TAR Liguria, 14 dicembre 2024, n. 869
Il Tar Liguria disapplica l’ennesima proroga – disposta ancora una volta in assenza di gara – delle concessioni demaniali marittime prevista dal legislatore con il D.L n. 131/2024, convertito in Legge 14 novembre 2024, n. 166.
Pubblicato il 14/12/2024
N. 00869/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00688/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 688 del 2023, proposto da
Vera Croce Landini, rappresentata e difesa dagli avvocati Bartolo Ravenna e Roberto Trevia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Diano Marina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Matteo Borello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Roma 10/3b;
per l’annullamento
del provvedimento di rideterminazione in via ricognitiva del termine di durata della concessione demaniale marittima n. 1 del 2007 adottato dal Comune di Diano Marina in data 30 ottobre 2023, con il quale è stato fissato al 31 dicembre 2023 il termine di durata della suddetta concessione;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale a quello impugnato, nei limiti dell’interesse fatto valere, nonché
per la condanna
del Comune di Diano Marina al risarcimento del danno derivante dal provvedimento impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Diano Marina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2024 il dott. Davide Miniussi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La ricorrente, titolare di una concessione demaniale marittima (rilasciata, da ultimo, con licenza n. 1/2007), ha impugnato il provvedimento del 30 ottobre 2023 con cui il Comune di Diano Marina, in attuazione della direttiva (ad efficacia diretta) 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkenstein; “Direttiva”) e dei principi stabiliti dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, ha rideterminato, in via ricognitiva, la durata della suddetta concessione (prorogata, con atto rep. n. 2272 del 24 ottobre 2019, fino al 31 dicembre 2033), riducendola al 31 dicembre 2023. Con il ricorso in decisione, corredato da istanza cautelare, è stata formulata, altresì, domanda di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.
2. Al momento dell’adozione del provvedimento in questa sede gravato, pendeva dinanzi al Consiglio di Stato (a seguito dell’impugnazione, proposta dall’odierna ricorrente, avverso la sentenza di questa Sezione n. 530 del 22 maggio 2023) un giudizio avente ad oggetto il ricorso proposto dalla Landini avverso il provvedimento del 12 maggio 2021, n. 52 con cui il Comune ha dichiarato la decadenza della concessione medesima (ai sensi dell’art. 47 cod. nav.) a causa dell’inadempimento all’obbligo di pagare il canone relativo a tre annualità. Il giudizio in questione si è concluso con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VII, 19 dicembre 2023, n. 11010 che ha rigettato l’appello, con conseguente conferma del provvedimento di decadenza. Detta sentenza è stata impugnata dalla Landini con ricorso per revocazione, dichiarato inammissibile dal Consiglio di Stato, sez. VII con sentenza del 19 luglio 2024, n. 6493 per insussistenza del dedotto errore di fatto revocatorio. L’odierna ricorrente ha manifestato l’intenzione di proporre, avverso la sentenza da ultimo menzionata, ricorso per cassazione (versato agli atti del presente giudizio in data 6 novembre 2024), non ancora notificato al momento del passaggio in decisione (all’udienza pubblica dell’8 novembre 2024) del presente ricorso.
3. Con il ricorso in decisione la ricorrente ha dedotto che, per effetto della modifica introdotta dal decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14) all’art. 3, co. 3, legge 5 agosto 2022, n. 118, il termine di efficacia delle concessioni demaniali marittime (inizialmente stabilito, dalla disposizione da ultimo menzionata, nel 31 dicembre 2023) è stato prorogato al 31 dicembre 2024, mentre il termine del 31 dicembre 2024, fino al quale l’Amministrazione – in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il termine ordinario – avrebbe potuto differire l’efficacia delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura, è stato prorogato al 31 dicembre 2025. Ha altresì rilevato che, per effetto dell’art. 10-quater, co. 3 del menzionato decreto-legge n. 198/2022, le concessioni in parola “continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori”. Ne conseguirebbe, in base alla prospettiva attorea (ulteriormente rafforzata – si sostiene nella memoria depositata in data 28 novembre 2023 – dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione del 23 novembre 2023, n. 32559, che ha cassato la sentenza dell’Ad. Plen. n. 18/2021, e degli esiti del tavolo tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che escluderebbero la sussistenza della scarsità delle risorse naturali, presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della Direttiva), che il legislatore avrebbe inteso superare i principi stabiliti dalle sopra menzionate pronunce dell’Adunanza Plenaria, protraendo l’efficacia delle concessioni in essere fino alla data di rilascio delle nuove concessioni. Pertanto, il provvedimento impugnato, nella parte in cui ridetermina la scadenza della concessione, anticipandola al 31 dicembre 2023, sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 3, co. 3, legge n. 198/2022, in quanto detta disposizione (come modificata dal decreto-legge n. 198/2022) individua il termine di efficacia nel 31 dicembre 2024 e non potrebbe – a causa delle sopravvenienze registrate successivamente alle due pronunce dell’Adunanza Plenaria – essere disapplicata.
