Cons. Stato, Sez. V, ord., 25 novembre 2024 n. 9449
La questione giuridica, oggetto di rimessione alla Corte di giustizia, si impernia sulla clausola di prelazione che ha consentito al raggruppamento di ottenere l’affidamento del contratto. (…)
Passando ad illustrare il quesito, il Collegio dubita che l’art. 183 comma 15 d.lgs. 50/2016 costituisca puntuale recepimento del diritto europeo.
La clausola di prelazione infatti, pur assicurando lo svolgimento di una gara, è idonea a sovvertirne l’esito se il promotore la esercita: il proponente che non risulti aggiudicatario secondo le regole di gara, se adegua la sua proposta a quella individuata come migliore, diviene egli stesso aggiudicatario.
La prelazione produce quindi effetti sulla parità di trattamento che informa le gare pubbliche, mettendone in discussione l’essenza.
Pubblicato il 25/11/2024
N. 09449/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01799/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1799 del 2024, proposto da
Urban Vision s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 088400353A, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio De Felice, Venerando Monello, Giancarlo Tanzarella e Carlo Maria Tanzarella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Lepore, Antonello Mandarano, Stefania Pagano e Sara Pagliosa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio n. 15;
A&C Network s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Bertacco, Jacopo Emilio Paolo Recla e Andrea Reggio D'Aci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Andrea Reggio D'Aci in Roma, via degli Scipioni 268/A;
nei confronti
A & C Network s.r.l. Unipersonale, Vox Communication s.r.l., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 196/2024, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Milano e di A&C Network s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati Monello, Tanzanella, Pagliosa e Recla;
1. La controversia riguarda la procedura svolta dal Comune di Milano (di seguito: “Comune”), conclusa con la stipulazione del contratto per la progettazione, fornitura, posa in opera, gestione e manutenzione di 70 servizi igienici pubblici automatizzati (CIG 8840035A8).
2. Urban Vision s.p.a. (di seguito: “Urban Vision”) ha impugnato la determina 28.4.2023 n. 3513, di aggiudicazione al raggruppamento fra la mandataria A&C Network s.r.l. e la mandante Vox Communication s.r.l. (di seguito: “raggruppamento”) a seguito dell’esercizio della prelazione riconosciuta allo stesso per essere stato promotore dell’iniziativa. Oltre a detta determina ha impugnato:
- l’art. 6 lett. e) dell’avviso pubblico di avvenuta ricevimento di una proposta;
- la delibera 29.5.2020 n. 658;
- gli atti di esercizio della prelazione (nota 4.4.2023 n. 0197641 e nota 17.4.2023).
Con il medesimo ricorso Urban Vision ha chiesto la dichiarazione di inefficacia del contratto e la conseguente tutela in forma specifica.
3. Il Tar Lombardia – Milano, con sentenza 29.1.2024 n. 196, ha respinto il ricorso.
4. Urban Vision ha appellato la sentenza con ricorso n. 1799 del 2024.
5. All’udienza del 26 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
I) Il procedimento amministrativo
6. Nel procedimento il Comune:
- con delibera 29.5.2020 n. 658, ha stabilito le linee di indirizzo per la realizzazione di “progetti e iniziative volte alla rigenerazione di spazi pubblici urbani mediante l’individuazione di sponsor tecnici”, delineando, in particolare, la procedura: pubblicazione di un avviso, anche a seguito della presentazione di una proposta da parte di un promotore, valutazione del Comune della “coerenza con le finalità strategiche dell’Amministrazione”, del valore delle proposte, nonché della congruità, e successiva gara sulla base dell’avviso, che rende note le “caratteristiche e prestazioni della proposta ricevuta” e che prevede “la possibilità del proponente di adeguare la propria proposta alla miglior offerta”;
- nel marzo 2021, ha ricevuto dal raggruppamento una proposta, che ha istruito;
- ha dato avvio alla gara (determinazione 20.7.2021 n. 5782);
- in data 20.7.2021, ha pubblicato sul sito web l’“Avviso pubblico” per sollecitare la “presentazione di proposte migliorative” rispetto a quella ricevuta, che ivi è descritta in dettaglio: nell’avviso è previsto il “Diritto di adeguamento proposta” (art. 6 lett. e) da parte del proponente non aggiudicatario, che ha facoltà di esercitare, entro quindici giorni, “l’adeguamento della sua proposta a quella individuata quale migliore e divenire lui aggiudicatario se dichiara di impegnarsi ad adempiere alle obbligazioni contrattuali alle medesime condizioni offerte dall'aggiudicatario” (la clausola di prelazione);
- in esito alla procedura, ha aggiudicato la gara a Urban Vision (determinazione 30.3.2023 n. 2576);
- con determinazione 28.4.2023 n. 3513, ha aggiudicato al raggruppamento che si è avvalso della prelazione.
II) Il contratto stipulato
7. All’esito della gara il raggruppamento ha sottoscritto il contratto avente le caratteristiche della proposta formulata da Urban Vision.
