gravame la società appellante lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto legittima la mancata formale indicazione nel DGUE, da parte di Svet, di voler ricorrere al subappalto per le attività di trasporto e recupero.
3.1. Ad avviso della società appellante, Svet avrebbe dovuto essere esclusa in quanto nel DGUE avrebbe dichiarato di non voler ricorrere all’istituto del subappalto.
A sostegno dell’assunto la parte appellante rileva che il rapporto tra intermediario e impresa terza esecutrice delle prestazioni contrattuali integrerebbe un contratto di subappalto, in particolare di subappalto necessario o qualificante, che richiederebbe una espressa dichiarazione di volontà di fare ricorso a tale istituto sin dalla presentazione dell’offerta e non consentirebbe, in caso di omissione di detta dichiarazione, neanche l’attivazione del soccorso istruttorio.
La mancata manifestazione della volontà di fare ricorso al subappalto necessario non potrebbe essere superata, nella prospettiva in esame, neanche dall’allegazione da parte di Svet delle autodichiarazioni di soggetti iscritti nella categoria quattro dell’Albo dei Gestori Ambientali circa “l’impegno ad eseguire il trasporto”, stante la citata dichiarazione contraria contenuta nel DGUE.
Più in generale, non sarebbe ragionevole che un operatore dotato di impianto e di strutture idonei a consentire l’espletamento delle prestazioni principali dell’appalto sia assoggettato alla normativa sul subappalto in caso di affidamento a terzi anche soltanto di una parte delle prestazioni, con tutto ciò che ne consegue in termini di obblighi dichiarativi e di responsabilità, mentre un soggetto privo di dotazioni come l’intermediario, che per definizione non svolge alcuna prestazione di quelle dedotte in contratto (caricamento, trasporto e recupero), possa limitarsi a depositare una dichiarazione di “disponibilità” di un impianto o di un operatore.
3.2. Di qui la contestazione anche della lex specialis laddove interpretata nel senso di poter ammettere la partecipazione di meri intermediari senza subappalto.
In particolare, sarebbe, nella prospettiva della parte appellante, illogico e contrario alla normativa europea e nazionale di riferimento consentire agli “intermediari” di essere esonerati dagli obblighi dichiarativi e di responsabilità a cui sono sottoposti gli altri operatori economici, pena la configurazione di una inammissibile figura di appalto implicito.
3.3. Sotto un secondo profilo, rileva la parte appellante che Svet avrebbe, in ogni caso, dovuto essere esclusa per aver subappaltato le prestazioni contrattuali oltre i limiti di legge, posto che essa non svolgerebbe alcuna attività contrattuale, ma le affiderebbe integralmente ad imprese terze, in violazione del divieto di subappalto integrale di cui all’art. 119, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36.
4. Il motivo non è fondato.
4.1. Sul piano normativo, l’art. 183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, definisce “intermediario” «qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti».
La disciplina vigente del subappalto è, invece, contenuta nell’art. 119, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, il quale ha mantenuto ferma la definizione del contratto di subappalto di cui al previgente codice dei contratti pubblici, specificando soltanto ciò che, comunque, si desumeva dal sistema, ovvero che il subappaltatore si caratterizza per avere una propria organizzazione con assunzione del rischio imprenditoriale relativamente alla parte dell’appalto che esegue.
La nuova normativa, in conformità con il diritto dell’Unione europea, si connota per una maggiore apertura verso questo modulo contrattuale ed eliminazione di alcuni limiti imposti dalla precedente normativa. Nondimeno, in coerenza con quanto previsto per alcune figure contrattuali nell’ambito del diritto civile, elemento imprescindibile è costituito dall’autorizzazione da parte della stazione appaltante (art. 119, comma 4).
Più in particolare, l’art. 119 prevede che: i) «il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto» (comma 2, primo inciso); ii) «costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell'importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l'incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell'importo del contratto da affidare» (comma 2, secondo inciso); iii) «l'affidatario comunica alla stazione appaltante, prima dell'inizio della prestazione, per tutti i sub-contratti che non sono subappalti, stipulati per l'esecuzione dell'appalto, il nome del sub-contraente, l'importo del sub-contratto, l'oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati» (comma 2, secondo inciso); iv) i soggetti affidatari dei contratti devono essere autorizzati dalla stazione appaltante e ciò può avvenire «a condizione che a) il subappaltatore sia qualificato per le prestazioni da eseguire; b) non sussistano a suo carico le cause di esclusione di cui al Capo II del Titolo IV della Parte V del presente libro; c) all'atto dell'offerta siano stati indicati i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che si intende subappaltare».
La ratio che informa l’istituto del subappalto, anche nella disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, è comunemente ravvisata nella necessità di evitare che la stazione appaltante, nella fase esecutiva del contratto, giunga, attraverso modifiche sostanziali dell’assetto di interessi scaturito dalla pubblica gara, a vanificare proprio quell’interesse pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura selettiva e legittimato l’individuazione di una determinata offerta come la più idonea a soddisfare le esigenze della collettività cui l’appalto è preordinato.
A garanzia del mantenimento dell’assetto di interessi come individuato in sede di gara, la seconda parte del comma 1, dell’art. 119, pone due divieti, sanzionati con la nullità: il primo, riguardante gli accordi che prevedono l’integrale esecuzione delle prestazioni da parte di terzi; il secondo, riferito agli accordi che affidano a terzi la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative alla categoria prevalente dei contratti ad alta intensità di manodopera.
Entrami i divieti sono, dunque, posti a presidio dell’esigenza di evitare il venir meno dell’esecuzione personalistica della prestazione da parte dell’aggiudicatario.
