Cons. Stato, Sez. V, 28 novembre 2024, n. 9558
Con la pronuncia in parola, il Consiglio di Stato affronta l’innovativa questione sul se, in un’area considerata patrimonio Unesco come quella del centro storico di Firenze, sia consentito il libero commercio di ogni oggetto alla stregua della normativa unionale sulla massima liberalizzazione o se – al contrario – debbano essere considerati prevalenti altri interessi alla stregua della normativa domestica.
Pubblicato il 28/11/2024
N. 09558/2024REG.PROV.COLL.
N. 05160/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5160 del 2024, proposto da
Graziella Braccialini s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Sticchi Damiani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianna Rogai, Chiara Canuti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Associazione Ponte Vecchio, Confcommercio Imprese per L’Italia delle Province di Firenze e Arezzo, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. 457/2024.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2024 il Cons. Roberto Michele Palmieri e uditi per le parti gli avvocati Andrea Sticchi Damiani. Si dà atto che l'avv. Gianna Rogai ha depositato domanda di passaggio in decisione senza discussione.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società Graziella Braccialini s.p.a. (di seguito, anche: la società) – avente ad oggetto la produzione di borse-gioiello, e nata dall’unione del marchio “Graziella”, cui corrisponde la lavorazione artigianale dell’oro, nonché dei metalli preziosi e delle pietre preziose, e del marchio “Braccialini”, cui corrisponde la produzione di borse di pregio artigianale – ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento prot. n. 113037 del 5 aprile 2023, con il quale il Comune di Firenze, alla luce dell’art. 8 del Regolamento comunale di cui alla DCC n. 23/2023 (c.d. Regolamento UNESCO), le ha vietato la vendita delle borse-gioiello sul Ponte Vecchio.
Si sono costituite per resistere al ricorso il Comune di Firenze, l’Associazione “Ponte Vecchio”, nonché Confcommercio Imprese per l’Italia delle Province di Firenze e Arezzo.
Con sentenza n. 457/24 il TAR Firenze ha rigettato il ricorso.
Avverso tale statuizione giudiziale la società ha proposto appello, affidato ai seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: 1) Error in iudicando; violazione degli artt. 41 e 97 Cost; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 150 e/o art. 1.1 Allegato XI al medesimo d.P.R. n. 150/02; violazione e/o falsa applicazione art. 8 Deliberazione Consiglio Comunale del 4 maggio 2020, recante il Regolamento “Misure per la tutela e il decoro del Patrimonio culturale del centro storico”; eccesso di potere sotto vari profili; 2) Error in procedendo e in iudicando; omessa pronuncia; violazione e/o falsa applicazione Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere sotto vari profili; 3) error in procedendo e in iudicando; omessa pronuncia; violazione dell’art. 3 Legge n. 241/1990; eccesso di potere.
Ha chiesto pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, l’annullamento dell’atto impugnato, con vittoria delle spese di lite.
Costituitosi in giudizio, il Comune di Firenze ha chiesto il rigetto dell’appello, con vittoria delle spese di lite.
All’udienza pubblica del 14.11.2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.
2. Con i vari motivi di appello la società lamenta, in sintesi:
- l’errata qualificazione giuridica di “oggetti preziosi” operata dal Tar del Giglio;
- l’interpretazione del locale Regolamento, da parte del giudice di prime cure, in senso difforme dalla Direttiva 2006/123/CE (c.d Direttiva Bolkestein), nonché della disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi;
- il difetto di istruttoria e di motivazione da parte del Comune e del Tar fiorentino, i quali avrebbero omesso di verificare le caratteristiche tecniche delle borse-gioiello, mediante istruttoria che, se fosse stata effettivamente condotta, avrebbe comportato l’ascrizione del suddetto prodotto all’interno della categoria degli “oggetti preziosi”, in armonia, peraltro, con quanto affermato dalla Federazione nazionale orafi argentieri gioiellieri fabbricanti (Confindustria Federorafi).
Le censure sono tutte infondate.
3. Il 17 dicembre 1982 il centro storico della città di Firenze è stato iscritto nella Lista UNESCO del Patrimonio Mondiale (World Heritage List).
