Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 7 novembre 2024, n. 3683
Alla luce dell’art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36, per il principio di buona fede, anche prima dell’aggiudicazione sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al detto principio.
Come emerge dalla relazione al codice, il senso della norma è quello di evidenziare che l’affidamento rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi che di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l’esercizio del potere.
E tanto non può non comportare che la caducazione della procedura - per altro a fronte di una posizione comunque differenziata relativa al partecipante alla selezione la cui offerta, seppur in via provvisoria, è stata ritenuta la migliore - debba trovare una solida motivazione, contrariamente a quanto sinora ritenuto dalla Giurisprudenza.
Accanto a quello di buona fede, certamente rilevanti appaiono i principi espressi ai primi due articoli del nuovo codice degli appalti, relativi alla fiducia e al risultato.
Pubblicato il 07/11/2024
N. 03683/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01788/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1788 del 2024, proposto da
Mar Hospital S.r.l. Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG B08A5C09C7, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Ribaudo, Francesco Carità, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, Dipartimento Risorse Tecnologiche U.O.C. Provveditorato dell’Asp di Catania, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
- del verbale di gara n. 5 del 12 settembre 2024 del Dipartimento Risorse Tecnologiche U.O.C. Provveditorato dell’ASP di Catania con cui è stata revocata la procedura di gara ai sensi dell’art. 21 nonies della l.241/90;
- della nota dell’Asp di Catania di rigetto del preavviso di ricorso della ricorrente del 25.09.2024 prot. n. 208725;
- di tutti i verbali di gara;
- ove occorra e possa del bando della procedura negoziata per la fornitura in somministrazione per la durata di anni fino alla concorrenza dell’importo di € 200.000,00 “di carrelli di emergenza da destinarsi a diverse strutture aziendali”, pubblicato in data 26.02.2024, con nota prot. 46794.
- nonché ogni altro atto presupposto, connesso e/e consequenziale.
e per il riconoscimento
del diritto del ricorrente alla aggiudicazione della procedura di gara.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. L’impresa Mar Hospital s.r.l. Unipersonale ha partecipato alla procedura di gara indetta dall’ASP di Catania ai sensi degli artt. 50 c.1 lett. e (108 comma 3) del d.lgs. 36/2023 per la fornitura in somministrazione, per la durata di anni uno, fino alla concorrenza dell’importo di € 200.000,00 oltre IVA, di “Carrelli di Emergenza” da destinare alle diverse strutture Aziendali.
Con verbale n. 4 del 3 settembre 2024, avendo offerto il maggior ribasso, pari al 26,900% sull’importo posto a base d’asta, è stata proposta l’aggiudicazione in suo favore della fornitura.
A seguito della pubblicazione sulla piattaforma MEPA del predetto verbale di aggiudicazione, alcuni operatori economici hanno chiesto, alla Stazione Appaltante, l’applicazione dell’art. 54, comma 2, del Codice dei Contratti Pubblici, richiamato all’art.7 della lettera di invito prot. n. 46794 del 26 febbraio 2024.
In riscontro alla suddetta richiesta, l’Amministrazione resistente con la nota prot. n. 196122 del 9 settembre 2024 ha rilevato, correttamente, che trattandosi di un appalto di somministrazione (e non di lavori e servizi) la disciplina normativa prevista dal citato art. 54 non era, pertanto, applicabile al caso di specie.
Inoltre, sempre in occasione della predetta nota, la Committente ha chiarito che l’art. 7 - ai sensi del quale la Stazione Appaltante, nell’ipotesi in cui il numero di offerte valide pervenute sia = > 5 avrebbe dovuto procedere all’esclusione automatica dalla gara, delle offerte che presentano una soglia di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’art. 54 del Codice dei Contratti Pubblici – era stato riportato nella lettera di invito per un mero “…refuso di digitazione…” e di conseguenza era da considerarsi una clausola nulla e dunque non applicabile alla procedura di gara.
Pertanto, in un primo momento, l’Azienda Sanitaria ha considerato, asseritamente in maniera corretta, l’art. 7 dell’atto di invito come una clausola contra legem da disapplicare senza particolare strumenti correttivi, essendo affetta da nullità, o come una mera irregolarità, rettificabile con la semplice correzione dell’errore materiale.