L’affidamento in subappalto di un servizio (ovvero di un’opera o di lavori) è subordinato, inoltre, alla previa autorizzazione della stazione appaltante.
Al riguardo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito, con la decisione 3 ottobre 2019 C-267/18, che la richiesta della previa autorizzazione dell’Amministrazione aggiudicatrice mira, in particolare, a permettere a quest’ultima di assicurarsi che non esista un motivo di esclusione del subappaltatore al quale l’aggiudicatario intende ricorrere.
4.2. Tanto premesso, rileva il Collegio che l’irregolarità documentale nella compilazione del DGUE censurata dall’appellante non costituisce un vizio dell’aggiudicazione.
La ratio, sopra evidenziata, che ispira la dichiarazione di volere ricorrere al subappalto risulta, e a ben vedere, nel caso in esame, rispettata pienamente, posto che Svet ha individuato già al momento dell’offerta i soggetti convenzionati, dei quali è stata garantita la disponibilità, il possesso delle necessarie autorizzazioni, il possesso dei requisiti di esecuzione e le connesse responsabilità. La mera mancata indicazione nel DGUE di ricorrere al subappalto, a fronte della chiara ed inequivoca dichiarazione di partecipare come intermediario senza detenzione dei rifiuti, pertanto, costituisce, al più, un mero errore riconoscibile, del tutto inidoneo a porre in discussione la chiara volontà espressa da Svet di affidare a terzi l’esecuzione della prestazione di recupero e trasporto dei rifiuti e, soprattutto, a pregiudicare i poteri di controllo della stazione appaltante sui soggetti indicati come coloro che dovranno eseguire le prevalenti prestazioni contrattuali.
4.3. Tale soluzione è coerente con il recente indirizzo interpretativo, registratosi in relazione al tema del c.d. subappalto necessario (al cui paradigma, per certi versi, si inscrive, come rilevato anche dalla società appellante, il subappalto disposto dall’intermediario), volto a valorizzare l’effettiva volontà dell’operatore economico, quale desumibile dagli atti di gara, senza che occorra una dichiarazione formalmente differenziata da quella che vale anche per il subappalto semplice, non necessario (Cons. Stato, V, 22 febbraio 2024, n. 1793; V, 21 febbraio 2024, n. 1743; V, ord. 24 novembre 2023, n. 4736).
4.4. La conclusione condivisa dal Collegio appare, inoltre, più conforme al principio del risultato, codificato dall’art. 1 del codice dei contratti pubblici, quale prioritario criterio interpretativo, e parametro di verifica della conformità dell'azione pubblica al pieno (e non meramente formale) soddisfacimento dell'interesse del singolo come protetto dalle norme.
La valorizzazione del principio del risultato implica, per quanto di rilievo nel presente giudizio, la necessità di privilegiare, sul piano interpretativo, soluzioni conformi al raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) più che a modelli di astratta conformità al paradigma normativo.
Tuttavia, occorre rimarcare che la valorizzazione del principio del risultato non determina una antinomia fra efficienza e legalità, posto che non può esservi rispetto del buon andamento dell’amministrazione se non vi è al contempo rispetto del principio di legalità, ma l’adesione ad una logica che indirizza l’azione non solo verso il rispetto delle regole comportamentali e dei modelli procedimentali posti a garanzia dei diversi soggetti con i quali l’Amministrazione entra in contatto nell’espletamento della sua azione, ma anche del conseguimento di una utilità (ex multis, Cons. Stato Sez. III, 26 marzo 2024, n. 2866).
E in effetti, in linea con l’assunto da ultimo formulato, come si è avuto modo di chiarire in precedenza, nel caso in esame le ragioni di fondo che presiedono alla disciplina del subappalto sono state pienamente rispettate.
4.5. Nella medesima direzione, tesa a privilegiare un’esegesi non formalistica dell’istituto del subappalto, può essere utilmente richiamato l’indirizzo interpretativo, autorevolmente condiviso dall’Adunanza Plenaria (Cons Stato, Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9), secondo cui “Dall’esame della vigente normativa di riferimento può, in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito all’azione amministrativa, ma anche al giudizio della sua legittimità) secondo cui l’indicazione del nome del subappaltatore non è obbligatoria all’atto dell’offerta, neanche nei casi in cui, ai fini dell’esecuzione delle lavorazioni relative a categorie scorporabili a qualificazione necessaria, risulta indispensabile il loro subappalto a un’impresa provvista delle relative qualificazioni (nella fattispecie che viene comunemente, e, per certi versi, impropriamente definita come “subappalto necessario)”.
A bene vedere, sotto tale profilo, a carico di chi partecipa ad una pubblica gara nella qualità di mero intermediario s’impongono, nella sostanza, maggiori oneri dichiarativi rispetto a quelli previsti in generale per altri operatori, posto che l’intermediario ha l’onere di individuare, sin dal momento di presentazione della propria offerta, i soggetti di cui si avvarrà nell’esecuzione dell’appalto, garantendone disponibilità, autorizzazioni, requisiti e responsabilità.
4.6. Nel medesimo senso può, infine, trarsi argomento anche dall’orientamento giurisprudenziale che ha chiarito come la mancata indicazione delle parti della prestazione che si intende subappaltare costituisce una irregolarità emendabile mediante l’attivazione del soccorso istruttorio, non essendo in alcun modo riconducibile alle “irregolarità afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica”.
