Abstract capitolo 14 del Manuale dei contratti pubblici di L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli, 2024 DIKE Giuridica
Nelle procedure ad evidenza pubblica può capitare che si verifichino situazioni tali da richiedere un intervento unilaterale e autoritativo degli enti aggiudicatori, sia sugli atti della selezione (nella fase che va dalla pubblicazione del bando sino all’aggiudicazione – compresa – della commessa) sia sul contratto e/o sulle relative modalità di esecuzione (cioè nel momento che segue l’aggiudicazione). E ciò non solo in presenza di un illecito, ma anche – e soprattutto – per assicurare il rispetto delle regole dell’azione amministrativa e il migliore perseguimento dell’interesse pubblico. Il che pone inevitabilmente il problema di bilanciare tali esigenze “pubblicistiche” con quelle strettamente “privatistiche” di chi ha fatto affidamento sulla legittimità dei provvedimenti/atti a sé favorevoli e sulla stabilità delle situazioni giuridiche conseguenti. Qui si innesta il tema dell’autotutela pubblicistica, ossia del potere della P.A. di farsi giustizia da sé. Invero, per perseguire i propri anzidetti obiettivi le amministrazioni si avvalgono:
- non già degli istituti del diritto privato (come ad esempio la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., la clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., l’eccezione d’inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c., la risoluzione per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità della prestazione);
- bensì di una disciplina speciale – del tutto peculiare e derogatoria rispetto a quella dettata dal Codice civile – che prevede strumenti di stampo pubblicistico (l’annullamento d’ufficio e la revoca, previste rispettivamente dall’art. 21nonies e dall’art. 21quinquies della legge n. 241/1990) e privatistico (sia pure in senso lato, come la risoluzione e il recesso di cui agli art. 122 e 123 del D.Lgs. n. 36/2023). Anche per questa ragione l’autotutela viene generalmente riconosciuta come una manifestazione della specialità del diritto amministrativo rispetto alle altre branche del diritto.
Soffermandoci sulla portata della medesima autotutela nelle procedure ad evidenza pubblica emerge con evidenza che la formulazione codicistica ha lasciato aperti alcuni dubbi: su tutti quello di individuare con precisione in cosa consistono i “poteri di autotutela” della stazione appaltante e quali sono i relativi presupposti e limiti.
Per cercare di sciogliere tali nodi occorre prestare attenzione al momento in cui interviene l’atto di ritiro, distinguendo i casi ove l’evento si verifica prima della stipula del contratto da quelli nei quali ciò accade dopo tale momento. Il perché è presto detto: da tempo la giurisprudenza ha affermato che:
- fino all’aggiudicazione compresa si ricade in una fase con carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza;
- mentre con la stipulazione del contratto nell’attuazione del rapporto negoziale sussiste un carattere privatistico, con conseguente applicazione delle norme “civilistiche”. In realtà, la c.d. autotutela “di stampo privatistico”, intesa quale insieme degli istituti applicabili in sede di esecuzione (ossia dopo il perfezionamento) del contratto, consiste essenzialmente nel ricorso agli strumenti della risoluzione e del recesso, ora disciplinati dagli art. 122 e 123 del D.Lgs. n. 36/2023 (corrispondenti, rispettivamente, agli artt. 108 e 109 del D.Lgs. n. 50/2016, e prima ancora alle Direttive 24-25/2014/UE). Queste norme dettano regole specifiche per gli appalti pubblici, integrative rispetto a (e non prevalenti su)gli ordinari rimedi previsti dal Codice civile per la fase esecutiva/post-contrattuale. Cosicché in forza delle disposizioni in esame la P.A. può esercitare il potere di risolvere il contratto o di recedervi anche per mezzo di una determinazione unilaterale, senza promuovere un’azione giudiziaria.
Vi è pure un regime “ibrido”, che si verifica quando la stazione appaltante procede alla consegna in via d’urgenza della commessa aggiudicata, senza però previamente stipulare il contratto. In questo caso talune amministrazioni che si sono trovate a gestire la problematica hanno optato per la revoca della gara ex art. 21quinquies della L. n. 241/1990, ottenendo l’avallo della giurisprudenza (adita dall’operatore economico). Bisogna però segnalare che altra giurisprudenza ha rilevato che in situazioni analoghe il provvedimento, ancorché formulato quale atto di revoca ex art. 21quinquies della L. n. 241/1990, si inserisce nella fase esecutiva del rapporto operandone la risoluzione. In questa prospettiva sussiste (quindi) la giurisdizione del G.O. in luogo di quella del G.A.
Centrale è, inoltre, la nuova disciplina in tema di “cessazione” delle concessioni. L’art. 190 del D.Lgs. n. 36/2023 introduce infatti un cambio di prospettiva rispetto all’art. 176 del D.Lgs. n. 50/2016, in quanto si occupa congiuntamente – ma al contempo separatamente – della risoluzione e del recesso dalla concessione. In sintesi, la novella – a fronte di una non piena omogeneità del testo previgente rispetto alla Direttiva 2014/23/UE:
- ha inteso ripartire dalle regole europee e dai princìpi espressi dall’art. 44 della richiamata Direttiva, sulla scorta anche del criterio di delega sub lett. ff) (art. 1, comma 2, L. 78/2022);
- ha eliminato il riferimento ai poteri di autotutela dell’ente concedente;
- e, sul piano sistematico, è stato – molto opportunamente – soppresso il generico riferimento alla “cessazione” del contratto di concessione, distinguendo chiaramente le due figure di recesso e risoluzione. Si è quindi superata la precedente disciplina largamente commista per fare spazio a una regolamentazione più organica e coerente. Ora infatti i primi tre commi dell’articolo in esame disciplinano i casi di risoluzione, mentre i restanti quattro commi trattano le ipotesi di recesso.
L’art. 190 del nuovo Codice ha quindi delineato un sistema di rimedi post-contrattuali per le concessioni in gran parte simile a quello previsto per i contratti di appalto, ravvicinando così – anche sotto questo profilo – la disciplina due istituti. In particolare sono stati espunti dal testo normativo tutti i richiami - presenti nell’art. 176 del precedente D.Lgs. 50/2016 - agli istituti dell’annullamento d’ufficio e della revoca, così come avvenuto per la risoluzione e il recesso applicabili agli appalti. Si può perciò affermare che in tema di autotutela post-contrattuale è venuta meno la differenziazione tra gli istituti della concessione e dell’appalto. Il che pare l’ennesima conferma della progressiva “contrattualizzazione” delle concessioni.