Dixeris egregie, notum si callida verbum
reddiderit iunctura novum
Hor., Ars poet., 47
1.- Recependo, con puntualità, le osservazioni e i suggerimenti formulati dal Consiglio di Stato con il parere della commissione speciale n. 1463 del 2 dicembre 2024 – integrati, peraltro, da una disposizione transitoria conservativa, frutto di una esplicita sollecitazione emersa dall’esame in sede parlamentare – il c.d. correttivo al Codice dei contratti pubblici (approvato con il decreto legislativo n. 209 del 31 dicembre 2024) prova a riscrivere, ancora una volta, i tratti operazionali del meccanismo di qualificazione proprio dei consorzi non necessari, ed in particolare dei consorzi stabili, da sempre aduggiato – con l’oscillante e talora curiosa correità dei diversi formanti, non escluso quello pretorio – da una male intesa, quando non abusiva, valorizzazione del criterio cumulativo (c.d. alla rinfusa).
Si vuol dire, con studiata vaghezza, riscrivere (e non – come sembrerebbe più congruo e preciso, dato il contesto – modificare o, magari, correggere; o, al postutto, integrare) perché si intende qui avanzare l’ipotesi che si tratti in realtà – di là dalle apparenze e, si direbbe, perfino delle intenzioni – di norma dal tratto sostanzialmente interpretativo, preordinata a sciogliere, nella tormentosa materia, un nodo gordiano che si è dimostrato, per varie ragioni, particolarmente resistente.
Si tratta, occorre ammettere, di postura impegnativa. Che non solo si vede costretta, per un verso, a contraddire ad un diffuso ed autorevole, per quanto forse non sufficientemente consolidato, orientamento giurisprudenziale (onde va da sé, per questo rispetto, che si tratti, con la consueta e doverosa cautela, di opinione formulata a titolo rigorosamente personale); ma più ancora, e per altro verso, a sterilizzare, con una liminare e critica proposta interpretativa sostanzialmente abrogatrice, l’intenzione (questa sì del tutto esplicita) di codificare, nella materia, una regola di dilazione applicativa intertemporale.
L’assunto è, in sintesi, che la soluzione oggi codificata – obiettivamente più equilibrata e meno tranchant di quella elaborata nel primigenio schema normativo (che, come evidenziato dal parere richiamato, sub § 20.2, avrebbe finito per elidere del tutto, in guisa piuttosto surrettizia, lo stesso meccanismo di qualificazione cumulativa) – corrisponda, con apprezzabile precisione, ad un esito interpretativo che non solo avrebbe senz’altro potuto (come, in fondo, non è disagevole mostrare) ma, ben di più, avrebbe dovuto verisimilmente desumersi già dalla disciplina vigente.
L’argomentazione a sostegno, va da sé, deve essere stringente e serrata.
2.- Un punto deve essere chiaro: in questione, a dispetto di ricorrenti e malmeditate affermazioni, non è affatto il cumulo alla rinfusa in quanto tale, sì solo una sua eccessiva (e, a mio parere, abusiva) valorizzazione, che ha indotto a desumerne (trascurando decisivi dati di ordine positivo) l’attitudine alla automatica ed estensiva qualificazione anche delle imprese consorziate designate per l’esecuzione ancorché prive di capacità e requisiti.
È un fatto – si potrà convenire – che l’articolo 67 del decreto legislativo n. 36 del 2023, nella originaria formulazione, risentiva della preoccupazione (quando fosse tenuto per lecito, inferendola dall’enfasi delle parole, tradurre in tratto di psicologia normativa l’emergente intenzione del legislatore, verrebbe fatto di evocare una sorta di ossessione) di affermare e ‘blindare’, senza ambiguità od incertezze, la regola della qualificazione cumulativa dei consorzi stabili: e ciò: a) senz’altro per il futuro (comma 1); b) ancora per il presente (comma 2); ed anche, e definitivamente, c) per il passato (cfr. l’articolo 225, comma 13).
