Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2024, n. 9266

L’attività di commercio su aree pubbliche, in analogia con il demanio marittimo, presenta il connotato dalla scarsità di cui all’art. 12 della direttiva servizi di talché l’accesso al settore economico postula l’inderogabile necessità di indire procedure ad evidenza pubblica.

L’indicazione tassativa delle cd. ipotesi di esclusione (tra le quali non rientra il commercio su aree pubbliche) risulta rimessa, in via esclusiva, alla fonte comunitaria di talché gli Stati membri non conservano alcun margine di discrezionalità nell’introduzione di ipotesi aggiuntive.

Rileva, altresì, sul punto, un consolidato orientamento (cfr. Consiglio di Stato nn. 4480 e 4481 del 2024) in virtù del quale anche nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone in ogni caso di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e preclude l’affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti.

Logico corollario ne è che il meccanismo di rinnovo automatico e generalizzato delle concessioni, così come introdotto dall’art. 181, comma 4-bis del d.l. n. 34 del 2020, è da ritenersi contrastante con la disciplina dell’Unione Europea e, come tale, va disapplicato dall’Amministrazione.

Nella medesima direzione interpretativa si è orientato il Legislatore nazionale, provvedendo al riordino del settore con la legge 30.12.2023, n. 214, stabilendo che le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche sono rilasciate, per una durata di dieci anni, sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9044 del 2022, proposto da
Piperno Vittorio, Sermoneta Giovanni, Spizzichino Michele, Volterra Primo e Piazza Fabio, rappresentati e difesi dall'avvocato Franco Carlini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Generale Gonzaga del Vodice n. 4;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Siracusa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 5441/2022, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Viste le memorie delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 il Cons. Annamaria Fasano e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Vittorio Piperno, Sermoneta Giovanni, Michele Spizzichino, Primo Volterra, Fabio Piazza e Uiltucs Roma Lazio, concessionari di posteggi a rotazione nel territorio di Roma Capitale, proponevano ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo per il Lazio avverso la determinazione dirigenziale del 22 febbraio 2021, con la quale l’Amministrazione aveva annullato la precedente determinazione dirigenziale del 30 dicembre 2020, di avvio della procedura per il rinnovo delle concessione di ‘posteggi a rotazione’ per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, aventi la scadenza del 31 dicembre 2020. I ricorrenti impugnavano anche il parere reso in materia dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 15 febbraio 2021.

2. Con il ricorso introduttivo, veniva denunciato che Roma Capitale aveva violato il dovere di applicare la legge, pur se in contrasto con il diritto europeo, non dovendo essere considerato vincolante il parere reso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Con una serie di censure tra loro connesse, i ricorrenti deducevano che gli atti impugnati erano in contrasto con gli artt. 25, 101 e 113 della Costituzione e con gli articoli 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990, ed erano affetti da profili di eccesso di potere, in quanto l’Amministrazione aveva erroneamente disapplicato la norma interna contrastante con quella comunitaria, dal momento che solo il giudice poteva disapplicare la legge, con effetti limitati alla singola causa. Inoltre, il settore del commercio su aree pubbliche non rientrava nell’ambito applicativo della Direttiva ‘Bolkestein’ che peraltro non era immediatamente applicabile.

Secondo gli esponenti, nella specie, non sussistevano neppure i presupposti per l’annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, in quanto nessun giudice europeo aveva accertato con efficacia di giudicato la contrarietà al diritto europeo del d.l. n. 34 del 2020, oltre al fatto che era stato violato il legittimo affidamento degli operatori del settore.

3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza n. 5441 del 2022, respingeva il ricorso, concludendo che ‘la correttezza della impostazione di Roma Capitale (per la quale l’Amministrazione ben può disapplicare una legge contrastante con il diritto europeo) risulta corroborata proprio dalle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, le quali hanno chiarito, ben oltre il perimetro della singola fattispecie trattata, che le disposizioni sul rinnovo automatico (in quel caso, delle concessioni marittime con finalità turistico – ricreative) contrastano con l’art. 49 del TFUE e con l’art. 12 della direttiva n. 123 del 2006’.