Si deduce, inoltre, la violazione dell’art. 7, legge 7 agosto 1990, n. 241, non essendo il provvedimento stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Diano Marina, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato nel merito, in quanto tutte le norme che dispongono ulteriori proroghe del termine di efficacia delle concessioni demaniali marittime contrastano con l’art. 12 della Direttiva e con gli artt. 49 e 56 TFUE (come confermato, da ultimo, dal parere motivato del 23 novembre 2023 formulato dalla Commissione ai sensi dell’art. 258 TFUE) e devono, pertanto, essere disapplicate, tanto dalla Pubblica Amministrazione quanto dal giudice.
5. Con ordinanza n. 338 del 5 dicembre 2023 è stata fissata con sollecitudine l’udienza per la decisione del ricorso nel merito, ai sensi dell’art. 55, co. 10 cod. proc. amm.
6. Con provvedimento prot. n. 28667 del 18 dicembre 2023 il Comune, in ragione della necessità di attendere l’approvazione della variante al Piano di utilizzo delle aree demaniali marittime (“PUD”) e della disciplina nazionale di riordino di cui all’art. 4, legge n. 118/2022, ha differito il termine di scadenza della concessione rilasciata alla ricorrente al 31 dicembre 2024, subordinando detto differimento all’accoglimento dell’appello al Consiglio di Stato. Detto provvedimento è stato impugnato dall’odierna ricorrente con ricorso iscritto, a seguito della trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato, al R.G. n. 483/2024 (in attesa di fissazione dell’udienza).
7. Con memoria depositata in data 8 ottobre 2024 la ricorrente ha chiesto al Collegio di valutare se il ricorso sia divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione: (a) dell’adozione del provvedimento del 18 dicembre 2023, sopra menzionato, che avrebbe prorogato la durata della concessione fino al 31 dicembre 2024; (b) dell’entrata in vigore del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 2024, n. 166), nella parte in cui (art. 1), novellando l’art. 3, co. 1, legge n. 118/2022, ha disposto un’ulteriore proroga dell’efficacia delle concessioni demaniali marittime fino al 30 settembre 2027. In subordine, ha chiesto disporsi la sospensione necessaria del giudizio ai sensi degli artt. 295 cod. proc. civ. e 79, co. 1 cod. proc. amm., in ragione della pendenza del summenzionato giudizio avverso il provvedimento di decadenza e dei giudizi civili (pendenti dinanzi al Tribunale di Imperia) aventi ad oggetto la determinazione dell’ammontare dei crediti e controcrediti sussistenti nei rapporti tra le parti. In ulteriore subordine, ha replicato le richieste formulate in precedenza.
All’udienza dell’8 novembre 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio ritiene di non disporre la riunione (ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm.) del presente ricorso a quello proposto avverso il provvedimento comunale che ha disposto la proroga dell’efficacia della concessione al 31 dicembre 2024, subordinatamente all’accoglimento del menzionato appello al Consiglio di Stato (cfr. supra, par. 6 del Fatto). Ciò (oltre che in ragione del mancato avveramento della suddetta condizione; cfr. infra, par. 2), per la necessità di definire con sollecitudine il presente giudizio, che è maturo per la decisione, a differenza di quello iscritto al R.G. n. 483/2024 (in attesa di fissazione dell’udienza di discussione).
2. Procedendo all’esame delle questioni di rito, il Collegio ritiene che il ricorso sia procedibile, in quanto, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, il provvedimento del 18 dicembre 2023 (impugnato con separato ricorso iscritto al R.G. n. 483/2024, a seguito della trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato) non ha disposto tout court la proroga dell’efficacia della concessione di cui è titolare la Landini. Siffatto differimento, infatti, è stato espressamente condizionato all’accoglimento dell’appello proposto dalla Landini avverso la sentenza di questa Sezione che ha rigettato il ricorso dalla stessa proposta avverso il provvedimento di decadenza dalla concessione. Poiché la condizione non si è verificata (in quanto l’appello è stato respinto), il differimento suddetto deve ritenersi tamquam non esset.