Che il comma 1 dell’articolo 67 guardasse – in guisa tecnicamente piuttosto incongrua, cui ha giustamente posto mano, sul piano formale, il correttivo – ad una (prospettica) ‘messa a regime’ della disciplina dei “requisiti di capacità tecnica e finanziaria” era dato desumere:
a) dal richiamo al “regolamento di cui all’articolo 100, comma 4”, di fatto destinato (solo) pro futuro a sostituire – in base al peculiare meccanismo delegificante cui il Codice si è complessivamente, e notoriamente, ispirato – le disposizioni di cui all’Allegato II.12, di rango normativo (ancora ed attualmente) primario;
b) più ancora, dal comma 8 dell’articolo 100, che – con riguardo all’emanando regolamento di cui (precisamente) al “sesto periodo del comma 4” – commetteva (e commette tuttavia) a quest’ultimo (tra l’altro, ma – a scanso di equivoci – “in ogni caso”) la disciplina delle “modalità di qualificazione degli operatori economici di cui all’articolo 67, comma 1”, sulla base, appunto, del (vincolante e ribadito) “criterio del cumulo”.
Per l’immediato e nel tempo intermedio (vale a dire “nelle more dell’adozione del regolamento di cui all’articolo 100, comma 4”) disponeva, all’incontro, il comma 2 dell’articolo 67, con il richiamo alle previsioni dell’allegato II.12. Il quale, ad sedem, prevede (il riferimento è, segnatamente, all’articolo 32, comma 2, che recupera il testo della disciplina previgente, peraltro riferita ai soli contratti relativi ai lavori) che “i consorzi stabili conseguono la qualifica a seguito della verifica dell’effettiva sussistenza in capo alle singole consorziate dei corrispondenti requisiti”: con ciò ancora ribadendo il criterio di qualificazione cumulativa [alla cui stregua, in effetti, i requisiti concretamente posseduti dalle imprese consorziate valgono a qualificare il consorzio con il quale abbiano stabilito di “operare in modo congiunto”, istituendo a tal fine “una comune struttura di impresa”: cfr. articolo 65, comma 1, lettera d)].
Regola chiarissima, eppure ritenuta ancora insufficiente, se:
a) per un verso, a quel richiamo si accompagnava (sintomaticamente introdotta dal sintagma “fermo restando”) la vincolante regola del computo cumulativo, ribadito sia per gli appalti di servizi e di forniture [comma 2, lettera a)], che per gli appalti di lavori [comma 2, lettera b)];
b) per altro verso – con palese ridondanza, aggravata da una collocazione verisimilmente piuttosto inappropriata, trattandosi di disciplina dai tratti spiccatamente attuativi, plausibilmente destinata, juxta principia, alla sede regolamentare e, prima, all’allegato di riferimento – dal comma 8, dove si ripeteva (quasi non fosse ormai già del tutto perspicuo) che “i requisiti di capacità tecnica e finanziaria sono posseduti e comprovati sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.
Resta, semmai, da chiarire – e se ne dirà subito, per quanto di rilievo – la ragione per la quale il cumulo ‘alla rinfusa’ fosse evocato con formula linguistica differenziata, il che può suonare, a prima lettura, alquanto curioso: in modo più diretto ed esplicito [comma 2, lettera a)] per i servizi e le forniture (ove si chiarisce che i requisiti sono, appunto, “computati cumulativamente”); in modo più obliquo [comma 2, lettera b)] per i lavori (ove si dice solo che il consorzio si qualifica “sulla base” della qualificazione delle consorziate).
Lo scrupolo dei conditori si spiega. Per un verso, per i servizi e le forniture non opera, di là dalla prospettiva de jure condendo dischiusa dall’articolo 100, comma 10, un sistema di qualificazione, come per i lavori.