4. Vittorio Piperno, Giovanni Sermoneta, Michele Spizzichino, Primo Volterra e Fabio Piazza hanno proposto appello avverso la suddetta pronuncia, sollevando le seguenti censure: “ 1) Erroneità e omessa pronuncia: assenza e carenza assoluta di potere ed attribuzione; violazione dell’art. 117, II comma, lett. e) della Costituzione; eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, travisamento dei presupposti di fatto e diritto; violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di legalità, tassatività e proporzionalità; 2) Erroneità e omessa pronuncia: violazione degli artt. 7 e ss. l. 241/1990; 3) Erroneità e omessa pronuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies e dell’art. 21 octies della L. 241/1990; violazione del principio del legittimo affidamento; carenza di interesse all’annullamento in autotutela; eccesso di potre; 4) Erroneità ed omessa pronuncia: violazione e falsa applicazione della c.d. ‘direttiva bolkestein’, direttiva n. 2006/123/CE; violazione e falsa applicazione dell’art. 249 del Trattato UE; violazione dell’art. 1 del d.l. 1/12; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, travisamento dei presupposti fattuali e di diritto, arbitrarietà, contraddittorietà, violazione del principio di tassatività e proporzionalità; carenza di interesse all’annullamento; 5) Erroneità ed omessa pronuncia: illegittimità della memoria di Giunta Capitolina n. 24/2021 in via propria e derivata per i medesimi motivi subb 1-4 nonché per assenza e carenza assoluta di potere ed attribuzione; violazione dell’art. 117, II comma, lett. e) della Costituzione; eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, travisamento dei presupposti in fatto e diritto; violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di legalità, tassatività e proporzionalità, disparità di trattamento”. Gli appellanti hanno proposto istanza di rimessione alla Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, sulla questione della non applicabilità della c.d. Direttiva Servizi alla materia delle concessioni di posteggi a rotazione.

5. Roma Capitale si è costituita in resistenza, concludendo per il rigetto del gravame.

6. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è costituita in giudizio, concludendo per il rigetto dell’appello.

7. All’udienza del 19 settembre 2024 la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

8. Con il primo mezzo, gli appellanti denunciano che il T.A.R. avrebbe errato nel non rilevare che, contrariamente a quanto esposto nel parere dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, l’Amministrazione non ha alcun potere di disapplicare la normativa nazionale e regionale ritenuta contrastante con il diritto comunitario, soprattutto considerando che, nella specie, la Direttiva ‘Bolkestein’ non sarebbe autoesecutiva, ma avrebbe necessità di una regolamentazione analitica da parte del Legislatore nazionale.

9. Con la seconda critica, i ricorrenti deducono che il Collegio di prima istanza avrebbe errato nel non considerare che il provvedimento gravato non è stato preceduto da una comunicazione di avvio di procedimento, nonostante le gravi conseguenze dell’annullamento in autotutela impugnato che disapplica la normativa in materia. Laddove, infatti, il procedimento fosse stato ritualmente avviato, i ricorrenti avrebbero potuto esporre tutte le censure oggetto del presente ricorso.

10. Con il terzo mezzo, gli appellanti argomentano che, nella specie, non sussistono i requisiti per l’annullamento in autotutela disposto con il provvedimento gravato, adottato in elusione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Il Collegio di prima istanza avrebbe dovuto ritenere singolare che il provvedimento di cui alla D.D. QH/1328/2020 possa ritenersi adottato in violazione di legge, atteso che è espressa, e diretta, esecuzione dell’art.181, comma 4 bis, del d.l. n. 34 del 2020, convertito dalla legge n. 77 del 2020 e delle Linee guida di cui all’Allegato A del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 25/11/2020. Il potere di annullamento in autotutela posto in essere nel caso di specie non sarebbe stato supportato né da una adeguata valutazione dell’interesse pubblico all’annullamento, né da adeguata valutazione del legittimo affidamento maturato in capo ai titolari della concessione di posteggi a rotazione, in ordine alla prosecuzione della validità delle loro concessioni.