In conclusione, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, non si tratta di ammettere, nel caso in esame, la possibilità per gli intermediari di partecipare alla gara senza avvalersi di sub-affidamenti, ma – più semplicemente – di ritenere che una evidente irregolarità documentale nella compilazione del DGUE, come quella in cui è incorsa Svet, non integri un vizio rilevante dell’aggiudicazione.
4.7. A sostegno delle conclusioni raggiunte, occorre ulteriormente considerare che l’intermediario, nel momento in cui partecipa alla procedura, produce – nell’ambito di tutti gli ulteriori documenti caso per caso previsti dalla lex specialis – apposite dichiarazioni di disponibilità dei soggetti convenzionati con le quali costoro quali autocertificano ai sensi del d.P.R. 445/2000: (i) l’iscrizione alla relativa categoria dell’ANGA (che impone precisi requisiti di idoneità tecnico- professionale e di capacità economico-finanziaria); (ii) di non trovarsi in alcuna delle cause di esclusione dalla partecipazione alle gare, indicate agli artt. 94, 95, 96 e 98 del d.lgs. n. 36/2023, né in quelle ulteriori previste dalla normativa vigente al momento d’indizione della gara (iii) di essere a conoscenza che l'appalto in oggetto è soggetto alle norme in materia di antimafia introdotte dalla legge n. 136 del 13.08.2010.
Trattasi, a ben vedere, di uno schema analogo, per certi versi anticipato, previsto per l’autorizzazione al subappalto.
Si consideri, infatti, che l’art. 119, comma 5, prevede che al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione al subappalto venga trasmessa alla Stazione appaltante la “dichiarazione del subappaltatore attestante l'assenza delle cause di esclusione di cui al Capo II, Titolo IV della Parte V del presente libro e il possesso dei requisiti”, che ha, analogamente, contenuto del tutto sovrapponibile a quello delle dichiarazioni di disponibilità dei soggetti convenzionati depositate da Svet nella presente procedura.
4.8. Più in radice, il Collegio ritiene, in linea con quanto rilevato nella sentenza impugnata, che le disposizioni in materia di subappalto siano suscettibili di adattamento e, entro certi limiti, di rimodulazione da parte della lex specialis, in ragione delle speciali caratteristiche che ontologicamente connotano la figura dell’intermediario senza detenzione, fermo restando il rispetto delle rationes, sopra evidenziate, che, rispettivamente, informano l’istituto del subappalto e l’autorizzazione della stazione appaltante.
Riscontra tale conclusione la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui: “Ciò che rileva è che l’attività di smaltimento e/o recupero rifiuti non avvenga a mezzo di incerta persona, ma tramite soggetti all’uopo abilitati, in possesso dei requisiti di legge ed assoggettati ai relativi controlli, da documentare previamente in sede di ammissione alla gara a mezzo di atti negoziali che comprovino con certezza l’esistenza e la serietà del rapporto” (Consiglio di Stato, 30 agosto 2012, n 4657).
In linea con tali considerazioni, la legge di gara ha disciplinato le modalità di partecipazione degli intermediari imponendo loro la contestuale allegazione delle dichiarazioni dei soggetti qualificati, impegnatisi a svolgere la raccolta e il trasporto dei rifiuti per tutta la durata dell’appalto.
Tale disciplina non appare irragionevole, né rispetto alla previsione di autonomi requisiti di qualificazione riferiti alla figura dell’intermediario e diretti a consentirne (secondo un’apprezzabile logica pro-concorrenziale) l’accesso alla gara, né alla conseguente necessità di affidare (senza eliminazione degli specifici oneri di verifica e controllo gravanti sull’intermediario) ad operatori terzi, iscritti all’ANGA per le categorie 4 e 5, l’esecuzione delle prestazioni di raccolta e di trasporto del rifiuto, mediante l’instaurazione di un rapporto contrattuale che, per le sue caratteristiche sostanziali e benché destinato ad assorbire le prestazioni contrattuali nella loro interezza (fermo restando, tuttavia, l’onere di vigilanza e controllo in capo all’intermediario), ben può essere collocato, nel suo nucleo irriducibile, entro lo schema del subappalto, come tipizzato dalle disposizioni del d. lgs. n. 36 del 2023.
In coerenza con le previsioni della legge di gara, sono state correttamente depositate dalla Svet le dichiarazioni relative ai soggetti subappaltatori sulle quali la Stazione appaltante ha potuto pienamente esercitare quei poteri di controllo che la previsione di cui all’art. 119, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, le attribuisce al fine di assicurarsi che non esista un motivo di esclusione del subappaltatore al quale l’aggiudicatario intende ricorrere.
Non contraddice tale conclusione il precedente della Sezione dell’11 dicembre 2023, n. 10675, invocato dalla parte appellante a sostegno del presente motivo di appello.
Contrariamente al caso oggetto del presente giudizio, in quello esaminato dalla decisione da ultimo citata, mancava in radice l’indicazione del soggetto che avrebbe dovuto realizzare in regime di subappalto la parte prevalente della prestazione oggetto di gara, con conseguente preclusione per la stazione appaltante della possibilità di poter esercitare i poteri di controllo che sono alla base, come sopra esposto, dell’istituto dell’autorizzazione al subappalto.
4.9. Da quanto complessivamente argomentato discende l’infondatezza del primo motivo di appello.
5. Con un secondo mezzo di gravame la società appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto legittima una asserita deroga ai limiti del subappalto per gli intermediari.
5.1. Ad avviso della società appellante, l’adesione alla tesi del Giudice di primo grado implicherebbe, inammissibilmente, una fattispecie di subappalto integrale, in contrasto con il divieto previsto dall’art. 119, comma 1, del d.l.gs. 36/2023.