L’ulteriore fattispecie di improcedibilità del ricorso dedotta dalla ricorrente non si è verificata, per le ragioni che saranno esposte nel prosieguo (par. 4.4).
3. Il Collegio ritiene, inoltre, che non sussistano i presupposti per disporre la sospensione necessaria del giudizio invocata dalla ricorrente, in quanto, non costituendo questione pregiudiziale quella avente ad oggetto l’eventuale decadenza dalla concessione per inadempimento, l’esito della relativa controversia non condiziona in alcun modo il giudizio sul merito del ricorso in decisione. Al più, il rigetto con sentenza passata in giudicato del ricorso proposto avverso il provvedimento di decadenza potrebbe determinare l’improcedibilità del ricorso in decisione per sopravvenuta carenza di interesse. Poiché, tuttavia, l’esito sopra descritto non si è, allo stato, verificato – in quanto non è ancora divenuta definitiva la sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto avverso la precedente sentenza dello stesso organo che, nel confermare la sentenza di questa Sezione, ha rigettato il ricorso di primo grado –, detta causa di improcedibilità non è maturata.
4. Nel merito, i motivi posti a fondamento del ricorso – che, in ragione della connessione che li caratterizza, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
La prospettazione attorea, in estrema sintesi, si fonda su alcune “sopravvenienze” (rappresentate dagli interventi normativi che hanno ulteriormente prorogato il termine di efficacia delle concessioni demaniali marittime e dalla sentenza della Corte di giustizia, sez. III, del 20 aprile 2023, C-348/22, AGCM c. Comune di Ginosa, che avrebbe rimesso allo Stato la decisione circa l’accertamento della scarsità delle risorse naturali che costituisce il presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della Direttiva) che avrebbero comportato il superamento dei principi stabiliti dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18/2021.
4.1. Il Collegio rileva come, in realtà, le sopravvenienze stricto sensu normative invocate dalla ricorrente a sostegno del ricorso e quelle (ulteriori) richiamate nella memoria depositata in data 8 ottobre 2024 non rappresentino altro che ulteriori proroghe della durata delle concessioni demaniali marittime, illegittime in quanto contrastanti con l’art. 12 della Direttiva, dunque disapplicabili. Deve ritenersi, pertanto, correttamente disapplicata dal Comune, con il provvedimento impugnato, la proroga disposta dalla legge n. 118/2022 (in questo senso, peraltro, si è già pronunciato il Consiglio di Stato, con sentenze della sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192 e 28 agosto 2023, n. 7992).
4.2. Né, d’altra parte, alla disapplicazione osta il principio, evocato dalla ricorrente, in base al quale gli effetti diretti di una direttiva possono essere invocati soltanto dai privati nei confronti dello Stato, e non viceversa (c.d. effetti verticali invertiti), in quanto: (a) alla Direttiva è stata data attuazione con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (in particolare, l’art. 12 della Direttiva è stato attuato dall’art. 16 del d.lgs. n. 59/2010), con la conseguenza che, a ben vedere, più che di mancata attuazione della Direttiva (che, come detto, anche sotto il profilo che rileva in questa sede, è stata attuata con una disposizione di carattere generale, identica alla corrispondente disposizione della Direttiva), viene in rilievo un inadempimento successivo dello Stato agli obblighi su di esso gravanti in virtù della Direttiva. Gli effetti pregiudizievoli per la ricorrente derivanti dalla disapplicazione della proroga non costituiscono, dunque, emanazione della Direttiva, bensì della disciplina nazionale (di rango primario) di attuazione di quest’ultima, che può senz’altro operare anche a danno di un privato; (b) non si tratta di effetti verticali invertiti, cioè di invocazione, da parte dello Stato, di una disposizione del diritto dell’Unione nei confronti di un privato, il quale sarebbe conseguentemente gravato da un obbligo nei confronti dello Stato per effetto di una direttiva che lo Stato non ha trasposto, bensì di obblighi dello Stato nei confronti dei terzi che potrebbero, invocando l’art. 12 della Direttiva nei confronti dello Stato, aspirare alla concessione, obblighi il cui adempimento comporta delle ripercussioni