11. Con la quarta doglianza, si contesta l’iter logico- giuridico seguito dal T.A.R. nella motivazione della sentenza impugnata, atteso che, ad avviso degli appellanti, la Direttiva Bolkestein non sarebbe self executing, in quanto priva di carattere precettivo diretto, pertanto la disapplicazione della normativa nazionale, asseritamente confliggente, non determinerebbe l’applicazione di altra normativa concorrente superiore, atteso che la Direttiva non sarebbe sufficientemente analitica e specifica. Nella specie, non sarebbe censurabile l’art. 16, comma 4 bis, del d.lgs. n. 59 del 2010, in quanto la norma, correttamente, ha ritenuto non applicabile la Direttiva Servizi nella materia in esame, trattandosi di una ‘concessione di beni pubblici’ e non della ‘concessione di servizi’. Gli esponenti precisano, in subordine, che laddove si ritenesse di applicare alla materia de qua la Direttiva Servizi, non sussisterebbero comunque criticità nel comma 4 bis dell’art. 181 del D.L. n. 34/2020 non avendo lo stesso previsto ‘rinnovi automatici’, come erroneamente sostenuto nel provvedimento gravato e nella sentenza appellata, ma una mera prosecuzione della durata delle concessioni, senza alcun diretto automatismo. Il T.A.R. non avrebbe valutato che la concessione di un bene, esente dall’applicazione della Direttiva Servizi è differente dalla concessione di servizi, oggetto della Direttiva, nella quale il diritto di gestire un determinato servizio viene trasferito da un’autorità aggiudicatrice a un concessionario. Le concessioni in esame non rientrerebbero nella categoria delle concessioni di servizi, atteso che riguardano principalmente il conferimento in uso di una superficie e non l’autorizzazione a svolgere un servizio.

12. Con il quinto mezzo, si censura la sentenza impugnata assumendo che il Collegio di prime cure avrebbe omesso di pronunciarsi sulle eccezioni proposte con motivi aggiunti ed inerenti la memoria della Giunta capitolina la quale sarebbe illegittima, sia in via propria, che in via derivata, per i medesimi motivi sub 1- 4. Con l’impugnata memoria di Giunta sono state approvate ‘Linee di indirizzo per l’avvio e definizione delle procedure di selezione ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche scadute al 31 dicembre 2020 e per il periodo transitorio fino al completamento delle stesse’, ma il T.A.R. non avrebbe rilevato che, con la memoria impugnata, Roma Capitale si sarebbe sostituita al Legislatore, disciplinando la materia della concorrenza ed effettuando una disparità di trattamento tra operatori su aree pubbliche, i quali, a parità di situazioni legittime, vengono trattati incomprensibilmente in modo diverso a seconda della specifica categoria di riferimento.

13. I suddetti motivi, essendo attinenti a profili connessi, vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica.

14. Il Collegio, preliminarmente, ritiene di soprassedere dall’esame delle eccezioni di improcedibilità e inammissibilità dell’appello prospettate da Roma Capitale, e di quelle relative all’esame dell’inammissibilità dell’impugnazione del parere dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito AGCOM), tenuto conto dell’infondatezza del ricorso nel merito, per i rilievi di seguito enunciati.

14.1. Passando all’esame delle critiche prospettate con il gravame, va ritenuta la legittimità della decisione di Roma Capitale di disapplicare la normativa nazionale in ragione dell’applicazione nel nostro ordinamento dei principi del sovraordinato diritto dell’Unione Europea.

La Direttiva sui servizi nel mercato interno, 2006/123/CE, ha infatti un ambito di applicazione generalizzato, concernenti ‘i servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro (art. 1, par. 1)’, e in cui per converso sono tassative le esclusioni, elencate al par. 2 della disposizione richiamata.

L’art. 12, comma 1, della Direttiva prevede che: “Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

14.2. Il Collegio rileva che non ha alcun fondamento giuridico la tesi volta a sostenere che la disposizione in questione non potrebbe considerarsi self – executing, perché non sufficientemente dettagliata e specifica.

Il livello di dettaglio che una direttiva deve possedere per potersi considerare self – executing dipende, come noto, dal risultato che essa persegue e dal tipo di prescrizione che è necessaria per realizzare tale risultato, pertanto, sotto tale profilo, l’art. 12 della Direttiva ha l’obiettivo di aprire al mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l’utilizzo di risorse naturali scarse, sostituendo, nell’ambito di un sistema in cui tali risorse vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata, a chi è già titolare di concessioni risalenti, un regime di evidenza pubblica, che assicuri la par condicio tra i soggetti potenzialmente interessati.