In tale prospettiva, l’intermediario non svolgerebbe alcuna attività, non eseguendo neppure parzialmente le prestazioni oggetto dell’appalto (carico, trasporto e recupero dei materiali), ma affiderebbe l’integrale svolgimento delle prestazioni contrattuali e comunque delle lavorazioni prevalenti a soggetti terzi “disponibili”.
Rileva, in particolare, l’appellante che l’art. 7.2.1., lett. b.1) e b.2) del disciplinare di gara, laddove interpretato nel senso di consentire agli intermediari iscritti nella categoria 8 dell’Albo dei Gestori di poter subappaltare il 100% dell’attività di caricamento, trasporto e recupero rifiuti, si porrebbe in contrasto con l’art. 119 comma 1 del d.lgs. n. 36 del 2023.
A giudizio della parte appellante, Svet avrebbe dovuto, dunque, essere esclusa dalla procedura in quanto, in violazione dell’art. 9 del disciplinare e dell’art. 119, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2023, avrebbe integralmente affidato ad imprese terze lo svolgimento delle prestazioni contrattuali.
5.2. Nel quadro di tale motivo, la parte appellante, formula, inoltre richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, in relazione alla seguente questione: “Se l’ordinamento eurounitario e segnatamente le Direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE, ostino ad una normativa nazionale che consenta agli intermediari di cui all’art. 183 del d.lgs. n. 152/2006 di partecipare autonomamente alle procedure ad evidenza pubblica quali procacciatori qualificati e possano ricorrere a sub-affidamenti senza vedersi applicata la normativa sul subappalto”.
Ad avviso della parte appellante, premesso che gli operatori controinteressati hanno partecipato alla procedura di gara subappaltando tutte le prestazioni oggetto del contratto senza indicare in sede di DGUE di volersi avvalere di tale facoltà e in deroga ai limiti di cui all’art. 119 del D.lgs. 36/2023, l’interpretazione della stazione appaltante, avallata dal primo Giudice, non sembrerebbe coerente con la normativa imperativa che impone agli operatori di indicare fin dal momento della presentazione dell’offerta di volersi avvalere del subappalto nei limiti stabiliti nel Codice.
Diversamente opinando, argomenta l’appellante, la deroga alla normativa codicistica determinerebbe una evidente violazione dei principi di parità di trattamento e par condicio tra concorrenti.
Non sarebbe dato comprendere infatti, nella prospettiva in esame, per quale ragione un operatore dotato di impianto e di strutture sia assoggettato alla normativa sul subappalto in caso di affidamento a terzi anche soltanto di una parte delle prestazioni, con tutto ciò che ne consegue in termini di obblighi dichiarativi e di responsabilità, mentre un soggetto privo di dotazioni come l’intermediario, che per definizione non svolge alcuna prestazione di quelle dedotte in contratto (caricamento, trasporto e recupero), possa limitarsi a depositare una dichiarazione di “disponibilità” di un impianto o di un operatore, senza dover preoccuparsi di altro nonostante vi siano tutti gli elementi costitutivi del subappalto.
6. Il motivo non è fondato.
6.1. In primo luogo, il Collegio rileva, in consonanza con quanto affermato dal Giudice di primo grado, che, nel caso in esame, non si versa in una ipotesi di subappalto integrale.
Al riguardo, occorre, premettere che l’affidamento in esame ricomprende attività di intermediazione, trasporto e recupero di rifiuti.
6.2. Tanto premesso, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, l’intermediario, mantenendo in capo a sé l’attività di intermediazione, subappalta esclusivamente le attività di trasporto e recupero.
In particolare, l’intermediario, pur avvalendosi di soggetti terzi per l’esecuzione delle prestazioni principali, mantiene in capo a sé tutte le attività (e le connesse responsabilità) in ordine alla organizzazione dei servizi per il tramite dei soggetti coinvolti, alla verifica del possesso e del mantenimento dei requisiti di esecuzione, al controllo ed alla vigilanza sull’operato dei soggetti coinvolti, alla gestione di tutti gli adempimenti connessi ed alla verifica della corretta applicazione della normativa ambientale, tra cui: l’obbligo di possedere e compilare il registro che attesti le procedure di carico e di scarico; l’obbligo di annotare in modo corretto le operazioni di carico e scarico all’interno del registro entro e non oltre dieci giorni lavorativi dal momento della transazione; l’obbligo di inviare il MUD alla Camera di Commercio di competenza.
Di qui l’infondatezza della tesi prospettata dalla parte appellante secondo cui, nel caso in esame, ricorrerebbe la fattispecie, vietata, di subappalto integrale.
6.3. La previsione della possibilità di subappaltare la prestazione principale non si pone, più in generale, in contrasto con l’art. 119 del Codice dei contratti pubblici, alla luce di un’interpretazione sistematica e comunitariamente orientata di quest’ultima disposizione e di quella di cui all’art.183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. E ciò in quanto, se la legge consente all’intermediario di operare senza detenzione materiale dei rifiuti, è evidente che la parte operativa prevalente di ogni appalto che abbia ad oggetto il trasporto e il recupero/smaltimento dei rifiuti stessi sarà adempiuta da soggetti terzi rispetto all’intermediario-aggiudicatario. Diversamente ragionando, la figura dell’intermediario verrebbe svuotata di ogni contenuto e ad essa sarebbe, di fatto, impedito di accedere a qualsiasi procedura avente ad oggetto le attività di trasporto e recupero dei rifiuti.