8. In base al contratto, per quanto interessa in questa sede:
- il raggruppamento finanzia, fornisce e realizza 110 servizi igienici pubblici automatizzati (la cui proprietà è trasferita al Comune in seguito al collaudo), nonché li gestisce e manutiene per 24 anni (per un valore di euro € 29.100.000,00, al quale si aggiungono ulteriori € 5.000.000,00);
- il Comune garantisce, per 18 anni, lo sfruttamento pubblicitario di 97 impianti pubblicitari, previa trasformazione degli stessi in digitali, con modalità garantite nel piano di comunicazione oggetto di un obbligo contrattuale (artt. 10 e 11).
9. Dall’istruttoria (ordinanza n. 1026 del 2024), si è appreso inoltre che “il ritorno di immagine mediante la possibilità di promozione commerciale” è stato calcolato dal Comune in una forbice fra € 10.352.827 e € 15.517.412 e che il piano di comunicazione comprende “la promozione diretta dello sponsor” e “la pubblicità in conto terzi che lo stesso, in qualità di collettore, veicolerà negli spazi messi a disposizione”.
III) La questione giuridica e la relativa rilevanza
10. La questione giuridica, oggetto di rimessione alla Corte di giustizia, si impernia sulla clausola di prelazione che ha consentito al raggruppamento di ottenere l’affidamento del contratto.
11. La questione è rilevante in quanto l’appellante Urban Vision contesta la legittimità della clausola di prelazione al fine di ottenere l’aggiudicazione, avendo presentato la migliore offerta.
La supposta illegittimità non può che derivare dal non puntuale recepimento del diritto europeo, atteso che la prelazione prevista dal Comune ed esercitata dal raggruppamento rispetta la disciplina italiana nei termini di seguito esposti.
IV) La qualificazione del contratto alla luce del diritto italiano
12. Il Collegio ritiene che il contratto stipulato dal Comune non sia qualificabile in termini di sponsorizzazione, come invece ritenuto dal Comune stesso.
Nel contrato di sponsorizzazione lo sponsor si impegna a destinare proprie risorse per finanziare la prestazione alla quale è interessata l’amministrazione e riceve in cambio un’utilità immateriale, il ritorno di immagine (aleatorio) “come conseguenza della comunicazione al pubblico dell'esecuzione della prestazione” (Cons. St., sez. V, 3 ottobre 2017 n. 4614).
Nel contratto in esame invece la controprestazione consiste “nel ritorno economico costituito dall’ utilizzo/ sfruttamento dei n. 97 impianti pubblicitari” e “Lo Sponsor si assume l’alea dello sfruttamento pubblicitario” (art. 7 contratto).
Posto poi che le modalità di promozione diretta del privato, che, in base alla relazione istruttoria, si affiancano alla “pubblicità in conto terzi che lo stesso, in qualità di collettore, veicolerà negli spazi messi a disposizione”, non sono individuate in contratto, essendo definite in un piano che è redatto in adempimento di un obbligo contrattuale, detto elemento non può essere ritenuto qualificante.
L’interesse del privato si appunta pertanto, in una misura che il contratto non assicura che non sia del tutto prevalente, sullo sfruttamento degli impianti pubblicitari, con assunzione del relativo rischio di domanda.
13. Piuttosto il contratto stipulato dal Comune e il relativo procedimento rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 183 d.lgs. 50/2016, intitolato “finanza di progetto”.
13.1. L’art. 183 disciplina un modulo procedimentale (così anche la relazione al d.lgs. n. 36/2023). Detto modulo si applica a contratti nei quali, come si evince anche dal titolo (così anche la relazione al d.lgs. n. 36/2023 e la delibera Anac 23 settembre 2015 n. 10), il privato finanzia, in modo totale o parziale, l’opera, senza garanzia del recupero dell’investimento, che dipende dall’introito derivante dallo sfruttamento dell’opera o dalla fornitura del servizio.
13.2. Con il contratto in esame non solo il privato si assume l’onere di realizzare i bagni automatizzati pubblici e di trasformare gli impianti pubblicitari con proprie risorse, ma neppure riceve una controprestazione in denaro, potendo piuttosto sfruttare i 97 impianti pubblicitari. Il privato quindi finanzia l’intervento, nei termini di cui all’art. 183.
In ragione di ciò egli assume il rischio operativo delle opere e delle gestioni anzidette, oltre che il rischio della domanda rispetto agli impianti pubblicitari.
Detto elemento consente di qualificare il contratto.
La concessione è infatti caratterizzata, oltre che da un corrispettivo costituito unicamente dal diritto di gestire le opere o i servizi o da tale diritto accompagnato da un prezzo, dall’assunzione, da parte del concessionario, del rischio operativo (lett. uu) e vv) dell’art. 3), inteso quale rischio di gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, come nel caso in cui non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati (lett. zz).
La definizione di paternariato pubblico privato comprende quella di concessione: i contratti di paternariato sono infatti contratti a titolo oneroso con i quali è conferito all’operatore economico il compito di realizzare e gestire un'opera in cambio del suo sfruttamento economico, o di fornire un servizio, “con assunzione di rischio” (art. 3 lett. eee), in termini di rischio di costruzione, oltre che di rischio di disponibilità o di rischio di domanda (art. 180 comma 3), con una definizione più lata, specie in relazione all’oggetto del contratto e al relativo rischio, rispetto a quella di concessione.