Dall’analisi dell’articolato emerge che la Direttiva Bolkestein mostra un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

La Direttiva sui servizi del mercato interno è, pertanto, self executing, come precisato dalla Corte di giustizia UE con la sentenza 30 gennaio 2018 (C- 360/15 e C- 31/16), la quale ha affermato il principio secondo cui la medesima Direttiva si applica ‘non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato’, e dunque, ‘anche in situazioni puramente interno’.

La fonte comunitaria, pertanto, è espressiva di norme immediatamente precettive, in particolare, sotto il profilo della precisa e puntuale ‘norma di divieto’ che si rivolge, senza che occorra alcuna disciplina attuativa di sorta da parte degli Stati membri, a qualunque ipotesi di proroga automatica, in assenza di una procedura di selezione tra i potenziali candidati.

E rispetto a tale ‘norma di divieto’, indiscutibilmente dotata di efficacia diretta, il diritto interno è tenuto a conformarsi (Cons. Stato n. 363 del 2021).

14.3. Orbene, il commercio ambulante o il commercio su area pubblica è una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante, e tale attività rientra senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla Direttiva 2006/123, così come chiarito dalla Corte di giustizia UE, con la sentenza 30 gennaio 2018, C-360/15 e C-31/16 sopra richiamata.

Né può essere condivisa la prospettazione, riproposta dagli appellanti anche nel presente giudizio, secondo cui la materia del commercio al dettaglio su aree pubbliche sarebbe da ritenersi esclusa dall’ambito di applicazione della Direttiva Servizi, sottraendosi alla relativa disciplina, dovendosi osservare che si tratta di una attività economica non salariata, fornita normalmente dietro retribuzione secondo la definizione fornita dall’art. 57 TFUE, che comprende, tra i servizi, le attività di carattere commerciale e che la stessa, come si è detto, non fa pare delle esclusioni dall’ambito di applicazione sufficientemente individuato della Direttiva 2006/123/CE, di cui all’art. 2, paragrafi 2 e 3.

Si tratta di una attività che, infatti, era stata originariamente inclusa nell’ambito di applicazione del citato decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata ‘Direttiva Servizi’ (art. 70 del decreto legislativo che aveva demandato a una intesa in sede di Conferenza unificata l’individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche).

La legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 686) ha escluso dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 il commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, abrogando il citato articolo 70 e introducendo una esclusione espressa con i modificati artt. 7, lett. f- bi e 16, comma 4 – bis dello stesso decreto legislativo.

L’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 e, quindi, della Direttiva Servizi, si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale fonte comunitaria, che, come sopra detto, prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e, tra esse, non rientra il commercio su aree pubbliche.

Contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, gli Stati membri non hanno, quindi, alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva, e ogni questione sulle modalità di applicazione delle disposizioni della Direttiva Servizi si pone logicamente dopo la corretta definizione del suo ambito di applicazione.

14.4. Ne consegue che le disposizioni della legge di bilancio 2019 vanno disapplicate come correttamente effettuato dall’Amministrazione comunale.

Sotto tale profilo va condiviso il parere reso dall’AGCOM, che ha osservato: “..l’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del d.lgs. n. 59/2010 contrasta con la puntuale individuazione dei settori esclusi previsti dalla Direttiva servizi (cfr. considerando da 10 a 27 e art. 2) senza lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri. Tale elenco, in quanto reca una eccezione a un principio di liberalizzazione riconosciuto, deve essere interpretato in maniera tassativa …ne discende che le novelle disposizioni non appaiono più coerenti con la fonte sovraordinata”.

Invero, la suddetta osservazione scaturisce dal raffronto tra le disposizioni nazionali e quelle della Direttiva Bolkestein, da cui emergono evidenti perplessità in ordine alla compatibilità di una norma quale quella dettata dall’art. 181, commi 4 bis e 4 ter, del d.l. n. 34 del 2020, con l’art. 12 della direttiva, per i rilievi di seguito precisati.