Una tale lettura del complessivo quadro normativo si porrebbe, nondimeno, in contrasto i principi costituzionali (art. 41 Cost) e con quelli comunitari di cui alla Direttiva UE 2014/24, trasfusi nel d.lgs. n. 36/2023 e, segnatamente, con l’art. 3, secondo cui “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità”.
Accedendo alla interpretazione proposta dalla società appellante, gli intermediari non potrebbero mai partecipare, se non quali componenti di un’associazione temporanea di imprese, alle procedure ad evidenza pubblica come quella in esame.
Trattasi di un’interpretazione che non può essere condivisa in quanto contrastante con il principio, di rilievo comunitario, del favor partecipationis.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si lascia, dunque preferire una interpretazione del complessivo quadro normativo riportato in grado di coordinare le specificità della figura dell’intermediario con l’istituto del subappalto, così come quest’ultimo è interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
In particolare, la partecipazione degli intermediari alle procedure di affidamento dei contratti pubblici deve avvenire nel rispetto, con le modalità adattate come sopra indicate, delle disposizioni del d.lgs. n. 36 del 2023 in tema di subappalto – tra cui la necessaria autorizzazione della Stazione appaltante - che risultino compatibili con le specificità di tale figura, espressamente prevista dall’ordinamento comunitario, posto che l’applicazione di tali disposizioni da un lato deve essere coordinata con la disciplina di origine comunitaria concernente tale particolare categoria di operatori e dall’altro con la necessità per la stazione appaltante stessa, in attuazione dell’art. 119, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2023, di poter da subito individuare i soggetti che eseguiranno le prestazioni principali oggetto dell’appalto.
6.4. Destituito di fondamento è, inoltre, il rilievo della parte appellante secondo cui l’attività di intermediazione non andrebbe qualificata come attività di gestione dei rifiuti, in ciò traendo argomento dall’art. 183, lett. d) del d.lgs. 152/2006.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante infatti, la norma di riferimento per definire l’attività di gestione del rifiuto è la lettera n) dell’art. 183 del d.lgs. 152/2006, secondo cui per “gestione dei rifiuti" si intende: “la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediari”.
E proprio per tale sua natura, come correttamente rilevato dalla sentenza di primo grado, l’intermediario è un soggetto inserito (oltre che qualificato e autorizzato) a pieno titolo nella catena della gestione dei rifiuti.
La normativa di riferimento disciplina compiutamente il regime di obblighi e responsabilità a carico di tale operatore con modalità conformi alla ratio che ispira la disciplina del subappalto, preoccupandosi, segnatamente, di garantire non solo i controlli della stazione appaltante in ordine alla insussistenza di un motivo di esclusione del subappaltatore, ma anche la tutela della par condicio con gli altri operatori del settore.
In particolare, l’art. 188, d.lgs. n. 152/2006, prevede una responsabilità estesa all’intera catena di gestione dei rifiuti (dalla loro produzione fino al loro recupero/smaltimento), coinvolgendo, dunque, a tutela della Stazione appaltante, anche l’intermediario, ed i soggetti di cui lo stesso si avvale, nella complessiva attività di gestione dei rifiuti.
6.5. In tal senso appare, del resto, orientata la giurisprudenza penale, la quale ha avuto modo di chiarire gli obblighi e le relative responsabilità della figura dell’intermediario, in particolare, evidenziando che: “costituisce tratto distintivo della figura in esame – così da impedirne l’assimilazione a quella del mediatore o del procacciatore – lo specifico “onere di vigilanza e di controllo – che su di essa incombe - in merito al possesso, da parte del soggetto deputato allo smaltimento dei rifiuti, delle dovute autorizzazioni e qualifiche, atteso che, per espressa previsione di legge (d.lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. N), l'attività di intermediazione, pur senza detenzione, rientra nell'ambito della gestione dei rifiuti” (Cass. pen., Sez. III, 03 agosto 2022, n. 30582).
6.6. Tanto premesso, reputa il Collegio che la richiesta rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE formulata da Valli non sia necessaria alla luce delle pregresse considerazioni e di quelle che seguono.
La Corte di giustizia ha di recente chiarito che, al fine di attivare l’obbligo per il Giudice di ultima istanza di sollevare una questione di pregiudizialità comunitaria, non basta una qualsivoglia possibile interpretazione alternativa della disposizione sub iudice, ma essa deve essere plausibile alla luce del contesto e delle finalità della disposizione e del sistema normativo in cui è inserita, a meno che l’interpretazione alternativa non sia riscontrata dal fatto che è stata seguita da altri giudici nazionali o di un altro Stato (Grande Sezione, 6 ottobre 2021 ,in causa C-561/19, Consorzio Italian Management - Catania Multiservizi SpA/Rete Ferroviaria Italiana).
In particolare, la Corte di giustizia ha chiarito che “la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al Giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione”.
Nella medesima decisione si è ulteriormente evidenziato che andrebbe esclusa l’assenza di ogni ragionevole dubbio legittimante la facoltà di non operare il rinvio pregiudiziale, quando sussistano “orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale”.
Dal che, come è stato attentamente rilevato in dottrina, discende, a contrario, che il pacifico diritto vivente, anche riconducibile “agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro”, è condizione sufficiente per rendere flessibile l’obbligo, e per evitare dunque l’abuso del rimedio.
Sulla base di tali coordinate, rileva il Collegio che la giurisprudenza più recente, interna ed eurounitaria, è costantemente orientata in favore di una lettura non formalistica dell’istituto del subappalto, nell’ottica funzionale e pragmatica che caratterizza il diritto dell’Unione.