In particolare, secondo il rapporto Unesco, il centro storico della città di Firenze: “si estende per 505 ettari ed è delimitato da ciò che resta delle mura cittadine del XIV secolo. […] Il contesto urbano in cui si colloca la città storica si presenta ancora integro, così come le colline circostanti che costituiscono una perfetta quinta scenica. Il paesaggio mantiene le sue caratteristiche toscane, contribuendo al valore del Centro Storico di Firenze. Molte delle minacce per il centro storico riguardano l’impatto del turismo di massa, come l’inquinamento atmosferico dovuto al traffico urbano” (UNESCO World Heritage Committee, Rapporto periodico 2014).
4. Per tali sue indiscutibili caratteristiche – che fanno della città di Firenze una meta di primissimo piano nel panorama turistico mondiale – il centro storico di Firenze costituisce un patrimonio universale storico ed artistico, e come tale va classificato tra i beni culturali ai sensi dell’art. 10 d. lgs. 42/2004.
L’area del centro storico fiorentino è dunque assoggettata, quanto alla presenza di attività commerciali, all’art. 52 del suddetto d. lgs. n. 42/2004, che disciplina l’ “Esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali”, e al primo comma prevede che: “Con le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, i Comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio”.
5. In attuazione di quest’ultima disposizione normativa, il Comune di Firenze, previo accordo con la competente Soprintendenza dei Beni culturali, ha emanato il “Regolamento per la tutela e il decoro del patrimonio culturale del Centro Storico” (c.d. Regolamento UNESCO), di cui alla Deliberazione di Consiglio Comunale n. 10 del 4 maggio 2020, in seguito modificato con successiva DCC n. 23/2023.
Ai sensi dell’art. 1 di detto Regolamento, il Comune di Firenze ha inteso tutelare l’area del “Centro Storico di Firenze quale Patrimonio Mondiale UNESCO, area di particolare pregio ed interesse storico, artistico, architettonico e ambientale della città, attraverso una generale lotta al degrado contro quegli elementi e quei comportamenti che portano alla lesione di interessi generali, quali la salute pubblica, la civile convivenza, il decoro urbano, il paesaggio urbano storico, l’identità culturale e storico-architettonica del centro della città, anche in coerenza con i programmi di viabilità urbana, con le limitazioni o interdizioni del traffico veicolare e la prevenzione dell’inquinamento sia atmosferico che acustico”.
6. In tale prospettiva, l’art. 8 del citato Regolamento stabilisce che: “Sul Ponte Vecchio è vietata l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, ed è ammesso solo il commercio dei generi di: a. oggetti preziosi; b. orologi; c. oggetti d’arte, cose antiche o articoli di antiquariato, articoli di numismatica e filatelia”.
7. Tale previsione regolamentare costituisce la risultante di una tradizione storico-giuridico-culturale che rimonta a circa cinque secoli orsono.
In particolare, la prima fonte di regolamentazione di cui si ha notizia certa è rappresentata dal Bando del 27 settembre 1593, con cui il Granduca Ferdinando I de' Medici ordinò lo sgombero di tutte le attività presenti sul Ponte Vecchio, precisando che in avvenire gli spazi avrebbero dovuto essere occupati solo da orefici (argentarii), bancherotti (ossia gioiellieri) e argentieri della città, cioè quegli artigiani che da secoli stavano in via Vacchereccia e nella zona di Mercato Nuovo.
L’obiettivo del Bando era chiaramente quello di far affluire sul Ponte Vecchio attività artigianali redditizie, che realizzassero e producessero quelli che erano per l’epoca gli “oggetti di lusso”, e che attraessero i forestieri in transito, portando ulteriore ricchezza e benessere diffuso alla cittadina.
Tale previsione vincolistica è rimasta pressoché intatta sino all’epoca attuale, e si salda con la suddetta previsione di cui all’art. 8 Reg. Unesco, secondo cui: “Sul Ponte Vecchio è vietata l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, ed è ammesso solo il commercio dei generi di: ... oggetti preziosi [...]”.
8. Fulcro dell’odierno giudizio è dunque l’individuazione di ciò che debba intendersi per “oggetti preziosi”. Ciò al fine di stabilire se le borse-gioiello possano o meno sussumersi all’interno di tale categoria, e dunque, in ultima analisi, se esse possano o meno costituire oggetto di vendita sul Ponte Vecchio di Firenze.