Per altro verso, si poneva, tecnicamente, la necessità di superare l’obiettiva ambiguità, sul punto, dell’articolo 47 del decreto legislativo n. 50 del 2016, che aveva ingenerato più di una legittima perplessità, in quanto:
a) al comma 1, evocava il meccanismo del “computo cumulativo” nei termini (tali, di per sé, da sollecitarne un intendimento restrittivo) di una eccezione alla regola (come fatto palese – sotto il profilo testuale e verisimilmente perfino di là dalle intenzioni – dalla formula linguistica della salvezza logicamente parentetica in co-occorrenza con la sintassi concessiva);
b) per giunta, limitava, almeno all’apparenza, l’ambito della qualificazione cumulativa al settore dei lavori: ed anche questo, per sovrammercato, in termini non chiari e, segnatamente: I) in guisa implicita nel comma 1 – avuto riguardo all’operato riferimento alle “attrezzature” ed ai “mezzi d’opera”; II) in modo ellittico nel comma 2, con il richiamo “ai fini della qualificazione” solo per i “lavori” del regolamento adottando, e notoriamente mai adottato; III) in termini indiretti nel comma 2-bis, ove la sancita necessità, per i servizi e le forniture, della verifica della effettiva esistenza dei requisiti “in capo ai singoli consorziati” poteva sollecitare, semmai, una interpretazione a contrario.
Chiarissima, allora, la voluntas legis (generalizzare senza incertezze la regola di qualificazione cumulativa automatica), la chiusura del cerchio postulava cioè (o, almeno, sollecitava) de praeterito una norma di interpretazione autentica del ridetto articolo 47.
L’articolo 225, comma 13 lavora allo scopo, in una duplice direzione:
a) per i lavori (in ordine ai quali il dubbio da elidere non riguardava il criterio del cumulo in sé, ma la sua portata e la sua estensione: il quomodo, quindi, non l’an), lo si riduce a normalità, recuperando – con una sorta di turbinosa e vertiginosa mise en abyme spazio-temporale – il criterio di qualificazione di cui al previgente decreto legislativo n. 163 del 2006 [e, segnatamente, la regola dell’articolo 36, comma 7, secondo cui il consorzio si qualifica “sulla base” delle qualificazione possedute dalle consorziate, come si era inteso ripetere, appunto, all’articolo 67, comma 2 lettera b)];
b) per i servizi e le forniture (in ordine ai quali il dubbio, più impegnativo, era la stessa operatività del cumulo), si è fornita l’interpretazione, appunto, autentica del comma 2-bis dell’articolo 47 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
È chiaro che, perché l’interpretazione suonasse plausibilmente autentica, potendo come tale operare anche in guisa retroattiva, era necessario, nella formulazione della norma, non stravolgere il tratto testuale, ma solo esplicitarne uno dei sensi possibili, nei limiti della massima dilatazione semantica, nel quadro delle divergenti opinioni olim maturate nella giurisprudenza.
Sicché è per questa ragione che non si è voluto (o potuto) scrivere qui [anticipando il nuovo comma 2, lettera a) dell’articolo 67 e dilatando il testo con un non detto] che i requisiti in capo ai consorziati sono “computati cumulativamente”: ma si è solo (e più semplicemente) potuto precisare che quella “verifica della effettiva esistenza dei […] requisiti in capo ai singoli consorziati” coinvolgesse (nel silenzio sul punto della norma) anche i consorziati che (come accade tipicamente per i consorzi stabili) non siano “designati in gara”.
3.- Di là da tali scrupoli di drafting, dal complesso delle disposizioni introdotte con il decreto legislativo n. 36 del 2023 si trae, in definitiva, una conclusione sicura circa la piena (e generalizzata) operatività del cumulo c.d. alla rinfusa, in ordine alla quale non è dato nutrire (anche relativamente alla applicazione retroattiva) dubbi di sorta.
Niente di meno. Ma anche – si deve puntualizzare – niente di più.
È accaduto, invece, che il combinato disposto degli articoli 67 e 225, comma 13 del Codice sia stato acquisito quale sintomatico della volontà del legislatore di reagire espressamente ad una (rigorosa e restrittiva) interpretazione del meccanismo di qualificazione cumulativa, che ne precludeva una valorizzazione estensiva o circolare (il riferimento, come è noto, è a Cons. Stato, sez. V, 22 agosto 2022, n. 7360).