L’onere, assunto dal raggruppamento, di finanziare l’opera senza garanzia del recupero dell’investimento, dipendente dall’introito derivante dallo sfruttamento degli impianti pubblicitari, costituisce un tipico esempio di assunzione del rischio che connota la concessione e il paternariato.
13.2. Il contratto in esame è quindi qualificabile, anche ai fini del diritto Ue (su cui infra), come concessione, oltre che come paternariato pubblico privato.
13.3. Quanto sopra non osta all’applicazione dell’art. 183 nonostante si rinvengano anche riferimenti contrastanti, quali:
- l’inclusione dell’art. 183 nella Parte IV, dedicata al paternariato pubblico privato, mentre i contratti di concessione sono disciplinati nella Parte III;
- il comma 8 dell’art. 180 comma 8 che, nell’elencare i contratti di partenariato pubblico privato, affianca alla “finanza di progetto” la “concessione di costruzione e gestione”.
Ciò in quanto, oltre alla richiamata definizione della concessione di cui all’art. 3:
- detti riferimenti sono contraddittori rispetto alla qualificazione della concessione come paternariato;
- la nozione di finanziamento di cui all’art. 183 non è idonea a differenziarlo dalla concessione, anche perché dovrebbe altrimenti ritenersi che vi sia un’antinomia fra paternariato e concessione, smentita dallo stesso art. 180 comma 8;
- il d.lgs. n. 50/2016 deve essere interpretato alla luce delle direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, di cui costituisce attuazione, e, in base a dette direttive (che non contengono riferimenti al contratto di paternariato pubblico privato), il contratto in esame, considerato l’oggetto e i rischi assunti, nell’alternativa fra contratto di appalto e contratto di concessione, non può che rientrare nella seconda nozione.
V) La disciplina di diritto interno relativa al procedimento svolto dal Comune
15. La procedura seguita dal Comune rispetta il modulo disciplinato dall’art. 183 del d. lgs. 50/2016, che contiene la previsione della prelazione e che suddivide il procedimento in tre fasi:
- la prima fase prende avvio in seguito alla presentazione da parte di uno o più operatori economici di una proposta, di cui viene valutata la rispondenza all’interesse pubblico “entro il termine perentorio di tre mesi”;
- superata positivamente la valutazione, anche a seguito del positivo riscontro alle modifiche richiesta dall’amministrazione, la seconda fase è caratterizzata dall’inserimento della proposta di pubblico interesse nella programmazione;
- la terza fase prevede l’indizione di una gara sul progetto approvato.
16. In base al comma 15 dell’art. 183 nel bando che dà avvio all’ultima fase “è specificato che il promotore può esercitare il diritto di prelazione e divenire aggiudicatario”, impegnandosi ad assicurare le medesime condizioni della migliore offerta, con pagamento delle spese di preparazione dell’offerta all’originario aggiudicatario. Se il promotore non esercita la prelazione ha diritto alla refusione delle spese affrontate per formulare la proposta.
17. Il procedimento svolto dal Comune integra i presupposti delineati dall’art. 183 del d. lgs. 50/2016 e, in particolare, dal relativo comma 15.
Urban Vision ha presentato una proposta.
La proposta è stata valutata positivamente sia rispetto al fine pubblico (“il fine pubblico che si intende perseguire è una nuova dotazione di Servizi – Igienici Automatizzati nonché la loro gestione e manutenzione”), sia, in esito ad apposita istruttoria, in merito alla “congruità tecnico- economica finanziaria” (così dalla determina n. 5782 del 2021).
E’ stato quindi pubblicato un avviso pubblico, con il quale la proposta è stata messa a gara e nel quale è specificato che il promotore può esercitare la prelazione.
In esito alla gara il promotore ha esercitato la prelazione e ha ottenuto l’aggiudicazione adeguando l’offerta a quella dell’appellante, risultato migliore offerente.
18. Il procedimento svolto dal Comune ha assicurato una trasparenza anche maggiore in quanto ha pubblicato un avviso preliminare nel quale ha reso noto l’interesse a ricevere proposte per la realizzazione di iniziative per la rigenerazione di spazi pubblici, specificando che il vantaggio competitivo del promotore.
Né si è posto un tema di comparazione fra le proposte presentate da più promotori in quanto il raggruppamento è stata l’unico a presentare una proposta.
VI) Il tema giuridico
19. Passando ad illustrare il quesito, il Collegio dubita che l’art. 183 comma 15 d.lgs. 50/2016 costituisca puntuale recepimento del diritto europeo.
La clausola di prelazione infatti, pur assicurando lo svolgimento di una gara, è idonea a sovvertirne l’esito se il promotore la esercita: il proponente che non risulti aggiudicatario secondo le regole di gara, se adegua la sua proposta a quella individuata come migliore, diviene egli stesso aggiudicatario.