negative (ossia, effetti indiretti), ancorché certe, per i titolari delle concessioni oggetto di proroga illegittima (Corte di giustizia, 7 gennaio 2004, C-201/02, Wells). Non si comprenderebbe, d’altra parte, in quale caso, nella materia in esame, potrebbe altrimenti procedersi alla disapplicazione della disciplina nazionale (come stabilito dalla consolidata giurisprudenza, tanto interna quanto sovranazionale), posto che detta disapplicazione si risolve necessariamente in un pregiudizio (indiretto) per il soggetto titolare della concessione illegittimamente prorogata (circostanza che non può che essere ben presente alla stessa Corte di giustizia, la quale, proprio con la sentenza del 20 aprile 2023, sopra menzionata, è stata chiamata a pronunciarsi in relazione ad una controversia instaurata da una Pubblica Amministrazione – l’Autorità garante della concorrenza e del mercato – nei confronti di un Comune e di alcuni controinteressati, titolari di concessioni demaniali marittime illegittimamente prorogate). Non è dunque necessario investire la Corte di giustizia della questione pregiudiziale che la ricorrente invita il Collegio a sollevare in relazione alla asserita inammissibilità di una disapplicazione di una direttiva self executing a danno di soggetti privati.
4.3. Quanto alle considerazioni svolte nella sentenza della Corte di giustizia del 20 aprile 2023 in merito al presupposto della scarsità delle risorse naturali, detta pronuncia si limita a rilevare, a tale riguardo, l’esistenza, in capo agli Stati membri, di “un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali”, senza riservare (tantomeno in via assoluta e insindacabile) detta decisione ad una determinata autorità (il Governo, secondo la prospettazione attorea). Il Collegio, pertanto, ritiene di confermare, sul punto, quanto già stabilito dall’Adunanza Plenaria (e recepito, limitatamente al proprio ambito di competenza, dal Comune di Diano Marina), ossia la scarsità delle risorse naturali in questione, con conseguente pacifica applicabilità dell’art. 12 della Direttiva (ne consegue il rigetto dell’istanza istruttoria formulata, con riferimento al profilo della scarsità delle risorse naturali, nella memoria depositata in data 19 marzo 2024). L’efficacia nomofilattica delle pronunce dell’Adunanza Plenaria sulla questione non è, d’altra parte, venuta meno per effetto della menzionata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che si è limitata a statuire in ordine ad un profilo di natura esclusivamente processuale.
4.4. Per le stesse ragioni sopra esposte (par. 4.1), la disciplina legislativa che, da ultimo, ha disposto l’ulteriore proroga dell’efficacia delle concessioni demaniali marittime al 30 settembre 2027 deve essere (anch’essa) disapplicata (ne consegue che, contrariamente a quanto dedotto dallo stesso ricorrente, il ricorso non è divenuto improcedibile per effetto dell’approvazione della disciplina in questione), non avendo la ricorrente, d’altra parte, offerto elementi che consentano di discostarsi dalla univoca e consolidata giurisprudenza sopra richiamata.
5. La natura meramente ricognitiva dell’atto impugnato esclude la sussistenza della dedotta violazione dell’art. 7, legge n. 241/1990.
6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del Comune di Diano Marina, delle spese di lite, che liquida in euro 4.500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Liliana Felleti, Primo Referendario
Davide Miniussi, Referendario, Estensore
Guida alla lettura
Con l’epigrafata pronuncia, l’adito Collegio disapplica – per la prima volta – la novella disciplina introdotta con il D.L n. 131/2024 (convertito in Legge 14 novembre 2024, n. 166) in tema di proroga – disposta senza previo espletamento di una procedura di evidenza pubblica – delle concessioni demaniali marittime al 30 settembre 2027.
Il thema decidendum oggetto della pronuncia in commento non è nuovo. Esso, difatti, si inserisce nella – già – copiosa giurisprudenza che ha - più volte - ritenuto disapplicabile (e di fatto disapplicato) la normativa domestica in tema di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime poiché in contrasto con quella unionale ed, in particolare, con gli articoli: i) 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (direttiva BOLKENSTEIN relativa ai servizi nel mercato interno); 49 TFUE.