Si tratta, per l’appunto, della annosa questione della possibilità di designare, ai fini dell’esecuzione, una consorziata priva di requisiti, abilitandola a recuperarli transitivamente ed automaticamente – per mezzo di una qualificazione cumulativa dilatata: circolare o bidirezionale o, se è lecita la metafora geometrica, discenditiva – dal consorzio. Era (e resta) questo, a ben vedere, il vero punctum crucis: non il cumulo alla rinfusa in sé, ma (solo) la sua virtù ed attitudine espansiva.
Il problema nasce dalla regola (ribadita dall’articolo 67, comma 4 e ripetuta, del tutto inutilmente, dall’articolo 32, comma 1 dell’allegato II.12) per cui i consorzi stabili possono partecipare alle procedure di gara direttamente (impegnando alla esecuzione delle prestazioni “la propria struttura”) o in via mediata (“indicando” in sede di gara le consorziate per i quali “concorre”, le quali assumono l’impegno di eseguire le prestazioni “senza che ciò costituisca subappalto” e “ferma la responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante”).
Il Codice non offre risposta (non immediatamente, quanto meno) in ordine alle modalità ed ai criteri di qualificazione delle consorziate designate per l’esecuzione. Semmai, e per giunta, parrebbe perfino sollecitare, prima facie, una argomentazione e silenzio, alla luce del comma 3 dell’articolo 67, il quale: a) prevede che i “requisiti generali” debbano essere posseduti “sia dalle consorziate esecutrici che dalle consorziate che prestano i requisiti” (sicché ci sarebbe spazio per indurne che, all’incontro, ciò non sia necessario per i requisiti di qualificazione, che sono di ordine speciale e che sono regolati dal meccanismo di qualificazione cumulativa; b) impone alla consorziata esecutrice solo “le autorizzazioni” e “gli altri titoli abilitativi” richiesti per la procedura.
Ma si tratterebbe di argomentazione decisamente fallace: a) i requisiti di ordine morale sono, per definizione, sottratti alla logica della qualificazione (la quale, anche quando operante alla stregua del criterio del cumulo, attiene alla “capacità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure”: comma 1), il che è sufficiente a sterilizzare (se quod differtur non aufertur) l’argomentazione a contrario; b) d’altro canto, autorizzazioni e titoli abilitativi sono, per definizione, intuitu personae: onde, in via di principio, non sono suscettibili di prestito, tanto meno virtuale.
Ciononostante, la giurisprudenza – superando l’orientamento restrittivo che si era inteso affermare, generalizzando una soluzione negativa anche al di là del caso, in qualche modo speciale, degli appalti inerenti beni culturali, per i quali l’opzione restrittiva era, come è noto, già diffusa e consolidata: cfr., per tutti, Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1615 nonché, sia pure con conseguenze in parte divergenti, Cons. giust. amm. reg. sic., 22 gennaio 2021, n. 49 – si è attestata, come si è detto, su una prospettiva permissiva (anche alla luce della formulazione, in realtà piuttosto ambigua e, a ben vedere, del tutto priva di pertinenza in re, dell’articolo 225, comma 13).
4.- Con la sintesi più lucida e perspicua (affidata, per esempio, alla incisiva e cadenzata argomentazione di Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2024, n. 71, da ultimo ripetuta con adesione pedissequa da Cons. giust. amm. reg. sic., 11 dicembre 2024, n. 940: entrambe con riferimento alla disciplina di cui all’articolo 47 del decreto legislativo n. 50 del 2016, filtrato alla luce della interpretazione autentica operatane dall’articolo 225, comma 13 del nuovo Codice: ma, all’evidenza, con ragionamento estensibile de plano, per quanto si è detto, al nuovo regime), dal “combinato disposto” delle norme richiamate si inteso desumere che:
a) la qualificazione sarebbe richiesta in capo al consorzio stabile e (per ciò solo) non in capo alle singole consorziate, atteso che la qualificazione di queste ultime rileverebbe, in tesi, solo ai fini del cumulo alla rinfusa (e, cioè, solo per verificare che il consorzio sia qualificato);
b) una volta che si accerti che il consorzio stabile è qualificato, non rileverebbe, perciò, verificare la qualificazione o meno delle singole consorziate;
c) il cumulo alla rinfusa determinerebbe, per tal via, un avvalimento ex lege che si dovrebbe intendere bidirezionale (anche alla luce del canone di responsabilità solidale correlato alla opzione esecutiva mediata).