9. Sul punto, l’abrogato art. 61, comma 10, del D.M. 4 agosto 1988, n. 375 del Ministero dell’industria, del Commercio e dell’Artigianato espressamente disponeva che: “per oggetti preziosi si intendono gli oggetti costituiti in tutto o in parte dai metalli preziosi di cui alla legge 30 gennaio 1968, n. 46, sulla disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, nonché i coralli e le perle di ogni tipo, anche se venduti sciolti, e le pietre preziose. Per pietre preziose si intendono i diamanti, i rubini, gli zaffiri, gli smeraldi, anche se venduti sciolti, e ogni altra pietra che sia unita ai metalli di cui alla legge 30 gennaio 1968, n. 46, o agli altri oggetti suindicati”.
Attualmente, rileva il d.P.R. n. 150/02 (Regolamento recante norme per l’applicazione del d. lgs. 22 maggio 1999 n. 251, sulla disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi), il cui art. 1.1. dell’Allegato XI stabilisce che: “Per oggetto in metallo prezioso s'intende qualsiasi articolo di gioielleria, oreficeria, argenteria o orologeria o qualsiasi altro oggetto costituito, in tutto o in parte, da metalli preziosi o loro leghe. Con “in parte” s'intende che un oggetto in metallo prezioso può contenere, per ragioni tecniche o ornamentali, (i) parti non metalliche (ii) parti in metallo comune”.
L’art. 37 d.P.R. n. 150/02 prevede poi la categoria dei c.d. oggetti preziosi di fabbricazione mista, tali essendo quelli che: “... per loro natura o per gli usi cui sono destinati, sono completati con materiali diversi, non metallici, quali legno, osso, avorio, cuoio, porcellana, smalto, cristallo, marmi e pietre dure”, e che per tali caratteristiche: “... sono soggetti all’obbligo della apposizione del titolo e del marchio”.
A mero titolo esemplificativo, rientrano negli oggetti preziosi di fabbricazione mista gli orologi con cassa in oro e bracciale in pelle, i bracciali in pelle con chiusura in oro, gli accendini con cassa esterna in oro o argento, ecc.
10. Così definita la normativa di riferimento, e venendo ora alla fattispecie in esame, costituisce circostanza pacifica il fatto che le borse-gioiello prodotte dalla società appellante presentano una componente in cuoio (la borsa in quanto tale) e una componente ascrivibile alla categoria dei metalli e/o pietre preziose (oro, platino, nonché diamanti, rubini, smeraldi, ecc.).
Trattasi pertanto di oggetti di fabbricazione mista, essendo in essi presenti sia componenti costituenti “oggetti preziosi” (nel senso prima indicato), e sia componenti che, per quanto di lusso, detta caratteristica non possiedono.
11. Orbene, al fine di qualificare la natura giuridica di tali oggetti, non può in alcun modo prescindersi dalla citata previsione di cui all’art. 1.1. dell’All. XI al d.P.R. n. 150/02, secondo cui per oggetto costituito “in parte” da metalli preziosi o loro leghe “s'intende che un oggetto in metallo prezioso può contenere, per ragioni tecniche o ornamentali, (i) parti non metalliche (ii) parti in metallo comune …”.
Emerge pertanto da tale previsione normativa che un oggetto prezioso può anche essere formato in parte da metallo comune, e/o da componenti non metallici, ma tali parti non preziose devono esistere per ragioni “tecniche o ornamentali”. Deve cioè trattarsi di componenti necessarie o utili per tenere unito un oggetto prezioso (“tecniche”), oppure di componenti aggiunti per ragioni puramente estetiche (“ornamentali”).
12. Nella borsa-gioiello, invece, il rapporto è completamente ribaltato: la componente principale è appunto la borsa (fatta essenzialmente in cuoio), che viene soltanto arricchita da oggetti preziosi, i quali rivestono una funzione meramente ancillare e servente (“ornamentale”) rispetto alla componente principale (cuoio).
Ne consegue che la borsa impreziosita da componenti in metallo prezioso è sicuramente un bene di lusso, ma non è un oggetto prezioso nel senso tecnico-giuridico del termine, e pertanto non può essere venduta sul Ponte Vecchio, a ciò ostando il divieto di cui al citato art. 8 del Regolamento comunale Unesco.
13. Tale conclusione non solo non è smentita, ma è anzi confermata dal citato art. 37 d.P.R. n. 150/02, il quale stabilisce appunto che gli oggetti preziosi di fabbricazione mista “... sono completati con materiali diversi, non metallici ...”.