Prima di soffermarsi sulla pronuncia in commento appare opportuno riassumere, brevemente, i precedenti snodi – normativi e giurisprudenziali – che hanno animato il dibattito sulle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative degli ultimi anni.
Giro di boa è stato costituito dalle pronunce “gemelle” dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del novembre 2021, alle quali venivano devoluti due dirimenti questioni di diritto ovvero: 1) se fosse doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussistesse, o meno, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estendesse a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all’accertamento dell’efficacia della fonte fosse riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spettasse anche agli organi di amministrazione attiva; 2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro fosse tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21octies della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento fosse intervenuto un giudicato favorevole costituisse ostacolo all’annullamento d’ufficio.
Onde dare risposta ai sì formulati quesiti, i Giudici di Palazzo Spada procedevano a ricostruire, dapprima, il regime normativo cui era sottoposto il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, onde vagliare la sussistenza di eventuali profili di contrasto tra la normativa domestica - ratione temporis - in vigore (art. 1, commi 682 e 683 Legge n. 145 del 2018 ove si disponeva la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali in essere) e quella unionale.
Analoga questione a quella affrontata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, era stata già, in parte, affrontata dalla Corte di giustizia U.E., con la sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa. In quella pronuncia, venivano affermati i seguenti principi: a) l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, BOLKENSTEIN relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che essa osta a una misura nazionale che preveda la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati; 2) l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, che consenta una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico‑ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo.
Richiamati tali principi, le sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria affermano l’incompatibilità della disciplina nazionale che prevedeva la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.
La cennata incompatibilità, in particolare, sussisteva rispetto agli artt.: a) 49 TFUE in tema di interesse transfrontalero certo. Tanto poiché quando si sia accertato che un contratto (di concessione o di appalto), pur se si collochi al di fuori del campo di applicazione delle direttive, presenti un interesse transfrontaliero certo, l’affidamento, in mancanza di qualsiasi trasparenza, di tale contratto ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate a tale appalto; b) 12 della c.d. direttiva servizi Bolkenstein ove si prescinde dal requisito dell’interesse transfrontaliero certo e direttamente applicabile alle concessioni di cui trattasi.
Appurata, quindi, l’incompatibilità unionale - per contrasto con i cennati articoli - della disciplina nazionale (costituita – ratione temporis – dall’ art. 1, commi 682 e 683, l. n. 145/2018 e art. 182, comma 2, d.l. 19 n. 34/2020) che prevedeva la proroga ex lege delle concessioni demaniali già rilasciate, l’Adunanza plenaria forniva riposta ai formulati quesiti.
In particolare, statuiva come:
- l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria gravi anche in capo all’apparato amministrativo. In termini generali, si osservava che la sussistenza di un dovere di non applicazione anche da parte della P.A. rappresentasse un approdo ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea sia nazionale sin dalla nota sentenza “Fratelli Costanzo” ove si statuì che tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, fossero tenuti ad applicare le disposizioni UE self-executing, disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi (sentenza 22 giugno 1989, C-103/88). Opinare diversamente significherebbe - di contro - autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che delle elementari esigenze di certezza del diritto.
Corollario ne è che la legge nazionale in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, ancorché contenuta in una direttiva self-executing, non può essere applicata né dal giudice né dalla pubblica amministrazione.
- La risposta al quesito sub 2) richiedeva, la previa qualificazione dell’atto di rinnovo della proroga richiesto o eventualmente già adottato.
L’Adunanza plenaria ha ritenuto che l’atto di proroga fosse un atto meramente ricognitivo di un effetto prodotto automaticamente dalla legge e quindi alla stessa direttamente riconducibile. La proroga del termine avviene, quindi, automaticamente, in via generalizzata ed ex lege, senza l’intermediazione di alcun potere amministrativo. Si tratta, in buona sostanza, di una legge-provvedimento, di un atto amministrativo che ha natura meramente ricognitiva dell’effetto prodotto dalla norma legislativa di rango primario. Seguendo questa impostazione, se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la prevede non poteva e non può essere applicata perché in contrasto con il diritto dell’Unione, ne discende, allora, che l’effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset.
Di particolare pregio è la modulazione temporale delle pronunce in parola: esse, difatti, “rimandavano” i propri effetti al 31 dicembre 2023 sul necessario presupposto che se le concessioni balneari dovessero essere affidate in seguito a procedura pubblica e imparziale, fosse assolutamente necessario prevedere un intervallo di tempo congruo finalizzato allo svolgimento delle procedure stesse e che, nelle more di esso, i rapporti concessori avrebbero continuato ad essere regolati dalle concessioni già rilasciate.