Della normativa italiana in materia di subappalto si è, infatti, già occupata la Corte di Giustizia UE con la nota sentenza Vitali (Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione V, sentenza 26 settembre 2019, C-63/18, Vitali s.p.a.), a cui ha fatto seguito la conforme decisione Tedeschi (Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione V, sentenza 27 novembre 2019, C-402/18), le quali si sono, rispettivamente, pronunciate sulla compatibilità con la normativa euro-unitaria dell’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 118 del d.lgs. n. 163/2006.
Uno dei principi che chiaramente emerge dalle citate sentenze riguarda il divieto generale e astratto del ricorso al subappalto, che superava una percentuale fissa dell’appalto pubblico, censurato in quanto applicabile indipendentemente dal settore economico interessato, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori e che non lasciava alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore.
In tale contesto, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha avuto modo, per quanto di rilievo nel presente giudizio, di chiarire che, in materia di subappalto, ogni normativa nazionale deve essere improntata e, conseguentemente, necessariamente interpretata nel senso di consentire la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.
In particolare, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 26 settembre 2019, nella causa C-63/18, ha chiarito che “secondo una giurisprudenza costante, e come risulta dal considerando 78 della direttiva 2014/24, in materia di appalti pubblici, è interesse dell’Unione che l’apertura di un bando di gara alla concorrenza sia la più ampia possibile. Il ricorso al subappalto, che può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di tale obiettivo (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2017, Borta, C-298/15, EU:C:2017:266, punto 48 e giurisprudenza ivi citata)”.
Trattasi, peraltro, di pronuncia in linea con il costante orientamento della Corte di giustizia, la quale ha mostrato, in più occasioni, una contrarietà di fondo all’operare nella materia in esame di automatismi preclusivi e alla mancata previsione di una valutazione caso per caso. Ricorda, più in generale, il Collegio che l’esigenza di adeguamento della disciplina in materia di subappalto ai rilievi contenuti nella procedura d’infrazione n. 2018/2773 e ai principi affermati nelle sentenze della CGUE Vitali e Ferrari ha, infine, ispirato la formulazione dell’art. 119 del nuovo codice degli appalti, che, come noto, ha eliminato il limite quantitativo rigido di ammissibilità del subappalto e il divieto del subappalto a cascata.
Anche dalla rinnovata disciplina del subappalto emerge come uno dei criteri ispiratori del nuovo codice sia ravvisabile nel ripudio, anche alla luce del primato riconosciuto al principio del risultato, di interpretazioni formalistiche in favore di soluzioni più elastiche e meglio adattabili alla varietà delle situazioni concrete, oltre che preferibili per raggiungere in tempi brevi i risultati desiderati. Trattasi di un’impostazione assolutamente in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che, come visto, contrasta l’operatività, nella materia in esame, di automatismi, mostrandosi favorevole alla valorizzazione di scelte discrezionali proporzionali all’obiettivo da raggiungere al fine di garantire la massima concorrenza e l’accesso delle piccole e medie imprese alle commesse pubbliche.
Da quanto osservato discende la correttezza dell’iter interpretativo seguito dalla sentenza impugnata, la quale ha suggerito un’interpretazione delle disposizioni di cui si tratta coerente, equilibrata e conforme ai principi nazionali ed euro-unitari. La ratio, sopra evidenziata, che ispira la dichiarazione di volere ricorrere al subappalto risulta, e ben vedere, nel caso in esame, rispettata pienamente, posto che, come osservato in precedenza, la mera mancata indicazione nel DGUE di ricorrere al subappalto, a fronte della chiara ed inequivoca dichiarazione di partecipare come intermediario senza detenzione dei rifiuti, e della altrettanto inequivoca individuazione, già in sede di presentazione dell’offerta, dei soggetti incaricati di eseguire le prestazioni di recupero e trasporto dei rifiuti, costituisce, al più, un mero errore riconoscibile, del tutto inidoneo a pregiudicare i poteri di controllo della stazione appaltante e la parità di trattamento rispetto agli altri concorrenti.
6.7. Anche il secondo motivo di appello, alla luce delle complessive considerazioni che precedono, deve essere pertanto ritenuto infondato.
7. Con il terzo mezzo di gravame la società appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della partecipazione alla gara degli intermediari, ha ritenuto sufficiente l’iscrizione nella categoria otto dell’Albo dei Gestori Ambientali.
7.1. Ad avviso della società appellante, Svet avrebbe dovuto essere esclusa in quanto priva dell’iscrizione alle categorie 4 e 5 dell’Albo nazionale dei gestori ambientali (ANGA) per lo svolgimento delle prestazioni di raccolta e trasporto rifiuti, richiesta dall’art. 7.2.1, lett. a), del disciplinare di gara, quale requisito di “Idoneità professionale (art. 100, comma 1, lett. a)”.
7.2. Né l’Amministrazione avrebbe potuto ammettere Svet invocando l’applicazione dell’art. 7.2.1., lett. b.2), del disciplinare, il quale richiede agli intermediari di presentare una dichiarazione di un soggetto in possesso del requisito dell’iscrizione nella categoria 4 o 5, con impegno di quest’ultimo ad eseguire la raccolta, il trasporto e il recupero del rifiuto per tutta la durata dell’appalto.
Ciò in quanto la disposizione di cui alla citata lett. b.2) riguarderebbe, nell’ottica della parte appellante, il possesso delle “capacità tecniche professionali”, ossia requisiti diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 7.2.1. lett. a) che si riferiscono invece alla “Idoneità professionale”.