Insomma: la qualificazione cumulativa opererebbe, con simultaneo automatismo, sia in fase ascendente (dalle consorziate al consorzio: cioè, fuor di metafora, “sulla base” della qualificazione delle prime), sia in fase discendente (dal consorzio, così qualificato, alle consorziate). Cumulo, quindi, non solo verticale, ma anche orizzontale: per (postulata) attitudine transitiva.
Conclusione, sia consentito soggiungere, non a tenuta stagna. In effetti, il dato positivo può occuparsi già di revocare in dubbio la premessa (che fonda e sorregge la stringente argomentazione) secondo cui la qualificazione sarebbe normativamente richiesta sempre e solo in capo al consorzio e proprio per questo non in capo alle consorziate.
Sussistono decisivi indizi del contrario: prima che il comma 6 dell’articolo 67 (che pure dice già della autonoma maturazione dei requisiti a favore del consorzio in proprio), l’articolo 32, comma 3 dell’Allegato II.12 – secondo cui il “conseguimento della qualificazione da parte del consorzio stabile” (naturalmente, per forza di cumulo: cfr. il comma 2) non esclude (“non pregiudica”, secondo la cautelosa formula linguistica) la “contemporanea qualificazione dei singoli consorziati”, ancorché sia imposto, per ovvi motivi, l’obbligo di segnalazione della partecipazione alla organizzazione consortile.
In altri termini: che il consorzio si qualifichi tramite le consorziate è rilievo esatto, ma non esaustivo, perché il consorzio si qualifica (anche) da sé, in base ai requisiti maturati in proprio.
Soprattutto, dalla premessa (corretta) che il consorzio si qualifichi tramite le consorziate non si deduce affatto (ne mancherebbe il medio logico, prima che giuridico) la reciproca, sicché la evocata bidirezionalità (prima ancora di ricevere smentita da altre disposizioni) ne riesce in fin dei conti piuttosto postulata che dimostrata. Il ragionamento occulta un non sequitur.
Premesso, infatti, che la norma interpretativa di cui all’articolo 225, comma 13 non ha nulla da dire in proposito (perché si limita a ribadire, nel senso chiarito, la piena operatività in virtù del meccanismo di qualificazione cumulativa: il che è indiscusso), altre sono – tota lege perspecta – le norme di rilievo.
Innanzitutto, il comma 4 dell’articolo 67 fa chiaro, nel suo quarto inciso, che nulla osta ora (la norma si giustifica, come è noto, per ragioni che sono comuni alla disciplina ai raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari: cfr. articolo 68, comma 14) alla contemporanea partecipazione, alla medesima gara, del consorzio (ovvero delle imprese da esso designate e, con ciò, “in gara”) e delle consorziate non esecutrici, le quali (ovviamente) posseggano in proprio i requisiti e siano per tal via autonomamente qualificate (si tratta, del resto, di previsione normale: vale anche per ogni impresa che si limiti a prestare, in via di avvalimento ordinario, i propri requisiti, salvo il limite, oggi codificato, dell’avvalimento premiale: cfr. articolo 104, comma 12).