Tuttavia, la Commissione di gara, discostandosi da quanto sostenuto dalla Stazione Appaltante con la nota del 9.09.2024 prot. 196122, con verbale n. 5 del 12 settembre 2024 “…valutate le ragioni espresse da alcuni operatori economici…” ha ritenuto di procedere al ritiro in autotutela della procedura di gara, dei relativi atti, nonché, delle singole operazioni, ai sensi dell’art. 21 - nonies della l. 241/90, a fronte di “…ragioni di salvaguardia del pubblico interesse tali da rendere inopportuna la prosecuzione della gara di che trattasi”.
Con ricorso notificato e depositato l’11.10.2024, la ricorrente ha impugnato siffatto provvedimento, affidandosi alle seguenti censure:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 241/90 – violazione e falsa applicazione dell’art. 107 del d.lgs 267/2000 - violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 93 d.lgs 36/2023 - eccesso di potere - arbitrarietà manifesta - violazione dei principi costituzionali di buon andamento, imparzialità e correttezza dell'azione amministrativa.
Assume parte ricorrente che la revoca della gara è stata disposta con mero verbale dalla Commissione di Gara, non seguito da altro provvedimento della Stazione Appaltante o dell’UOC Provveditorato.
Ciò, ritiene la ricorrente, integrerebbe una violazione del disposto dell’art. 21 nonies della legge 241/90, in forza del quale il provvedimento può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, solamente dall'organo che ha provveduto ad emanarlo, ovvero da altro organo previsto dalla legge, che nel caso di specie non coinciderebbe con la Commissione di gara, essendo questa deputata alla mera individuazione della migliore offerta.
2) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 l. 241/90 e 9 della l.r. 21 maggio 2019 n. 7 – omesso avviso di avvio del procedimento volto alla revoca.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’illegittimità della revoca, asseritamente violativa dell’art. 7 della Legge n. 241/90 e dell’art. 9 della L.R. n. 7/2019, per aver l’amministrazione adottato il provvedimento avversato senza instaurare, ex ante, un proficuo contraddittorio con la ricorrente, sebbene la stessa fosse titolare di una posizione rilevante e differenziata, determinata dall’aggiudicazione provvisoria.
3) Illegittimità della revoca - violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 241/90 – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del d.lgs 36/2023 - eccesso di potere – difetto di motivazione – arbitrarietà manifesta - violazione dei principi costituzionali di buon andamento, imparzialità e correttezza dell'azione amministrativa.
Assume parte ricorrente che la revoca avversata sarebbe, in ogni caso, illegittima nel merito, in quanto adottata in assenza dei presupposti di legge e viziata da grave carenza di motivazione.
La procedura di gara è stata annullata sulla base di una clausola erratamente inserita dalla Committente nell’atto di invito, clausola che avrebbe dovuto considerarsi nulla, poiché prevedeva una causa di esclusione dalla procedura ulteriore rispetto a quelle tassativamente previste dalla legge.
Pertanto, l’ASP di Catania, trattandosi di una clausola affetta da nullità, avrebbe dovuto, semplicemente, disapplicarla senza necessari strumenti correttivi, così come aveva operato nella prima fase di gara, senza, quindi, revocare l’intera procedura.
Sostiene, inoltre, parte ricorrente che l’art. 10 del nuovo Codice degli appalti, riprendendo l’art. 83, comma 8, del d.lgs 50/2016, stabilisce che i bandi e disciplinari non possono appore nuove cause di esclusione diverse da quelle previste dalla legge e che “le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano non apposte”.
Del resto, la clausola escludente contra legem è nulla e non vi sarebbe l’onere per l’impresa di proporre ricorso, poiché la clausola in quanto inefficace e improduttiva di effetti, deve intendersi come non apposta.
In ordine, poi, alle condizioni dettate dall’art. 21 nonies l. 241/90, assume parte ricorrente che l’esercizio del potere della revoca in autotutela rientra tra i poteri discrezionali delle Pubbliche Amministrazioni; tuttavia, ai fini della sua attivazione, devono sussistere delle ragioni che possano compromettere la salvaguardia di uno specifico pubblico interesse, nel caso di specie invece soltanto genericamente rappresentato nel provvedimento avversato.
Per altro, nell’atto di invito di cui alla nota prot. n. 46794 del 26 febbraio 2024, al punto 5, è stabilito che l’ASP di Catania “ha piena facoltà di non procedere ad alcuna aggiudicazione, anche quando siano state osservate tutte le norme, qualora non fossero più sussistenti le finalità operative poste a base dell’acquisto o venissero meno le fonti di finanziamento che s’intendo impegnare”, circostanza, questa, non avveratasi e, comunque, non posta a fondamento della revoca impugnata.