La prelazione produce quindi effetti sulla parità di trattamento che informa le gare pubbliche, mettendone in discussione l’essenza.
VII) Il diritto dell’Unione europea: la direttiva n. 2014/23/UE
20. Viene in evidenza la direttiva n. 2014/23/UE (di seguito: “direttiva”), in quanto riguarda le concessioni, così come il contratto in esame, il cui valore stimato supera il valore soglia indicato nell’art. 8 della direttiva medesima.
Per gli stessi motivi, già sopra illustrati, in ragione dei quali il contratto stipulato dal Comune rientra nella nozione di concessione contenuta nel d.lgs. 50/2016, esso è altresì compreso nella nozione di concessione di cui all’art. 5 della direttiva, in quanto il primo mutua la definizione dalla seconda, di cui costituisce attuazione. Né la circostanza che oggetto del contratto sia (anche) lo sfruttamento dei 97 impianti pubblicitari determina la non applicazione della direttiva, considerato l’oggetto principale del contratto, cioè la realizzazione dei bagni pubblici, rispetto al quale lo sfruttamento di 97 impianti pubblicitari è strumentale e non consente di qualificarlo in termini di locazione di beni pubblici (art. 10, par. 8 lett. a), né quale concessione unilaterale priva di obblighi reciprocamente vincolanti (considerando 14), né quale accordo nel quale l’amministrazione si limita a fissare “unicamente le condizioni generali d'uso senza acquisire lavori o servizi specifici” (considerando 15), né quale contratto che “è remunerato in base a tariffe regolamentate” (considerando 17).
VIII) Le ragioni del dubbio
21. Nella direttiva non viene richiamata, né disciplinata la clausola di prelazione.
10.3. Il Collegio si interroga sulle conseguenze desumibili da detta omissione.
Innanzitutto si chiede se sia consentito dedurre da ciò che la direttiva osti alla previsione della clausola di prelazione nella legge di gara.
22. Nondimeno nell’ordinamento unionale si rinvengono elementi che potrebbero non escludere in termini assoluti l’ammissibilità dell’istituto e che giustificano l’insorgere di un dubbio in tal senso.
23. In particolare, depone in tal senso la direttiva laddove stabilisce:
- la “flessibilità nel definire e organizzare la procedura di selezione del concessionario” (considerando 68, oltre che 1 e 8);
- il punto di equilibrio fra flessibilità e parità di trattamento, individuato nella trasparenza e nel rispetto delle informazioni diffuse (così il considerando 68);
- le informazioni “minime”, che riguardano la “natura e l'ambito di applicazione della concessione” ma anche la “limitazione del numero di candidati” (considerando 68);
- le “norme di carattere generale” necessarie per garantire parità di trattamento, che “possono fare riferimento a fattori di carattere non puramente economico ma tali da influenzare il valore di un'offerta dal punto di vista dell'amministrazione”, così da “permettere di individuare un vantaggio economico globale per l'amministrazione” (considerando 73);
- la positiva considerazione dell’inclusione nei criteri di aggiudicazione di fattori ambientali, sociali o relativi all'innovazione (considerando 73);
- la rilevanza della comunicazione non discriminatoria delle “informazioni che possano avvantaggiare determinati candidati o offerenti rispetto ad altri” (combinato disposto degli artt. 3 e 30) ai fini del rispetto dei principi di parità.
Una particolare evidenza assume la previsione contenuta nell’art. 41 par. 3: se l’amministrazione riceve un’offerta che propone una “soluzione innovativa”, questa “può, in via eccezionale, modificare l'ordine dei criteri di aggiudicazione per tenere conto di tale soluzione innovativa”. In tal caso, essa è tenuta a emettere un nuovo invito, posto che “la modifica dell'ordine non deve dar luogo a discriminazioni”.
In tal caso il punto di equilibrio fra apporto del privato e par condicio sta nel porre l’innovazione a gara.
24. I profili di flessibilità, la rilevanza attribuita alla diffusione delle informazioni sul procedimento ai fini del rispetto delle garanzie minime di parità di trattamento, anche di quelle che possono avvantaggiare determinati candidati, e la rilevanza (sulla gara) attribuita alla soluzione innovativa rendono non sicura la deduzione dell’incompatibilità della clausola di prelazione con la direttiva.
25. Lo stesso principio di proporzionalità quale principio generale postula che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni “non vadano oltre quanto è necessario per conseguire gli obiettivi previsti dalla medesima direttiva” (Cgue, 26.9.2024, C-403/23).
L’obiettivo principale delle norme dell’Unione in materia di gare pubbliche comprende “l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri” (Cgue, 7.9.2021, C927/19), parte integrante del mercato interno ai sensi dell’art. 3 par. 3 TUE (protocollo n. 27 Tfue).
In tale prospettiva le restrizioni alla libertà economica sono ammissibili se funzionali alla realizzazione della concorrenza (per il mercato).