Dunque, l’oggetto prezioso deve soltanto essere “completato” con materiali diversi (es. il cinturino in pelle di un orologio in oro), ma non può in alcun modo costituirne parte essenziale, tale dovendosi intendere quella senza la quale l’oggetto in questione non potrebbe essere assemblato, sì da porsi quale prodotto finito.
E nel caso delle borse-gioiello, non solo la struttura, ma anche le componenti utilizzate, portano indiscutibilmente a ritenere che l’oggetto principale è appunto la borsa – che è fatta di cuoio, o comunque di materiali non preziosi – e le finiture in materiali preziosi costituiscono soltanto un mero completamento (“ornamento”) del prodotto-borsa.
14. Tale interpretazione della normativa in tema di oggetti preziosi non contrasta in alcun modo con la Direttiva 2006/123/CE (c.d Direttiva Bolkestein), nonché con la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi. Ciò in quanto questo Consiglio ha da tempo chiarito che: “la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l'attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali" (sez. IV, 4 maggio 2017, n. 2026; ma già prima sez. V , 16 aprile 2014, n. 1860; sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746; sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5494; sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2699)” (C.d.S, IV, 24.5.2019, n. 3419).
In particolare, va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui: “il processo interno di liberalizzazione delle attività economiche perseguito attraverso le sopra citate disposizioni di legge (cui vanno aggiunte quelle contenute nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno – c.d. ‘Direttiva Bolkestein’), sebbene muova nella direzione di un più ampio riconoscimento del diritto di iniziativa economica e della contestuale riduzione dei possibili limiti al suo esercizio, nondimeno legittima tuttora la previsione di limiti in funzione del perseguimento di ulteriori e diverse finalità di interesse generale, imponendo che le contrapposte esigenze siano bilanciate secondo i limiti della proporzionalità, della ragionevolezza e del minimo mezzo (da ultimo in questo senso, Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4794, 13 settembre 2016, n. 3857, 22 ottobre 2015 n. 4856; cfr. anche Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 291, 20 luglio 2012, n. 200)” (C.d.S, V, 13.2.2017, n. 603).
15. Orbene, nella fattispecie in esame il limite al commercio, sul Ponte Vecchio, di prodotti che non siano oggetti preziosi risponde al dichiarato obiettivo di preservare una tradizione plurisecolare (risalente – si ribadisce – al Bando del Granduca Ferdinando I del 27 settembre 1593), che dà pregio e lustro alla città di Firenze, e attraverso essa – stante l’indiscusso ruolo riconosciutole dall’UNESCO – all’intera umanità.
16. In quest’ottica, nessun rilievo assume la circostanza che il citato art. 8 Reg. Unesco abbia consentito il commercio, sul Ponte Vecchio, oltre agli oggetti preziosi, anche di: “b. orologi; c. oggetti d’arte, cose antiche o articoli di antiquariato, articoli di numismatica e filatelia”. Ciò in quanto, sotto un primo profilo, in questa sede si discute unicamente della riconducibilità delle borse-gioiello agli “oggetti preziosi”, sicché nessun rilievo assumono a tal fine le altre categorie di oggetti il cui commercio è ammesso sul Ponte Vecchio.
In secondo luogo, e ad abundantiam, gli ulteriori oggetti suindicati (orologi, oggetti d’arte, cose antiche, articoli di numismatica e filatelia, ecc.), pur non potendo essere definiti “oggetti preziosi”, nel senso prima chiarito, ne mutuano nondimeno le finalità, da ricercarsi nella perpetuazione delle radici storico-artistico-culturali della città di Firenze, culla italiana e mondiale del Basso Medioevo e del Rinascimento. Per tali ragioni, è del tutto ragionevole aver consentito il commercio, sul Ponte Vecchio, anche di tali prodotti, ed averlo vietato, invece, rispetto a beni (quali le borse-gioiello) che – pur rientrando a pieno titolo negli oggetti di lusso – non presentano nondimeno alcun tipo di legame con la storia, la cultura e il patrimonio artistico della Città del Giglio.
17. Va da sé – alla luce di quanto sinora esposto – che nessun rilievo assume la circostanza che Confindustria Federorafi inquadri le borse-gioiello all’interno degli oggetti preziosi, trattandosi di valutazione che per un verso sconta un evidente e insuperabile contrasto con il dato normativo (nel senso prima chiarito), e in secondo luogo contrasta con la plurisecolare tradizione commerciale esistente sul Ponte Vecchio, che è patrimonio UNESCO, da preservare e consegnare integro alle future generazioni.