In ogni caso, il comportamento dell’Amministrazione sarebbe violativo del dovere di correttezza e buona fede, alla cui osservanza deve conformarsi l'operato della stessa, costituendo manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale.
L’Amministrazione, seppur regolarmente evocata, non si è costituita in giudizio.
All’Udienza camerale del 23.10.2024, previo avviso alle parti della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
II. Sussistendone i presupposti e avendone dato avviso alle parti costituite è possibile definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.
Va rigettata la prima censura.
Osserva il Collegio che il provvedimento della Commissione impugnato è stato fatto proprio dall’ASP con nota del 25.9.2024 sottoscritta dal RUP e dal Direttore dell’UOC Provveditorato di Catania, anch’essa espressamente avversata, laddove è stato chiarito che “fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva rientra nel potere discrezionale dell’Amministrazione disporre il ritiro dei documenti di gara, laddove sussistono concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche da sconsigliare, la prosecuzione della gara. La previsione dell’applicazione dell’esclusione automatica (art. 7 lettera invito prot. n. 46974 del 26.2.2024), alla luce di quanto contenuto all’art. 54 del codice degli appalti e stante il comunicato reso in datata 09/09/2024, rende inopportuna la prosecuzione della procedura di gara, a garanzia della par condicio fra gli operatori economici partecipanti alla procedura di gara”.
Con il comunicato reso in data 09/09/2024, sottoscritto sempre dal RUP e dal Direttore dell’UOC Provveditorato, si è chiarito che la portata dell’art. 7 della lettera d’invito non è applicabile alla gara in esame, concernente appalto di fornitura.
Ivi si è chiarito che il detto art. 7 stabilisce che “nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, se il numero delle offerte valide pervenute è => di 5, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata, ai sensi dell’art. 54 c. 2 del Codice, utilizzando il Metodo A previsto all’Allegato II.2”; tuttavia, “nel vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, D.Lgs 36/2023, l’art. 54 del codice dei contratti pubblici è applicabile solo a lavori e servizi”).
Dal detto articolato motivazionale proveniente dall’ASP deriva che l’arresto della procedura non è atto esclusivo della Commissione, così come lamentato con la censura in esame, che, quindi, come premesso, va respinta.
III. I successivi motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
La ricorrente si duole dell’illegittimità della caducazione della procedura di gara che l’aveva vista aggiudicatrice provvisoria, poiché non preceduta da alcun preavviso e supportata da motivazione insufficiente e violativa delle norme poste a presidio dell’annullamento degli atti amministrativi, nonché dei principi di buona fede.
Come sopra rappresentato, l’inopportunità di prosecuzione della procedura è stata correlata alla erronea previsione nella lettera invito, in effetti non applicabile all’appalto in esame di fornitura (circostanza non contestata), di un sistema di esclusione automatica delle offerte con percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia da applicare nell’ipotesi di un numero di offerte maggiore o uguale a cinque.
Il Collegio rileva che una Giurisprudenza consolidata nel passato si è espressa nel senso (cfr. TAR Brescia, 07.12.2020 n. 86) che nelle gare pubbliche la decisione della Pubblica amministrazione di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell’aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l’onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro (Cons. Stato Sez. III, 6/8/2019, n. 5597; idem in Cons. Stato Sez. V, 11/10/2018, n. 5863; T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, 11/3/2020, n. 3142).
Inoltre, “la revoca della proposta di aggiudicazione non è soggetta ad un particolare aggravio motivazionale rispetto al contenuto minimo prescritto dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990 ed all’obbligo di comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato per difetto di una situazione di affidamento degna di tutela, non trovando applicazione, quindi, la disciplina dettata dagli art. 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241 del 1990” (T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, 21/9/2020, n. 320).
Infine, la detta decisione ha precisato che, quanto ai profili partecipativi, si sia legittimamente provveduto alla revoca senza alcuna comunicazione alla ricorrente, in conformità all’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai fini del ritiro della proposta di aggiudicazione, non vi è obbligo di avviso di avvio del procedimento”.