È sancita, per contro, una preclusione alla partecipazione in proprio delle consorziate esecutrici, pena l’esclusione dalla procedura evidenziale (dello stesso consorzio). Ma ciò a quattro condizioni (che traducono, anche in relazione ai consorzi stabili, un limite di ordine generale):
a) che sia dimostrata dalla stazione appaltante, anche per via indiziaria, una elaborazione concordata dell’offerta (trattandosi, con ciò, di un unico centro decisionale: cfr. articolo 95, comma 1 lettera d), con violazione del fondamentale canone di unicità;
b) che tale circostanza abbia, peraltro, concretamente pregiudicato (salva la prova del contra-rio, gravante sull’operatore economico) la correttezza della gara (per esempio, sotto il profilo della incidenza sulla determinazione della soglia di anomalia delle offerte): trattandosi, altrimenti, alla stregua di un principio di proporzionalità, di vizio irrilevante;
c) che ne sia risultata potenzialmente compromessa, sotto distinto profilo, la effettiva capacità di eseguire le prestazioni contrattuali: ciò che, all’evidenza, mette in gioco un problema di effettività dei requisiti di qualificazione, compromessi dall’abusivo gioco di sponda del prestito incrociato: onde l’esimente si attiverebbe, propter utilitatem, solo allorché la consorziata designata possegga in proprio i requisiti e il consorzio si qualifichi comunque in ragione del prestito da altre consorziate;
d) che il consorzio non si avvalga, in ogni caso, della facoltà, prevista e concessa dall’articolo 97 (ed espressamente richiamata dall’articolo 67, comma 4, ad finem) di sostituire la consorziata.
Si badi: di quale consorziata si parla qui? Quale consorziata si può sostituire, recuperando, nel caso in questione, l’utile partecipazione del consorzio?
Occorre leggere l’articolo 97, comma 3, ultima parte: che – nel comprensivo contesto del “venir meno di un requisito di qualificazione” per operatori plurisoggettivi – estende il meccanismo di “estromissione” e “sostituzione” (comma 2) anche ai “consorzi stabili”, ma – in tal caso – “limitatamente alle consorziate esecutrici e alle consorziate aventi i requisiti di cui i consorzi si avvalgono”.
Perché la norma dice (e dice bene): “limitatamente”? Chi è escluso dalla regola di sostituzione? Se questa riguarda sia le “consorziate che prestano i requisiti” che le “consorziate esecutrici” (cfr. articolo 67, comma 3), quali sarebbero le (altre) consorziate che vi sono sottratte?
È evidente (indicazioni in tal senso si traggono, del resto, dalla lettura della relazione che accompagna il Codice, ad locum) che si tratta, residualmente, delle consorziate non designate e prive di requisiti (le quali neppure concorrono, come tali, al gioco della qualificazione cumulativa).
E, in effetti:
a) il venir meno dei requisiti di qualificazione in capo ad una consorziata che non presta i requisiti (proprio perché – nel contesto di una qualificazione cumulativa – non li possiede in proprio) non è certo un problema, purché appunto non sia designata per l’esecuzione;
b) la consorziata che perda i requisiti di cui il consorzio si sia avvalso in virtù del meccanismo del cumulo può, per contro, essere sostituita, compensando il deficit e recuperando, con ciò, la qualificazione del consorzio.
Ma allora – e si tratta di un punto davvero decisivo – perché prevedere (visto che il consorzio si qualifica comunque in via di cumulo) la sostituzione anche della consorziata designata per l’esecuzione?
Se fosse corretto l’assunto (tratto in guisa troppo geometrica dalla tesi che qui si contrasta) che, in via della postulata qualificazione discendente, la consorziata designata potrebbe del tutto legittimamente non essere qualificata in proprio (cioè potrebbe non possedere i requisiti, mutuati comunque dal consorzio, anche tramite il prestito delle altre consorziate non designate ma qualificate), dovrebbe trarsene il (necessario) corollario che – nell’ipotesi in cui fosse inizialmente qualificata – la perdita successiva dei requisiti (operando il cumulo alla rinfusa) sarebbe irrilevante e non richiederebbe certo una (invero inutilissima) sostituzione.
Né sarebbe possibile opporre che la norma in questione postulerebbe, in realtà, che si tratti di consorziata bensì designata per l’esecuzione, ma (comunque) in possesso dei requisiti di qualificazione, in difetto dei quali neanche il consorzio potrebbe ritenersi qualificato: sarebbe provar troppo, giacché, se così fosse, la designazione per l’esecuzione sarebbe un dato neutro (e la consorziata, designata o meno, dovrebbe essere sostituita solo in quanto avente i requisiti di cui il consorzio si avvale), laddove la norma chiaramente prevede due, distinte situazioni coinvolte dal meccanismo sostitutivo (per la consorziata designata e per quella non designata: nell’un caso e nell’altro, comunque, in quanto qualificate).