Al riguardo si rileva che la prelazione è espressione di libertà imprenditoriale, che assurge a libertà fondamentale in base all’art. 15 Carta di Nizza, e del mercato. Nel mercato, cui è preordinata la direttiva, è comunque assicurata, almeno per un certo periodo, una rendita di posizione allorquando è portatrice di una soluzione innovativa.
Inoltre, posto che il vaglio di proporzionalità postula una comparazione con gli interessi contrapposti (Cgue, 27.1.1987, C-45/1985), rileva anche che la valorizzazione delle iniziative del privato è funzionale alla buona amministrazione (art. 41 Carta di Nizza) e al principio di efficienza e sana gestione finanziaria (art. 310 par. 5 Tfue), nel senso che indirizza l’attività amministrativa verso settori e attività che i privati ritengono meritevoli di tutela, assicurando alla stessa un risparmio di tempo e risorse.
26. Vengono altresì in evidenza la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi di cui rispettivamente agli artt. 49 e 56 del Tfue. E ciò non solo per il caso in cui non sia ritenuta applicabile la direttiva ma anche per gli incisivi effetti della prelazione sulla parità di trattamento e sull’essenza delle gare pubbliche, che chiamano in causa i principi in nome dei quali la direttiva la impone e per la mancanza di una specifica disposizione di riferimento all’interno della direttiva, che può rendere rilevante il vaglio dell’istituto anche alla luce dei principi sovraordinati.
Una normativa nazionale, malgrado i suoi effetti restrittivi sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi, può risultare giustificata se risponde a esigenze imperative di interesse generale, qualora tale interesse non sia già tutelato da altre norme, se è idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e se non va oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (Cgue, 22.11.2018, C-625/17 e 15.9.2011, C-347/09).
La prelazione, promuovendo le proposte del privato nei confronti dell’attività pubblica, costituisce attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 Cost.), è espressione di una modalità di cooperazione che può rendere più efficace, in termini di tempo e risorse, la realizzazione degli interessi pubblici in e promuovere un rinnovamento dell’amministrazione attraverso l’acquisizione di nuove conoscenze, proprie delle realtà private (in coerenza con i principi di imparzialità e buon andamento dell’art. 97 Cost.), oltre a costituire uno stimolo per l’impresa.
Nondimeno essa potrebbe non risultare idonea a conseguire lo scopo o comunque potrebbe non essere proporzionata. Si possono infatti ipotizzare sistemi che, pur premiando l’iniziativa, nondimeno producano effetti meno incisivi per la gara (senza quindi assicurare necessariamente allo stesso il risultato). A titolo esemplificativo si prefigura la possibilità di valorizzare l’iniziativa del promotore con l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo o utilizzando moduli procedimentali flessibili: il dialogo competitivo e la procedura competitiva con negoziazione sono utili proprio nei casi in cui le amministrazioni non sono in grado di predeterminare le modalità per soddisfare le loro esigenze o di valutare ciò che il mercato può offrire in termini di soluzioni tecniche, finanziarie o giuridiche.
27. Da ultimo si rileva che, benché, come detto, lo sfruttamento dei 97 impianti pubblicitari non costituisca la prestazione caratterizzante il contratto in esame, si richiamano comunque (anche) i principi desumibili dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, applicabile alle concessioni di beni pubblici finalizzate all’esercizio di un’attività economica se in numero limitato (Cgue, 14.7.2016, C-458/14 e C-67/15).
L’art. 12 non contiene un divieto assoluto all’introduzione della prelazione, relativa ai servizi nel mercato interno, ma impedisce, in caso di scarsità della risorsa, di adottare sistemi di affidamento basati su metodi non concorrenziali, consentendo comunque agli Stati membri di tener conto di “motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”, con le conseguenze già sopra illustrate.
28. A fronte di quanto sopra si rileva che la disciplina italiana della prelazione contenuta nell’art. 183 comma 15 del d. lgs. 50/2016, seppur premia, e quindi promuove, l’iniziativa del privato che si assume l’onere di formulare una proposta senza potere conoscere in anticipo i rischi e l’esito della stessa, nondimeno:
- garantisce l’aggiudicazione al promotore, anche se l’offerta migliore è stata presentata da altro candidato;
- per tale motivo non premia necessariamente il soggetto che ha presentato l’offerta preferibile per l’amministrazione, che, altrimenti, non si renderebbe necessario esercitare la prelazione;
- non delimita l’ambito di applicazione dell’istituto, richiedendo che l’oggetto del contratto in gara abbia caratteristiche volte a circoscrivere l’utilizzo dell’istituto, che non siano limitate alla tipologia di finanziamento e alla rispondenza all’interesse pubblico;
- non presuppone il carattere innovativo della proposta, in termini di caratteristica intrinseca dell’oggetto della proposta o di novità dello stesso rispetto alla precedente attività svolta dall’amministrazione;
- non richiede una trasparenza iniziale in ordine alla posizione privilegiata del promotore (anche se, nel caso di specie, è stata assicurata dal Comune), posto che la prelazione è resa nota con l’avvio della gara successiva alla presentazione della proposta, mentre la posizione privilegiata trova causa in una condotta precedente a detta comunicazione;
- difetta di garanzie e moduli procedimentali in caso vi siano più promotori che presentano una proposta (circostanza che non ricorre nel caso di specie ma che è indicativa della disciplina dell’istituto).