Soltanto ai fini del possesso del diverso requisito della “disponibilità di uno o più impianti idonei a ricevere rifiuti CER 19.08.05”, gli intermediari che partecipano alla gara (tra cui Svet) dovrebbero essere, dunque, iscritti all’ANGA alla categoria 8 e presentare la dichiarazione di cui alla lett. b.2).
Qualora interpretata nel senso di consentire la partecipazione di soggetti non iscritti all’ANGA alle categorie 4 o 5, la stessa disposizione di cui alla lett. b) del disciplinare sarebbe illegittima in quanto in contrasto con l’autovincolo imposto dalla stessa Amministrazione in sede di gara nonché dei principi di par condicio, imparzialità e buon andamento.
8. Il motivo non è fondato, e può prescindersi dalla ribadita eccezione di tardività della censura avverso la lett. b2 del disciplinare.
8.1. Contro la prospettazione della parte appellante depone la decisiva considerazione per cui sarebbe del tutto sproporzionato rispetto all’attività svolta dagli intermediari e contrario ai principi di massima partecipazione, di proporzionalità e di tassatività delle cause di esclusione richiedere agli intermediari, da un lato, di affidare le prestazioni di recupero e trasporto dei rifiuti a soggetti in possesso dell’iscrizione alle categorie 4 e 5 e, dall’altro lato, di essere anche personalmente in possesso dell’iscrizione ANGA per tali categorie, oltre che per la categoria 8.
Si tratterebbe, infatti, di una ingiustificata duplicazione del requisito concernente l’iscrizione all’ANGA per le categorie 4 e 5 (in termini Consiglio di Stato, Sez. VII, 6 giugno 2023, n. 5545).
Di qui la ragionevolezza, anche sotto il profilo in esame, delle previsioni della legge di gara.
9. Dal complesso delle osservazioni che precedono, sulla base delle quali è stata accertata la legittimità degli atti impugnati, consegue, infine, l’assenza di responsabilità da parte della Stazione appaltante.
Sul punto invero è sufficiente richiamare la recente decisione della Adunanza Plenaria n. 7/2021, che, nel solco della storica sentenza delle Sezioni Unite numero 500 del 1999, ha ribadito la riconducibilità della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa al paradigma della responsabilità da fatto illecito.
Secondo i principi ribaditi da quest’ultimo autorevole arresto giurisprudenziale, elemento centrale nella fattispecie di responsabilità da illegittima attività provvedimentale è l’ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio, diversamente da quanto avviene per la responsabilità da inadempimento contrattuale, in cui la valutazione sull’ingiustizia del danno è assorbita dalla violazione della regola contrattuale.
Declinato nel settore relativo al «risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi», di cui all’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia “interessi legittimi oppositivi - pretensivi”.
Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, il cui aspetto programmatico è costituito dal rapporto giuridico regolato bilateralmente dalle parti mediante l’incontro delle loro volontà concretizzato con la stipula del contratto-fatto storico, il rapporto amministrativo si caratterizza per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale e in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, a ingenerare la responsabilità aquiliana dell’Amministrazione.
Alla stregua di tali condivisibili coordinate interpretative, manca - nel caso all’esame del Collegio - il presupposto dell’ingiustizia del danno, non ravvisandosi, per le ragioni suesposte, un illegittimo esercizio del potere amministrativo da parte della stazione appaltante da cui sia conseguita una lesione dell’interesse legittimo in capo alla società appellante.
10. Alla luce delle osservazioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
11. La particolarità della questione e la reciproca soccombenza giustificano l’integrale compensazione delle spese anche del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, nei sensi di cui in motivazione.
Compensa tra le parti integralmente le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 24 ottobre 2024, 11 novembre 2024, con l'intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore
Guida alla lettura
La vicenda processuale che ha dato origine alla sentenza in commento nasce dall’impugnazione di un provvedimento di aggiudicazione di un servizio di “raccolta, trasporto, recupero di fanghi disidratati non pericolosi”. L’impresa aggiudicataria ha dichiarato di svolgere tale servizio in qualità di intermediario senza detenzione dei rifiuti ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. l), del d.lgs. n. 152 del 2006 (il quale definisce “intermediario” «qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti»).
L’impresa ricorrente non aggiudicataria ha sollevato due principali motivi di censura, entrambi basati sull’assunto di partenza secondo cui il suddetto intermediario – non avendo la materiale detenzione dei rifiuti (e quindi non procedendo direttamente all’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti) – ricorre inevitabilmente ad un’impresa esecutrice terza in forza di un rapporto qualificabile come subappalto.
In particolare, con il 1° motivo, l’impresa ricorrente rileva che l’impresa aggiudicataria ha omesso di inserire nel DGUE la prescritta dichiarazione di voler ricorrere al subappalto, ciò in supposta violazione dell’art. 119, co. 4, d.lgs. n. 36 del 2023.
Con il 2° motivo, invece, l’impresa ricorrente lamenta un’asserita violazione del divieto di subappalto integrale ex art. 119, co. 1, d.lgs. n. 36 del 2023; ciò sul presupposto che l’intermediario senza detenzione di rifiuti non svolgerebbe alcuna concreta attività, in quanto si limiterebbe a subappaltare a terzi l’intero spettro di incombenze affidategli.
Il Collegio adito – pur condividendo l’assunto qualificatorio di partenza secondo cui il rapporto tra l’intermediario e l’impresa terza esecutrice delle prestazioni contrattuali integra un contratto di subappalto – ha tuttavia disatteso entrambe le doglianze.