In definitiva, sembra chiaro che l’articolo 97, comma 3 implicitamente – epperò del tutto perspicuamente – postuli la (necessaria) qualificazione della consorziata designata per l’esecuzione: e proprio in quanto designata per l’esecuzione (vale a dire: indipendentemente dal suo contributo alla qualificazione cumulativa del consorzio).
In altre parole: le consorziate esecutrici devono non solo essere, ma anche restare qualificate, giacché il “venir meno di un requisito di qualificazione” ne implica (giusta il richiamo del comma 1, da parte del comma 3 dell’articolo 97) l’estromissione, salva la possibilità, per il consorzio qualificato, di sostituirle. Nel che mi pare si dato senz’altro rinvenire adeguata smentita, per tabulas, dell’assunto della qualificazione cumulativa transitiva o descensionale o bidirezionale.
5.- La stessa conclusione si ricava, per giunta, da un’altra disposizione: quella di cui all’articolo 67, comma 7.
A fronte del fatto che oggi l’articolo 104 non preclude più, come era in passato, l’avvalimento c.d. a cascata, la norma suonerebbe prima facie di ardua intellegibilità, se non intesa nel senso (del resto, del tutto perspicuo, se non altro alla luce dell’avverbio “solo”: e non a caso “rafforzato” dal correttivo, in termini, affatto innovativi, di mera esplicitazione) che il consorzio possa a sua volta prestare i requisiti (assumendo il ruolo di operatore ausiliario), ma solo quando si tratti di requisiti maturati in proprio (non, allora, si deve intendere, quando li abbia semplicemente ricevuti in prestito). La regola, ispirata ad un canone di effettività, sterilizza, corroborando per altra via le conclusioni già esposte, l’idea di un transito discendente virtuale.
Non va in diversa direzione la decisione da ultimo assunta, in proposito, da Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2025, n. 364 (che ha ritenuto illegittima la esclusione di un operatore economico da un appalto di lavori, motivata con esclusivo riferimento al fatto che il concorrente si fosse avvalso dell’attestazione SOA, necessaria per l’esecuzione dei lavori, di un consorzio stabile e da questo acquisita per il tramite di sua impresa consorziata: e ciò sull’assunto che – se il contratto di avvalimento genera un rapporto di collaborazione tra imprese, e se i consorzi stabili sono operatori economici provvisti di autonoma personalità giuridica, distinta dalle imprese consorziate, e si configurano come aggregazioni durevoli di soggetti che nascono da un’esigenza di cooperazione ed assistenza reciproca e che, operando come un’unica impresa, si accreditano all’esterno come soggetto distinto – nell’ambito del consorzio ausiliario di altro operatore economico non vi è un “distinto avvalimento” tra consorziata e consorzio, il quale appunto si qualifica, e si dota dei mezzi necessari, grazie alle consorziate che compongono il consorzio).
Vero è che – nella valorizzata prospettiva, di cui non mette conto discutere – i requisiti prestati al consorzio finiscono per concorrere con quelli propriamente “maturati” dal consorzio (in quanto esecutore “in proprio” delle prestazioni, con la propria organizzazione stabile: cfr. articoli 67, comma 6 e 32, comma 4 Allegato II.12) ai fini della perimetrazione della misura dell’ausilio convenzionalmente erogabile (a favore di operatori terzi, non meno che delle stesse imprese consorziate eventualmente designate per l’esecuzione): ma quel che deve essere tenuto in ogni caso per fermo, a guisa di necessario corollario della disposizione in esame, è che il conferimento dei requisiti di qualificazione (dal consorzio alle consorziate esecutrici) richiede il ricorso alle ordinarie modalità di avvalimento (sicché non può essere integrato dal postulato automatismo cumulativo estensivo).