29. In ragione di quanto sopra il Collegio ritiene di avere motivo per dubitare che i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi e la direttiva, interpretati alla luce dei principi di proporzionalità, buona amministrazione ed efficienza, nonché l’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, se ritenuta applicabile, ostino alla disciplina della clausola di prelazione contenuta nell’art. 183 comma 15 del d.lgs. 50/2016.
30. Pertanto il Collegio, in mancanza di un’espressa disciplina della clausola di prelazione o di un espresso divieto della stessa, ravvisa i presupposti dell’obbligo di rinvio, anche in ragione del fatto che la Corte di giustizia non si è specificamente pronunciata sul punto. Nel 2008, infatti, la Corte pur avendo positivamente scrutinato una questione relativa alla prelazione in relazione al principio di parità di trattamento, ha affermato che i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi “non prescrivono un obbligo generale di parità di trattamento ma contengono […] un divieto di discriminazione in base alla cittadinanza”, aggiungendo la considerazione determinante circa il fatto che “la Commissione non fornisce alcuna indicazione relativa all’eventuale esistenza di una tale discriminazione” (Cgue, 21.2.2008, in C-412/04).
31. Al fine del rinvio, considerato che “le disposizioni del Trattato FUE in materia di libertà di stabilimento, di libera prestazione di servizi e di libera circolazione dei capitali non sono applicabili a una fattispecie in cui elementi si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro”, si rileva di trovarsi in una delle situazioni contemplate ai punti da 50 a 53 della sentenza del 15 novembre 2016 (Cgue, 15.11.2016, C-268/15) in quanto, malgrado gli elementi nel procedimento principale siano circoscritti all’interno di un solo Stato membro, non può escludersi che cittadini stabiliti in altri Stati membri siano stati o siano interessati ad avvalersi delle libertà fondamentali per esercitare attività sul territorio dello Stato membro che ha emanato la normativa nazionale in discussione. Sicché essa può produrre effetti che non siano limitati a tale Stato membro.
IX) Il quesito
32. In considerazione di tutto quanto sopra esposto, il Collegio chiede alla Corte di giustizia dell’Ue di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 Tfue, sulla seguente questione pregiudiziale: “se i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49 e 56 Tfue, nonché la direttiva n. 2014/23/UE, interpretati alla luce dei principi di proporzionalità, buona amministrazione ed efficienza, e l’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, per il caso in cui la Corte lo ritenga applicabile, osti alla disciplina nazionale della prelazione, contenuta nell’art. 183 comma 15 d.lgs. n. 50/2016”.
33. Il Collegio dispone che alla Cgue sia trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme all’originale della presente ordinanza, copia dell’intero fascicolo di causa, privo della copia dell’offerta tecnica in formato integrale depositata con modalità cartacea.
34. Il Collegio sospende il presente giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale indicata nel § 21 della motivazione e, riservata ogni altra decisione, anche sulle spese, sospende il giudizio.
Dispone che il presente provvedimento, unitamente a copia degli atti di giudizio indicati in motivazione, sia trasmesso, a cura della Segreteria della Sezione, alla Cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore
Elena Quadri, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
Marina Perrelli, Consigliere
Guida alla lettura
L’ordinanza di rimessione in commento manifesta dubbi di conformità della disciplina della prelazione ex art. 193 comma 8 del D.lgs n. 36/2023 rispetto alla normativa eurounitaria, in ragione dell’omissione di un’analoga previsione all’interno della direttiva n. 2014/23. Il silenzio del legislatore comunitario si presterebbe, infatti, ad essere interpretato in modo ancipite, sia nel senso dell’ammissibilità del diritto di prelazione sia nel senso della sua incompatibilità con il diritto comunitario. In via preliminare, occorre tratteggiare brevemente le caratteristiche della finanza di progetto, per cogliere gli aspetti critici palesati dall’ordinanza.