Quanto alla prima di esse, il fulcro argomentativo della sentenza è che la dichiarazione dell’operatore economico di voler ricorrere al subappalto (dichiarazione prescritta dall’art. 119, co. 4, d.lgs. n. 36 del 2023) non va interpretata in chiave formalistica. Ne discende, quindi, che anche se l’operatore economico ha colpevolmente omesso di inserire detta dichiarazione nell’apposito campo del DGUE, cionondimeno un’equivalente enunciazione di volontà si può comunque ricavare aliunde dal complessivo set documentale dell’offerente, ove tale documentazione permetta concretamente di individuare i soggetti convenzionati dei quali è stata garantita la disponibilità, nonché di documentare il possesso (da parte di tali soggetti convenzionati) delle necessarie autorizzazioni e requisiti di esecuzione.
La sentenza in commento chiarisce che tale soluzione ermeneutica è coerente:
a) sia con il recente indirizzo interpretativo formatosi sul c.d. subappalto necessario, volto a valorizzare l’effettiva volontà dell’operatore economico (quale desumibile dagli atti di gara) senza che occorra una dichiarazione formalmente differenziata rispetto a quella che vale anche per il subappalto non necessario (Cons. Stato, Sez. V, 22 febbraio 2024, n. 1793; Id., 21 febbraio 2024, n. 1743; Id., ord. 24 novembre 2023, n. 4736);
b) sia con il principio del risultato codificato dall’art. 1 del codice dei contratti pubblici, quale prioritario criterio interpretativo e parametro di verifica della conformità dell'azione pubblica al pieno (e non meramente formale) soddisfacimento dell’interesse del singolo come protetto dalle norme;
c) sia con l’indirizzo espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons Stato, Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9), secondo il quale: “Dall’esame della vigente normativa di riferimento può, in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito all’azione amministrativa, ma anche al giudizio della sua legittimità) secondo cui l’indicazione del nome del subappaltatore non è obbligatoria all’atto dell’offerta, neanche nei casi in cui, ai fini dell’esecuzione delle lavorazioni relative a categorie scorporabili a qualificazione necessaria, risulta indispensabile il loro subappalto a un’impresa provvista delle relative qualificazioni (nella fattispecie che viene comunemente, e, per certi versi, impropriamente definita come “subappalto necessario)”.
Tutto ciò ha condotto il Consiglio di Stato a rilevare, con la sentenza in commento, che la sola mancata enunciazione nel DGUE della volontà di ricorrere al subappalto - a fronte della chiara e inequivoca dichiarazione di partecipare in qualità di intermediario senza detenzione dei rifiuti - costituisce al più un errore riconoscibile che non può mettere in discussione, pertanto, la chiara volontà di affidare a terzi l’esecuzione della prestazione di recupero e trasporto dei rifiuti.
Per quel che concerne, poi, la seconda doglianza (incentrata su una supposta violazione del divieto di subappalto integrale ex art. 119, co. 1, d.lgs. n. 36 del 2023) la sentenza in commento rileva, innanzitutto, che nel caso in esame non si versa in alcuna ipotesi di subappalto integrale, atteso che: a) l’affidamento in esame ricomprende attività di intermediazione, trasporto e recupero di rifiuti; b) l’intermediario, mantenendo in capo a sé l’attività di intermediazione, subappalta esclusivamente le residue attività di trasporto e recupero.
Posta tale premessa in fatto, il Collegio si concentra, successivamente, sulla problematica della compatibilità (o meno) con la disciplina nazionale ed eurounitaria in materia di subappalto, di una figura – quale quella dell’intermediario del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti senza detenzione di rifiuti ex art. 183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – che subappalta a terzi la parte principale dei servizi oggetto di appalto.
La sentenza in commento si esprime nel senso della piena compatibilità. E infatti, se le norme sul subappalto dovessero essere interpretate nel senso di vietare il sub-affidamento a terzi della parte principale dei servizi appaltati, “la figura dell’intermediario verrebbe svuotata di ogni contenuto e ad essa sarebbe, di fatto, impedito di accedere a qualsiasi procedura avente ad oggetto le attività di trasporto e recupero dei rifiuti”, atteso che la fattispecie legale dell’intermediario presuppone proprio il sub-affidamento a terzi del servizio di trasporto e smaltimento di rifiuti (e cioè della parte prevalente dei servizi oggetto di questo tipo di appalti).
La “bussola” interpretativa utilizzata dalla sentenza in commento è costituita, quindi, dai principi di accesso al mercato e favor partecipationis: alla luce di tali principi, l’intermediario del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti senza detenzione di rifiuti ex art. 183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 può accedere alle procedure di evidenza pubblica soltanto se (e nella misura in cui) le norme in materia di subappalto consentono di subappaltare a terzi la parte prevalente dei servizi oggetto di appalto.
La piena conformità di tale criterio esegetico con la pertinente giurisprudenza unionale ha permesso alla sentenza in commento, inoltre, di non ravvisare i presupposti di un eventuale rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione europea: detta giurisprudenza unionale ha ripetutamente chiarito, infatti, che in materia di subappalto ogni normativa nazionale deve essere improntata (e, conseguentemente, necessariamente interpretata) nel senso di consentire la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.
Orbene, tale ampia partecipazione è stata resa possibile dalla sentenza in commento nel momento in cui ha ritenuto legittima la scelta della stazione appaltante di ammettere alla gara un operatore economico che – in qualità di intermediario del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti senza detenzione di rifiuti ex art. 183, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – ha subappaltato a terzi la parte prevalente (ma non integrale) dei servizi oggetto di appalto.