Ciò in quanto, la suddetta conclusione è perfettamente in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale che escludeva il settore del commercio su aree pubbliche dall’ambito di applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 59/2010 e, quindi, della Direttiva Servizi (Corte cost. n. 291/2012, che ha fondato la declaratoria di incostituzionalità in primo luogo sulla violazione del primo comma dell’art. 117 della Costituzione, in relazione alla menzionata direttiva, per inosservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in materia di accesso ed esercizio dell’attività dei servizi).

14.5. Parimenti prive di fondamento sono le censure mosse dagli appellanti dirette a contestare l’applicazione alla situazione del commercio su aree pubbliche delle conclusioni raggiunte dalla Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato in relazione alle concessioni demaniali marittime.

Con le sentenze n. 17 e 18 del 2021, pronunciate dall’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato ha stabilito, con riferimento alla disciplina dell’affidamento delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico – ricreative, che le norme legislative nazionali che hanno disposto (o che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico – ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid 19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020 - sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.

In entrambe le sentenze si è affermato il principio di diritto secondo cui il dovere di non applicazione della norma nazionale illegittima per violazione del diritto europeo si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato, compresi gli enti territoriali e gli enti pubblici in generale anche in caso di direttiva self executing, come quella di specie (Cons. Stato, n. 1342 del 2018).

La citata Direttiva impone, infatti, l’indizione di gare di appalto a tutela della concorrenza per il mercato, materia ‘trasversale’ che è suscettibile di trovare applicazione in vari settori dell’ordinamento nazionale, tra cui deve senz’altro farsi rientrare quello delle concessioni di parcheggi a rotazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche.

Gli spazi commerciali sono assimilabili alle spiagge: infatti, il rilascio della concessione di un ‘parcheggio a rotazione’ non può non tenere conto che sul bene, o attraverso il medesimo, il concessionario andrà a svolgere una attività lucrativa. Da siffatti rilievi consegue il rigetto dell’istanza di rimessione all’Adunanza Plenaria di ‘esprimersi non sull’applicabilità della c.d. Direttiva Servizi alla materia delle concessioni demaniali marittime, oggetto delle pronunce, ma anche a quella oggetto di giudizio, inerente le concessioni di posteggi a rotazione’.

14.6. La questione dell’applicabilità della Direttiva Bolkestein anche agli spazi commerciali è stata già affrontata da questo Consiglio di Stato, in fattispecie assimilabile a quella in esame, il quale ha affermato che: ‘le attività di commercio su aree pubbliche, contrariamente a quanto dedotto negli appelli, in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità la quale ai sensi del più volte richiamato art. 12 della direttiva servizi giustifica la selezione ‘per il mercato’, in cui l’accesso al settore economico avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica. Non persuadono sul punto le deduzioni con cui pongono in rilievo le asserite differenze che connoterebbero il settore turistico – ricreativo esercitato sul demanio marittimo rispetto al commercio su aree comunali. In entrambi i casi l’attività economica è consentita solo attraverso l’utilizzo del bene pubblico, il quale, pertanto, sulla base della sua naturale limitatezza, giustifica la selezione degli operatori economici mediante criteri obiettivi e trasparenti, propri dell’evidenza pubblica. Tale elemento è ancora più evidente nel caso di specie in cui oggetto del giudizio sono le aree pubbliche da destinare al commercio di Roma capitale, per le quali è dato notorio che il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità del suolo pubblico di Roma da destinare a tali attività, ed altrettanto notoria è l’appetibilità commerciale rivestita dalle aree pubbliche a ciò destinate” (Cons. Stato, n. 9104 del 2023).

Infatti, gli spazi pubblici da affidare in concessione sono un bene limitato considerato che il ristretto carattere territoriale del Comune concedente, l’attuale assenza di concorrenzialità del settore e l’elevata attrattività che rivestono per gli operatori tali attività, specie nel contesto caratterizzato da profili di unicità e assoluta particolarità quale è quello di Roma.

Invero, il concetto di ‘scarsità’ va interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della ‘quantità’ del bene disponibile, ma anche di suoi aspetti qualitativi. In questi termini, non tutte le aree commerciali sono uguali e fungibili, tenuto conto che ciascuna possiede una sua unicità, soprattutto in un contesto quale è quello di Roma Capitale.