6.- È lecita la conclusione che la questione della possibilità di designazione per l’esecuzione di una consorziata non qualificata fosse quanto meno questione aperta. Che, quando si condividano le premesse esposte, avrebbe già dovuto essere risolta (e, se è lecito formulare un auspicio, dovrebbe essere risolta, con opportuno ripensamento, anche relativamente a vicende maturate ante correttivo) nel senso della necessaria qualificazione (non mai in virtù di cumulo, ma se del caso mediante avvalimento ordinario: ausiliario, se del caso, lo stesso consorzio, ma con requisiti non virtuali) delle consorziate designate per l’esecuzione.
È – esattamente – la disciplina che emerge dal correttivo.
Di là dalla ricomposizione di qualche sgrammaticatura (non esclusa quella che – curiosamente – aveva conservato alle imprese consorziate una oscillante declinazione di genere, una volta al maschile ed una volta al femminile: ma l’operazione, deve soggiungersi, non è ancora completamente riuscita, se qua e là permane la difforme indicazione), il nuovo articolo 67 rende chiaro quel che già doveva desumersi. E cioè:
a) che il criterio del cumulo alla rinfusa opera (autorizzando la qualificazione del consorzio stabile anche solo sulla base dei requisiti posseduti dalle imprese consorziate) sia per i contratti aventi ad oggetto lavori che per i contratti aventi ad oggetto forniture e servizi;
b) che, quando il consorzio intenda eseguire le prestazioni con la propria struttura, il criterio del cumulo ne garantisce automaticamente la qualificazione (poiché i requisiti eventualmente posseduti in proprio si sommano a quelli posseduti dalle imprese consorziate);
c) che, invece, allorché intenda designare una consorziata per l’esecuzione, questa deve essere qualificata secondo i principi ordinari (vale a dire, anche mediante ricorso al comune avvalimento: c1) a carico dello stesso consorzio, ma solo per i requisiti maturati da quest’ultimo in proprio e senza automatismi, cioè sempre in base ad un apposito contratto; c2) a carico di altre imprese consorziate, ma – di nuovo – solo ai sensi e nelle forme di cui all’articolo 104; c3) a carico di altri operatori economici, secondo la disciplina comune.
Trattandosi, non sarà inutile ribadire ancora una volta, di soluzione desumibile già dagli articoli 97, ult. cpv. e 67, comma 7 ante correttivo (e, sia detto per inciso, conforme al bene inteso principio del risultato, nella sua declinazione orientata alla garanzia della qualità della prestazione, che sollecita una qualificazione effettiva degli operatori economici incaricati della attuazione del contratto) nihil novi sub sole.
Né sarà inutile soggiungere che, su tali premesse, la diversa formulazione utilizzata relativamente agli appalti di servizi e di forniture (che può giustificarsi in relazione alla attuale insussistenza di un meccanismo di qualificazione) non può indurre alla conclusione che per questi non valgano gli stessi principi (discendendone, tra l’altro, un esito curiosamente ed ingiustificatamente disparitario): la soluzione deve essere, come non è a questo punto disagevole arguire, la medesima.
7.- Se i rilievi che precedono sono esatti, la norma transitoria è destinata a restare del tutto priva di rilievo. Essa appare il frutto, semplicemente, di un errore di prospettiva, peraltro indotto dalle ambiguità della giurisprudenza, di cui si è tentato di illustrare le ragioni.
Se, quindi, le nuove disposizioni sono perfettamente sovrapponibili alle previgenti, le fattispecie destinate a rientrare nel perimetro della disposizione transitoria di cui all’articolo 225-bis, comma 3 (introdotto dall’articolo 70, comma 1 del decreto legislativo n. 209 del 2024) integrano, semplicemente, un insieme vuoto. E gli unici affidamenti destinati a restare fermi (anche quando a favore di consorziate non adeguatamente qualificate) saranno, al postutto ed a rigore, quelli correlati a rapporti esauriti, per i quali non sia stata proposta rituale impugnazione.
Sempreché – beninteso – la giurisprudenza (di cui è dato bensì preconizzare, ma non certo anticipare né tampoco condizionare gli sviluppi) non intenda tenere per ferme le conclusioni sulle quali, nel frattempo, si è andata attestando.