18. Alla stessa stregua, non era necessaria esperire alcuna attività istruttoria, avendo il Comune prima, e il Tar fiorentino poi, correttamente interpretato ed applicato la normativa di riferimento, nonché la ratio ispiratrice del divieto in esame.
19. Infine, nessun rilievo assume la circostanza che la società appellante sia titolare di licenza di commercio di oggetti preziosi ex art. 127 TULPS, atteso che tale licenza la abilita a commercializzare oggetti preziosi, ma non anche a vendere sul Ponte Vecchio beni giuridicamente non sussumibili nella categoria degli “oggetti preziosi”, quali le borse-gioiello.
20. Alla luce di tali considerazioni, l’appello è infondato.
Ne consegue il suo rigetto.
21. Sussistono giusti motivi, legati alla natura delle questioni esaminate, per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2024, con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Consigliere, Estensore
Guida alla lettura
Con l’epigrafata pronuncia, la V Sezione del Consiglio di Sato sviscera il delicato rapporto tra la nota Direttiva Bolkestein (Direttiva 2006/123/CE) incentrata sulla massima concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione tra gli operatori economici e il contemperamento di essa con diversi - e parimenti meritevoli di tutela – interessi.
In particolare, chiamato a pronunciarsi sull’ annullamento di un provvedimento (già ritenuto legittimo dal Giudice a quo) con il quale il Comune di Firenze aveva vietato all’appellante la vendita sul Ponte Vecchio delle borse cd “gioiello”, il Supremo consesso della giustizia amministrativa evidenzia che:
- l’area prescelta (dall’appellante) per il commercio delle suddette merci - e più in generale l’intero centro storico del capoluogo fiorentino – è iscritto nella Lista Unesco del Patrimonio mondiale e, come tale, va classificato tra i beni culturali ex art. 10 D.Lgs n. 42/2004;
- da tale classificazione ne deriva, quale limite, l’assoggettamento della cennata area alle previsioni di cui all’art. 52 D.Lgs n. 42, cit.;
- in particolare, in attuazione di tale previsione, il Comune di Firenze ha emanato Regolamento per la tutela e il decoro del patrimonio culturale del centro storico onde contrastare fenomeni di degrado e ha stabilito - all’art. 8 - che sul Ponte Vecchio sia ammesso il commercio unicamente di oggetti preziosi, orologi, oggetti d’arte, articoli di antiquariato, numismatica e filatelia;
- esclusa l’attraibilità – per i motivi ben evidenziati nella pronuncia in commento – delle borse cd. gioiello dal novero degli oggetti preziosi - sì come definiti dal D.P.R n. 150/02 - non susssiste neppure il vantato contrasto - sì come sostenuto da parte appellante - tra il cennato D.P.R e la nota Direttiva Bolkenstein.
Appare opportuno soffermarsi sul punto nodale della sentenza costituito – per l’appunto– dal rapporto tra le due fonti: l’una di rango unionale e l’altro di rango domestico.
Il Consiglio di Stato evidenzia che non sussiste alcun contrasto tra le due fonti e che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la Direttiva – almeno nella fattispecie che ne occupa – non possa ritenersi prevalente rispetto al cennato D.P.R..
Tanto poiché la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l'attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali (Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3419; Id., 4 maggio 2017, n. 2026; ma già prima Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2699; Id., 7 novembre 2014, n. 5494; Cons. Stato, Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746; Id., 16 aprile 2014, n. 1860).
In particolare, evidenzia il Collegio che il processo interno di liberalizzazione delle attività economiche perseguito attraverso le sopra citate disposizioni di legge (cui vanno aggiunte quelle contenute nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno – c.d. ‘Direttiva Bolkestein’), sebbene muova nella direzione di un più ampio riconoscimento del diritto di iniziativa economica e della contestuale riduzione dei possibili limiti al suo esercizio, nondimeno legittima tuttora la previsione di limiti in funzione del perseguimento di ulteriori e diverse finalità di interesse generale, imponendo che le contrapposte esigenze siano bilanciate secondo i limiti della proporzionalità, della ragionevolezza e del minimo mezzo.
Alla stregua di tanto, il Consiglio di Stato rigetta il proposto appello e contribuisce a preservare un patrimonio storico ed artistico del nostro Paese.