La Corte di giustizia UE ha chiarito il concetto di ‘scarsità’ con la sentenza del 20.4.2023, nella causa C- 348/22 del 20.04.2023, affermando che ‘…risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 12, paragrafo I, della direttiva 2006/123 che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturale, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Il Collegio condivide i suindicati approdi interpretativi, in particolare con riguardo al fatto che tra i due settori è ravvisabile un minimo comune denominatore, dato dall’esistenza di una domanda che dal mercato si rivolge a risorse pubbliche, la cui limitatezza esige di regolarne l’accesso attraverso modelli imparziali di selezione, quale quello dell’evidenza pubblica sancito dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE. Opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.

14.7. Le ulteriori critiche sostenute dai ricorrenti circa la mancanza della ‘scarsità’ delle attività operata sono superate dalle recenti sentenze di questo Consiglio di Stato (nn. 4480 e 4481 del 2024), dal quale non vi sono motivi per discostarsi, con cui si è affermato che “anche nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone in ogni caso di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e preclude l’affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti”.

Da siffatti rilievi consegue che non si può ritenere, come sostengono i ricorrenti, che l’accesso possa essere ricondotto al meccanismo di rinnovo delle concessioni previa verifica dei requisiti di legge, previsto dall’art. 181, comma 4-bis del d.l. n. 34 del 2020, atteso che la disciplina non prevede l’apertura al mercato e la concorrenzialità, propri dell’evidenza pubblica.

Il rinnovo automatico e generalizzato della concessione, stabilito dalla norma sopra richiamata, non è una strada percorribile, peraltro disposto in via diretta all’interno di un quadro normativo in contrasto con la disciplina dell’Unione europea.

La pronuncia impugnata, per quanto sopra espresso, resiste ai motivi di doglianza, laddove ha considerato estensibili al settore del commercio su area pubblica i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, nelle sentenze del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, sopra richiamate, ivi compreso il potere dell’Amministrazione pubblica di disapplicare la normativa interna in contrasto con quella sovranazionale. Ne consegue che l’Amministrazione si è correttamente determinata nel disporre in via di autotutela l’annullamento con il provvedimento gravato, dovendosi rammentare che l’obbligo della disapplicazione della legge anticomunitaria grava non solo sul giudice nazionale, ma anche sulla pubblica amministrazione dal momento che la sussistenza di un dovere di non applicazione da parte della p.a. rappresenta un approdo ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea sia nazionale (Corte di giustizia, 22 giugno 1989, causa C – 103/88 Fratelli Costanzo).

Neppure si possono considerare fondati gli ulteriori rilievi di illegittimità della memoria impugnata, avendo la Giunta espresso un indirizzo in linea con i principi unionali, anche in considerazione dello stato di emergenza epidemiologica nazionale da Covid 19, per orientare le procedure di selezione ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle concessioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche scadute al 31 dicembre 2020, dando mandato alle Strutture amministrative competenti di rinnovare con efficacia provvisoria i titoli in concessione già scaduti fino all’affidamento delle nuove concessioni, al fine di assicurare agli operatori il temporaneo esercizio delle attività commerciali sul suolo pubblico.

14.8. Va, pertanto, respinta la denuncia di omessa comunicazione di avvio del procedimento, dovendosi considerare legittimo il provvedimento impugnato non preceduto da tale comunicazione se l’Amministrazione, come nella specie, non poteva che adottare un atto di tale contenuto, dovendosi necessariamente attenere al rispetto della normativa comunitaria come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE.

14.9. E’ altresì infondata la doglianza derivante dalla asserita ‘invasione’ da parte dell’Amministrazione capitolina della sfera di attribuzione riservata al Legislatore, tenuto conto che Roma Capitale ha espresso valutazioni discrezionali di sua esclusiva competenza in ordine alle modalità di espletamento delle gare ed ha indicato, sulla base del quadro normativo di riferimento, come interpretato dalla giurisprudenza di settore, il percorso interpretativo da eseguire in conformità con il Diritto dell’Unione. Inoltre, le censure relative ad una assunta disparità di trattamento rispetto ad altri operatori sono genericamente prospettate e non consentono di cogliere i profili di pregiudizio che i ricorrenti paventano di subire.