In altri termini (cfr. Cons. Stato, V, 12.9.2023, n. 8273), «per giurisprudenza costante la comunicazione di avvio del procedimento non è obbligatoria per la revoca della aggiudicazione provvisoria (Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5834). Al riguardo è stato in particolare affermato che: “la possibilità che all'aggiudicazione provvisoria della gara non faccia seguito quella definitiva è evento del tutto fisiologico, che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile; pertanto la revoca (come pure l'annullamento) dell'aggiudicazione provvisoria non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto endoprocedimentale che si inserisce nell'ambito del procedimento di scelta del contraente come momento necessario, ma non decisivo; solamente l'aggiudicazione definitiva attribuisce, in modo stabile, il bene della vita ed è pertanto idonea ad ingenerare un affidamento in capo all'aggiudicatario, sì da imporre l'instaurazione del contraddittorio procedimentale (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 4 dicembre 2017, n. 5689)”.
E ciò in disparte ogni considerazione circa il fatto che . . . il Comune di . . . non avrebbe potuto adottare un provvedimento di segno diverso nel caso di specie (art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, legge n. 241 del 1990).
« . . . Quanto al lamentato difetto di motivazione circa la mancata considerazione dell’interesse pubblico sotteso alla revoca . . . si osserva in via generale che, per giurisprudenza pressoché costante, l’aggiudicazione provvisoria è atto endoprocedimentale – instabile e ad effetti interinali, per la precisione – che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario. Con la conseguenza che la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva costituisce evento del tutto fisiologico, inidoneo di per sé a ingenerare forme di affidamento tutelabili e dunque un qualsivoglia obbligo risarcitorio (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2016, n. 3646; Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3453).
La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili tipica dell’aggiudicazione provvisoria non consente in altri termini di applicare pedissequamente, nei suoi riguardi, la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento.
Ne deriva che, non essendo configurabile una situazione di legittimo affidamento in capo al soggetto interessato, non è richiesto in siffatte ipotesi un particolare raffronto tra l’interesse pubblico ritenuto preminente e quello privato recessivo e sacrificato.
Come affermato dalla stessa giurisprudenza, il passaggio dall'aggiudicazione provvisoria a quella definitiva non è dunque un obbligo della p.a. appaltante, né un diritto dell'aggiudicatario provvisorio, ben potendo una sopravvenuta esigenza di contenimento della spesa giustificare la revoca in autotutela dell'aggiudicazione provvisoria della gara.
In analoga direzione è stato così evidenziato che l’onere motivazionale sotteso alla revoca di tali atti deve essere calibrato in funzione della fase procedimentale in cui la stessa interviene e, in definitiva, dell'affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento: l’esplicitazione delle ragioni circa l’interesse pubblico al suddetto ritiro, in altre parole, varia di intensità a seconda della circostanza che sia intervenuta l'aggiudicazione definitiva (o addirittura la stipula del contratto) ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia ancora completamente giunto a termine (TAR Perugia, sez. I, 16 giugno 2011, n. 172, cit.)».
In conclusione (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 09/11/2018, n.6323), «fino a quando non sia intervenuta l'aggiudicazione definitiva rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara (Cons. Stato, VI, 6 maggio 2013, n. 2418; in termini, Cons. Stato, IV, 12 gennaio 2016, n. 67)», argomento, quest’ultimo, in effetti speso dall’Amministrazione intimata.
Quindi la fase provvisoria, rilevante nel caso di specie, giustificherebbe una motivazione attenuata, relativa anche alla mera inopportunità di completare la procedura.
IV. Ritiene il Collegio che siffatti parametri ermeneutici debbano essere rivisti alla luce del nuovo Codice degli appalti, d.lgs. n. 36/2023.
Intanto, ai fini dell’obbligo informativo, l’art. 90 stabilisce espressamente che: “1. Nel rispetto delle modalità previste dal codice, le stazioni appaltanti comunicano entro cinque giorni dall’adozione:
a) la motivata decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione, corredata di relativi motivi, a tutti i candidati o offerenti”.
Deriva che la decisione di non aggiudicare un appalto deve essere necessariamente comunicata.
La norma specifica, inoltre, che la medesima decisione deve essere, senza alcuna attenuazione, espressamente motivata anche nella fase antecedente alla aggiudicazione e, pertanto, anche in quella che assume rilievo nel caso di specie, in cui l’individuazione della migliore offerta è stata effettuata dal solo seggio di gara e non in maniera definitiva dalla stazione appaltante.