La finanza di progetto costituisce una specie del più ampio genus del partenariato pubblico privato, inteso come contratto oneroso, in forza del quale il privato si assume l’onere di realizzare un’opera pubblica, con allocazione su di sé del rischio di gestione, in cambio del diritto di sfruttare economicamente la stessa. Nello specifico, il project financing consiste in una tecnica finanziaria, che consente la realizzazione di opere pubbliche senza nessun onere per la P.A.., nemmeno correlato alla redazione del programma e del progetto di fattibilità. Infatti, è il privato, detto promotore, a predisporre un progetto preliminare di un’opera pubblica, che, se valutato positivamente dalla PA, verrà posto a base di gara nell’ottica di una decisione concertata degli obiettivi pubblici. Il vantaggio che il privato trae dall’operazione si apprezza sotto l’aspetto della capacità dell’opera di autofinanziarsi, attraverso una remunerazione che è allocata sull’utenza finale. Infatti, la finanza di progetto e in genere il partenariato, si caratterizza per la traslazione in capo al privato non solo del rischio di costruzione ma anche del rischio di disponibilità e di domanda. Il rischio di costruzione è il rischio degli incrementi addizionali dei costi di realizzazione dell’opera nel corso del rapporto di lungo periodo. Il rischio di disponibilità è il rischio di subentro di una non rispondenza dell’opera rispetto alle esigenze dell’utenza finale o della P.A. . Il rischio di domanda è il pericolo legato alle oscillazioni della domanda da parte dell’utenza dei servizi. Affinchè il sinallagma di una simile fattispecie sia rispettato, è necessario, pertanto, che l’oggetto sia rappresentato dalla realizzazione di un’opera di sicura redditività. Anzi, in dottrina è stato precisato che il contenuto del regolamento contrattuale dev’essere definito ex ante, onde palesare una piena valutazione dell’esatta allocazione dei rischi sin dall’inizio. Con precipuo riferimento alla finanza di progetto, la proposta di realizzazione in concessione di lavori e di servizi deve avere un contenuto specifico, costituito da un progetto di fattibilità, una bozza di convenzione e dal piano economico finanziario asseverato. L’ente concedente ha l’obbligo di valutare tale proposta entro 90 giorni, in pendenza del quale può anche invitare il promotore ad apportare modifiche al progetto di fattibilità. Secondo l’orientamento del Consiglio di Stato, la perentorietà del termine non comporta che l’inutile spirare dello stesso implichi l’obbligo per la P.A. di indire una procedura ordinaria e di sobbarcarsi gli oneri di progettazione. Più in particolare, è stato ritenuto che lo spirare del termine di 90 giorni implichi il configurarsi della fattispecie del silenzio inadempimento, con obbligo per la P.A. di esprimere una determinazione.
La prima fase del procedimento di finanza di progetto, prendendo impulso dalla presentazione di una o più proposte private, si conclude con un provvedimento espresso da parte della P.A., che inserisce il progetto di fattibilità tra gli strumenti di programmazione dell’ente concedente, onde porlo a base di asta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Tale fase si apprezza per un elevato tasso di discrezionalità ma anche per un altrettanto intenso contraddittorio. Infatti, amplissimi sono i margini per il soccorso istruttorio, con possibilità di proposte di modifiche e correttivi. La scelta del promotore finanziario, pur essendo un atto discrezionale della stazione appaltante, tuttavia è sindacabile da parte del giudice amministrativo, nei limiti del controllo di legittimità, cioè di ragionevolezza, proporzionalità ed oggi del risultato. Esso si connota per esser corredato da una motivazione, che espliciti le ragioni di valutazione della proposta, quale idonea a perseguire i fini di interesse pubblico. Il promotore, la cui proposta non sia stata selezionata è legittimato all’impugnazione sia della determina di esplicitazione della non rispondenza a pubblico interesse della sua proposta sia della decisione di scelta dell’altro proponente. Infatti, quest’ultimo atto è carico di idoneità lesiva, perché dal punto di vista prospettico degli altri promotori interessati all’acquisizione del proprio progetto, costituisce un definitivo arresto procedimentale. Esso, infatti, integra la stabile inibizione del conseguimento del bene della vita anelato, rappresentato dalla selezione del proprio progetto da mettere a base di gara, con radicamento della titolarità del diritto di prelazione. Pertanto, tale atto deve essere immediatamente impugnato, senza attendere l’esito del procedimento ad evidenza pubblica e l’aggiudicazione.
La scelta del promotore dischiude una seconda fase della finanza di progetto, che costituisce un elemento centrale dell’ordinanza in discussione.
Posta a base di gara la proposta selezionata, viene ad espletarsi un procedimento ad evidenza pubblica, all’esito del quale la P.A. procederà alla scelta del migliore efferente secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il comma 8 dell’art. 193 del nuovo codice prevede, che qualora all’esito della gara, l’aggiudicatario non coincida con il promotore la cui proposta sia stata collocata a base d’asta, venga riconosciuto a quest’ultimo l’esercizio del diritto di prelazione. Si tratta del riconoscimento di un diritto potestativo a connotazione premiale, consistente nel potere di subentrare alla condizione dell’aggiudicatario prescelto, divenendo egli stesso aggiudicatario ed impegnandosi ad adempiere le obbligazioni contrattuali alle medesime condizioni offerte dall’aggiudicatario originario. L’esercizio della prelazione fa emergere una violazione della parità di trattamento, potendo il promotore appropriarsi dell’offerta dell’aggiudicatario, con il solo onere di rimborsarlo delle spese effettivamente sostenute per la predisposizione dell’offerta.
Da altro punto di vista, è tuttavia indubitabile che il potere di prelazione è premiale e meritocratico, essendo riconosciuto non a fronte di una condizione parassitaria, bensì rispetto alla formulazione di una proposta che è stata valutata dalla pubblica amministrazione maggiormente conforme all’interesse pubblico. Occorre premettere che la valutazione della pubblica amministrazione nella fase preliminare della finanza di progetto anche quando vi sono più promotori, non ha una connotazione comparativa. La valutazione della stazione appaltante è, piuttosto, a connotazione solipsistica ed atomistica, essendo incentrata sulla sola considerazione della singola proposta, nella sua attitudine alla soddisfazione dell’interesse generale. Proprio su tali basi, la Corte di Giustizia, ha considerato irrilevante la pregressa rimessione basata sulla presunta violazione del principio di non discriminazione, ritenendo che giammai una procedura non comparativa potrebbe avere esiti discriminatori.