Nella direzione intrapresa si è orientato il Legislatore nazionale, provvedendo al riordino del settore con la legge 30.12.2023, n. 214, stabilendo che le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche sono rilasciate, per una durata di dieci anni, sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità.

15. In definitiva, l’appello va respinto ed ogni altra questione proposta deve ritenersi assorbita, tenuto conto che l’eventuale esame della stessa non determinerebbe una soluzione di segno contrario.

16. Le spese di lite del grado, tenuto conto della novità delle questioni esaminate e del recente consolidarsi della giurisprudenza, vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con sentenza n. 9266/2024, la V Sezione del Consiglio di Stato si pronuncia sul tema dell’applicabilità della Direttiva Bolkestein anche ai cd. spazi commerciali e sulla disapplicabilità del meccanismo di rinnovo automatico e generalizzato delle concessioni, così come introdotto dall’art. 181, comma 4-bis del d.l. n. 34 del 2020.

Il ricorso di primo grado si fonda, essenzialmente, sul presunto dovere dell’Amministrazione di applicare la cennata legge domestica non potendosi ricondurre ad essa il cd. potere di disapplicazione e tanto viepiù considerando che, nella specie, la Direttiva non sarebbe autoesecutiva, ma avrebbe necessità di una regolamentazione analitica da parte del Legislatore nazionale.

La pronuncia di prime cure respinge il ricorso e, muovendo dai noti principi in tema di divieto di rinovo automatico di cui all’AA.PP. nn. 17 e 18 del 2021, conclude che “l’Amministrazione ben può disapplicare una legge contrastante con il diritto europeo”.

In sede di scrutinio dell’appello, la V Sezione del Consiglio di Stato precisa che la Direttiva sui servizi nel mercato interno, 2006/123/CE:

a) ha un ambito di applicazione generalizzato, e prevede che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”;

b) è da considerarsi self – executing giacché mostra un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità (cfr Corte di giustizia UE sentenza 30 gennaio 2018 C- 360/15 e C- 31/16);

c) è espressiva di norme immediatamente precettive – alle quali il diritto interno è tenuto a conformarsi (Cons. Stato n. 363 del 2021) – in particolare, sotto il profilo della precisa e puntuale norma di divieto che si rivolge, senza che occorra alcuna disciplina attuativa di sorta da parte degli Stati membri, a qualunque ipotesi di proroga automatica, in assenza di una procedura di selezione tra i potenziali candidati;

c) reca, nell’ambito della nozione di servizi di cui alla Direttiva 2006/123, anche il cd. commercio ambulante o il commercio su area pubblica quale attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante (cfr. Corte di giustizia UE, con la sentenza 30 gennaio 2018, C-360/15 e C-31/16);

Nel sì delineato contesto, la V Sezione rigetta la prospettazione degli appellanti, secondo cui la materia del commercio al dettaglio su aree pubbliche sarebbe, invece, da ritenersi esclusa dall’ambito di applicazione della Direttiva Servizi.

Rileva, di contro, il Collegio che la detta attività era stata originariamente inclusa nell’ambito di applicazione del citato decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui è stata recepita la menzionata Direttiva Servizi, ed è stata, di poi, pretermessa solo con la legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 686).

Di conto, gli approdi interpretativi maturati sul tema (cfr. Parere AGCOM del 15.02.2021, Corte cost. n. 291/2012, AA.PP. nn. 17 e 18 del 2021, Cons. Stato, n. 9104/2023, Corte di giustizia UE causa C- 348/22), presentano, invece, un minimo comune denominatore, dato dall’esistenza di una domanda che dal mercato si rivolge a risorse pubbliche, la cui limitatezza esige di regolarne l’accesso attraverso modelli imparziali di selezione, quale quello dell’evidenza pubblica, sancito dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE; opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto;

Conclude, quindi, che:

a) contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, gli Stati membri non hanno alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva;

b) l’esclusione dell’attività del commercio su aree pubbliche dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 59/2010 e, quindi, della Direttiva Servizi, si pone in diretto contrasto con le previsioni di tale fonte comunitaria, che prevedono in via tassativa le ipotesi di esclusione e, tra esse, non rientra il commercio su aree pubbliche.

c) le disposizioni della legge di bilancio 2019 vanno disapplicate come correttamente effettuato dall’Amministrazione comunale.