Quello che ancor più rileva è quanto declinato dall’art. 5 del Codice degli appalti, inserito nell’alveo dei principi cardine, la cui articolata regolamentazione costituisce una delle maggiori novità del nuovo Testo normativo.
La norma regola i «Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento» e sancisce che «1. Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento.
2. Nell’ambito del procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.
3. In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti. Nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico.
4. Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito».
Senza voler entrare nel merito delle complessive novità introdotte dalla disposizione, appare sufficiente rilevare, per quanto di interesse nel presente giudizio, che per il principio di buona fede, anche prima dell’aggiudicazione sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al detto principio.
La relazione al codice, riferendosi all’art. 5, evidenzia come “il comma 2 recepisce i principi sulla tutela dell’affidamento incolpevole (anche con riferimento al danno da provvedimento favorevole poi annullato) enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze n. 5 del 2018 e nn. 19 e 20 del 2021. In linea con tale giurisprudenza, il senso della norma è quello di evidenziare che l’affidamento rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi che di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l’esercizio del potere”.
E tanto non può non comportare che la caducazione della procedura - per altro a fronte di una posizione comunque differenziata relativa al partecipante alla selezione la cui offerta, seppur in via provvisoria, è stata ritenuta la migliore - debba trovare una solida motivazione, contrariamente a quanto sinora ritenuto dalla Giurisprudenza.
Accanto a quello di buona fede, certamente rilevanti appaiono i principi espressi ai primi due articoli del nuovo codice degli appalti, relativi alla fiducia e al risultato.
L’art. 2 stabilisce che “1. L'attribuzione e l'esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell'azione legittima, trasparente e corretta dell'amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici.
2. Il principio della fiducia favorisce e valorizza l'iniziativa e l'autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l'acquisizione e l'esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.
Il concetto di risultato è espresso all’art. 1, laddove è stato stabilito che “1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità.
3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell'interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea”.
Ne deriva che il principio della reciproca fiducia non può non confluire, per quanto qui rileva, nel principio di trasparenza ed efficienza sub specie della anch’essa prevista celerità.
Di guisa che il comportamento delle stazioni appaltanti va relazionata alla assoluta rappresentazione, in qualunque fase, delle motivazioni che ne determinano l’operato e ciò ancor più laddove viene messa nel nulla una procedura avviata dalla medesima Amministrazione (con pregiudizio alla celerità dell’attività amministrativa), senza che la stessa, per altro, venga definitivamente caducata, ma eventualmente riproposta emendata da asseriti errori procedurali, che devono essere tali da dover necessariamente determinare l’impossibilità di concludere l’originario procedimento.
Nel caso in esame, la motivazione appare non solo generica (riferendosi a un interesse pubblico, appunto, generico e determinato dalla sussistenza di una norma non applicabile all’appalto di somministrazione), ma anche non pertinente, posto che l’unica concreta giustificazione posta a fondamento degli atti impugnati consiste nell’asserito vulnus alla par condicio tra i vari operatori.
Tale pregiudizio, invero non specificato, non appare comprensibile, posto che la norma erroneamente richiamata nella lex di gara e non applicabile all’appalto di forniture (art. 54 del codice) stabilisce che le stazioni appaltanti prevedono negli atti di gara l'esclusione automatica delle offerte che risultano anomale, qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque.
Come tale circostanza possa refluire sulla par condicio appare oscuro, posto che nessun operatore (e neanche il seggio di gara), intanto, può conoscere il numero delle offerte al momento della loro presentazione e, quindi, se opererà la norma a prescindere dalla tipologia del contratto; inoltre, in ogni caso, l’applicazione dell’esclusione automatica delle offerte anomale appare circostanza neutra e, come tale, non incidente sulla modalità dell’offerta e, soprattutto, non può determinare una posizione di vantaggio di un operatore rispetto a un altro, circostanza su cui, in effetti, si fonda la motivazione (l’unica) dell’Amministrazione, che assume sussistere la possibilità di violazione della par condicio tra gli offerenti.
Il vero è che, molto più semplicemente, a fronte di una insussistente (comunque non rappresentata) ragione di un vulnus alla par condicio, l’erronea presenza nella lex di gara di una norma inapplicabile, ben avrebbe potuto essere dalla stessa espunta, così come avvenuto in data 9.9.2024.
Conclusivamente, in ragione del mancato preavviso e della non pertinente motivazione, i provvedimenti impugnati vanno annullati, non potendosi legittimamente giustificare, secondo i principi prospettati, la caducazione della gara, prima, e dell’aggiudicazione provvisoria, dopo, della ricorrente.