Resta il fatto che la normativa nazionale ha previsto la prelazione nel silenzio del legislatore comunitario, dando adito a dubbi di compatibilità. Infatti il legislatore italiano avrebbe potuto prevedere altri meccanismi premiali per il promotore, diversi dalla prelazione, quali per esempio l’attribuzione dei punteggi, secondo il sistema che gli economisti definiscono “alla cilena”.
Si evidenziano, pertanto, significativi elementi di criticità. In primo luogo, la prelazione scoraggia la partecipazione degli operatori alla gara, in quanto essi si troverebbero nella condizione di formulare l’offerta, pur nella consapevolezza che nell’ipotesi di aggiudicazione, potrà essere esercitato il diritto di prelazione. In tale evenienza, oltretutto, l’aggiudicatario vedrebbe il riconoscimento dei soli costi di partecipazione e di redazione dell’offerta nei limiti del 2,5%. In secondo luogo, la prelazione scoraggia la partecipazione degli operatori degli altri Paesi europei, che non hanno familiarità con questo meccanismo, con produzione di esternalità negative sui loro investimenti in Italia. Infine, potrebbero ingenerarsi meccanismi perversi, in base ai quali i concorrenti scelgono di partecipare alla gara e offrire sconti economici, con la precipua finalità di indurre il promotore a esercitare la prelazione, danneggiando in tal modo i suoi profitti e indebolirlo. Dal punto di vista della P.A. tale dinamica esiterebbe in un danno perchè la stazione appaltante aggiudicherebbe sì ad un prezzo vantaggioso ma si esporrebbe al serio rischio di detrimento della qualità della performance.
Il Consiglio di Stato evidenzia, tuttavia, che nel silenzio della direttiva, potrebbero elaborarsi argomenti a sostegno di una prospettazione di ammissibilità, evincendoli dal considerando 68,18 e 73. In base al combinato disposto di queste disposizioni è dato ricavare che la procedura di selezione del concessionario avrebbe un carattere flessibile, il che consentirebbe di ritenere che la prelazione sia compatibile con la direttiva comunitaria, nel presupposto che sia rispettata la trasparenza e la diffusione delle informazioni minime. Fondamentale, sotto tale aspetto, è che i concorrenti siano resi edotti sin dall’indizione della gara del potere di prelazione del promotore.
In base ad un argomento sistematico, il Consiglio di Stato osserva che le disposizioni nazionali non devono contenere restrizioni che non siano necessarie per il perseguimento delle finalità della concorrenza, a pena la lesione del principio di proporzionalità. L’interpretazione del silenzio della direttiva nel senso di una inammissibilità della prelazione del promotore, si risolverebbe in una restrinzione della libertà di iniziativa economica, ultronea rispetto al perseguimento degli obiettivi eurounitari. Infatti, la prelazione è riconducibile alla libertà imprenditoriale, risolvendosi in una fisiologica rendita di posizione, riconosciuta all’operatore che si è reso autore di soluzioni innovative o comunque confacenti all’interesse pubblico. Mortificare tale condizione, attraverso un’esegesi del diritto unionale nel senso dell’inammissibilità, sarebbe contrario al principio di proporzionalità. Il canone della proporzionalità impone, infatti, che i sacrifici imposti dalla normativa nazionale possano giustificarsi solo in quanto siano necessari per perseguire la concorrenza.
L’ordinanza in commento si segnala per essere un esempio della tecnica di qualificazione giuridica delle concessioni miste. Infatti, per sostenere l’assunto che la fattispecie specifica rientrasse nel perimetro di applicazione dell’art 183 del Dlgs n. 50/2016 (oggi art 193 del Dlgs n. 36/2023) e quindi della Direttiva n. 2014/23 UE, 2014/24, 2014/25, il Consiglio di Stato ha attuato il criterio esegetico della prevalenza. La peculiarità della vicenda vede, infatti, protagonista una proposta di realizzazione, gestione e manutenzione di impianti igienici pubblici, a fronte della concessione del diritto di sfruttamento economico di impianti pubblicitari, oggetto di contestuale concessione. Il carattere misto della fattispecie, corredata da una concessione di attività di realizzazione, gestione e manutenzione a carico del privato e di concessione di bene pubblico (impianti pubblicitari) viene inquadrato giuridicamente ricorrendo al criterio dell’elemento preponderante. Infatti, la concessione degli impianti pubblicitari è subvalente e strumentale rispetto alla concessione di opera pubblica, servendo solo a remunerare il privato dell’assunzione degli oneri di realizzazione e gestione. Di conseguenza, essa non ha la forza di inibire l’inquadramento giuridico nella finanza di progetto.