Detto periodo “transitorio”, sottolineavano le pronunce, doveva essere congruo rispetto all’esigenza funzionale di espletare le gare e di evitare il significativo impatto economico e sociale che altrimenti sarebbe derivato dall’improvvisa decadenza dei rapporti concessori in essere. Allo stesso tempo, il lasso temporale non poteva essere elusivo dell’obbligo di adeguamento della realtà nazionale all’ordinamento unionale. L’intervallo temporale avrebbe potuto altresì consentire a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che potesse finalmente riordinare la materia e disciplinare, in conformità con l’ordinamento comunitario, il sistema di rilascio delle concessioni demaniali.
Scaduto tale termine, ovvero al 31.12.2023, tutte le concessioni demaniali in essere avrebbero dovuto considerarsi prive di effetto, indipendentemente dal se vi fosse stato – o meno - un soggetto subentrante nella concessione.
Si precisava, altresì, che eventuali ed ulteriori proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni disciplina comunque diretta a eludere gli obblighi comunitari) sarebbero state considerate in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere.
Venivano, così, scolpiti dalla Adunanza Plenaria i seguenti principi di diritto:
1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.
2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali atti siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.
3. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.
Orbene, cosa è accaduto dopo la pubblicazione delle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria?
Il legislatore domestico è intervenuto più volte sulla normativa disciplinate le concessioni demaniali per finalità turistico- ricreative.
In particolare:
- in chiave pro concorrenziale – con il D.L Concorrenza 2022 di cui alla Legge 5 agosto 2022 - si demandava al Governo l’adozione di uno o più decreti legislativi (invero non emanati entro il termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega), volti al riordino e alla semplificazione della disciplina in materia di dette concessioni. Successivamente il legislatore prorogava l’efficacia delle concessioni già in essere fino al 31 dicembre 2023 (termine differibile al 31 dicembre 2024 ove necessario ai fini della conclusione della procedura di gara).
- seguiva il Decreto milleproroghe (D.L. n. 198 del 29 dicembre 2022, convertito con legge n. 14/2023), con cui si disponeva, non solo, una proroga generale fino al 31 dicembre 2024 dell’efficacia delle concessioni balneari già in essere, ma veniva, altresì, previsto che fino all’adozione dei decreti legislativi correlati fosse fatto divieto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni.
Tale provvedimento è stato oggetto di ben tre pronunce del Consiglio di Stato (sentenze nn. 4479, 4480, 4481/2024) con le quali i Giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che:
1) fosse compatibile con il diritto unionale la sola proroga tecnica, funzionale allo svolgimento della gara e che la stessa dovesse essere bandita e conclusa entro 31.12.2024;
2) una concessione potesse considerarsi legittima solo nell’ipotesi in cui l’atto di proroga e il titolo concessorio originario fossero stati assunti sulla base di procedure selettive trasparenti e competitive.
Interveniva, da ultimo, ed onde porre rimedio alle innumerevoli procedure di infrazione e pre-infrazione azionate da parte dell’U.E nei confronti dello Stato italiano, il D.L. n. 131/2024 (convertito in legge n. 166 del 14 novembre 2024) il quale ha esteso la validità sino al 30 settembre 2027 delle concessioni demaniali marittime in essere con previsione di contestuale obbligo di indire le correlate gare entro il 30 giugno 2027.
È proprio su tale ennesima proroga – considerata dall’adito Collegio illegittima – che si fonda l’impugnazione oggetto della sentenza in commento.
Il Collegio - adito da parte di un’operatrice del settore balneare che si vedeva negata da parte del Comune resistente la proroga della validità della propria concessione demaniale sino al 2027 - evidenzia come le sopravvenienze normative invocate dalla ricorrente (ovvero quelle da ultimo disposte con il D.L n. 131 convertito in legge) non rappresentino altro che ulteriori e illegittime proroghe della durata delle concessioni demaniali marittime.
Esse, ancora una volta, si pongono - sul solco di quanto già evidenziato nelle pronunce gemelle dell’Adunanza plenaria - in contrasto con la normativa di rango unionale e, in quanto tali, ancora una volta andranno disapplicate.