La novità della questione giustifica, ai fini delle spese, la condanna dell’Amministrazione al solo rimborso del contributo unificato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna l’amministrazione intimata al rimborso del contributo unificato, ove versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Pancrazio Maria Savasta, Presidente, Estensore
Giovanni Giuseppe Antonio Dato, Primo Referendario
Calogero Commandatore, Primo Referendario
Guida alla lettura
Con sentenza n. 3863 dello scorso 7 novembre la Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia ha ritenuto che i parametri ermeneutici dettati in tema di caducazione della procedura di gara, giunta alla fase dell’aggiudicazione provvisoria debbano essere rivisti alla luce del nuovo Codice degli appalti, d.lgs. n. 36/2023.
In particolare, prima del nuovo Codice degli appalti si riteneva che nelle gare pubbliche la decisione della Pubblica amministrazione di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria non fosse da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell’aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenuava l’onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro.
Si riteneva, quindi, che la revoca della proposta di aggiudicazione non fosse soggetta ad un particolare aggravio motivazionale rispetto al contenuto minimo prescritto dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990 e all’obbligo di comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato per difetto di una situazione di affidamento degna di tutela, non trovando applicazione, quindi, la disciplina dettata dagli art. 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241 del 1990.
Infine, quanto ai profili partecipativi, si precisava che ai fini del ritiro della proposta di aggiudicazione, non vi è obbligo di avviso di avvio del procedimento.
Ritiene il Collegio che siffatti parametri ermeneutici debbano essere rivisti alla luce del nuovo Codice degli appalti, d.lgs. n. 36/2023.
Ai fini dell’obbligo informativo, l’art. 90 (infatti) stabilisce espressamente che la decisione di non aggiudicare un appalto deve essere necessariamente comunicata.
I Giudici evidenziano che la norma specifica che la medesima decisione deve essere, senza alcuna attenuazione, espressamente motivata anche nella fase antecedente alla aggiudicazione e, pertanto, anche in quella che assume rilievo nel caso di specie, in cui l’individuazione della migliore offerta è stata effettuata dal solo seggio di gara e non in maniera definitiva dalla stazione appaltante.
Ad avviso del Collegio, quello che ancor più rileva è quanto declinato dall’art. 5 del Codice degli appalti, il quale, inserito nell’alveo dei principi cardine, regola i «Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento» e sancisce che «1. Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento».
Nell’ambito del procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.
Come emerge dalla Relazione al Codice, il senso della norma è quello di evidenziare che l’affidamento rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi sia di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l’esercizio del potere.
E tanto non può non comportare che la caducazione della procedura - per altro a fronte di una posizione comunque differenziata relativa al partecipante alla selezione la cui offerta, seppur in via provvisoria, è stata ritenuta la migliore - debba trovare una solida motivazione, contrariamente a quanto sinora ritenuto dalla Giurisprudenza.
Accanto a quello di buona fede, certamente rilevanti appaiono - inoltre - i principi espressi ai primi due articoli del nuovo Codice degli appalti, relativi alla fiducia (art. 2) e al risultato (art. 1).
Quanto al principio del risultato, ai sensi dell’art. 1 d.lgs. n. 36/2023, “1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità.
3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell'interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea”.
Con riguardo al principio della fiducia, l’art. 2 stabilisce che: “1. L'attribuzione e l'esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell'azione legittima, trasparente e corretta dell'amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici.
2. Il principio della fiducia favorisce e valorizza l'iniziativa e l'autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l'acquisizione e l'esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”.
Ad avviso della Prima Sezione del TAR Catania, ne deriva che il principio della reciproca fiducia non può non confluire, per quanto qui rileva, nel principio di trasparenza ed efficienza sub specie della anch’essa prevista celerità, di guisa che il comportamento delle stazioni appaltanti va relazionato alla assoluta rappresentazione, in qualunque fase, delle motivazioni che ne determinano l’operato e ciò ancor più laddove viene messa nel nulla una procedura avviata dalla medesima Amministrazione (con pregiudizio alla celerità dell’attività amministrativa), senza che la stessa, per altro, venga definitivamente caducata, ma eventualmente riproposta emendata da asseriti errori procedurali, che devono essere tali da dover necessariamente determinare l’impossibilità di concludere l’originario procedimento.